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Non andare in piazza e’ uno stile di vita

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

Pier Franco Quaglieni

Anche tre milioni di persone che marciano sono un’esigua minoranza di Italiani. C‘è chi dice che sono l’alternativa alla scarsa partecipazione al voto. Può darsi,  ma il vecchio Nenni diceva con qualche fondamento: piazze piene, urne vuote. Nelle Marche e in Calabria è accaduto così. Siete proprio sicuri che gli Italiani siano in maggioranza antiIsraeliani (malgrado il leader di Tel Aviv abbia fatto di tutto per inimicarsi il consenso e le simpatie?) e soprattutto antisemiti?
Il vecchio retaggio della sinistra  italiana e’ quello di essere contro Israele e filo- araba. Dal dopo guerra in poi.Sempre. Ma forse molti  non sanno che Israele è stata fatta oggetto di guerre  di aggressione che ha vinto e che vive minacciata dal terrorismo, da sempre. Molta gente non va in piazza perché non rientra nel suo stile di vita. Ma voi pensate  davvero che gli altri milioni di Italiani  non contino nulla? C’è un pesante conformismo che ristagna. Addirittura c’è chi vorrebbe persino limitare le pubblicità a pagamento sui giornali. Diceva Calamandrei che la libertà diventa importante quando incomincia a mancare. E’ una sensazione  che molti sentono .Il silenzio di Liliana Segre e gli insulti contro di lei sono un segno su cui riflettere.
Non si va in piazza perche’ non è nello stile di vita di molti, ma l’arma del voto, può essere più potente del vandalismo a cui alcuni si lasciano andare. Già nel Biennio rosso volevano “bloccare tutto” e hanno ottenuto il fascismo.  E’ una lezione storica che gli Italiani conoscono e non hanno dimenticato.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Marcello Soleri statista e patriota – La festa di San Francesco – La campagna d’Etiopia – Lettere

Marcello Soleri statista e patriota
Dopo due convegni a Cuneo , il 13 ottobre a Torino e il 23 ottobre a Roma si terranno due importanti incontri sullo statista liberale Marcello Soleri, mancato nel 1945 appena sessantenne quando era ministro del Tesoro nel governo Parri. I tantissimi giovani che, malgrado lo sciopero generale, hanno affollato il convegno a Cuneo (sua città natale di cui fu sindaco e deputato) promosso dalla Provincia, stanno a testimoniare che la sua storia esemplare di uomo delle istituzioni ligio ai suoi doveri verso la Patria (non è retorica nel caso suo parlare di Patria) interessa ancora, anzi rappresenta un riferimento etico- politico più che mai attuale. A Roma interverrà il ministro Gilberto Pichetto Fratin rappresentante di una tradizione selliana biellese che piaceva a Soleri.
Con la pronipote, l’egittologa Olimpia Soleri, ci sarà l’opportunità di conoscere aspetti della vita dello statista poco noti. Sarà l’occasione di rivivere la nostra storia, dall’ Italia giolittiana al fascismo e alla sua caduta. Soleri, nel 1922 ministro della Guerra, scrisse il decreto per lo  stato d’assedio  della Capitale al fine di fermare manu militari  la marcia su Roma. Il re Vittorio Emanuele non firmò , complice anche il presidente dimissionario Facta , un avvocaticchio giolittiano  di Pinerolo che stava trattando con Mussolini nell’illusione di un posto nel nuovo governo. Ombre e luci dell’Italia liberale al crepuscolo, prima della dittatura che Soleri combattè in Parlamento, con la lealtà dell’alpino partito volontario nella Grande Guerra , malgrado fosse con Giolitti contrario all’intervento dell’Italia: un vero liberale e un vero patriota.
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La festa di San Francesco
Negli anni della mia frequenza scolastica, all’ improvviso, il 4 ottobre -festa di San Francesco d’Assisi –  diventato patrono d’Italia insieme a Santa Caterina da Siena -fu giorno di vacanza. Quasi un non senso perché le scuole riaprivano il primo ottobre. Dopo un po’ di anni, quando ero al liceo, le scuole riaprirono direttamente  il 5 ottobre. Poi Andreotti, con l’austerità, abolì la festa insieme al IV novembre e alla Befana. Il 4 ottobre diventerà  a partire dal 2026 festa nazionale quindi non soltanto più per le scuole, come era in passato.
Ha un senso? Forse si’, anche se stupisce che la santa patrona sia stata dimenticata in un clima in cui  invece la parità è la parola d’ordine. Dovrebbe valere anche la parità tra santi patroni, anche se oggettivamente la fama del poverello d’Assisi  sembra costruita apposta per tutti i pauperisti e i filo arabi  che risiedono nel Bel Paes. Sarebbe un errore banalizzare perché Francesco è stato davvero un  grande. I libri recenti usciti su di lui non gli rendono giustizia perché ne fanno un “santino-immaginetta“ sulla scia di Papa Francesco. Miseria degli storici di oggi, dediti al conseguimento della loro sempre più ampia notorietà, anche  ricorrendo a San Francesco. Uno dei biografi l’ho visto  su Rai 3 saltellare tra banalità conformiste su Gaza e la presentazione del suo libro. Uno spettacolo fastidioso che mi ha portato a spegnere la tv dopo pochi minuti di ascolto.
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La campagna d’Etiopia
Ho seguito con interesse un documentario sulla campagna d’Etiopia del 1935/36 a Rai storia. Ho apprezzato molto che il nome di Angelo Del Boca, demonizzatore fazioso del colonialismo italiano, non sia stato neppure citato. Un segno che i suoi libri non hanno lasciato traccia, come ho sempre pensato che dovesse accadere. E’ stato un tentativo soprattutto da da parte di Mauro Canali di storicizzare la vicenda coloniale etiopica dopo 80 anni, come insieme a Gianni Oliva ho tentato di fare qualche giorno fa in una conferenza.
C’è stata una parziale, opportuna rilettura storica, andando oltre le ideologie. Peccato che del Duca Amedeo d’Aosta si sia parlato solo alla conclusione del documentario con le immagini della resa del Duca sull’Amba Alagi nel 1941. Amedeo di Savoia fu Vice Re di Etiopia e cerco ‘ di pacificarla e di promuovere grandi opere pubbliche. L’Italia costruì strade, scuole, ospedali e abolì la schiavitu’. Al Duca doveva essere dedicata più attenzione. Era un grande uomo meritevole di attenzione storica. Non ho mai dimenticato quando mio padre mi portò ad una Messa per il Duca a Roma con una partecipazione incredibile di gente. Carlo Delcroix, il grande invalido della Grande Guerra, ne parlò con l’oratoria straordinaria che lo rese un mito. Quelle parole non erano retorica , ma intravedevano la storia. Come a volte accade, fu un poeta a vedere prima degli storici la realtà.
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Il vessillo della Palestina
Stamattina nel centro di Savona, sul palazzo del Comune di Savona ho visto la bandiera “palestinese” accanto a quelle istituzionali. Un conato di vomito mi ha assalito: ma come, in una città medaglia d’oro della Resistenza al fascismo si innalza la bandiera di terroristi, tagliagole, stupratori e pedofili così senza nemmeno un minimo di vergogna! Dobbiamo aspettarci a breve anche qualche ritratto di Adolf o di Benito? O solo quelli dei capi di Hamas e dell’OLP? Degli ayatollah e dei talebani? Luciano Dondero

