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Addio a Goffredo Fofi, il colto illiberale

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni
Goffredo Fofi è stato l’esatto opposto della mia idea di uomo o donna di cultura. Quasi tutto ciò che ha prodotto va contro il mio modo di pensare. Gli sono grato per aver rivalutato Mario Soldati regista, ma lo ha fatto tardivamente. La mia gratitudine finisce qui, al massimo si allarga al fatto di  aver fatto conoscere in Italia il romanzetto più sconcio che  erotico “Emanuelle“ che contribuì a liberare il sesso dal perbenismo e consentì a noi giovani di liberarci della  nostra pruderie  adolescenziale.  E’ anche l’unico merito che riconosco al ‘68 che consenti’ una vita sessuale non inibita dai formalismi tornati con il politicamente corretto di questi anni. Ma la pubblicazione del libro Fofi la volle soprattutto  per finanziare la sua battaglia politica di estrema sinistra. Ha collaborato con tutti quelli che io non apprezzo: Danilo Dolci, Pier Giorgio Bellocchio, Lucio Lombardo Radice ecc. : tutto il comunistume possibile. Ha sostenuto nell’ esordio Baricco e Saviano, per non parlare di “Torino Ombre rosse” e “Quaderni piacentini”, la quintessenza della contestazione  sfociata nel 67 – 68.  Un  suo libro sull’immigrazione a Torino era così fazioso che l’Einaudi non lo pubblicò forse per non dispiacere alla Fiat. Ha incredibilmente rivalutato Totò ed è un altro dei suoi pochissimi meriti. Non ha mai avuto un seggio in Parlamento come tanti suoi colleghi, ma certamente è appartenuto al culturame engagé che tanto male ha arrecato alla cultura e alla scuola italiana. Fondò anche la rivista “Gli asini”, pur essendo un uomo colto. Appartenne a quella cultura illiberale che fece indignare Pannunzio. Su Wikipedia sta scritto che nel 1972 collaborò con Gaetano Salvemini morto nel 1957. E’ a gente come Fofi che va attribuita la crisi dei valori veri in nome di un’ideologia falsa, smentita in modo vistoso dalla storia.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Il caso Garlasco, il processo mediatico e la politica che inquina – Ius Scholae e altro – Lettere

