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La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: L’unita’ d’Italia – Le vetrate di Notre Dame – L’Abbazia di Carpice – Lettere

L’unità d’Italia
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di parti importanti della legge Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni. Sarebbe stato opportuno posticipare la pubblicazione della  notizia dopo le elezioni regionali d’autunno, non essendoci urgenze all’orizzonte, ma restano comunque importanti le sette obiezioni di ordine costituzionale ad una legge che favorisce la frammentazione regionalista destinata a realizzare un autonomismo localistico  sbagliato e antinazionale.  Semmai sarebbe stato utile abolire le Regioni a Statuto speciale del tutto anacronistiche e fonte di sprechi,  tornando ad un regionalismo compatibile con l’unità d’Italia su temi come la Sanità, venuto drammaticamente in evidenza con la pandemia. Quello di Calderoli non è il regionalismo né  di Cattaneo, né di Miglio, ma quello confuso di un dentista bergamasco già autore di una legge elettorale tra le peggiori. Oggi sarebbe indispensabile, di fronte alla globalizzazione, un comportamento politico basato sulla rapidità delle decisioni e sull’unità nazionale. Rischiare di disfare l’unità d’Italia è un errore storico grave.  La Consulta,  dichiarando incostituzionale parte della legge, impedisce anche la celebrazione di un referendum su una materia giuridica complessa non riconducibile ad un sì o ad un no. L’abuso dei referendum è sempre in agguato e difficilmente  verrebbe raggiunto il quorum richiesto.
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Le vetrate di Notre Dame
Le vetrate  esistenti di Notre  Dame che si erano salvate dall’incendio che ha devastato un tesoro artistico e religioso dell’Europa cristiana, verranno sostituite con nuove vetrate oggetto di un pubblico concorso per volere di Macron. Si tratta di un’idea incredibile che non rispetta la storia.  Quelle vetrate creavano un clima emotivo all’interno del tempio che va conservato. Ascoltare una messa tra quelle navate era un qualcosa di unico che faceva cogliere il valore del misticismo anche nella Francia di Voltaire. Notre Dame va restaurata senza manomissioni post moderne che tradiscono la storia. Solo  l’affermazione della grandeur di un presidente incapace e ambizioso può giustificare la manomissione di un’opera che va lasciata come era. Questa notizia è passata nella più totale indifferenza. Anche la Francia ha perso il senso della sua storia?
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L’abbazia di Carpice
L’abbazia di Carpice a Moncalieri é in uno stato di forte degrado. La consigliera regionale Laura Pompeo,  già assessore alla cultura a Moncalieri, si è subito mossa per sollevare un problema che riguarda il patrimonio storico artistico del Piemonte: una realtà collegabile anche al turismo lungo il Po.

Laura Pompeo
C’è da sperare che la denuncia di Laura Pompeo non cada nel vuoto. Anche il FAI non ha valorizzato in modo adeguato  l’abbazia che considera riduttivamente solo  come “un luogo da non dimenticare”. Molti anni fa, quando mi occupai dai banchi del consiglio comunale dell’argomento, subii le battute di un assessore moncalierese che non sapeva dell’esistenza dell’abbazia medievale. Sarebbe interessante conoscere anche il parere del “sindaco – podestà”  di Moncalieri che parrebbe non occuparsi molto di cultura. Il Sindaco Vincenzo Quattrocchi mi chiese consigli sull’abbazia.
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I vandali
L’ennesimo corteo violento a Torino con poliziotti feriti non deve essere solo condannato , ma queste manifestazioni vanno vietate nel centro città e meno che mai nelle aree di musei e di interesse turistico. Offendere la bandiera nazionale  è un reato oggi tollerato.  Ulrico Raiteri
Concordo con lei, ma bisogna conciliare il diritto a manifestare con il dovere di non ricorrere alla violenza. Cosa difficile in presenza di giovani dediti alla violenza sistematica .Va fatta prevenzione, vietando certe aree auliche della città a rischio vandalismo. Un nuovo ‘68 non va tollerato, anzi va represso.
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Il sociologo Ferrarotti
E’ morto quasi centenario il fondatore della sociologia universitaria italiana  Franco Ferrarotti. Perché in Piemonte non si è parlato di lui che era vercellese e fu per una legislatura deputato eletto in Piemonte, subentrando ad Adriano Olivetti?    Prof. F. Catellani 
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I centenari sono considerati già morti quando sono ancora in vita, anche se Ferrarotti ha scritto fino all’ultimo periodo. Era considerato l’ultimo olivettiano e la figura stessa di Olivetti non è  certo valutata per ciò che è stata. Io non amo la sociologia, ma Ferrarotti è stato uno studioso stimabile che non si è mai sottomesso al giogo dell’egemonia gramsciana. Forse certi silenzi sono spiegabili con le baronie rosse che ancora dominano, malgrado le sconfitte culturali e politiche, nelle università e nei giornali.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: L’Italia Paese sicuro? – La “lupa” Bonino e Francesco – Lettere