Comprendo il suo dissenso, anche se non condivido le Sue espressioni piu dure. Non credo ci sia un’attinenza con il fascismo. Molte città hanno scelto anche con il voto nei consigli comunali di stare dalla parte della Palestina.  Quella bandiera è legittimata da una delibera. La vicenda italiana ha preso questa piega. L’olocausto degli Ebrei appare un pallido ricordo. E’ una piega che non mi piace, ma il conformismo prevalente è questo. Spero che non si arriverà mai a quanto Lei paventa. Sono stato molte volte a parlare a Savona e ho incontrato un pubblico attento e rispettoso di tutte le idee. Parlai, invitato da un prefetto, anche nella giornata della Memoria e ricordai gli internati militati in Germania. A qualcuno forse non piacque quel richiamo. Dal prossimo anno il 20 settembre sarà la giornata dell’internato con legge approvata all’unanimità. Cerchiamo di essere fiduciosi.

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L’Italiano difficile

Mi è capitato di leggere la lettera di un neo laureato che mi ha scritto per avere informazioni su un evento. Ho rilevato con sorpresa una grave carenza di conoscenze sintattiche con soggetti in libertà e verbi che vanno per conto loro. Punteggiatura casuale e mancanza di chiarezza espressiva. Scrivere in Italiano diventa un problema . Non pensavo che la scuola  tollerasse situazioni per me incredibili.  Giuseppe Antonino

Non è così infrequente leggere frasi sconnesse scritte da gente che non conosce la più elementare sintassi. Studenti soprattutto degli istituti tecnici rivelano una grave incapacità espressiva, ma  anche nei licei non scherzano. Certo la scuola non prepara in modo adeguato e forse anche molti docenti non sono all’altezza. Il ministro dell’istruzione vuole ripristinare un’ora di Latino  che appare del tutto inutile. I buoi sono scappati  da tempo e la ripresa di una scuola degna di questo nome sarà cosa ardua. La povertà lessicale è un altro aspetto allarmante . Dopo decenni di demagogia scolastica stiamo vedendo i frutti devastanti della inettitudine delle diverse classi politiche italiane nei decenni. La stessa classe politica appare  incolta anche nel linguaggio  . Il facilismo ha desertificato gli studi. Chi scrive sul Pc si avvale del correttore  automatico, ma la capacità di scrivere richiede abilità oggi sempre più rare. Non vale il discorso populista  basato sul “scrivi come mangi“. Per fortuna non tutti i giovani sono così.