Il caso Garlasco, il processo mediatico e la politica che inquina
Quando in estate i giornali riproponevano- in assenza di notizie –  i grandi processi del passato, era l’occasione per rinnovare qualche chiacchiera da bar tra i vacanzieri.  Per lo più si trattava di delitti riguardanti donne ammazzate o mantidi avvelenatrici dei loro amanti o mariti. Soprattutto erano i giornali della sera a riempire le loro pagine di storie passate, in mancanza di cronache presenti. Oggi l’interesse per il delitto di Garlasco e due giovani che,  secondo le diverse partigianerie, avrebbero ucciso la giovane Chiara, è diventato patologico. Mi è capitato di ascoltare un’attempata ex PM che non è mai neppure toccata dal dubbio perché i magistrati, anche quando sbagliano, hanno sempre  ragione come Mussolini  (ricordiamo il caso Tortora!) ha dichiarato che la condanna di Stasi è una condanna giustissima, malgrado due precedenti assoluzioni  che hanno scarsa importanza. L’ex magistrata,  tanto per non smentirsi mai, ha colto anche  l’occasione per attaccare il ministro Nordio. E’ stato patetico ascoltare una autentica fesseria da parte sua  come quella  di definire “sacre” le aule giudiziarie anche perché in uno Stato laico neppure le chiese dovrebbero considerarsi sacre, almeno  dalle leggi Siccardi in poi. L’ex Pm con toni da requisitoria della Santa Inquisizione ha definito ogni revisione del processo una delegittimazione della Magistratura che rientra nel piano più ampio del governo di rendere autoritario il Paese. Poi ho ascoltato dei giornalisti che porterebbero a sentirsi estranei alla categoria: hanno imbastito un processo mediatico che rende  le persone colpevoli o innocenti prima ancora che i processi abbiano inizio. La corporazione dei magistrati ha molto da farsi perdonare se un suo capo ha detto con disarmante sincerità  che occorrerebbero due magistrati vittime per riscattare la categoria.
La politica settaria  ha portato a smarrire per strada la terzietà, l’indipendenza , la riservatezza dei giudici tanto amata da Calamandrei, sempre citato a senso unico. C’è un Pm che ha dichiarato  nei giorni scorsi ai giornali  che lui ha il “dovere “ di parlare in Tv e altrove, magari anche in piazza, confondendo il diritto con il dovere  che, invocato a sproposito, è un’offesa per la grande maggioranza dei magistrati silenti che lavorano seriamente senza aspirare alla notorietà.  Ne ho conosciuto tanti, ne cito uno per tutti, quel Bruno Caccia ammazzato sotto casa che tirò sempre dritto per la sua strada, rifiutando perfino l’idea di scioperare che riteneva estranea allo stile di un magistrato. Il volto di Caccia era sconosciuto ai più mentre ci sono magistrati che anelano alle foto e alle interviste. Il delitto di Garlasco è in alcuni casi l’occasione non tanto per dare sfogo alla morbosità del popolino, ma alle sparate politiche più incredibili e faziose. Il diritto di cronaca non va mai confuso con la fuga di notizie: i giornalisti che ho citato si sono addirittura vantati di “aver messo  le mani nelle carte“ , fatto indebito in termini assoluti perché la segretezza degli atti giudiziari va sempre rispettata specie nella fase istruttoria. I processi indiziari sono molto delicati e andrebbe sempre ribadito che un indizio non è una prova e che i teoremi giudiziari sono l’esatto opposto della giustizia  che si fonda sui fatti. Nel dubbio deve valere l’antica massima latina  “pro reo”. Davvero questo Paese è molto mal messo se dà  voce e credibilità a certe persone che  non sanno nulla del Diritto che forse inconsciamente calpestano con disinvoltura, senza tenere conto che dietro ad ogni delitto ci sono vittime da rispettare e imputati che vanno considerati innocenti fino al terzo grado di giudizio. Anche l’uso e l’abuso del carcere preventivo adoperato durante Tangentopoli per far parlare gli accusati, è  una forma di barbarie da condannare.  Ascoltando l’altra sera certi discorsi che rivelano una certa oscenità anche morale, ho pensato al mio amico Vittorio Chiusano che sperava , sia pure tra qualche dubbio – il dubbio dei liberali – che la Legge Vassalli avrebbe cambiato le cose. Purtroppo  non è  stato così e la musica  non cambierà mai fino a che il Parlamento non vari una vera riforma della Giustizia.
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Ius Scholae e altro 
All’indomani di un referendum in cui gli Italiani con il non voto e con il voto (ambedue strumenti ammessi dalla Costituzione che ha fissato un quorum di votanti per ritenere valido un referendum) hanno bocciato in modo massiccio l’abbassamento da 10 a 5 anni  il periodo  per l’acquisizione della cittadinanza italiana appare quasi  una boutade estiva quella dello Ius Scholae. L’acquisizione della cittadinanza attraverso la frequenza di una scuola italiana potrebbe anche essere una strada percorribile, ma oggi l’attuale opposizione è arroccata su posizioni iper-  permissive in materia di immigrazione che non consentono compromessi.