L’Italia Paese sicuro?
Questa definizione di Paese sicuro o insicuro che viene usata per i migranti  potrebbe essere facilmente adattata anche per l’Italia o almeno per tante zone del Nord e del Sud. La insicurezza percepita da tanti italiani nelle grandi città non è un’ invenzione della propaganda. In effetti l’eredità ricevuta dai Governi precedenti e la scarsa efficienza dell’attuale Governo  hanno creato un disagio evidente, causato da immigrati nulla facenti sempre più prepotenti e aggressivi e da una delinquenza autoctona che si manifesta con ammazzamenti, furti, rapine sempre più eclatanti e numerose. Le zone circostanti delle grandi stazioni sono oggi a rischio: al minimo può capitare un borseggio. In certe ore le città sono preda esclusiva  della teppaglia italiana e/o straniera  e i cittadini sono costretti a rintanarsi in casa per tutelare se’ stessi . Chi può compra antifurti sempre più sofisticati per cercare di tutelarsi. I tempi della serratura contro la chiave bulgara sono trapassati. Ovviamente andrebbero anche aggiunti reati come l’occupazione di case e reati contro le persone per futili motivi. Anche molte realtà famigliari sono funestate da omicidi che appaiono a volte del tutto improvvisi e immotivati, come se essi fossero frutto di improvvisi impazzimenti. Dall’insieme si deduce un clima generale che provoca ansia sociale e individuale di grado elevato. Gli ansiolitici registrano consumi mai toccati prima non solo per problemi personali o di coppia. Chi può permetterselo, viaggia in taxi. Gli slogan  e gli anatemi di  Salvini non restituiscono tranquillità sociale, ma accrescono le divisioni e moltiplicano le tensioni. Se aggiungiamo le gravi preoccupazioni che creano ampi settori dell’economia e della produzione abbiamo una fotografia allarmante che forse  consiglierebbe a noi italiani di trasferirci da altre parti, ammesso che, visti da vicino, ci siano Paesi più sicuri. Anche noi emigranti? Non è un’ipotesi, sia pure un po’ paradossale, da scartare a priori. Occorre una classe politica capace che non si improvvisa  e che a ben guardare , non esiste neppure in Francia, ne’ in Germania e neppure in Spagna.
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La “lupa” Bonino e Francesco
La visita a Emma Bonino da parte di Papa Francesco fa quasi pensare al santo di Assisi che ammansì il lupo di Gubbio, se pensiamo che l’aborto è stato definito recentemente  omicidio e i medici che lo praticano   sono stati considerati dal Papa “sicari”. La Bonino ha il primato assoluto in tema di aborto sul quale è stata costruita la sua carriera politica. Il Papa vuole dare un esempio di bontà e di perdono , quasi di affetto verso la Bonino a cui porta fiori e cioccolatini quasi  come ad una innamorata. Ho conosciuto la Bonino in qualche occasione anche come Ministro degli Esteri. Una volta ho cenato con lei senza riuscire a stabilire se non un algido rapporto molto convenzionale. Mi sembrò molto fredda e distaccata e forse io le diedi l’impressione di un disincantato intellettuale fuori dal coro. Ero amico di Pannella e il rapporto tra i due leader si stava già incrinando. Per altro, io sono stato sempre distante dalle sue idee, che ritengo modeste e rimaste, malgrado i tanti  viaggi, sempre un po’ provinciali. Adesso Francesco ha quasi beatificato la “lupa di Bra” che, malgrado un cancro al polmone, continua a fumare come una turca,  come si diceva a Bra. Viene  comunque fuori una grande lezione di amore cristiano verso chi la pensa diversamente su temi fortemente divisivi, anche se su migranti e carcerati i due la pensano allo stesso modo. Sarebbe impensabile un Papa Wojtyla che va a far visita alla Bonino, portando fiori e gianduiotti. Ha sicuramente ragione Bergoglio nelle sue aperture che smorzano le dure parole sull’aborto e soprattutto sui “medici sicari”. Anche il vetero anticlericalismo della Bonino sembra essersi dissolto anche se non siamo in vista di una conversione . Sono gesti che possono  creare turbamenti in parte dei credenti, ma già il Cardinale Federico Borromeo fu molto “inclusivo”, si direbbe oggi con parola “follemente corretta” ( Ricolfi ), nei confronti dell’Innominato.
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Il Liceo Segré
Sono stata allieva del liceo Segre’  di Torino che in passato era il secondo liceo scientifico di Torino dopo il Galileo Ferraris. Ho dei ricordi contrastanti  sui professori e sui presidi. È una scuola che non mi è piaciuta. Lei ha ricordato il prof. Ottaviano, salesiano e docente di religione. Avevo un professore di lettere che andò in gita scolastica a Praga ed ebbe un’esperienza boccaccesca perché venne lasciato senza abiti e soldi. Una avventura che lo rese ridicolo.  Ricordo il preside Renato Taricco, un gentiluomo. Ha dei ricordi, lei che è uno storico della scuola torinese?    L. Lo Cicero
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Ogni scuola ha le sue luci e le sue ombre. Nessuna scuola è perfetta. E presidi e professori sono anche fallaci. Quel professore dell’avventura erotica a Praga fece il giro, ma i giornalisti ebbero pietà di lui marito fedifrago e amante derubato anche delle mutande. Ho conosciuto alcuni docenti, ma di nessuno non mai avuto una grande considerazione forse se eccettuo il prof. Gallino e  la germanista Tiziana Conti.  Ho conosciuto ed apprezzato i presidi Taricco, Rinaldi, Merlisenna, di cui divenni amico, tutti e tre degni di ricordo ed elogio.  L’unico che considerai non adeguato è stato un preside non vedente che abbandonò la scuola al caos,  non potendo sovrintendere di persona alla conduzione del liceo. Era incapace di decidere: un disastro. Ma nessuno protestò  per motivi non tanto di solidarietà ma di una mentalità politicamente corretta ante litteram.
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Gastronomie addio
A Torino sono scomparse le salumerie che erano un fiore all’occhiello della città, come è ancora così nella mia amata Bologna. A Torino  ci sono solo più  supermercati e Eataly. Che tristezza!  Giorgia Lissone Campanini
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È  proprio così. Torino, anche in questo settore, ha perso le sue  eccellenze. Rosaschino, Musso, Steffanone,  Castagno hanno chiuso da tempo.
E’ rimasto solo il grande Baudracco, l’artaiur del vecchio Piemonte, più gastronomo che salumiere. Una delle ultime buone  salumerie è quella dello storico gastronomo Bonelli, premio di alta gastronomia “Mario Soldati”. I supermercati hanno vinto. L’unico che conserva un po’ di stile gastronomico è  l’Esselunga  che ha mantenuto alto il nome del fondatore Caprotti. A contribuire a mettere in ginocchio i negozi è  stata anche  Eataly di Farinetti nata  sull’onda del profeta e vate Petrini. Eataly ebbe  i locali gratis del Comune, un privilegio assurdo per un’impresa commerciale enograstronomica a prezzi sempre molto alti, al di là della pubblicità. Farinetti che fa anche politica, è anni luce diverso rispetto a Rosaschino che aveva una boutique della bontà fatta con vera arte. Oggi a Torino non si trova più un salame ungherese originale.  Rimane inalterato solo  il  prestigio di Borgiattino, il re dei formaggi di alta qualità. In passato c’erano tre negozi  di Borgiattino, ora uno solo, ma la qualità  e la varietà sono rimaste  tal quali. Un equivalente di Pech, il negozio di salumeria di eccellenza da oltre 140 anni  a Milano, non c’è più da troppi anni. Forse a Torino non c’è mai stato. Anche la Fiat era molto meno dell’Alfa Romeo.