Ca’ Foscari, conformismo intollerabile. Un Paese in preda agli estremisti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Quello che è capitato all’Universita’ Ca’ Foscari di Venezia in cui si pretende di imporre ai docenti una presa di posizione politica anti Israele, offende il mondo accademico italiano e vanifica quella libertà di insegnamento senza la quale l’Universita’ perde la sua stessa funzione. Il giuramento del 1931 richiesto ai professori dal fascismo e’ nulla al confronto. Chi ha a cuore la libertà degli studi e della cultura deve ribellarsi a imposizioni da regime totalitario che va ben oltre l’autoritarismo del fascismo.
Un altro aspetto appare ancora più allarmante dopo le occupazioni illegali del 3 ottobre in tutta Italia. Occupare strade, autostrade, scuole, università è vietato dalla legge e il recente “decreto sicurezza” va applicato perché senza una doverosa fermezza dello Stato a tutela dei pubblici servizi, della libera circolazione dei cittadini e del lavoro di tutti salta il presupposto stesso su cui si regge la libera democrazia. E’ violenza intollerabile occupare e “bloccare tutto”. Già questa espressione appare allarmante ed espressione di una forma mentis prepotente, inconciliabile con la democrazia e la stessa Costituzione della Repubblica. Il caos generato nel Biennio rosso dopo la prima guerra mondiale ha favorito il fascismo.
Non ci sto a rivivere le scene a cui ho assistito nel 1967 quando Giovanni Getto venne interrotto nella sua lezione. Il docente chiamò la polizia per garantire il pubblico servizio, ma venne attaccato da giornali e politici in modo vergognoso.Venne messo alla berlina e così nacque a palazzo Campana la Contestazione. Tanti anni dopo Luigi Bobbio che interruppe Getto ,riconobbe con me in privato l’errore commesso . Di lì in poi l’Universita’ divenne il bivacco di ragazze e ragazzi in eskimo che bloccarono la vita accademica per quasi due anni. Sono un testimone oculare di quello che accadde. Stiamo tornando a quel clima pesante che generò il terrorismo.
I democratici devono svegliarsi e il ministro degli Interni e la Magistratura devono intervenire non in modo esemplare (espressione sempre sbagliata), ma imponendo il rispetto della legge. I cortei del 3 ottobre hanno lasciato molti segni di violenza e di vandalismo anche a Torino. La statua del Padre della Patria Vittorio Emanuele ll è stato fatto oggetto di scritte. Anche il semplice monumento roccioso, sconosciuto ai più, dedicato ai Caduti in Russia è stato vandalizzato con una scritta. Giustamente l’Unione dei Reduci in Russia la ritiene un’offesa ai Caduti e alla loro memoria storica. Non credo tuttavia che i giovani manifestanti abbiano voluto offendere scientemente una pagina di storia che non conoscono. Hanno trovato una superficie su cui utilizzare lo spray e ne hanno approfittato. L’ignoranza storica è immensa. Se avessero saputo a chi è dedicato quel monumento non si sarebbero limitati a vandalizzarlo, ma lo avrebbero abbattuto. Quei Caduti nelle steppe russe come nei deserti africani sarebbero considerati nel modo peggiore possibile. Il loro eroismo è cosa che i giovani manifestanti non riescono neppure concepire.

Lo sciopero generale in Italia è un unicum 

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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L’impresa politico – umanitaria della Flotilla si è conclusa senza danni e con una visibilità mediatica senza precedenti. I dimostranti sono stati abili nel catalizzare attorno a sé tanto interesse. Il problema di Gaza ha avuto modo di emergere come mai era accaduto prima. C’è da domandarsi perché la Cgil di Landini abbia seguito pedissequamente i Cobas nella proclamazione dello sciopero generale, diritto costituzionale che va usato con raziocinio, come seppero fare Di Vittorio e Lama e non solo loro. Le esperienze post sessantottine dell’autunno caldo furono un errore del sindacato che si lasciò assorbire irrazionalmente dal clima della contestazione studentesca. Landini che già con i  referendum falliti in modo clamoroso, aveva dimostrato la sua pochezza politica, si è appiattito sui Cobas , un precedente grave che snatura la Cgil e la sua storia. L’estremismo non è mai l’atteggiamento proprio di un grande sindacato europeo. I tempi del primo sciopero generale del 1904 sono lontani e dovrebbero essere motivo di riflessione come anche il “biennio rosso”, che finì di favorire il fascismo, dovrebbe essere un altro motivo di confronto critico. Il realismo di Palmiro Togliatti fu cosa molto diversa. Non voglio utilizzare Togliatti a fini attuali perché sarebbe scorretto ,ma un pensierino su Togliatti andrebbe fatto. Soprattutto c’è da domandarsi perché solo in Italia sia stato proclamato lo sciopero generale. La Flotilla  – dicevano -era un’ impresa internazionale, ma in nessun paese del mondo è accaduto qualcosa di simile. Perché lo sciopero generale solo in Italia? C’è già chi rievoca la maggioranza silenziosa degli anni ‘ 70 e la marcia dei 40mila. Una reazione che va  a cozzare contro la strategia di Landini, protagonista di una stagione politica che può solo favorire la destra che, malgrado i suoi error , può trarre giovamento dall’estremismo velleitario di sinistra. Anzi, uno dei motivi della tenuta elettorale della destra è proprio ascrivibile all’avventurismo politico di Landini. Gaza si difende in altri modi, contribuendo a portare la pace. Lo sciopero generale in Italia non da’ nulla ai Palestinesi. Il movimentismo della ambientalista svedese è cosa inconciliabile con le scelte di un grande sindacato (di massa  si diceva un tempo) in cui purtroppo i pensionati e non gli operai sono la maggioranza. Un sindacato che pensa di destarsi a nuova vita, affidandosi ai giovani delle scuole e dei centri sociali, ha smarrito per strada la sua funzione storica.

