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Sgomberata la centrale della violenza

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Tutti i democratici torinesi, anche quelli non iscritti al Pd, gioiscono per lo sgombero del centro sociale Askatasuna. Il Governo in carica ha finalmente fatto quello che i governi precedenti non hanno avuto il coraggio di concretizzare. Lascio da parte il tentativo del Sindaco Lo Russo che ha tentato di trovare un compromesso con i contestatori occupanti, ponendo come condizione la rinuncia alla violenza da parte del centro sociale e dei contestatori cresciuti e invecchiati in corso Regina Margherita. Il consenso allo sgombero di Lo Russo dimostra la sua buona fede. Anche la Valle di Susa era diventata terreno prediletto di violenza in supporto ai no Tav.  Una società democratica non può tollerare queste sacche purulente di violenza che creano danni, feriti, confusione, blocchi stradali, vandalismo. Possono diventare dei covi ideali per i terroristi e lupi solitari islamici. Questi contestatori devono finalmente capire che rompere le regole sociali minime anche solo con gli spray che devastano vie e piazze non è più consentito: questi signori devono riporre i cartelli, le catene, le armi proprie e improprie e cercare un lavoro, anche se i rivoluzionari professionali, sedicenti leninisti, non sanno lavorare come gli operai e gli impiegati. Sanno solo “cazzeggiare”. Il megafono è il loro strumento, quando non usano bombe- carta o armi ancora più dannose. I feriti delle Forze dell’Ordine sono ormai un numero patologico. Vorrei sapere i commenti degli intellettuali “democratici” che si troveranno a celebrare il
quotidiano “La Stampa”. Odifreddi, ad esempio e tanti altri ex sessantottini, quasi ottantenni.
Sia reso onore a Mino Giachino, uomo coerente, coraggioso, capace.  Giachino sarebbe piaciuto a Cavour che voleva il treno con la Francia.

Sandokan tra violenza e buonismo natalizio: uno specchio della realtà

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

E’ finito ieri sera il ciclo televisivo dedicato a Sandokan. Ne ho seguito qualche puntata perché ricordavo l’edizione televisiva del 1975 e volevo tentare di riviverla dopo mezzo secolo. Due versioni non confrontabili, quest’ ultima davvero  grondante di sangue e violenza. Lo spirito avventuroso e fantastico di Salgari è naufragato nella spettacolarizzazione della violenza, non immaginabile cinquant’anni fa. Forse perché viviamo un clima di guerra in Medio Oriente e nell’Est europeo in cui continuano a morire uomini, donne, bambini, la spettacolarizzazione televisiva della violenza appare particolarmente urticante. I paesaggi mitici immaginati dalla  sbrigliata fantasia di Salgari diventano uno sfondo inquietante. Se poi pensiamo al risorgere del terrorismo  islamico ed antisemita  in Australia e ai pericoli che rischiamo di rivivere anche noi, i romanzi salgariani d’avventura diventano motivi di incubo. Se pensiamo inoltre che Salgari  è interrotto da una pubblicità televisiva  martellante che esalta il Natale e suoi riti fatti  di buonismo e di intimità  famigliare, abbiamo ancora più chiaro il divario tra la realtà, la finzione e la fantasia. Anche Sandokan diventa pretesto per rappresentarci una realtà che si vive drammaticamente nel conflitto di aggressione russo e in quello israeliano dove la versione di un Iman diventa la vulgata del 7 ottobre fatta propria da parte  di molti che scorrazzano per le strade, esaltando la Palestina e diffondendo violenza e vandalismo.  Che brutto Natale vivremo quest’anno. E’ davvero difficile credere alla favola bella della pace in terra  agli uomini di buona volontà, espressione del Vangelo di Luca, recentemente ritradotta  forse perché la buona volontà è divenuta un’espressione sempre più utopistica. Davvero l’annuncio degli Angeli a Betlemme appare lontano. Oggi, tralasciando  le guerre, abbiamo una violenza nelle nostre città dove bande di malvissuti attentano alla nostra vita e alla nostra sicurezza. Ogni giorno e in ogni ora.