Anniversari, Quaglieni: “Non ci sto, andava ricordato anche Luciano Perelli!”

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

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Nel 1994 morì Luciano Perelli, storico  preside del liceo “Gioberti” ma il suo anniversario è stato ignorato. È  stata invece intitolata la biblioteca del liceo, enclave della sinistra  torinese, a Lidia de Federicis  docente  di Lettere italiane e soprattutto coautrice del “Materiale e l’immaginario”.  Una rivoluzionaria antologia, concepita con Remo Ceserani, che avrebbe dovuto cambiare il modo di insegnare e  studiare la letteratura in una dimensione  interdisciplinare e internazionale. Tanti sono ancora oggi gli ammiratori della professoressa dal carattere impossibile e dal modo di scrivere spesso riservato a pochi addetti. La de Federicis proveniva dal PSI  lombardiano,  ma il  suo punto di arrivo non fu certo il partito socialista. Era una professoressa molto  politicizzata e divisiva, sempre pronta a stizzirsi e a polemizzare. Su altri versanti disciplinari simile a lei fu Carlo Ottino del liceo “Alfieri”, uomo polemico all’eccesso, un dottrinario laicista che non voleva la laicità della scuola, ma l’ateismo di Stato, anzi la libertà per tutti salvo che per i cattolici.
Un po’ come le due sorelle “passionarie” Bovero. Ebbi l’ ingenuità di accettare di  essere fra i fondatori del Comitato per la laicità della scuola, per me una laicità intesa come apertura ad un metodo critico valido anche a prendere le distanze dalle credenze ideologiche piu’ o meno “cadaveriche”  che Bobbio cercò di smascherare. Dopo poco tempo dovetti andarmene dal Comitato perché esso era formato da fanatici che vedevano nelle religioni tutto il male possibile dell’umanità e volevano discriminare i credenti quasi la scuola pubblica e laica non dovesse accoglierli, ma ghettizzarli. Ovviamente il Comitato in questione andò a braccetto con il Cogidas, l’associazione, ormai estinta dei genitori antifascisti, di cui Ottino era il leader maximo. In quell’ambiente conobbi la de  Federicis che mi apparve molto faziosa, assai distante da Frida Malan laica e valdese, partigiana combattente, ma non irrigidita su dogmatismi  ideologici.   Quando presi in esame il volumone capolavoro della de Federicis, compresi da docente che esso era uno strumento non adatto per la maggioranza degli studenti: era un vero e proprio labirinto in cui mancava il filo di Arianna per orientarsi. E questo al di là dalle riserve di ordine ideologico assai facili da cogliere.
Non voglio tuttavia sottovalutare la professoressa a cui è stata dedicata la biblioteca di via Sant’Ottavio. Voglio invece  denunciare come quel liceo abbia ignorato Luciano Perelli, preside del liceo e docente universitario di chiara fama, autore di saggi scientifici e testi scolastici tra i più adottati. Perelli non aveva lo stesso orientamento della de  Federicis e quei professori forse non conoscono neppure Perelli  che era stato anche perseguitato dal fascismo a livello personale e famigliare, ma non ne menava vanto e non chiese mai  riconoscimenti per il suo passato. Forse  tuttavia neppure questo titolo è oggi riconosciuto dagli antifascisti ovviamente tutti, per motivi generazionali, a costo zero, ma  simili a  quelli che Flaiano considerava una sottospecie dei fascisti per il loro settarismo. Poteva  sicuramente essere onorata la de Federicis, ma non doveva essere ignorata la figura, più importante di quel liceo, che non è solo la scuola dove studiò Gobetti. Perelli morì nel 1994, amareggiato  e offeso da un vile attacco di  un giornale. Si tratta di un  anniversario dimenticato  o neppure conosciuto dal “piccolo soviet” del “Gioberti” . Uno studiato silenzio messo in risalto dalle Messe cantate celebrate in quell’istituto per la “compagna” Lidia.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Emilio Germano “Giusto tra le nazioni” – Il voto in Liguria e il condominio Italia – I fischietti di Moncalieri – Lettere 