E’ chiaro che c’è gente in Italia che vuole i voti degli immigrati per ottenere una maggioranza che non ha mai realmente avuto. L’uso strumentale degli immigrati, non la loro integrazione è l’intento che muove una certa parte politica che osò far eleggere un deputato nero che ha intrallazzato in modo indecente  sulla immigrazione. Certo i diritti degli immigrati vanno riconosciuti, ma quello di voto è un’altra cosa. Io lo toglierei, come ho scritto più volte, a gran parte degli Italiani all’estero che non pagano tasse in Italia e sono ormai lontani sotto ogni punto di vista con la madre patria. Non è giusto che decidano sul futuro di un Paese che non conoscono. La stessa materia delle due cittadinanze andrebbe rivista in modo restrittivo perché il diritto di voto è una cosa seria per chi crede davvero nella democrazia partecipata.
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Per Fusi sala pienissima, ma troppi assenti ingiustificati
Nella sala rossa del consiglio Comunale ho avuto il privilegio di ascoltare la sua  straordinaria orazione e quella del procuratore generale Marcello Maddalena, ma  ho avuto anche il dolore di vedere l’assenza di tutte le associazioni partigiane, dei Granatieri di Sardegna, dell’Ordine Mauriziano di cui Fusi fu presidente,  dell’Istoreto e del liceo d’Azeglio, ormai in mano a giovani turchi incredibili. Cosa ne pensa?  G. Ramella Figlio di un partigiano
Cosa vuole che ne pensi? L’andazzo dell’ oblio e degli studiati silenzi è ormai predominante. Ringrazio la presidente del Consiglio Comunale Grippo per aver voluto la commemorazione che ha presieduto fino alla fine, malgrado non stesse bene. E ringrazio gli ex consiglieri comunali presenti che sono davvero emeriti. Un solo consigliere in carica ha partecipato, l’ing. Ferrante  De Benedictis. C’è stata anche una fugace apparizione di Viale, ma poi ha capito che il tema Fusi non era per lui ed è uscito. Così si è perso del mio discorso l’incontro tra Fusi e Pannella nel 1974 al centro Pannunzio. A me è bastata la presenza di Giovanni Quaglia ex presidente della Crt ed esponente di spicco del mondo cattolico, per sentirmi  onorato e contento. Molti politici quel giovedì erano al funerale dell’ex direttore di Torino 2006 e hanno messo in secondo piano Fusi.
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(Nella foto di copertina la Sala Rossa in occasione della celebrazione in onore di Valdo Fusi, sopra e sotto altre immagini dell’evento)
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Scena muta agli orali
I casi dei quattro studenti promossi alla Maturità, malgrado la “scena muta” agli orali sono scandalosi, come vergognosi sono i giornalisti che esaltano questa nuova forma di contestazione a costo zero . E ovviamente anche la commissione che promuove senza che tutte le prove siano state affrontate, merita un biasimo sociale  evidente.
Cosa ne pensa? Loretta Galli
Penso che la Maturità vada ripensata, specie se consideriamo che già durante l’ultimo anno scolastico ci sono studenti che superano la prova di accesso a corsi universitari, di fatto vanificando le successive prove dell’Esame di Stato. Quest’ultimo è diventato un proforma con crediti per gli ultimi tre anni di frequenza scolastica, i due scritti e gli orali. Facendo la somma, si ha il voto finale, come fossimo ad un concorso di bellezza o al premio Strega. Così i due che si sono sottratti all’orale, sapendo i punteggi di ammissione e degli scritti,  hanno fatto i loro conti e hanno pensato che, avendo raggiunto la sufficienza, potevano sottrarsi alla prova orale che invece  è quella decisiva per valutare la maturità di un allievo. È infatti  nel dialogo collegiale con la commissione che si può verificare la maturità di un giovane. Le prove scritte potrebbero anche essere state copiate o non essere del tutto frutto dell’impegno dello studente. La possibilità di “contestare” la prova orale, sottraendosi all’orale in una scuola seria non può essere ammessa.  Se si contesta il sistema dei voti non si capisce perché non vengano contestati i voti dei due scritti che non sempre sono corretti in modo collegiale perché, ad esempio, una versione dal greco non può essere corretta collegialmente da una commissione in cui sono presenti persino gli insegnanti di ginnastica. Solo commissioni conformiste e pavide reagiscono alla contestazione, promuovendo oves et boves. La maturità così raggiunta è un foglio di carta e nulla di più. La valutazione complessiva dell’allievo non c’è più. È un calcolo di punteggi che può essere affidato ad una calcolatrice più che ad una commissione d’esame. Urgono provvedimenti volti ad abolire l’esame farsa o a ristabilire regole certe che giustifichino un esame vero.
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Libri e cioccolato
Al posto della libreria Luxemburg, erede della storica libreria Casanova, il proprietario dei muri Angelo Pezzana, già’ deputato radicale e fondatore del Fuori, ha pensato bene di affittare i locali a Venchi, cioccolato e gelati. Un pugno in un occhio in una piazza storica come la piazza Carignano. E nessuno dice nulla, ovviamente. Salvatore Alinovi
Se hanno ottenuto  le  licenze, c’è poco da discutere. La libreria fondata da Pezzana ha dovuto sloggiare in altri locali perché Pezzana l’aveva legittimamente venduta,  tenendosi i locali: era ormai più che ottantenne e con problemi di salute. Che una libreria diventi un negozio di cioccolato può dar fastidio, ma questo appartiene al degrado progressivo dell’immagine  della Città. Uno come Valdo Fusi non sarebbe stato zitto.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Pier Giorgio Frassati, un santo borghese – Premi e “amichettismo”- Giovanna Cattaneo Incisa della Rocchetta – Lettere