Lettera aperta a Fulvio Gianaria. In nome di Pannella, Tortora, Chiusano, Sciascia, Mellini

Caro Gianaria,

tanti anni fa, più di mezzo secolo, ci trovammo giovanissimi a militare nella Gioventù Liberale Italiana. Non ci trovammo sulle stesse posizioni, ma rimase sempre inalterato un rispetto reciproco, anche quando fummo su posizioni lontane. Ho letto con la dovuta attenzione l’articolo scritto insieme al tuo collega Mittone sul referendum relativo alla magistratura in seguito alla Legge Nordio. Il limite di questa legge è che essa non riguarda la responsabilità dei giudici, tema mai affrontato e risolto, ma non mi pare di cogliere un tuo particolare interesse per questo argomento come, invece, dimostrarono i radicali con Tortora che venne abbandonato a sé stesso proprio dai liberali di Zanone. Un momento infelice della storia del PLI, se si esclude Alfredo Biondi che fu uno dei difensori di Enzo. Si può discutere sulla Legge Nordio ed anch’io non la considero l’optimum; essa tuttavia  è un lodevole tentativo di superare l’esagerato potere delle correnti politiche all’interno della Magistratura, un potere davvero patologico se si pensa allo scandalo devastante di Palamara che non si può accantonare come un incidente casuale e solo  personale. L’eccessiva politicizzazione di una parte di Magistrati va arginata a tutela del diritto da parte del cittadino ad una giustizia giusta e indipendente. L’ indipendenza del giudice non è solo un diritto, ma un dovere dei magistrati. Molte delle tue  osservazioni possono essere condivisibili anche perché provengono da un’esperienza di mezzo secolo di avvocatura iniziata nello studio della comune amica Magnani Noya, sicuramente garantista anche nelle sue scelte politiche che non esitò a stare dalla parte di Craxi dopo il suo tramonto politico e le condanne.  Quello che si stenta a capire è se  tu e il tuo collega voterete Sì o No al referendum. La stragrande maggioranza degli avvocati voterà Sì, anche ambienti qualificati della sinistra hanno annunciato un voto favorevole alla separazione delle carriere e ai due CSM che rappresentano il punto più importante della riforma. Tu sembri a metà strada tra il Sì e il No, anzi più favorevole al No come l’avvocato Grosso che ha scelto di presiedere il Comitato per il No, memore anche dei suoi illustri  precedenti famigliari. Io invece non posso dimenticare la grande lezione liberale di Vittorio Chiusano, principe del Foro, che accompagnò con favore la riforma Vassalli, vedendone tuttavia la incompletezza. Vorrei anche ricordare  la lezione di Pannella e di Sciascia e la tragedia di Tortora che sembrano interessarvi poco. Ma per i liberali valgono più che mai quelle posizioni  autenticamente radicali nel senso storico della parola: da Pannunzio a Pannella, a Mellini. Quei nomi restano una guida e una bandiera più che mai oggi.

PIER FRANCO QUAGLIENI

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO:

Via Po pedonale è una corbelleria – I diritti di giornalisti, fotografi, tipografi e impiegati – D’Orsi e Don Bosco – Lettere

Via Po pedonale è una corbelleria
Bisogna fermare subito la proposta assurda, dannosa, inutile di rendere pedonale Via Po. Queste sono idee peregrine  che fanno arretrare la città a Diego Novelli, l’ex sindaco precursore della pedonalizzazione e distruttore della nascente Metropolitana.
La decadenza di Torino è nata con Novelli con le sue giunte di socialisti peggiori dei comunisti come Marzano e le sue piste ciclabili.
Bloccare via Po al traffico significa bloccare la Città a favore di quattro perdigiorno che, invece dei portici, vogliono in esclusiva la via, magari bloccando anche i numerosi tram. Torino deve essere funzionale anche a chi lavora. Chiudere via Po significa isolare il Centro e tutte le vie perpendicolari a via Po. Una follia. Ci pensi l’ opposizione a farsi sentire. E ci pensi la maggioranza perché  su questi provvedimenti demagogici rischia di perdere le elezioni. Il governo della Città non può essere delegato agli estremisti.