Emilio Germano “Giusto tra le nazioni”
Verrà  conferito alla memoria di Emilio Germano la più alta onorificenza di Israele, quella di “Giusto tra le nazioni” per il suo coraggioso impegno nel salvare Ebrei braccati da nazisti e fascisti. Germano lo fece per la sua innata e intrepida  dolcezza di sentimenti, lui autentico cristiano e filantropo. Scrisse Galante Garrone all’atto della sua morte: “Moltissimi torinesi hanno conosciuto Germano e lo ricordano per una sua caratteristica (piuttosto rara , specialmente al giorno d’oggi): una illimitata bontà ingenua e piuttosto disarmata.”
La morte di un figlio ancora bambino lo colpì provocandogli un dolore indicibile. Da allora si dedicò con passione alla causa delle adozioni, dando un grande contributo umano e giuridico per affrontare un problema ancora non risolto negli Anni Cinquanta. Questo suo impegno lo fece passare come un sostenitore dei diritti civili propri del mondo laicista.  Ma la sua natura era altra. E gli va resa giustizia. Aiutò ,a rischio della vita, molti partigiani. Valdo Fusi nel suo “Fiori Rossi al Martinetto” scrisse di lui, anche se il suo operato fu diuturno e dicerto. Aiutò anche dei fascisti in pericolo di vita alla Liberazione di Torino, impedendo gesti efferati: una sensibilità, anch’essa nobilissima, che andò oltre la politica dell’odio di parte e della vendetta. Lo conobbi quando Arrigo Olivetti lo invitò al Centro Pannunzio nella sede “catacombale” di piazza Castello. Mentre stava tenendo una magistrale lezione, irruppero in sala dei goliardi che non osarono interromperlo, ma iniziarono a lanciargli in testa e attorno al palco degli aeroplanini di carta. Era il 1971. La goliardia sembrava morta, ma in quella occasione fece capolino. E ogni mio intervento per correre ai ripari fu inutile. Germano continuò a parlare imperterrito, indifferente alla stupida provocazione del tutto inspiegabile. Da vero signore egli non fece cenno all’incidente, mentre Olivetti tentò di scusarsi senza riuscirci. Lo vidi altre volte  e un magistrato così non lo conobbi mai più : un uomo disponibile a capire gli altri, ad interessarsi dei loro problemi, privo totalmente di quella  boria accigliata che spesso caratterizza certe toghe.
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Il voto in Liguria e il condominio Italia
Il voto in Liguria che ha registrato la vittoria del Sindaco di Genova Bucci ha ulteriormente messo in evidenza il forte astensionismo della maggioranza degli aventi diritto al voto. Un dato che evidenzia una democrazia malata che può portare al tracollo per consunzione del sistema. Una democrazia a cui manchi la partecipazione, si svuota.  Le elezioni diventano “ludi cartacei”, come li definiva Mussolini. Andare a votare diventa una finzione , non è   più  un diritto – dovere la cui mancata ottemperanza veniva e dovrebbe essere sanzionata per legge. Posso capire il fatto che i partiti – compreso il Pd , l’unico che mantiene un consenso significativo – non siano più attrattivi da tempo.
La presenza di liste civiche non riesce a bilanciare la situazione. In crisi è la politica nel suo insieme perché conta sempre più un personalismo che a sua volta è entrato in crisi. Si vota con una certa  convinzione solo contro qualcuno e non per qualcuno. La crisi della democrazia imputabile ad un attacco neo-fascista non convince più. Essa è in crisi perché l’assenteismo dal voto  le toglie legittimità. Avere la maggioranza, neppure così marcata, di una minoranza appare paradossale. Di fronte a questa drammatica situazione ogni altro commento passa in secondo piano. I politici devono fare una riflessione profonda sui loro errori che hanno generato la sfiducia tra i cittadini. Non pare che essi siano preoccupati perché sembra contare solo  l’elezione  e non lo scollamento che si crea tra eletto ed elettore. Ma va anche evidenziata la mancanza di senso civico di molti elettori che non fanno neppure la fatica di recarsi al seggio. Per altri versi anche le opzioni politiche più alternative appaiono poco convincenti. I grillini si sono drasticamente ridimensionati come i qualunquisti di Giannini dopo il 1948. Neanche il voto di protesta riesce a catalizzare consenso perché i grillini hanno clamorosamente fallito. Una democrazia vera non può comunque cullarsi, come se niente fosse facendo affidamento su quella che è ,a tutti gli effetti, una minoranza che esprime degli eletti delegittimati  . Se ci fosse il quorum previsto per i referendum le elezioni sarebbero nulle. Anche i referendum indetti è  probabile che non riusciranno ad ottenere il quorum. Una democrazia senz’anima non può reggersi a lungo. Dire che il calo dei votanti è proprio di una democrazia matura equivale a dire una sciocchezza. Stiamo arrivando ad una oligarchia senza qualità, composta da politicanti di mestiere eletti da una oligarchia che erode le basi stesse della democrazia. Tentare la scorciatoia del voto elettronico per far aumentare il numero dei votanti non appare una soluzione e può costituire un qualche pericolo. Siamo all’assurdo che difficilmente un condomino non partecipa all’assemblea di condominio, mentre rinuncia al condominio Italia, il più importante in assoluto.
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I fischietti di Moncalieri
Il 31 ottobre avrei partecipato alla manifestazione di protesta a Moncalieri  contro la ztl  in piazza Vittorio Emanuele e contro il sindaco che  forse si crede un podestà. I cittadini ricorrono ai fischietti, riprendendo ironicamente una tradizione  tipicamente moncalierese: la fiera dei fischietti.
Sembrava una fiera dimenticata invece la protesta popolare l’ha fatta rinascere. A volte  ci sono segnali  che ci dicono che non bisogna disperare sulle  sorti della democrazia. Già a Firenze nel Medio Evo ci fu il tumulto dei Ciompi. Per restare nella democrazia ci sarà modo per mandare a casa il Sindaco non rieleggibile per fine mandato e impedire che la “casta” dei suoi sostenitori prenda un’altra volta il Comune. In tal caso potrebbe esserci come vicesindaco egemone  o Assessore l’ex Sindaco: una sciagura.
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Cultura di destra
La prova offerta dalla destra al governo non è certo emozionante, anzi molto deludente. Mancano le donne e gli uomini all’altezza della situazione. Anche nel campo editoriale non ci siamo. Perché tutta questa impreparazione?  Gino Rapelli
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Le ragioni  sono molte. Innanzi tutto una classe di governo non si improvvisa. Per altri versi in quasi tutti i ministeri della cultura  anche con altri governi sono stati messi ministri di serie b o addirittura c. La comparsa di Spadolini fu una meteora passeggera. I professori a destra non sono amati. Nel campo editoriale siamo forse peggio. Case editrici come quelle di Giovanni Volpe o di Federico Gentile (ambedue figli dei grandi Gioacchino e Giovanni) non esistono.  Uno come Leo Longanesi è  impensabile.  Il “Borghese” attuale fa pena. La cultura conservatrice è una chimera. Eppure la destra governa. Sui tempi brevi è  possibile, sui tempi lunghi dovrà attrezzarsi perché senza un’anima intellettuale il potere diventa demoniaco o comunque sciatto esercizio di forza privo di lungimiranza.
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Il rifiuto di Elkann
Il rifiuto di Elkann di presentarsi in audizione in Parlamento a riferire sul presente e sul futuro di Stellantis appare davvero un gesto indegno che rivela come gli eredi Agnelli siano caduti in basso.     I. P. Ex operaio Fiat
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Sono d’accordo  il gesto di Elkann rivela arroganza assoluta e mancanza di rispetto verso lo Stato che ha finanziato la Fiat in tutte le occasioni. Oggi quel poco che resta della Fiat non è più italiano come non è italiano l’ing . Elkann . E’ la fine di un mito caduto in basso ed evaporato totalmente. La probabile chiusura di Stellantis rappresenterà un’ultima mazzata a Torino e ai torinesi. Un danno che può determinare un ulteriore sconvolgimento sociale. Colpevoli insieme ad Elkann ci sono anche i sindacati che nei decenni passati fecero di tutto per massacrare la Fiat. I sindacati che oggi scendono in campo in difesa della Fiat appaiono ridicoli, se la situazione occupazionale non fosse drammatica.