Manca Pannella

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Nella baraonda che può travolgerci, in cui la demagogia più imbelle ha avuto  modo di scalmanarsi dappertutto, si sente la mancanza di un vero non- violento liberale come Marco Pannella. Anche Pannella commise come tutti i suoi errori, ma Pannella riuscì a coniugare l’utopia della pace con il realismo della politica. I resti di quelli che furono  la parte deteriore del partito radicale, risalgono le valli che non avevano mai disceso limitandosi ad accodarsi ai funamboli dell’antisemitismo becero e truculento che evoca la Shoah. L’orgogliosa sicurezza non l’hanno mai avuta se non nella ricerca di scranni parlamentari sicuri. Pannella nella crisi mediorientale, lui che voleva Israele nella Eu , avrebbe saputo giocare un ruolo politico di primo piano, concreto e non ideologico. E’ stato l’uomo delle grandi visioni, l’esatto opposto dei nuovi d’annunziani di oggi che si credono eroi. Pannella avrebbe saputo dialogare  con tutti perché di fronte ad una guerra occorrono dei pacificatori, non dei personaggini da operetta.

Il suo passato e il suo coraggio gli avrebbe consentito di fare cose che altri non hanno neppure pensato: andare a Gaza a portare pace e giustizia. Ma Marco non c’è più. Per nostra sfortuna e per disgrazia di un mondo che rischia seriamente la terza guerra mondiale.

Il futuro di Israele: vincere la guerra non basta. Il pericolo di un terrorismo diffuso 

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

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I nemici di Israele sono sempre stati molti. E’ un’inimicizia che che va ben oltre l’antisemitismo, se è vero che molti ebrei del passato e del presente sono contro Israele. E’ il caso di ricordare quanto è accaduto il 7 ottobre 2023 perché questo gravissimo episodio di belluina violenza  sembra essersi appannato nella memoria. Anzi, c’è chi tende a giustificare Hamas che trova interlocutori impensati.   Netanyahu  oggi è considerato un genocida e la sua appartenenza alla destra estrema  lo rende odioso ai più. La ritorsione, meglio la guerra senza quartieri che ha condotto contro Hamas, è considerata sproporzionata ai fini, anche se in materia di terrore è difficile, se non impossibile, stabilire dei limiti. Quando esso prevale, i criteri umanitari diventano labili se non inesistenti. La storia è così, sempre. Hegel parlava di essa come di un “mattatoio”. E le vicende antiche e recenti dimostrano che le guerre e in particolare certe guerre sono davvero un mattatoio. Il genocidio è stato uno solo, quello degli ebrei che Bobbio giudicava un unicum.
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La scelta del leader israeliano può oggi portare ad una vittoria militare che crea un deserto di macerie, ma rappresenterà una gravissima sconfitta politica perché il vero politico guarda al domani e agli effetti delle sue azioni. Il leader israeliano ha fallito nel punto più difficile, quello cioè di costruire la pace dopo la guerra. L’odio dei palestinesi sparsi nel mondo sarà inestinguibile e provocherà un terrorismo di dimensioni devastanti, mai vissute in precedenza. Pare comunque  strano che quelli che oggi parlano  di genocidio nei confronti della Palestina, dimentichino di ricordare il massacro con milioni di morti  della Cambogia degli  anni ‘70 del secolo scorso o quello avvenuto in Ruanda nel 1994. Laddove c’è una componente etnica, religiosa  e/o ideologica, la situazione si aggrava e l’ostilità diventa odio. Anche sconfiggere per fame il nemico ha precedenti negli assedi medievali e successivi. Anche la Germania nella prima guerra mondiale fu piegata dal taglio dei rifornimenti anche alimentari. Abbiamo vissuto dal 1945 un lungo tempo di pace. Oggi solo una minoranza esiguissima di vecchi ha vissuto le tragedie della seconda  guerra mondiale, delle città devastate dai bombardamenti e dei civili uccisi. E’ stato detto che la guerra moderna disumanizza l’uomo perché la tecnica rafforza a dismisura gli effetti delle violenze, in passato impensabili. Non è vero se non in parte, perché la ferocia nel perseguire sui i vinti è una costante.  Vae victis disse Brenno ai Romani sconfitti.  Roma rase al suolo Cartagine, ma gli esempi sono molti in ogni epoca. Il genocidio  degli Ebrei avvenne attraverso l’uso delle camere a gas, i crimini di Stalin trovarono nelle deportazioni in Siberia e nel freddo il loro strumento  di morte senza ricorso a tecnologie particolari. I bombardamenti che distrussero intere città  non possono essere dimenticati: Dresda fu distrutta senza necessità belliche, come è facile dimostrare.
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Nacquero  le organizzazioni internazionali dopo la prima e la seconda  Guerra mondiale e se Ginevra fu incapace di prevenire, l’Onu si sta rivelando un carrozzone del terzo mondo che non va oltre delle riunioni rivelatesi inutili anche per i veti che paralizzano ogni decisione . L’aggressione dell ‘ Ucraina è un’altra pagina terribile che vede risorgere l’imperialismo russo più brutale  e trova la NATO e l’Europa inadeguate e in parte responsabili nell ‘aver suscitato – se ce ne fosse stato bisogno – un panslavismo che rappresenta una costante della storia russa , rafforzata dal comunismo sovietico. Il pacifismo è una delle idee più nobili , ma spesso si rivela impotente e perfino controproducente. A mantenere la pace dopo la seconda guerra mondiale e’ stato l’equilibrio del terrore e la paura del nucleare . Le colombe picassiane hanno giustificato gli armamenti sovietici come i partigiani della pace hanno costituito un pericolo per l’ Occidente .  Il pacifismo auspica l’abolizione della guerra ed è fuor di dubbio che esso opponga un rifiuto ai miti nazionalisti che inneggiano alla guerra. Le contese internazionali – ineliminabili nella storia umana – vanno risolte per via diplomatica e non attraverso il ricorso alle armi. C’è anche chi auspica il disarmo e l’abolizione degli eserciti, ma si tratta di proposte che si sono rivelate impraticabili nella realtà . Il disarmo non dovrebbe mai essere unilaterale, ma di tutti: un’ipotesi impossibile. Paradossalmente un certo tipo di pacifismo potrebbe favorire la guerra perché la debolezza degli Stati portano altri Stati ad approfittarsene.
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Il pacifismo non sempre è il mezzo per realizzare il fine della pace.  In ogni caso il pacifismo che ricorre alla violenza appare senza il minimo dubbio una vera e propria assurdità. Se ci fosse più cultura, pagine immortali come quelle di Kant sulla pace perpetua, sarebbero più conosciute. Esse eviterebbero errori evidenti dovuti alla semplificazione manichea della storia. Kant non si avventura nei temi giuridici, ma resta nell’ambito filosofico. Kant è ben consapevole della distinzione tra politica e morale, un discorso non sempre chiaro, mentre da Machiavelli in poi il pensiero filosofico ancorato alla storia capisce che l’essere e il dover essere non coincidono  quasi mai. Gli utopisti che fanno coincidere la politica con la morale provocano danni e generano confusione  senza apportare contributi utili. C’è infine il tema della non -violenza che non va confuso con il pacifismo, come avviene oggi. La non- violenza è un metodo di lotta politica formulato da Gandhi. Non violento fu anche Martin Luther King  e in Italia Aldo Capitini e Marco Pannella. La non-violenza appare oggi  anch’essa una forma di utopia perché la violenza e l’irrazionalismo stanno travolgendo le basi stessa della convivenza civile. Lo storico Luigi Salvatorelli sosteneva l’esigenza di essere razionalisti in un mondo preda dell’irrazionalismo novecentesco.  Oggi torna questa esigenza. Almeno quella della banale razionalità.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: La violenza – Nada – Disertori di guerra e manovre elettorali -Lettere