Pier Giorgio Frassati, un santo borghese
Cent’anni fa moriva Pier Giorgio Frassati (nella foto di copertina) che verrà proclamato santo in settembre dal Papa. Una figura straordinaria che, appartenendo ad una ricca ed importante famiglia piemontese, seppe farsi carico di una testimonianza cristiana autentica, fondata sull’altruismo e la  dedizione ai disagiati. Ho conosciuto la sorella Luciana Gavronska  che dedicò anni della sua vita per far conoscere il fratello morto. Spesso mi parlò di lui. Mario Soldati diede un contributo non indifferente alla causa della sua beatificazione durata troppo a lungo: i tempi del santo subito verranno tanti decenni dopo. Per Frassati fu applicata la regola dei piccoli passi. A sbloccare lo stallo fu il Papa polacco.
Jas Gavronski che  ha scritto mirabilmente dello zio, mi parlò di questo credente con i fatti e non con le parole, nato in una famiglia  in cui la religione cattolica non era certo così sentita. Il senatore Frassati, padrone de “La stampa” che  era  considerato un  miscredente se non un  framassone, fu molto impressionato dalla lezione umana e religiosa  del figlio.  Pier Giorgio fu confuso erroneamente da tanti   con i “santi sociali”  torinesi come don Bosco e il Cottolengo. La sua storia fu totalmente diversa come è facile da cogliere pensando alle opere dei due santi torinesi considerati sociali.
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Premi e “amichettismo”
Mario Pannunzio fu un critico severo dei premi letterari, compreso lo “Strega” che venne attribuito al suo amico Ennio Flaiano. Per dirla con una parola attuale molto in voga i premi si reggono sull’amichettismo e sui baratti tra case editrici . Anche sui legami politici perché certi partiti si sono infilati anche nei premi letterari. Ho assistito alla parte finale del premio 2025 naturalmente  su Rai 3 e più volte sono stato tentato di spegnere il televisore.
Più che un premio letterario sembrava quasi un comizio a molte voci, ma con temi sempre uguali, come un ossessionato antisemitismo filo palestinese. Mi era capitato in altri tempi di seguire più da vicino il premio che porta il nome del  liquore Strega, oggi quasi dimenticato. Io ho una bottiglia in casa di “Strega” e ogni volta che cerco di rifilarlo ai miei ospiti ne ottengo un rifiuto. Forse è il premio a danneggiare il buon nome del liquore. Avevo avuto anche modo di poter avere un assaggio del premio in un bellissimo paese del ponente ligure. Peccato che anche lì l’incaricata della piccola kermesse non fosse all’altezza, anche se possiede un altissimo tasso di faziosità.  Era facile con Franceschini , oggi con Giuli (che non è certo una cima) è meno facile il trionfalismo nei confronti di un premio nato da una mediocre scrittrice e dai suoi amici della domenica. Se la Bellonci si fosse dedicata alle scampagnate, forse sarebbe stato meglio.
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Giovanna Cattaneo Incisa della Rocchetta
La Marchesa – per matrimonio – Incisa della Rocchetta – che nascose il titolo nobiliare da quando entrò in politica con il PRI ,ha avuto il riconoscimento di un ricordo cittadino. Se non fosse stato per il caldo, sarei anche intervenuto: era un’amica. Il lavoro fatto per la Gam e per palazzo Madama è stato egregio, anche se non era laureata in storia dell’arte ed era una semplice appassionata.
Torino le deve essere grata. Ma come sindaco non è stata certo significativa. Venne eletta dopo la precipitosa fuga di Zanone che così diede il via al suicidio del PLI  e dovette lasciare il posto dopo pochi mesi al commissario Malpica, uomo di Scalfaro, considerato in tempi successivi responsabile di malefatte  certo non a lui attribuibili. Nei pochi mesi di governo si limitò a galleggiare. Le ambizioni dei vari Marzano e altri consiglieri e assessori non le consentirono di toccare palla.
La maggioranza si sfaldò e si tornò a nuove elezioni con un nuovo sistema elettorale che prevedeva l’elezione diretta dei sindaci. Venne eletto per dieci anni Valentino Castellani, il migliore sindaco dopo Peyron. Incisa fu rieletta  consigliera insieme a Marino e Lodi, per Marzano fu una debacle che decretò la sua fine politica, anche se poi, passando al pds, tornò  in Sala Rossa. Anche Dondona, liberale, non venne rieletto, ma tornò in Comune con Forza Italia. Forse sarebbe stata anche una brava sindaca, sia pure senza esperienza. A sostenerla fu Giorgio La Malfa paracadutato a Torino da suo padre Ugo: Donat Cattin lo definì Gesù Bambino. Anche lui come Zanone distrusse un partito, il PRI che Silvano Alessio aveva costruito. L’unica donna politica del PRI in Piemonte e non solo è stata Bianca Vetrino, sindaco di Pino torinese, consigliere regionale di tre legislature, assessore alla Sanità e Vice Presidente della Giunta Regionale. Un partito serio avrebbe dovuto portarla in Parlamento. Susanna Agnelli non aveva nulla di repubblicano se non un certo snobismo . Ma Bianca come Viglione ha sempre preferito impegnarsi in Piemonte anche come presidente del Traforo del Monte Bianco.
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Il capitano Medaglia d’oro Franco Balbis
Ho molto apprezzato a suo tempo che Lei e il gen.  Franco Odello abbiate ricordato ad Alassio con la presenza del sindaco Melgrati il capitano Medaglia d’oro Franco Balbis caduto al Martinetto sotto il fuoco dei fascisti nel 1944. Partecipai alla cerimonia più di dieci anni fa quando si scoprì la lapide per Balbis voluta da Lei e da Lelio Speranza nell’istituto salesiano dove Balbis era stato allievo. Sono passato ieri a lasciare un fiore in ricordo di un vero patriota dimenticato forse anche perché valoroso combattente ad El Alamein. Assistei però anche  ad un episodio indegno che guastò in modo irrimediabile la bella  cerimonia perché l’alfiere  della FIVL, presente alla manifestazione,  aggredi’ con male parole e con  il ricorso alla violenza fisica il comandante partigiano Lelio Speranza vice presidente nazionale della FIVL , vicino ai 90 anni. Uno dei presenti in modo incredibile disse che tra gentiluomini queste cose non si fanno ,ma l’unico gentiluomo era Speranza. Fu un episodio vergognoso a cui assistette il direttore dell’istituto salesiano e credo anche Lei ed altri. Lei si ricorda del fatto ?  G. B. Sbarbaro
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Mi ricordo del fatto increscioso a cui credo abbia anche assistito il sindaco di Alassio Canepa e altri invitati.  So anche i motivi dell’aggressione, ma evito di ricordarli. Non erano certo nobili.  L’alfiere  era un contadino un po’ troppo rustico e ruspante che non fece mai la Resistenza. Alla sua morte venne esaltato per cose che non ha mai fatto e forse non sarebbe mai stato in grado di fare. Pace all’anima sua. Certo rovinò con la sua irruenza la manifestazione per Balbis che lui sì, diede la vita per un’Italia libera. Un episodio triste  da dimenticare. L’alfiere in questione in effetti era di fatto un simpatizzante dell’ ANPI, come mi capitò di constatare nel corso di  una penosa riunione anch’essa da rimuovere a cui partecipai e in cui Speranza venne attaccato violentemente dall’ alfiere.
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L’equilibrio dei poteri
La frequenza con cui  i TAR, la Cassazione e la Consulta intervengono sull’operato del governo e delle Regioni fa pensare che i diversi  poteri dello Stato non rispettino gli equilibri stabiliti dalla Costituzione. Forse è solo un’impressione o il legislatore odierno non riesce più  a legiferare con la dovuta chiarezza e correttezza costituzionale. Lei cosa ne pensa?    Gina Resto
In poche righe è impossibile rispondere. E’ difficile non pensare che in alcuni casi ci siano pregiudizi politici piuttosto evidenti. Va altrettanto riconosciuto che non sempre il legislatore si rivela all’altezza  del suo compito. Manca in molti ministri, sottosegretari e parlamentari una cultura giuridica e questo appare altrettanto evidente. C’è gente neppure laureata al governo. Il tema nel suo insieme è  un argomento troppo incandescente per… affrontarlo con questo caldo. Rinviamo il discorso a settembre, così  avremo modo di riflettere su un punto molto delicato della nostra vita democratica.