Alamein, nessuno ha diritto di offendere i nostri soldati caduti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

S c u r a t i  che vuole insegnare la storia agli italiani, specializzandosi sulla vita di Mussolini, non manca mai di stupire e di fare indignare. Nella sua furia iconoclasta demonizza anche la pagina eroica di El Alamein quando l’Esercito italiano superò se stesso. Io a 14 anni volli andare a visitare l’immenso sacrario di soldati caduti in battaglia costruito da Paolo Caccia Dominioni che combatté nel deserto africano.
Andò a rendere omaggio a quei caduti anche il presidente Carlo Azeglio Ciampi. Attorno ai caduti della Folgore c’era una accusa di fascismo volta a sminuirne il valore. Ciampi volle andare al sacrario per far superare la faziosità di troppi che hanno vilipeso quei soldati “a cui mancò la fortuna, non il valore”, come è scritto sulla lapide che si può leggere ancora oggi nel deserto africano. Io a 14 anni rimasi colpito da quel silenzio nel deserto che fu l’unico omaggio a dei  soldati a cui tutti devono rendere gli onori. Adesso  S c u r a t i   offende anche i morti come fecero nel biennio rosso 1919 -1920 i socialisti massimalisti.
Uno come lui non può scrivere pagine storiche in cui il coraggio dei soldati italiani rifulge. Nessuno ha il diritto di offendere i nostri soldati della guerra perduta. Le offese  verso i Caduti sono atti di viltà. Io renderei omaggio anche ai ragazzi di Bir El Gobi, ai soldati del Duca d’Aosta, ai Carabinieri eroici di Culqualber. Essi forse sono salvi dal livore di  S c u r a t i  perché  lo scrittore ignora quegli eroi.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Trieste torna all’Italia nel 1954 – Vitaliano Brancati – È morto Paolo Griseri – Lettere

Trieste torna all’Italia nel 1954
Il  26 ottobre 1954  Trieste torno’ finalmente italiana dopo il disastro della II guerra mondiale. Rischio’ di diventare titina e jugoslava, pagando il trattato di pace del 1947, altamente  punitivo, che previde forti mutilazioni al territorio nazionale del  martoriato confine orientale. Chissà quanti italiani avranno ricordato l’anniversario di una data importante e ricorderanno il Presidente Giuseppe Pella che ebbe stroncata la carriera politica perché tenne una ferma e coraggiosa  posizione su Trieste?  C’è chi ha esposto  in questi giorni la bandiera tricolore per riannodare la Vittoria del 4 novembre 1918 con Trieste  nuovamente italiana  e per  ricordare il sindaco di Trieste Bartoli che espose il tricolore, malgrado il divieto  degli alleati anglo – americani. E bisognerebbe ricordare i martiri di Trieste del 1952 uccisi dal piombo degli inglesi mentre, di ritorno da Redipuglia, manifestarono per l’italianità della terra di San Giusto. Anche la cantante Nilla Pizzi con “Vola colomba” ricordò agli italiani la dignità nazionale infranta. Il presidente Einaudi andò a Trieste come il Re Vittorio Emanuele III nel 1918. Era un‘Italia sconfitta che aveva rialzato la testa e non era più  disposta a cedere ai ricatti. Chissà quanti l’avranno ricordata questa data  storica?
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Vitaliano Brancati
Il 25 settembre 1954 morì a Torino lo scrittore siciliano Vitaliano Brancati per complicazioni insorte in seguito ad un intentervento chirurgico. Se si esclude  il bel libro su di lui di Salvatore Vullo, nulla è stato fatto a Torino di significativo . Un premio  a lui intitolato ,dato a giornalisti torinesi a Pianezza non basta a ricordare Brancati, che ha  pagato  il fatto di essere stato un pannunziano non succubo della egemonia  gramsciana.
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E’ morto Paolo Griseri
È mancato Paolo Griseri uno dei migliori giornalisti della “Repubblica”  e della “Stampa”, un uomo colto, equilibrato che era riuscito ad andare oltre le vulgate ideologiche.
Una perdita grave per il giornalismo italiano. La sua apertura lo portava ad essere diverso da tanti suoi colleghi di testata.
Con  G i a n n i n i  direttore aveva poi lasciato la vice direzione della “Stampa” che in effetti era diventata un duplicato della vecchia “Unità”. Leggendo i necrologi di tanti che non stimo (uso un eufemismo), mi viene il dubbio se unirmi al coro di chi, non sapendo cosa scrivere, ripete l’augurio banale  della terra lieve. Per come l’ho conosciuto io, lo ricordo come un uomo rispettoso delle idee anche di chi non era vicino al suo mondo. Questo è il vero motivo di un elogio così ampio e condiviso.
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Dalla parte di Lo Russo

A fine novembre si terrà a Torino  l’assemblea dell’ANCI alla presenza del Presidente della Repubblica. In lizza saranno i sindaci di Napoli e di Torino e sui giornali appare una mobilitazione per vincere che in passato rimase sotto traccia. Lei cosa ne pensa?