 

I diritti di giornalisti, fotografi, tipografi e impiegati

Tutti i giornali, di qualsivoglia tendenza, sono un presidio della democrazia. Anche quelli faziosi che censurano le notizie e pubblicano solo le idee degli amici, hanno un ruolo. Se non piacciono, essi non vengono comprati ed è quanto accade a parecchi giornali italiani precipitati in pochi anni a ruoli marginali. Ci sono direttori come Giannini  che per la loro faziosità hanno contribuito ad allontanare lettori. Un giornale che non dà spazio al dibattito fino a giungere ad eliminare la rubrica delle lettere, è indifferente al rapporto con i propri lettori o non riceve più un numero sufficiente di missive  che possa giustificare la rubrica delle lettere. Anche i giornalisti e, in primis, i direttori sono responsabili della crisi dei loro giornali.

 

Ciò detto, la campagna di odio che si è scatenata sui social  contro “Repubblica” e “La Stampa” appare, più che esagerata, indecente. L’editore non è certo immune da colpe perché, come ha detto Carlo De Benedetti, tutto ciò che egli ha avuto in mano lo ha rotto. Io ho comunque rispetto per i giornalisti, i fotografi, i tipografi, gli impiegati che si trovano su due ex corazzate che rischiano l’affondamento. Aggiungo che diffido delle solidarietà senza riserve espresse dai politici e  soprattutto mi infastidisce il presidente del Senato che si offre incredibilmente  come mediatore tra venditore e acquirente, esorbitando ancora una volta dal suo ruolo istituzionale. Sui due giornali in balia delle onde in un passato molto lontano ho anche scritto; non rinnego di averlo fatto, pur avendone un ricordo non del tutto  positivo. Ma questo non mi impedisce di  augurare  a tutti quelli che lavorano nei due giornali di ottenere il riconoscimento dei diritti che Elkann, come ha fatto con gli operai Fiat, non ha mai  rispettato.

D’Orsi e Don Bosco

Lo storico Nunzio dell’Erba ha fatto  sapere che Angelo d’Orsi (il quale  si ritiene “censurato”  insieme ai suoi esimi compagni di merende politiche, dai Salesiani che non lo hanno accolto a Valdocco) che il professore rosso espresse durissimi giudizi su Don Bosco e la Società Salesiana, denunciandone “un rifiuto assoluto della modernità”, “l’odio d’ogni forma di secolarizzazione” e un’ ”evidente misoginia e un’ossessione del peccato”. L’abilità di Don Bosco sarebbe stata, secondo d’Orsi , quella di “spremere i ricchi per alimentare le sue case e i suoi oratori”.

Queste citazioni sono tratte da un volume curato da Valerio Castronovo che i troppi impegni portarono ad essere molto “tollerante” con i suoi collaboratori. Perché chiedere ospitalità proprio ai Salesiani e in più a Valdocco dove ebbe inizio l’ardua e nobile impresa di Don Bosco? Al Palazzetto dello Sport dove parlava Berlinguer, i compagni di   d’Orsi si troveranno a casa loro. Barbero in passato vantava di avere la tessera del PCI autografata personalmente dal leader comunista.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

Onorificenze

Su richiesta di un lettore lei ha scritto delle onorificenze non riconosciute dalla Repubblica e quindi vietate in Italia. Mi spiegherebbe l’Ordine al Merito della Repubblica che ha sostituito gli ordini monarchici soppressi?  Luigina Arese