La scuola Holden e l’oro che luccica

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Adesso capisco dopo le polemiche innescate da una ex allieva della Scuola Holden di cui è fondatore e preside Alessandro  Baricco, cosa significhi la competitività esasperata che si genera in quella scuola tra allievi aspiranti scrittori. Avevo avuto occasione di conoscerne uno che ebbi l’ingenuità di invitare a cena dopo un incontro con due amici colleghi di due importanti università italiane. Il ragazzo stette in silenzio tutta la sera, ma poi riportò i discorsi che udì a docenti nemici dei due, aggiungendo pettegolezzi suoi. Ne nacque un piccolo caso diplomatico che mi premurai di risolvere rapidamente. Quando chiesi ragione di un comportamento sleale al giovane cresciuto alla Holden egli mi disse che “oggi per sopravvivere si fa così, senza andare tanto per il sottile”. Io ingenuamente pensavo di aver fatto una cortesia ad invitare a cena con due maestri un giovane. In effetti sbagliavo perché l’ex allievo di Baricco voleva trarre un vantaggio anche da un invito a cena. Un diabolico piccolo Machiavelli in sedicesimo che allontanai dai miei rapporti. Questo episodio dimenticato mi è tornato alla mente, leggendo dell’ambientino della scuola che rilascia diplomi senza valore legale (in effetti una convenzione con il ministero la ottenne e forse essa andrebbe quanto meno rivista) con delle rette di 20mila euro.
Sono sempre stato convinto che non si possa insegnare la creatività artistica dello scrittore e in ogni caso, leggendo i nomi dei docenti, ritengo assai improbabile che il miracolo di scoprire un nuovo scrittore possa essere compiuto da una scuola che potrebbe rischiare di illudere gli ingenui ed attrarre gli ambiziosi.
Tra il resto, ho scoperto che l’autore del testo scolastico di storia che fa politica spicciola, ha anche lui frequentato la scuola Holden e certo non ha appreso la storiografia in quelle aule. Forse l’ex allieva arrabbiata per aver buttato tempo e denaro, non ha la lucidità per apprezzare la scuola frequentata. C’è anche chi dopo averla frequentata  ha fatto carriera negli uffici stampa e nella politica. Forse la scuola Holden è davvero una stella del firmamento torinese come vorrebbero farci credere. E‘ certamente un bastione di quel deprecabile sistema Torino che neppure i grillini hanno saputo o voluto  intaccare: anzi, alcuni si sono omologati  senza problemi. C’è chi ha scritto che “la scuola Holden  è una macchina commerciale che crea un ecosistema di promesse ed illusioni“. Sicuramente la studentessa che denuncia nell’anonimato sui social, può aver esagerato o addirittura può aver diffamato. Ma il polverone che ha sollevato la sua denuncia deve far riflettere sul fatto che non è sempre oro ciò che luccica.