La violenza
La violenza che ha travolto l’Italia per Gaza, può piacere a molti che vedono in essa l’inizio di quella “rivolta sociale“ che Landini non è riuscito a realizzare, mentre  adesso i sindacalisti di base stanno prendendo il sopravvento. A me liberale questa violenza che vuole bloccare il Paese , non piace affatto. La via della pace non si persegue attraverso la violenza. Vedere gente fanatica che domina le vie, sapere di presidi – pubblici ufficiali – che chiudono le scuole e impediscono agli allievi di scegliere liberamente di non partecipare al corteo mi offende come docente e come cittadino.
Ha un riflesso psicologico anche sulla mia libertà di scrivere. Non vorrei essere inconsciamente preso anch’io da una autocensura che mi è sempre stata estranea. E’ un clima irrespirabile perchè amo sempre esplicitare il mio pensiero. Non parliamo d’altro. Per fortuna che c’è anche chi parla d’altro, pure se attraverso  un   provincialismo volgare che ha “leso“ un partito, diviso su tutto, se non nella caccia allo “sporcaccione“ di turno che viola le regole della buona educazione anche nelle sedute on line dei quartieri. Figurarsi sotto le lenzuola….
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Nada
Narciso Nada avrebbe compiuto 100 anni a settembre. Sono stato il primo a scriverne sul “Corriere“. E‘ stato un grande ricercatore storico con il fiuto di  un cane da tartufi nel trovare documenti. Non ebbe la notorietà che avrebbe meritato. Era umile, mite, non impiccione, come molti colleghi. Faremo in Comune  un suo ricordo.
Walter Maturi in un suo corso cito ‘ “il nostro Nada“ per indicarne il valore giovanile. Lo rividi una volta dopo la morte della moglie più giovane di lui e anche lei docente universitaria. Era sconvolto: un uomo finito che non si lasciò andare. Ancora una lezione come ai tempi dell’ Università. Narciso, non lasceremo che ti condannino all’oblio quelli che appartengono alla cerchia di chi ti rese la vita difficile perché non la pensavi come loro: fondatore nel 1961 del Centro Gobetti con i più noti nomi della cultura, avesti il coraggio di andartene dal circolo oggi diretto da Polito. Un’altra  lezione di indipendenza di un chierico che non tradisce.
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Disertori  di guerra e manovre elettorali
Su questo giornale ho condotto la battaglia contro  la stupida  e ingiusta idea di onorare i disertori di guerra nel 2015 – 2018 per il centenario della   Grande Guerra. Adesso ritorna la stessa polemica a livello regionale in Veneto tra chi vorrebbe – anche con spese non indifferenti per la collettività regionale – restituire l’onore ai disertori di  guerra. La stessa solfa priva di fondamenti storici. Ogni guerra porta con sé mille violenze e oggi ne siamo ancora più consapevoli di ieri.
Le guerre mondiali iniziarono l’età delle stragi. Le anime candide venete che fanno baruffe elettoralistiche  sui disertori della Grande Guerra dovrebbero vergognarsi. Chi diserta è  un traditore, poi, come sempre accade, ci furono errori ed esagerazioni. Ma, per rispettare i Caduti che diedero la vita per l’Italia, c’è solo la strada del silenzio; dopo oltre cent’anni non è possibile che il silenzio solenne che viene suonato nel ricordo dei Caduti il IV novembre.
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Sgarbi
Cosa pensa della vicenda del suo amico  Sgarbi la cui figlia vuole che sia un giudice a nominare un amministratore dei suoi beni. E ‘ davvero una misera fine di un uomo che pensava di essere un nuovo d’Annunzio e dimostra la scarsa moralità della destra .
Rino Gigli
Lasci stare la moralità della destra e lasci stare d’Annunzio che credo lei non  conosca a sufficienza per giudicarlo. Sgarbi di cui non ho condiviso molte scelte, lo rispetto e gli sono solidale perché deve soffrire molto. La mia non è una solidarietà tra uomo e uomo,  ma umana. Ha avuto tre figlie forse per leggerezza, senza davvero essere desideroso di essere padre. Nessuno ha il diritto di esprimere giudizi sulla vita privata, sulla malattia e sui dolori di un uomo che è anche un grande studioso e tale resta, al di là di tutte le malvagità presenti e future. La politica deve stare lontano. Tacere e basta.
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Il salone dell’auto ritorna
Ma è mai possibile il salone dell’Auto sempre nelle stesse piazze auliche, malgrado l’incidente di piazza San Carlo? Cosa fa la Sovrintendenza per tutelare queste piazze? Il Comune pensa solo ad una ricaduta economica del Salone o al suolo pubblico per fare cassa. Teresa Nettinu
Un salone dell’auto a Torino che non è più la città dell’auto e  dopo tutte le recenti vicende anche giudiziarie  della famiglia  Agnelli – Elkann? Una famiglia che non ha più il diritto morale di vivere a Torino.  Un  salone con poco senso purtroppo. Sembra  infatti che sarà  un salone di auto prevalentemente cinesi. L’auto italiana quasi non c’è più. Neppure il Presidente della Repubblica viaggia più su una macchina italiana. Cosa voglia dire un salone a Torino oggi non so dirglielo. Torino ha il museo dell’auto. Chi lo ideò, vide lontano. Circa le piazze non ho idee precise. Certo Cioccolatò o altre feste campagnole in piazza San Carlo erano peggiori del Salone dell‘Auto nella città in cui la Fiat si è suicidata. Questa è diventata una città di camerieri, era una città di operai che producevano, malgrado i sindacati abbiamo fatto di tutto per assecondare il suicidio della Fiat.
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Il contante ti salva
Mi sono trovato con un bancomat che a fine mese aveva raggiunto il Plafond e non ho potuto pagare. Per fortuna avevo del  contante con me. Ho pensato a quei cretini che vogliono abolire il contante. Gente che non sa vivere. Giulio Castellini
Sono d’accordo con Lei. Mio padre che ha girato il mondo, mi diceva sempre di viaggiare con il contante che poteva diventare, nelle emergenze, l’unica ancora di salvezza. Mi raccontò episodi nei quali il contante rese possibile una cosa non praticabile diversamente.  La mia diretta esperienza mi porta a dire che i contanti e anche il dimenticato libretto di assegni sono utili e, a volte, indispensabili. Alcune volte  il bancomat stesso  non funziona. Chi gira solo con il bancomat e vuole comprare il gelato con la moneta elettronica non conosce la vita. E’ un poveretto, assillato da un’ unica  idea: il commerciante deve pagare le tasse. La vita è più complessa ed esige flessibilità.