L’Ordine al Merito della Repubblica e’ stato istituito dal Presidente Luigi Einaudi nel 1951 ed è formato da cinque gradi : cavalieri di Gran Croce (20 all’anno), grandi ufficiali (80), commendatori (300), ufficiali (500), cavalieri (2600). Un numero quindi molto limitato che rende l’Ordine al Merito della Repubblica rapportabile, nel suo grado più alto, alla Legion d’onore francese.
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L’Unesco ha  riconosciuto  la cucina italiana
L’Unesco ha  riconosciuto  la cucina italiana come bene immateriale dell’ umanità. Sono indignata per il fatto che i giornali non abbiano dato adeguato spazio all’Accademia italiana della cucina al momento del riconoscimento da parte dell’ UNESCO della cucina italiana. Insieme a Casa Artusi l’accademica, diffusa a livello internazionale, è  stata la prima  protagonista di quella battaglia. Vittoria Figliuolo
Concordo pienamente con Lei.  Aggiungo un particolare: i giornali hanno dato invece  ampio spazio a Carlin Petrini che ha visto la cucina italiana come  prodotto del meticciato (!) con gli emigranti e delle trattorie. Niente di più falso perché l’identità riconosciuta dall’UNESCO è tipicamente italiana, anzi direi nazionale. Con Caterina de’ Medici la cucina italiana andò a contaminare quella francese che, secondo alcuni studiosi, fu quasi rivoluzionata. Petrini deve studiare la storia in cui proprio non ha mai  brillato.
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Dove sono le ricette piemontesi?
Ho letto che sono 20 le ricette simbolo della cucina italiana patrimonio UNESCO; non ho  visto una sola ricetta  piemontese. Peccato! Giuseppe Groppo
In effetti ho letto anch’io delle 20 prelibatezze: dalle lasagne bolognesi, agli spaghetti alla carbonara  e cacio e pepe, alle tagliatelle e ai tortellini bolognesi, alle trofie al pesto, alla pizza, al risotto alla milanese, agli spaghetti al pomodoro e alla cozze, alle melanzane alla parmigiana, agli arancini, alla cotoletta alla Milanese. Non un solo piatto piemontese e ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. Ad esempio, una bella fonduta con tartufi e/o una buona bagna cauda. Le specialità langarole e monferrine non mancano certamente.  Forse c’è chi nel tripudio per il riconoscimento tende a tirare acqua al suo mulino, privilegiando alcune regioni. Il premio in ogni caso parla di cucina italiana. Da quanto vedo anche la cucina veneziana non è citata, eppure i bigoli in salsa e il baccalà mantecato sono delle vere e proprie delizie.

Il caso Stampa & Repubblica: i diritti di giornalisti, fotografi, tipografi e impiegati

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Tutti i giornali, di qualsivoglia tendenza, sono un presidio della democrazia. Anche quelli faziosi che censurano le notizie e pubblicano solo le idee degli amici, hanno un ruolo. Se non piacciono, essi non vengono comprati ed è quanto accade a parecchi giornali italiani precipitati in pochi anni a ruoli marginali. Ci sono direttori come Giannini  che per la loro faziosità hanno contribuito ad allontanare lettori. Un giornale che non dà spazio al dibattito fino a giungere ad eliminare la rubrica delle lettere, è indifferente al rapporto con i propri lettori o non riceve più un numero sufficiente di missive  che possa giustificare la rubrica delle lettere. Anche i giornalisti e, in primis, i direttori sono responsabili della crisi dei loro giornali. Ciò detto, la campagna di odio che si è scatenata sui social  contro “Repubblica” e “La Stampa” appare, più che esagerata, indecente. L’editore non è certo immune da colpe perché, come ha detto Carlo De Benedetti, tutto ciò che egli ha avuto in mano lo ha rotto. Io ho comunque rispetto per i giornalisti, i fotografi, i tipografi, gli impiegati che si trovano su due ex corazzate che rischiano l’affondamento. Aggiungo che diffido delle solidarietà senza riserve espresse dai politici e  soprattutto mi infastidisce il presidente del Senato che si offre incredibilmente  come mediatore tra venditore e acquirente, esorbitando ancora una volta dal suo ruolo istituzionale. Sui due giornali in balia delle onde in un passato molto lontano ho anche scritto; non rinnego di averlo fatto, pur avendone un ricordo non del tutto  positivo. Ma questo non mi impedisce di  augurare  a tutti quelli che lavorano nei due giornali di ottenere il riconoscimento dei diritti che Elkann, come ha fatto con gli operai Fiat, non ha mai  rispettato.