Le “Trame del tempo” degli ultimi vedovi del ’68

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La deputata Augusta Montaruli che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare quando era studentessa  all’Università, ha denunciato come “condensato di false notizie, offensivo e lesivo per chi voglia studiare la storia contemporanea” il volume “ Trame del tempo” edito da Laterza per gli istituti superiori. Gli autori dell’opera sono Valentina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi e Marco Meotto. L’unico autore che gode di una certa notorietà, in verità tutta politica, è il Greppi. La questione che ha portato l’on. Montaruli  a denunciare la faziosità del libro è legata a giudizi politici e non storici sul governo Meloni e sul partito Fratelli d’Italia.  I toni usati dagli autori sono con tutta evidenza settari e persino incattiviti dalla astiosità politica più evidente propria dell’estremismo di sinistra. Credo che sia un testo molto adottato da un certo tipo di docenti, oggi ancora prevalente nella scuola italiana , che fa della lotta al governo in classe uno dei fini principali della funzione docente. Sono gli ultimi vedovi del ‘68, dell’ideologia  intollerante al potere, a volte anche della violenza verbale e non soltanto. Poter imporre agli studenti un testo così schierato è per questi professorini motivo di soddisfazione, se non addirittura di piacere. La politica intesa come odio parrebbe essere il loro ideale anche di vita. Tutte le occasioni sono buone per protestare, andare in piazza, tentare di portare con loro gli studenti di per sé sempre desiderosi di scampagnate.
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Ma il problema è più a monte e risale al ministro Luigi Berlinguer che volle stravolgere i programmi scolastici di storia per poter far dedicare un intero anno al Novecento secondo una visione che portava naturaliter a confondere storia contemporanea con politica. Questo era il fine non tanto sottile di Berlinguer. Il testo in questione è l’espressione massima della visione scolastica di Berlinguer , uno dei peggiori ministri della P.I., assimilabile ai Sullo  ai Misasi e ai Malfatti della I Repubblica che devastarono la scuola di Stato, cedendo al permissivismo sessantottino.
Infatti la difesa del Greppi si fonda proprio sull’obbligo di giungere nel testo fino all’oggi, come voleva Berlinguer. Ma il Greppi forse ignora che la storia contemporanea ha dei limiti definiti che storici come Croce e Chabod hanno saputo identificare. Ciò che diventa oggetto di opinabile valutazione politica non è storia. Lo disse più volte lo storico Raimondo Luraghi.   Più ci si avvicina all’oggi, più è necessario essere sobrii e distaccati per non cadere nella contesa politica che non ha nulla in comune con la storiografia seria, in primis quella dei manuali.
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Chi scrive ha studiato al liceo  sul testo di Armando Saitta che riusciva ad essere fazioso anche per i secoli più lontani dal ‘900.  Il libro di Saitta era il più adottato testo in una scuola in cui i docenti non erano in larga maggioranza dei militanti come accade  oggi. Saitta (che in passato era stato fascista e si convertì al comunismo come tanti)  al termine della sua carriera  scoprì una visione storica più meditata e liberale. Riscrisse il manuale, ma esso non piacque, non venne più adottato e scomparve dalla scuola nel giro di poco. E‘ un ricordo che va meditato. Magari il Greppi non sa neppure chi sia stato Saitta, ma certo non rischierà mai la sua fine. Circa la storia del fascismo – perché poi il discorso alla fine è questo – va detto che non può essere identificata con il “Fascismo perenne” di Eco o con le sparate televisive di Canfora e Augias o i romanzetti di Scurati. Neppure con la storia-spettacolo di Barbero. La storia del fascismo passa inevitabilmente dall’opera ciclopica di Renzo De Felice che inutilmente Nicola Tranfaglia cercò  di demolire, aggredendo anche il suo autore sul piano personale. Ma per gli autori del manuale l’opera di De Felice è opera demoniaca che tentò  colpevolmente di sdoganare il fascismo. Il buon Greppi è libero di scrivere tutto ciò che ritiene, sostenendo anche che il fascismo è tornato al potere in Italia ad 80 anni dalla  sua morte, ma quando scrive per un manuale deve sottoporsi a delle regole deontologiche senza mai scadere nel comizio. L’editore Laterza discendente  (nel senso letterale del termine) dell’editore che Benedetto Croce fece conoscere, liberandolo dal lavoro di artigiano   tipografo, ha poco da fare  della  pacchiana ironia su Montaruli. La sua casa editrice è perfino peggiore dell’Einaudi di re Giulio che almeno evitò sempre di sconfinare, forse per snobismo, nei testi scolastici. E’ la quintessenza della faziosità  come dimostrano certi librini stampati in questi ultimi anni. Ad essi si aggiunge la produzione scolastica.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

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SOMMARIO: Il Presidente Napolitano – Lettere

Il Presidente Napolitano

Giorgio Napolitano era nato nel 1925 ed oggi avrebbe 100 anni. A Roma si tiene un importante convegno con studiosi e politici, alcuni dei quali mi lasciano perplesso.  Ho avuto un ottimo rapporto con il presidente Napolitano a Roma, Napoli, Torino. Ne ho anche scritto sul “Corriere” quando è mancato. I centenari più che le celebrazioni debbono essere delle verifiche e mi auguro che il convegno romano possa aprire un nuovo discorso più distaccato e quindi più  storico.

I punti cruciali di Napolitano sono la posizione di sudditanza al partito togliattiano durante l’invasione dell’ Ungheria e il governo tecnico di Monti con la sua preventiva nomina a senatore a vita: una scelta divisiva facilitata da Fini. Per il resto nel 2011 fu presidente di tutti per le celebrazioni nazionali dei 150 anni dell’ Unità e del Regno e anche sulla Resistenza  riconobbe limiti, estremismi  ed esagerazioni. Chissà se a Roma si parlerà di queste cose o l‘isterismo ideologico della Boldrini  che presiede una sessione del convegno lo impedirà? Anche la presidenza di Turco Livia (come si firmava abitualmente prima di essere deputata) non  dà garanzie di imparzialità: è un’attivista catto- comunista come quando viveva a Torino e criticava Fassino per le sue aperture al mondo liberale.