L’omaggio di Quaglieni a Pertini

Un improvviso e importante accertamento diagnostico ha impedito a Pier Franco Quaglieni, storico e presidente del Centro Pannunzio, di partecipare domani all’inaugurazione del monumento a Sandro Pertini ad Alassio. L’evento, organizzato su invito del Vicesindaco Angelo Galtieri, avrebbe dovuto vederlo in prima linea per ricordare la figura del Presidente.

In un messaggio, Quaglieni ha voluto esprimere il suo profondo legame con Pertini, un uomo politico che ha avuto modo di conoscere personalmente. “Si può pensarla come si vuole, ma Pertini è stato un politico integro e coerente che ha saputo pagare sempre di persona per le sue idee socialiste, ispirate agli ideali di Matteotti e contrarie agli estremismi, i suo nome va storicizzato e liberato da un uso rituale sbagliato e da ostilità preconcetta inversamente proporzionale alla ritualità agiografica ” ha affermato.

Il Presidente della Repubblica, con la sua profonda umanità, riuscì a conquistare l’affetto popolare, diventando, a detta di Quaglieni, un “simbolo dell’Italia civile” tanto cara a Norberto Bobbio. “Può aver commesso errori come tutti i militanti appassionati,” ha aggiunto Quaglieni, ma il suo ruolo nella storia italiana rimane fondamentale.

Il ricordo personale di Quaglieni si tinge di aneddoti, come la visita di Pertini a Torino per il Museo del Risorgimento, che dimostrò un forte legame con figure storiche come Garibaldi e Mazzini, senza disprezzare Cavour e Vittorio Emanuele II. La decisione di Alassio di onorarlo con un monumento, così come quella di Torino di dedicargli l’aeroporto, è vista da Quaglieni come un giusto riconoscimento. Un tributo che, a suo avviso, avrebbe dovuto estendersi anche al ponte di Genova ricostruito.