La cucina italiana riconosciuta dall’UNESCO

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

E’ un grande risultato raggiunto  il riconoscimento internazionale dell’ UNESCO concesso alla cucina italiana. Tra i primi promotori che con costanza si sono battuti con autentica e colta  coerenza e con motivazioni storiche  di grande importanza risalta l’opera dell’Accademia della cucina italiana fondata da Orio Vergani nel 1953 e attualmente presieduta da Paolo Petroni.  Anche Mario Soldati e Dino Buzzati furono accademici. Importante è stato anche l’apporto di Casa Artusi di Forlì. Va riconosciuto l’apporto importante dato dal governo attuale per il raggiungimento dello scopo . Si è trattato di riconoscere la storia della cucina italiana ricca di apporti regionali che hanno creato un’unità gastronomica che l’Artusi per primo ha realizzato , quasi come un novello Cavour della gastronomia. Una ricca tradizione che ha unito Nord e Sud, superando le vicende violente  del brigantaggio meridionale in nome degli spaghetti. Per la Cucina è  accaduto un po’ come  con la lingua con Manzoni e De Amicis che con “Promessi sposi“ e “Cuore “ hanno reso unita la Patria italiana. Non è fuori luogo parlare di Patria italiana anche per una cucina amata in tutto il mondo e imitata e persino defraudata da volgari imitazioni che il riconoscimento UNESCO aiuterà a smascherare e combattere. Il solito Carlin Petrin ha limitato la portata dell’evento con la sua solita faziosità politica di vecchio comunista, parlando di meticciato e di osterie. Non merita una risposta . E’ il solito pauperismo che emerge anche tra le pentole . Non mi sono piaciuti neppure alcuni grandi chef che disertano le cucine per frequentare le televisioni. Attendo di leggere il grande Arrigo Cipriani, maestro davvero internazionale della cucina veneziana che lui, novello Marco Polo, ha portato nel mondo.

Il super classico politicizzato tradisce la cultura di Omero e Virgilio

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

E’ sicuramente utile tornare a  parlare di cultura classica  in una società e in una scuola che  hanno scacciato il latino e il greco come un inutile fardello, un odioso  fastidio per gli studenti, considerato un retaggio dell’ oscurantismo. Ma gli incontri torinesi voluti dall’ex preside di Ivrea Ugo Cardinale non hanno certo lo scopo di portare alla ribalta la classicità. Basti pensare al fatto che è stato Alessandro Barbero , già docente di storia medievale a Vercelli, a inaugurare la kermesse torinese, parlando di San Francesco d’Assisi, con dubbio gusto perché il tema è il titolo di un suo libro che contende il primato ad Aldo Cazzullo, anche lui diventato negli stessi mesi  studioso  apprezzatissimo  di San Francesco. Un altro tema  di incontro del Festival  chiarisce ulteriormente le idee: ”Da Omero a Tik Toc.” Ho letto che Cardinale vuole avvicinare al classico la Generazione Z, forse con questi sistemi riuscirà a scuotere la loro “divina indifferenza” per dirla con Montale, ma  i discorsi non saranno certo quelli volti a recuperare il senso della cultura di Manara Valgimigli e di Concetto Marchesi, anni – luce lontani da Cardinale.  Infatti il centro  degli interessi dei nuovi classicisti classisti  è Luciano Canfora glottologo antico di fama, ma soprattutto polemista gramsciano temerario, agguerrito e molto fazioso. Chiuderà l’iniziativa un incontro rivelatore del vero intendimento su “L’odierna sfida al capitalismo selvaggio” dove l’aggettivo “odierno” tradisce i veri intendimenti. Peccato che non abbiano previsto qualcosa sulla Palestina naturalmente  in chiave pro Pal, ma in effetti i Romani decretarono la fine degli Ebrei e provocarono la diaspora. Un tema scivoloso che l’ex insegnante per molti anni a Trieste, l’esimio prof. Cardinale (che era contemporaneamente  anche preside  a Ivrea) ha preferito non toccare. Il suo tema era “Da Aristotele a Elon Musk”. Il richiamo all’odioso Musk appare una scelta volta a gettare in politica odierna anche Aristotele. Un soccorso rosso che i glottologi dalla penna rossa hanno anche quest’anno voluto generosamente portare a sostegno della politica militante di oggi. Il festival del Classico è poco più che un pretesto. Si sono dimenticati di invitare il compagno Angelo d’Orsi. Una dimenticanza davvero grave, se consideriamo la figura del censurato – censuratore più noto oggi a Torino, area metropolitana compresa. Sulla pagina Wikipedia dedicata al professore eporediese- mitteleuropeo  leggo anche riferimenti a Bice Mortara Garavelli che conobbi e che frequentai. Trascuro cosa mi verrebbe voglia di scrivere in proposito, ma mi astengo perché accostare Bice, ordinaria di Grammatica italiana, a questi signori  mi appare indelicato e inopportuno.