Ps  – Appare una vera e propria indecenza la relazione dell’ex presidente della Camera Fini al convegno su Napolitano. Fini strumentalizza Napolitano che non può più dire la sua, per accreditare una sua immagine politica non veritiera. Non merita ulteriore  attenzione la ricostruzione di Fini che appare sicuramente peggiore di quelle previste di un’altra presidente della Camera e di una ex ministra molto sprovveduta. Napolitano meritava di più .
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Libri di storia
C’è un libro di testo di storia edito da Laterza che giunge fino al governo Meloni, giudicato in modo settario con espressioni non accettabili in un libro di testo scolastico. Giusy Guglielmini
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Non è tanto la stupida faziosità degli autori anche torinesi, ma la loro  mancanza di limite in termini storiografici. Il Governo in carica non è storicizzabile. Bisogna almeno attendere che cada. L’idea di Berlinguer di dedicare tutto l’ultimo anno al 900 è un’idea sbagliata che ha penalizzato lo studio dell’800 e di altri periodi come il Rinascimento, il Medio Evo, la storia greca e romana.  Ma il 900 berlingueriano consente questi  eccessi di faziosità davvero intollerabili.
Luigi Berlinguer
Ci vuole il distacco necessario per poter storicizzare, una vicenda in itinere può solo essere oggetto di giudizi politici che non sono per definizione storici. Lascia ai propagandisti di mettersi le vesti dello storico. Anzi agli attivisti che credono di poter abusare impunemente di allievi ignari a cui si deve rispetto.
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Israele e l’Europa
Cosa pensa del fatto che l’Unione Europea si sia divisa su Israele, unica democrazia occidentale in Medio Oriente?  Attilio Momigliano
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Sono sempre stato un sostenitore di Israele e non cambio idea. L’ Unione Europea in passato voleva integrare nell’ Occidente europeo lo stato ebraico non senza ragioni storiche, quelle stesse ragioni che hanno portato Italia e Germania ad opporsi ad eventuali sanzioni europee contro Israele. Il capo del governo israeliano è oggi una  figura discussa e anche molto chiacchierata: impossibile stare con lui.  Appare come il volto demoniaco del potere.
La guerra e il terrorismo sanguinario sono devastanti. Non bisogna essere  necessariamente a favore di palestinesi e Iran per capirlo. Questi sono tempi di ferro e di fuoco e chi non ha letto neppure un rigo di Machiavelli non può capire. Leggo  sui social delle sciocchezze che mi rendono irriconoscibili anche persone che ritenevo di conoscere. Le anime pie che si indignano stando alla tastiera e non sanno cosa subiscono gli israeliani , mi fanno  ribrezzo. L’attuale Europa che non ha nulla a che vedere con quella di Federico Chabod (studioso sommo di Machiavelli) non ha  nessuna autorità per sanzionare Israele sull’ onda della Spagna che ha un premier screditato che cerca di sopravvivere con atteggiamenti demagogici evidenti. Caro Momigliano, io sto con Lei e con il suo grande omonimo che subì la persecuzione delle leggi razziali e fu sommo storico della Letteratura italiana. Sto bene in sua compagnia e detesto chi incendia le bandiere israeliane. L’idea stessa di scendere in piazza mi rende scettico, la parola  “attivista“ mi fa venire l’orticaria. Sono e resto un uomo di studi estraneo alle gazzarre di piazza.

Ha ragione il cardinale Repole: a Torino si investe poco

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Sono abbastanza anziano per ricordare che l’industriale e deputato Renato Altissimo, re dei fari e vicepresidente di Confindustria, decise di chiudere con l’imprenditoria per passare alla finanza. E visse felice e contento tra serate in locali notturni e rendite finanziarie. Forse il primo a fare questa scelta fu lui, con esibita disinvoltura. Alla faccia del liberismo imprenditoriale  e del rischio industriale. Non so che fine fecero i  suoi fari. Altissimo aveva anche finanziato in precedenza Zanone  per conquistare il partito liberale di Malagodi, riducendolo ad un  mini partito filogovernativo  in cui  la sua parola fosse egemone e il posto da ministro perenne fino a tangentopoli.  Si dimise dalla segreteria anche per non pagare i debiti accumulati dal partito.  Una storia molto brutta. Ciò detto, ha ragione il Cardinale nel dire che i torinesi non investono e tengono i soldi in banca,  malgrado gli interessi ridicoli. Le rendite finanziarie sono però un’altra cosa.  La finanza  ha sedotto anche la Fiat che non solo delocalizza tutto, ma non investe più a Torino e in Italia. Ha ragione anche Giuseppe Russo nel dire che “fare impresa non conviene“. Va detto che la burocrazia frena l’impresa  e rende complicato investire. L’altruismo sollecitato dal Cardinale è soprattutto una virtù cristiana  che cozza con il cinismo di Romiti che diceva che l’etica è il profitto. Al di là di Romiti un investimento deve dare un  reddito,  altrimenti l’azienda è destinata a chiudere come è capitato e capita non solo a Torino. Si è posto il problema il sindaco e il presidente della Regione, cercando di porre rimedio a una città e a una regione in decrescita  “infelice”. Poi certo la situazione internazionale e i dazi non facilitano le imprese. Il clima di guerra blocca gli investimenti. Ma il Cardinale ha posto un problema etico importante che potrebbe avere un precedente anche in Luigi Einaudi che non volle mai separare economia ed etica.
Nella foto di copertina il cardinale con John Elkann in visita a Mirafiori