Jacqueline Lami
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Non per ragioni campanilistiche, ma politiche e personali sto dalla parte di Lo Russo sperando che il tempo dedicato all’Anci non venga sottratto a Torino. Manfredi, il sindaco di Napoli, venne eletto anche dai grillini.  E tanto mi basta. Lo Russo da un certo tempo sta affrancandosi dall’ala demagogica della sua maggioranza che tanto danno provoca alla città  e sta rivelando doti amministrative che il suo competitor come sindaco alle elezioni non ha mai avuto e continua a non avere.
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Piazza Baldissera
Il casino continua. E’ impercorribile. Di chi la colpa? Elena Soffici
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Dell’assessore  competente, si fa per dire, Foglietta, persona che andrebbe sollevata dall’incarico insieme all’assessore Tresso. Sono le due fragilità della Giunta torinese che vanificano l’impegno di altri.
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Umberto II e i suoi luoghi
Le Residenze Reali e le sovrintendenze  hanno organizzato una due giorni a livello internazionale dedicata a Umberto II e i suoi luoghi. Bella iniziativa anche se la presenza di Gentile (che offese in un libretto la Regina Elena che avrebbe avuto un’avventura  con un dignitario di corte in assenza del re durante la Grande Guerra) appare del tutto inopportuna. Ma è stato bello che una parte di istituzioni si sia ricordata dei 120 anni della nascita del Re Umberto.   Vittorio Raiteri
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Concordo con Lei: un grande convegno in cui risalta la competenza dell’arch. Daniela Biancolini e di altri dirigenti e studiosi. L’ultimo Re andava ricordato. Io l’ho fatto sul “Corriere della sera”, unico giornale che abbia dedicato attenzione al Sovrano in esilio. Nessun giornale ne ha parlato con un conformismo stile  G i a n n i n i.

Gobetti liberale?

IL COMMENTO   di Pier Franco Quaglieni

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In una bella intervista inedita a Norberto Bobbio  fatta dal gobettiano fedelissimo Bruno Quaranta Bobbio sostiene che Gobetti era un liberale, correggendo lo stesso Quaranta che lo definiva “anomalo”. Gobetti, che secondo Bobbio – avendo avuto un rapporto con il liberista liberale Luigi Einaudi – sarebbe stato coerentemente  anti statalista e quindi antisocialista, contro Turati che fu anticomunista come Matteotti,  in nome della libertà.  Potrebbe essere oggetto di discussione il carattere liberale della gramsciana occupazione delle fabbriche torinesi, ma non può essere accolta l’interpretazione  in chiave di “Rivoluzione liberale” della rivoluzione bolscevica sorta nel 1917 e quasi subito trasformatasi in una rivoluzione marxista – leninista che guardava al giacobinismo francese e alla Comune di Parigi oltre che ai testi di Marx . Diceva Hegel che “le teste non si tagliano come i cavoli”. Quella rivoluzione ha mietuto più teste che spighe perché il terrore giacobino e leninista  insanguinò la grande  Russia. Gobetti visse fino al  1926 e quindi ebbe tempo di vedere e di patire il fascismo, ma anche di conoscere sia pure indirettamente il comunismo sovietico.
Come Turati e Matteotti denunciarono il vero volto demoniaco  della rivoluzione dei soviet, Gobetti esaltò in modo mitizzato ed acritico la Rivoluzione di ottobre che fu si’ liberatrice dal giogo zarista , ma fu profondamente illiberale  fin da subito. Essere antisocialista per Gobetti non significò essere antistatalista alla maniera di Einaudi. Gobetti fu antisocialista perché contrario nella sua intransigenza al riformismo  socialista  e  al Giolittismo. Anche Einaudi fu antigiolittiano come Gobetti.
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Le elezioni del 1919 con la proporzionale e il suffragio universale segnarono la crisi di Giolitti e dello Stato liberale con una forte ascesa di cattolici e socialisti. Il Biennio rosso impedì una democrazia compiuta in Italia dopo la guerra attraverso un rapporto tra liberali, socialisti e popolari che avrebbe scongiurato l’avventura del bolscevismo all’italiana e del fascismo, sfociata nella guerra civile. È  difficile orientarsi nella contemporaneità, ma Gobetti si perse nel labirinto delle utopie. La sua “Rivoluzione liberale”  fu assai poco liberale. Carlo Dionisotti colse l’ossimoro del Gobettismo: i liberali  non sono rivoluzionari  ma conservatori o riformisti e i rivoluzionari sono assolutamente illiberali perché coltivano e praticano la violenza rivoluzionaria. Questo è il motivo vero per cui il liberalismo di Gobetti si lasciò  contaminare e snaturare dal Gramscismo. In ogni caso appare con tutta evidenza che lo Stato dei soviet fu da subito oppressivo, totalizzante e sanguinario, in una parola assolutamente statalista. In modo meno esplicito e molto più timido maturò  negli anni  una mia  discussione con Bobbio che considero comunque un maestro. Senza l’ingombrante presenza di segretari il nostro dialogo si materializzò in tante occasioni  non pubbliche in cui il maestro ebbe la pazienza di ascoltare i miei dubbi sul liberalismo di Gobetti, dubbi  che ebbe anche Manlio Brosio.
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Bobbio mi ascoltò  con pazienza e poi mi disse che per lui Gobetti rappresentava il modello di una giovinezza che non aveva saputo vivere “eroicamente”.  E il discorso ebbe termine e tante altre volte venne ripreso su altri temi. Da quel dialogo rispettoso ho imparato molto , ma il culto di Gobetti non mi ha mai convinto. Dopo il fascismo i gobettiani diventarono quasi tutti comunisti , anche se i comunisti non divennero certo liberali . Basti pensare alla parabola di un gobettian comunista come Augusto Monti. Anzi  essi divennero stalinisti di stretta osservanza. A Bobbio non ebbi mai il coraggio di obiettarlo, ma questa è l’idea che ho  maturato nei decenni. Mi piacerebbe invece un dialogo  con Quaranta che ritengo un intellettuale onesto ed equilibrato che ho sempre stimato. In tempi in cui Filippo Burzio era ignorato e persino disprezzato ,con Quaranta abbiamo ricordato insieme il grande intellettuale demiurgico. Anche Burzio non amava Gobetti. Anche a Bobbio mi permisi di dirlo perché Bobbio aveva studiato Burzio e lo aveva considerato un conservatore illuminato e non solo un antifascista. L’intervista inedita di Quaranta consente di riprendere una riflessione che appare sempre importante come ogni scritto di Bobbio.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: I problemi dell’Università – La pensione di Barbero – Lettere