Quando l’estremismo porta a esagerare

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Ho conosciuto Vittorio Feltri che giocava a golf con il mio amico Camillo Olivetti. Notai già allora l’”incontinenza” affatto senile di Feltri che per il gusto della battuta avrebbe rinunciato a priori  ad un ragionamento meditato. Era il contrario di suo figlio Mattia Feltri che ha scelto ben altre strade. Vittorio Feltri è stato un giornalista di successo, malgrado alcuni infortuni clamorosi. Ha fatto aumentare le tirature dei giornali diretti, ma forse non basta questo risultato per fare un giornale che informi con un minimo di criticità e di indipendenza. Si può anche essere di parte e rispettare la deontologia  giornalistica che molti giornali di finta opinione trasgrediscono ogni giorno. Ma la condanna di Feltri decisa dal Tribunale civile di Torino che ha stabilito una penale di 20mila euro, è senza dubbio motivata. Il giornalista in una trasmissione radiofonica non si è trattenuto e ha detto testualmente: “Sparerei in bocca ai musulmani  che considero razze inferiori”.
Sembrano frasi attinte dall’imitazione esagerata fatta da Crozza. I difensori di Feltri hanno discolpato il loro assistito, sostenendo che lo stile satirico della trasmissione portava a parlare senza filtri. Di parere contrario è stato il Tribunale di Torino che ha ritenuto le parole del giornalista oltraggiose e distruttive dell’onore altrui. La trasmissione riguardava il momento cruciale della morte del giovane egiziano Ramy di cui ancora oggi si discute e di cui c’è gente che ne  continua a sostenere un’apologia immotivata e violenta. Oggi più che mai occorre un richiamo alla moderazione, ad un linguaggio in cui le parole, che a volte diventano pietre, vanno pensate con cura. I liberali non possono stare dalla parte di Feltri che si è lasciato andare ad una parodia peggiore di quella fatta dal fazioso e sempre più intollerabile Crozza che finge di fare satira per contrabbandare la più selvaggia faziosità politica.

Sempre intolleranti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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Pier Franco Quaglieni

Al Salone del libro di Torino del 2017 il direttore Lagioia, il presidente della Regione Chiamparino, la sindaca Appendino impedirono ad una casa editrice di destra, Altaforte, di avere lo stand, malgrado lo avesse già pagato. Si mosse la tribù degli intolleranti. Un’autrice sciocchina propose niente di meno  che di offrire una percentuale del suo venduto (in verità quattro soldi) all’ ANPI come ulteriore risarcimento. Follie che sanzionai anche in un mio libro. Io andai a quell’edizione, esibendo il “ Trattato  sulla tolleranza” di Voltaire. Dovetti spiegare ad alcuni il senso di quella scelta, opposta all’esclusione maldestra operata da Lagioia. Alla Fiera di Roma in corso scrittori, editori e attivisti si sono  schierati contro lo stand di “Passaggio al bosco”. Hanno messo dei drappi neri sui libri, in effetti il colore giusto sarebbe  stato il rosso. Zero Calcare è il capofila della protesta. Eppure la rassegna si intitola “Più Libri più Liberi“. Una rassegna che , se si applicasse un criterio equanime dovrebbe escludere in primis i fascisti rossi. Un corteo di editori è arrivato alla stand contestato, urlando “ Via i fascisti dalla fiera” ,intonando poi “Bella ciao” .  Alcuni editori sostengono che “la democrazia non è una scatola vuota dove possono stare tutti. I fascisti per noi e per la Costituzione non possono stare”. In verità la Costituzione all’articolo 21 garantisce una libertà di pensiero senza limitazioni ideologiche di sorta. Mi ricordano alcuni estremisti che volevano escludere dal liceo “Segreé“ di Torino gli studenti di destra, dimenticando il diritto costituzionale all’istruzione. I cartelli “chiuso per antifascismo” in una fiera  rivelano anche un certo sciocco e ridicolo   autolesionismo. Dire che “il fascismo non è cultura” è un’altra  sciocchezza. Nel 1925, cent’anni fa, Giovanni Gentile scrisse il manifesto degli intellettuali fascisti a cui rispose Croce con quello degli intellettuali non fascisti. Basterebbe questo fatto storico a dirimere la questione. Quello che sta accedendo a Roma fa il paio con i pro Pal della violenza e degli spray che vogliono “bloccare tutto”. Il fascismo degli antifascisti, diceva Ennio Flaiano, è una realtà. Purtroppo siamo ancora fermi al palo, malgrado i decenni trascorsi. Povera libertà!