Infine, Quaglieni ha ricordato con affetto l’amico Alfredo Biondi, che spesso lo omaggiava imitando bonariamente il Presidente, segno di un rispetto e di un’amicizia che andavano oltre le differenze politiche

La violenza non si giustifica mai. In democrazia non può trovare attenuanti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Giustificare la violenza fa tornare indietro l’Italia al biennio rosso e alle violenze fasciste. La violenza è illegittima quando si rispettano le regole della Costituzione che garantiscono i diritti di tutti i cittadini . Protestare in Italia per la Palestina, ricorrendo  alla violenza  è cosa  da rifiutare sempre.   Anche perché si rivela assolutamente inutile per affermare una qualsiasi causa, anche la migliore. Il migliore  dei fini non giustifica il mezzo violento perché ad un certo punto bisogna porsi la domanda non solo per giustificare i fini, ma anche i mezzi. Un tema molto caro a Bobbio,oggi dimenticato da molti. Un giornalista ha semplificato le cose, dicendo che i violenti in piazza sono delinquenti comuni. Questa affermazione depotenzia la denuncia contro l’uso della violenza per fini politici e finisce di ridurre un grave fenomeno politico in una  esibizione di teppismo . Chi ha vissuto Il ‘68 ricorda che il ricorso alla violenza è stato l’anticamera  del terrorismo individuale e di gruppo  . I Centri sociali non sono formati da ragazzi scaprestati, ma da gente che ritiene normale ricorrere alla violenza quasi a livello professionale. Ci sono pagine di Lenin che spiegano i rivoluzionari di mestiere. Bloccare una città, paralizzare  i porti, le stazioni, le autostrade non può essere un fatto normale, perché in democrazia la protesta non può imporre ai cittadini la paralisi della città . La democrazia oppone alla piazza il Parlamento. Chi pretende che tutti “partecipino” allo sciopero, subendo dei limiti inaccettabili alle proprie libertà, allineandosi con gli scioperanti, è un nemico della democrazia. Impedire a chi ha bisogno, ad esempio ,di un soccorso sanitario urgente  di accedervi perché le strade bloccate lo impediscono non può essere giustificato per nessun valido  motivo. E’ la fine della libertà e della civiltà. E’il ritorno all’ homo homini lupus di Hobbes. Ciò che accade a Gaza non può essere combattuto con manifestazioni  violente che danneggiano la vita civile. La violenza di Gaza non si può combattere con la violenza in Italia, danneggiando gravemente i cittadini. Lo sciopero politico è un vecchio arnese del sindacalismo rivoluzionario che sfociò nel fascismo. Questa è la verità che troppi dimenticano. E non si può non considerare che storicamente la violenza genera  sempre altra violenza. La pace non si può imporre con la violenza di piazza. La pace è un valore  in totale contrasto con la violenza. Pannella digiunava per protestare , rischiando la propria vita. Chi incendia e distrugge non produce mai effetti  positivi. Il dissenso va totalmente disgiunto dal ricordo alla violenza. Giustificarla magari anche solo sotto voce appare un gravissimo errore che determina odio incendiario con effetti solo ed esclusivamente negativi. Di fronte alla delinquenza politica, per assurdo, potrei capire, senza  giustificarla, la delinquenza comune, ma  rifiuto una qualsivoglia indulgenza per quella di matrice politica e ideologica perchè essa lede la società nel suo insieme e non dei singoli danneggiati nei loro averi o nella loro incolumità. Stiamo attenti perché ieri siamo entrati in un clima che può uccidere la convivenza civile garantita dalla Costituzione.

In copertina foto archivio

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: XX settembre ed IMI – Un’Italia sempre più  illiberale – Lettere