I problemi dell’Università
Il numero chiuso  all’Universita’ è sempre stato un elemento  oggetto di vivace e costante discussione. Ricordo che il mio Maestro Alessandro Passerin d’Entreves sostenne in linea di principio il “numero chiuso”  in una “società  aperta”, usando volutamente l’espressione di Popper. Una società  aperta in cui la scuola diventasse ascensore sociale e consentisse potenzialmente a tutti di ascendere ai  gradi più alti degli studi, tenendo conto delle capacità’ e del merito, come prescrive la Costituzione. Adesso per la Facoltà di medicina,  l’unica a numero chiuso, è stato abolito il tanto contestato quiz con le crocette, lasciando una verifica dopo il primo semestre di frequenza . Mi sembra che la ministra Bernini  abbia operato una scelta equilibrata di compromesso. La Bernini e’ la prima ministra dell’Università dotata di cultura, coraggio ed equilibrio che si stenta invece a vedere  in altre politiche del centro -destra, piuttosto incapaci e ondivaghe come l’ex ministra Gelmini. Alla Facoltà di Medicina i problemi relativi ai dottorandi non si risolvono con facilità perché oggi c’è una carenza di medici ed, aggiungerei io, una carenza di bravi  medici. Avremmo bisogno di un numero programmato, anche se è difficile prevedere in un quinquennio e oltre le necessità di medici ,specie se la politica della lesina colpisce la sanità pubblica.
La Facoltà di Medicina è di per sé selettiva per gli alti costi che comporta la frequenza, ma  occorre comunque una selezione rigorosa che forse oggi non c’è.  Il solo fatto delle lauree brevi e magistrali nel settore medico e paramedico (già la parola appare un abuso) genera confusioni anche affaristiche perché a tutti viene conferito il il titolo di dottore che genera equivoci. Un fisioterapista che ottenne la laurea raddoppiò  il suo onorario e dopo poco lo triplicò Abbiamo  perfino gli infermieri laureati, i massaggiatori e le massaggiatrici dottori e esse, gli igienisti dentali laureati .Questa situazione è un elemento di confusione ed e’ un potenziale  danno per i pazienti.   Inoltre purtroppo oggi ci sono medici privi di etica professionale che scelgono la professione quasi esclusivamente per ragioni economiche . Non dico che la medicina debba essere una missione, ma certo non può essere  solo un mestiere  molto redditizio. Occorre che la   Ministra Bernini lavori ulteriormente ad altri ritocchi  sostanziali alla Facoltà di Medicina.  Per altri versi, che le altre Facoltà siano troppo “facili” e aperte a chiunque dovrebbe far riflettere. I perdigiorno pro Palestina invece che vezzeggiati o protetti andrebbero costretti a studiare  e a non creare danni: la parola studenti deriva dal verbo studiare. Una banalità che ad alcuni sembra  essere sfuggita.
A questo riguardo non è possibile non aderire alla  limpida petizione  del prof.  Ermanno Malaspina (nella foto di copertina)  dell’Università di Torino  al rettore Geuna che  ha tollerato l’occupazione devastante del Palazzo delle Facoltà umanistiche da parte di studenti (?) filo palestinesi che sono stati paragonati da una nota e vecchia sociologa  ex sessantottina ai giovani che manifestarono contro la guerra in Viet – Nam. Il livello sessantottino non è stato ancora raggiunto, ma ci stiamo avviando su quella strada in cui la politica devasta e desertifica gli studi. Ascoltare l’accusa che chi condivide la petizione di Malaspina “non ha dialogo con i giovani e sostiene la repressione” intristisce, perché ci porta a ricordare  le accuse  simili rivolte ad eroi della Resistenza e grandi professori come Venturi e Garosci solo perché non volevano cedere alla contestazione che stava bloccando l’Università senza rinnovarla.
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La pensione di Barbero
In una bella  e lunga intervista il prof. Alessandro Barbero alla fine  si confessa e riconosce i suoi limiti di storico. A 65 anni va in pensione  forse anche perché il viaggio a Vercelli diventa un po’  faticoso. Appare sempre giovane, per sua fortuna, ma ha preferito pensionarsi in anticipo. Barbero ha insegnato Storia Medievale all’Ateneo del  Piemonte orientale forse ha anche  scritto libri  di storia medievale degni di attenzione.
Le sue scorribande su tutti i temi storici possibili di ogni epoca rivelano invece un enciclopedismo divulgativo che piace al pubblico televisivo di bocca buona che  non gli da’ invece credito scientifico. Non si può  infatti approfondire un discorso storico su età diverse. Il Medio Evo è cosa lontana dalla contemporaneità. Barbero inoltre è troppo militante politicamente. Io contribuii a farlo conoscere a Torino agli inizi, ma poi mi accorsi dei suoi limiti. Oggi va in pensione e gli auguro anni di riposo magari ancora operoso, come si diceva di Croce, perché ci sono tanti che pendono dalle sue labbra, anche se la storia è cosa diversa. La semplificazione rende facile apprendere. Tutto il contrario di Giovanni Tabacco che praticò studi severi e fu quasi un monaco del sapere. Accostare Barbero a Tabacco sarebbe  blasfemo.
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LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