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Pisanu tra Moro e Berlusconi – Gente di Piemonte – Lettere

Pisanu tra Moro e Berlusconi
A “Rai Storia “che alcune volte può anche essere interessante, ha dominato in una puntata sul compromesso storico e il rapimento di Moro  l’ex parlamentare e ministro Beppe Pisanu  capo della segreteria di Zaccagnini, uno dei peggiori segretari della Dc che stava portando insieme a Moro alla resa  incondizionata della Dc ai comunisti, dopo che nel 1976 la Dc mendicò il voto anticomunista, usufruendo dell’appoggio di Montanelli che invitata a votare lo Scudo Crociato, “turandosi il naso”.
Chi scrive voto’ Dc per la prima e ultima volta. Zac gli provocò il voltastomaco.  Sarebbe ora di vedere con il distacco della storia sia Moro sia Zaccagnini, anche se i grandi capi Dc non furono mai meritevoli di attenzione da Colombo a Taviani, da Andreotti a Rumor. Erano dei collettori di voti, mai degli statisti che lo fu il solo De Gasperi. Appare veramente incredibile come con totale disinvoltura Pisanu sia poi  diventato per lunghi anni Ministro degli interni con Berlusconi.
Era un mediocre abbarbicato al potere, ma rivendicare oggi il suo essere stato sempre un moroteo spiega tante cose anche di un ministro scialbo, pronto a tutto salvo salvaguardare lo Stato che  per i morotei era un optional. In Sardegna si distinse solo Cossiga, ma non c’è la benché minima possibilità di un confronto tra i due sardi.
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Gente di Piemonte
Ho ritrovato in un fondo di magazzino della mia biblioteca “Gente di Piemonte“ di Luigi Firpo, un volumone edito da Mursia nel 1983 . Non lo volli mai inserire nella mia biblioteca perché è un volume ancora oggi vergognoso . Dopo aver scritto di Leonardo , Erasmo da Rotterdam, Botero, Rousseau, d’Azeglio, Vittorio Amedeo II, Pomba, Galileo Ferraris, Giolitti, Solari, l’accademico spocchioso  Firpo chiude il libro con l’amico di casa Diego Novelli sindaco in carica di Torino, esaltato in modo servile forse anche  su suggerimento della moglie che era già allora  molto vicina al sindaco. Questo volume squalifica il suo autore che equipara un vivente a metà dell’opera con personaggi storici consolidati .Uno storico non può permettersi queste sbandate.
 Non volli il libro nella mia biblioteca, credo che adesso lo destinerò alla spazzatura. Se poi pensiamo ai gravi errori politici di Novelli e alle sbandate politiche successive al 1983, è lo stesso sindaco comunista che va messo sotto processo perché le esaltazioni mistiche di Firpo nei suoi confronti devono essere ridimensionate da un esame dei fatti reali che hanno portato Torino sotto la sua guida al declino. L’unica verità che emerge è che Novelli era un ragioniere seralista, anche se Firpo lo considera un grande intellettuale. Tempo prima del libro una sera a cena si lasciò scappare un giudizio negativo su Novelli considerato un giovane cresciuto in una casa da ballatoio di Borgo San Paolo con una finta cultura appresa in modo disordinato e frammentario, facendo il magazziniere in una piccola casa editrice. Era la fine degli anni 70, poi irruppe improvviso l’”amore” per il Sindaco che cominciò a frequentare abitualmente  la villa  con piscina del professore in viale Seneca.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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I Gobetti

Dà fastidio  leggere che Steve della Casa, ex Lotta Continua, noto per le imprese violente  dell’”Angelo Azzurro” di via Po  con conseguenze penali e il vecchio ottuagenario Bruno Gambarotta si occupano della due giorni sul figlio di  Piero Gobetti esaltato come grande uomo di cinema. Ho conosciuto Paolo  e mi pareva un uomo finito sia per il matrimonio  infelice con Carla che si credeva la vera erede di Piero, sia per altri aspetti  di vita a tutti noti, ma di cui nessuno parla e sui quali io stesso taccio. Narciso Nada fondatore del Centro “Gobetti” andò via perché non voleva mescolarsi con gli eredi. Ma oggi c’è anche Polito che inizia le sue Messe cantate in anticipo rispetto al 2026 per non perdere tempo. Segretario tuttofare di Bobbio, se ne considera erede al Centro “Gobetti“ che gode di una duplice sede: una in via Fabro e una al Polo del ‘900. Un privilegio ingiustificabile. Non crede che sia il caso di dire basta alle Messe Cantate?  Occorre la storia, non le litanie di Polito.  Innocenzo Rinucci