XX settembre ed IMI
Per avere un ‘idea dello stato confusionale in cui è precipitata  l’Italia è sufficiente leggere sul “ Corriere della sera“, liquidata in poche righe ,la notizia  della istituzione della giornata dell’internato militare fissata il 20 settembre. È  stato un voto unanime del Parlamento ad istituire l’ennesima giornata. Appare un errore marchiano aver  dimenticato l’altro XX settembre, quello del 1870, che ricorda la Breccia di Porta Pia e Roma capitale, per far  coincidere due temi storici nello stesso giorno che non hanno nulla di simile. Anzi l’ultimo cancellerà quello dell’800 così indigesto ai clericali di ogni tempo. Ho scritto molto  ed ho battagliato per anni perché gli Imi, gli internati militari italiani,  avessero il dovuto riconoscimento per decine d’anni  loro negato soprattutto dai comunisti che vedevano nei soldati del Regio Esercito fedeli al giuramento dei “badogliani“, termine coniato da Hitler e dalla Rsi.  Ma dedicare loro una giornata resta anche un  grave errore se si pensa che in questo modo si mette in disparte  dalla giornata della memoria e dallo stesso  25 aprile il ricordo di chi si oppose ai tedeschi e fu loro prigioniero. Solo gente superficiale e digiuna di storia può farsi promotrice una giornata che cancella una data molto importante del Risorgimento e toglie spazio agli IMI nelle suddette date del 27 gennaio e del 25 aprile. Gli Imi furono dimenticati  per decine d’anni dalle feste della Liberazione perché gli Imi portavano le stellette.
Posso testimoniare che certi miei discorsi il 25 aprile diedero fastidio all’ Anpi perché parlai di IMI. Non si riesce a risalire ai deputati proponenti, se non l’ex grillina Castelli ,perché apparve subito un unanimismo sospetto su un terreno  pur ancora altamente  divisivo. Chi non ha colto l’errore di data che oscura il XX settembre risorgimentale  è indiscutibilmente un ignorante. Lo Stato laico fondato sul separatismo cavouriano tra Stato e Chiesa nacque dalla breccia dei bersaglieri a Porta  Pia che segnò  la fine del potere temporale della Chiesa e fu l’atto sul quale poggiò la Legge delle Guarentigie che attuò il “Libera Chiesa in libero Stato“, a sua volta fondato sulle leggi Siccardi che abolirono i privilegi ecclesiastici nel regno di Sardegna nel 1850.  Che oggi l’intero parlamento dimentichi la storia d’Italia riempie di amarezza e  anche di indignazione. L’internato militare Giovannino Guareschi che amava il Risorgimento e si identificava nel vecchio tricolore con lo scudo sabaudo, sarebbe il primo ad indignarsi di una classe politica che legifera senza conoscere la storia.
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Un’Italia sempre più  illiberale
Un paese che sta vivendo certi fatti senza reagire, è  un paese che non merita rispetto e che spiega perché Giuseppe Prezzolini si definisse anti- italiano  e parlasse di “porca Italia”. Un paese in cui i professori universitari vengono aggrediti o addirittura rimossi per le loro idee politiche è un paese sudamericano.
Un paese in cui si vuole imporre a colpi di probiviri codici linguistici politicamente corretti , è un paese che allontana le donne e gli uomini liberi dalla militanza obbediente a gente ossessiva e ossessionata che è profondamente antidemocratica. Uno dei tanti motivi che ha portato a disertare il voto. Un paese in cui, a furor di popolo, si richiede la rimozione di un giudice per una sentenza che viene considerata sbagliata ed è stata  subito appellata ,e ‘ una repubblica delle banane in cui il diritto e le sue regole  più elementari sono alla mercé delle nuove tricoteuses del terzo millennio, del tutto  simili a quelle che si godevano  tra gli schiamazzi il macabro spettacolo della ghigliottina. Questo è diventato un paese illiberale  in cui bisogna  misurare le parole per poi scegliere il silenzio, imposto dalla prudenza che è cosa più grave del conformismo. Le frasi urlate  in certi cortei fanno rabbrividire e sono tutto fuorché pacifiste. Questo andazzo  è qualcosa di molto simile al fascismo con la sola differenza che il manganello non è più quello di legno , ma quello mediatico. Se pensiamo che a Cristina Seymandi c’è chi imputa, con linguaggio irridente,  come una colpa il fatto di aver subito una violenta aggressione registrata in diretta, si ha un esempio del clima irrespirabile. A tutto questo si deve aggiungere un clima che induce le persone sensate  a pensare al pericolo ineludibile di una guerra imminente. Siamo nelle mani di politicanti incapaci ed improvvisati che ci stanno portando alla catastrofe. Non escluderei nessuno perché i grandi e i piccoli della terra stanno facendo a gara nel dare il peggio di sé.
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Lettori e lettrici
Il circolo dei lettori e delle lettrici (nuova dizione in linea con la nuova parità di genere) riprende alla grande con interviste ed  articoli  prettamente politici anche sull’insediamento del ministero della cultura al suo interno. Mi sembra un segnale non da poco del nuovo Min.Cul.Pop. che sta insediandosi anche  nella cultura torinese. Il cugino del brigatista rosso  Culicchia che adesso celebra il  giovane missino ammazzato è la sintesi del nuovo corso. Il Circolo dei lettori fondato da Antonella Parigi e da Gianni Oliva  è diventato il crocevia di evidenti risvolti politici. La cultura come pluralismo è ormai  cosa lontana. La destra si rivela  faziosa come la sinistra. Vilma Giubetti
Culicchia si è appena insediato. Prima di giudicarlo, lasciamolo lavorare. Poi daremo un giudizio. Che qua e là ci sia aria da Min.Cul.Pop. mi pare un ‘osservazione non infondata: è un pericolo grave a cui sarà doveroso opporsi.
I due Franceschi
Ho letto che sia Barbero sia Cazzullo si sono cimentati con due libri su San Francesco. Cosa ne pensa?     Bianca Mastrangeli
Io mi occupo di storia contemporanea e risorgimentale , non ho fatto all’Università neppure un esame di storia medievale. Quindi non ho  la competenza per giudicare. A grandi linee le posso dire che questa volta Barbero ha scritto un libro stando nell’ambito  temporale di sua competenza . Cazzullo è un giornalista di successo  che scrive anche  di storia. Forse ambisce ad essere un nuovo Montanelli. Tutti e due gli autori sono bravi divulgatori e quindi non sono sicuramente libri noiosi. Su San Francesco lessi in passato libri autorevoli e non credo ci siano motivi per una revisione storiografica. Il nome Francesco è tornato di moda per il pontificato di Papa Bergoglio. Ed è sull’onda di Bergoglio che i due libri avranno successo.  Franco Cardini si è cimentato su San Francesco con ottimi risultati. Il pericolo è di cadere consciamente o inconsciamente nelle agiografie, una tentazione sempre in agguato per chi scriva di Santi.