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Matteotti
Sono stato alla Manta di Saluzzo a sentire la sua conferenza su Matteotti che ha avuto un grande successo di pubblico il quale ha apprezzato il suo equilibrio storico sempre più raro. Io La leggo a volte come polemista, ma quando parla o scrive di storia lei assume una alterità molto diversa che la trasforma. Poco tempo fa ho appreso dell’uscita di un astioso e corposo libro contro Matteotti scritto da un professore italiano che ha insegnato in Svezia, fatto pubblicare dal centro “Giolitti” di Dronero, Cavour, Saluzzo nel 2015 e oggi introvabile: un libro scritto da un autore di estrema destra che non meritava attenzione come è accaduto, perché anche nel centenario  matteottiano quel libro è stato ignorato. Lei cosa ne pensa?     Giulio Bocca
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Io sapevo dell’esistenza di questo libro pubblicato da un editore minore  che , malgrado lo scandalismo oggi di moda, non è riuscito a suscitare interesse. Va bene togliere l’aureola anche ai santi laici come Matteotti, ma cercare di distruggerlo appare  ingiusto. I signori del centro “Giolitti” non devono stupire: il loro senso storico si rivela inesistente. L’atteggiamento contro Matteotti anche umanamente  appare penoso; sine ira et studio è cosa opposta al libro velenoso voluto dal centro “Giolitti”.
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Ztl a Moncalieri
Il sindaco di di Moncalieri  Montegna ha trasformato piazza Vittorio Emanuele in ztl. Non mi ero mai fermata con attenzione a girare a piedi  per quella piazza. A me è sembrata quanto meno poco bella. Con edifici uno diverso dall’altro. Una piazza senza uno stile omogeneo. Cosa ne pensa?   Elvira Rusca
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Io sono affezionato a Moncalieri e quindi non mi sono mai soffermato. A sottilizzare. Certo non c’è mai stato un restauro.  Credo  anch’io che la piazza manchi di una coerenza.  La parte migliore della Moncalieri storica non è la piazza  che il sindaco vorrebbe rivalutare senza avere le idee chiare. Chiederò un giudizio alla storica dell’arte prof. Maria Grazia Imarisio.

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni perché essa nacque pochi mesi dopo la liberazione di Roma del 4 Giugno 1944, quando il nuovo ministro del Tesoro Marcello Soleri – antifascista liberale fedelissimo di Giolitti – diede vita al sodalizio che avrebbe raccolto il fior fiore dei piemontesi che si erano trasferiti nella capitale per viverci o per esercitare funzioni pubbliche o private di rango. Era un’idea che si sarebbe potuta realizzare dopo il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 con la nascita di nuovi quartieri romani, come il Prati, abitato prevalentemente da piemontesi.

La morte nel 1945 di Soleri non fu di ostacolo alla rapida crescita dell’associazione che fu presieduta dall’ing.   Mario Fano a cui succedette Luigi Einaudi governatore della Banca d’Italia e poi ministro e infine presidente della Repubblica.  Un altro presidente importante fu Giuseppe Pella economista biellese e presidente del Consiglio nel 1954. Presidente di spicco anche fu Adolfo Sarti, ministro di origini cuneesi anche lui democristiano come Pella. Furono presidenti anche i ministri liberali Renato Altissimo e Valerio Zanone. Eminenza grigia che volle essere soltanto vicepresidente, fu Renzo Gandolfo, un manager con forti interessi per la cultura piemontese il quale realizzò a Torino il Centro di studi piemontesi. Non vanno tuttavia dimenticati i nomi di Manlio Brosio, di Vittorio Badini Confalonieri e di Federico Chabod che incaricò lo storico siciliano Rosario Romeo di scrivere nel 1961 sul Conte di Cavour nel centenario dell’Unità d’Italia. Romeo trasse da quell’invito l’idea di scrivere l’immensa biografia in tre volumi del gran conte.

Alla Famija Piemonteisa si respira aria di Piemonte, ma non si è mai caduti nel piemontesismo.

L’attuale presidente, il giornalista radiofonico Enrico Morbelli, ne è la dimostrazione: un piemontese quasi sempre vissuto a Roma che ha mantenuto la casa di campagna in Piemonte dove torna ogni anno. Il Segretario generale Francesco Ugolini è l’anima organizzativa del sodalizio.

La Famija ebbe una sede sontuosa in cui si tennero memorabili convegni e sfarzose feste. Poi i costi si rivelarono impossibili da sostenere. Fu Valerio Zanone a chiudere la sede e a trovare un accordo con le diverse associazioni regionali esistenti a Roma che decisero di chiedere al sindaco Veltroni una sede da condividere. Per un certo periodo la Famija divenne l’associazione Piemontesi a Roma, perdendo un po’ del suo smalto storico. Il recupero dell’ antica denominazione piemontese è merito del presidente Morbelli.  Un numero alto e qualificato di piemontesi, orgogliosi delle proprie radici, che vivono a Roma, sentono la Famija come una sorta di “altera domus” subalpina nella capitale. Essa realizza ogni anno un’intensa attività culturale, dedicandosi al ricordo storico dei piemontesi illustri del passato e alla presentazione di libri di autori piemontesi, pur senza chiusure aprioristiche. Mario Soldati negli anni in cui si dedicò al cinema e visse a Roma, era solito dire che respirare un po’ di aria piemontese alla Famija e recarsi alla stazione Termini per tornare a Torino erano le sue massime aspirazioni di torinese costretto a vivere in una città che non amava, perché troppo identificata col fascismo vecchio e nuovo.

Il corteo vietato

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il divieto del corteo filo palestinese  del 7 ottobre  da parte del Questore di Torino non è stato rispettato da  circa mille persone. Al di là del motivo della protesta filo palestinese, inneggiante al massacro di Israeliani  del 7 ottobre dello scorso anno,   e al di là dell’evidente e vergognoso antisemitismo esibito  dai manifestanti, pacifici e violenti (senza distinzioni) che ha suscitato lo sdegno del Rabbino Capo, qui si pone  in tutta evidenza un problema che ci fa tornare al ‘68, quando i cortei  non autorizzati divennero la regola. È accettabile che un corteo vietato per comprovati motivi dal Questore venga svolto  egualmente come se fosse normale infrangere i divieti? È  normale che i partiti, i politici  e le istituzioni non abbiano nulla da dire su queste trasgressioni che sono l’ anticamera del disordine, volendo usare una parola edulcorata? La democrazia è fatta anche di regole. Il fatto che in questi cortei siano feriti dei poliziotti in numero sempre più ampio non può lasciare indifferenti. Chi ha vissuto l’eterno ‘68 italiano sa per averli visti e sofferti  i pericoli di queste trasgressioni tollerate. Trasgredire ad un divieto motivato e’ già un atto di violenza e di illegalità che non va sottovalutato.