Piero Gobetti
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Conosco anch’io certi aspetti della famiglia Gobetti. So poco o nulla di chi gestisce oggi il centro intitolato all’eroico giovane morto di polmonite  a Parigi, come ha testimoniato Giuseppe Prezzolini che lo ha assistito in ospedale fino all’ultimo. A me delle biografie di Carla e Paolo Gobetti poco importa. Di loro ritenevo poco interessante e totalmente da rifiutare il loro livido comunismo senza mai un’ombra di dubbio. Ma evito di scrivere  di due persone che non ho mai ritenuto interessanti e di cui non ho mai avuto stima. Erano i discendenti di Piero, nel senso più letterale del participio presente del verbo discendere. Non voglio offendere, ma temo che questa sia la triste realtà.
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Viale assolto
Va riconosciuto che l’estremismo violento di un femminismo senza equilibrio ha subito una sconfitta sonora: il ginecologo Silvio Viale è  stato assolto in Tribunale dalle accuse di violenze sessuali a lui rivolte. È  stato fatto oggetto di campagne d’odio vergognose. Lei cosa ne pensa?    Teresa Siusi
Esprimo totale solidarietà a Viale che ha subito un linciaggio indegno. Non ho mai avuto comunanza di idee con lui, ma la sua coerente ed a volte discutibile battaglia va riconosciuta pienamente. Combattere un politico con le armi della diffamazione sessuale dimostra la bassezza dei suoi detrattori. Viale si è rivelato un galantuomo limpido, diffamato con l’intenzione di distruggerlo. Una vergogna.
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Non è Berrino?
Dopo anni di successi con un bistrot ad Albenga il signor Enzo Bellissimo è  stato costretto a chiudere il suo locale di successo perché il Comune  gli ha imposto di abbattere una veranda. Una cosa assurda. Adesso ha riaperto il bistro’  ad Alassio con un buon successo iniziale. Ma ho letto ieri che c’è già di chi parla di lui come del nuovo Mario Berrino pittore, re delle estati alassine al mitico  caffè Roma. Con tutto il rispetto non confondiamo Berrino che è stato unico ed irripetibile  – pensiamo al famoso Muretto – con altri a lui non comparabili.  Giuseppe Delfino
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Sono stato molto amico di Mario Berrino che ha voluto la piastrella con la mia firma sul muretto e conosco poco Bellissimo che ha subito un sopruso dal Comune di Albenga. Andrò a visitare il suo nuovo locale ad Alassio e mi auguro che il suo successo coincida con il futuro della perla della Riviera. Per ora l’unico che tiene banco è Giampiero Colli di Sail Inn che oggi non ha eguali.
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Le scuole
La valutazione delle scuole fatta dalla Fondazione Agnelli non è di per sé cosi’ attendibile e trasparente. Troviamo scuole in testa e in coda. Ma certo se il declassamento continua come nel caso del liceo d’Azeglio, qualche ragione ci sarà. L’enclave della sinistra faziosa si rivela non più credibile. Vive sulla memoria di Augusto Monti, un professore totalmente dimenticato. Mio nipote si è trovato malissimo. Giulio Ascani
Anch’io non capisco bene i parametri usati dalla Fondazione Agnelli. Ma risalta innanzi tutto  un fatto positivo: il liceo Botta di Ivrea, liberato del suo vecchio preside Cardinale, vola al primo posto nei licei classici. Il d’Azeglio è al settimo posto, ma nel ‘24 era al nono posto. Il penultimo posto. Il celebrato Liceo europeo Umberto I e ‘ all’ultimo posto e lo scorso anno non era neppure tra quelli classificati. Nei licei di scienze umane risalta all’ultimo posto l’ex magistrale “Regina Margherita”. Tra i Tecnici il celebrato “Sommeiller” e ‘ al penultimo posto. E ci sarebbero anche altri fatti rilevanti. I criteri adottati non sono spiegati in modo limpido. E questo è un limite alla ricerca.