Giovannone fu un grande?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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C’è chi, pur di ignorare il Centro Pannunzio, tace che la cena che si tenne al “Cambio” tra Spadolini e Galante Garrone e circa un centinaio di persone, fu il Premio “Pannunzio”  1982 con Mario Soldati e chi scrive. Ci sono registrazioni e persino libri che rivelano l’omissione giornalistica di ieri  fatta da “Repubblica”. Ma queste sono inezie di certi giornalisti. Vorrei evidenziare quattro punti di questo centenario della nascita di Giovannone – come lo chiamava il grande Giovanni Sartori, lui sì  un grande studioso di fama internazionale –  che è fallito, malgrado i senili sforzi di Cosimo Ceccuti, vestale e correttore di bozze dell’amato maestro. Il primo punto è Gobetti. Checchè  ne dicesse Bobbio, non fu un gobettiano. Non lo fu nella giovinezza quando era gentiliano e repubblichino, non lo fu da uomo maturo quando vedeva nel Pri “il centro del centro”.  Gobetti era di sinistra. Non basta un  tardivo libro su Gobetti per diventare Gobettiani. Il secondo punto è lo statista Spadolini. Non lo fu. Prima di essere repubblicano fu saragattiano, ma questo poco importa. Come ministro della Difesa fu pessimo a detta del gen. Incisa di Camerana e dei vertici militari di allora. Come ministro per i Beni Culturali non fece nulla di straordinario perché accorpò parti del ministero della Pi e si servì di cosa avevano fatto i ministri Croce  e Bottai. Come presidente del Consiglio l’italo Amleto del ‘900 non fece nulla se non  tentare di galleggiare. Neppure contro la p2 fu efficace: la massoneria restò se’ stessa e anzi crebbe. Come presidente del Senato consentì a energumeni della lega di esibire in aula il cappio: un’offesa  alle istituzioni  parlamentari che neppure Mussolini osò fare alla Camera.  Come storico, distratto dalla  politica non ha lasciato libri importanti: essi da molto tempo ormai non sono più ristampati neppure per uso didattico. Me lo confessò Ceccuti.  I libri di Giovannone  spesso furono  raccolte di articoli autobiografici, salvo  alcuni saggi giovanili dimenticati. Gli storici sono stati Croce, Volpe, Romeo, De Felice. Non Spadolini che scrisse molto soprattutto di sé stesso. Era un innamorato di sé, privo di sentimenti che confuse con le isteriche e famose scenate verso i suoi collaboratori in primis Ceccuti.   Resterebbe l’amico del Centro Pannunzio, ma  Ceccuti nel  2010 decise diversamente e tradì il Centro Pannunzio nel centenario di Pannunzio dopo aver sottoscritto dei patti non onorati. Una pagina squallida che non merita essere ricordata. Può sopravvivere il ricordo del giornalista, ma chi è Giovannone rispetto a un Frassati, un Albertini, un Missiroli,  un Pannunzio, un Ronchey , un Montanelli? Soprattutto Ceccuti deve smettere di voler vedere in Pannunzio un maestro di Spadolini il quale scrisse pochi articoli sul “Mondo” e passò molto poco “gobettianamente“ al “Borghese” di Longanesi dove scrivevano tanti ex fascisti come Giovanni Ansaldo.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: 2 luglio 1975, muore Valdo Fusi – Grande Stevens e le Br – Il libro di Pezzini tra mare e monti liguri – Lettere

2 luglio 1975, muore Valdo Fusi
Ero commissario agli esami di Maturità il 2 luglio 1975, isolato dal mondo per molte ore, come si addiceva ad un esame con un minimo di residua  serietà. La notizia della morte, tramite un bidello, riuscì a filtrare e a raggiungermi. Ne rimasi sconvolto. Avevo visto Valdo il 29 giugno  per il mio onomastico che andammo a festeggiare alla allora celebre  “Capannina”. Doveva non stare già bene perché si limitò ad assaggiare una forchettata rubandola dal mio piatto, anche se la sua conversazione  fu come sempre molto effervescente, un vero scintillio di parole e di ragionamenti. Era l’uomo libero di sempre, non certo allineato al nascente conformismo delle Giunte rosse. Anche di questo parlammo senza il paraocchi che alcuni avevano già subito adottato. Uscito dal liceo, mi misi subito in movimento per sentire la moglie Edoarda e soprattutto per avvisare i dirigenti del Centro “Pannunzio“.
Gli auguri di Fusi a Quaglieni

 

Fusi aveva appena vinto la sua più importante battaglia pannunziana per la Mostra leonardesca che si sarebbe tenuta in autunno alla Biblioteca Reale, malgrado i dinieghi arroganti  del direttore Dondi e le esitazioni del neo ministro Spadolini che venne ad inaugurare l’esposizione , ma si rifiutò di dire una parola sull’on. Fusi, mancato da pochi mesi. A ricordare Valdo ci pensò il sindaco Novelli che in pochi giorni  gli dedicò un piazzale, destinato a diventare tristemente un   parcheggio ,anche contro il parere dei comunisti che non volevano avallare l’idea di Novelli. Andai ai funerali ad Isola d’Asti con Mario Bonfantini, il francesista allora presidente del Centro “Pannunzio”.La commozione era superiore al caldo intollerabile . Si tenne un funerale non adeguato a Valdo per gli interventi superficiali pronunciati dai preti e dagli oratori. L’unico all’altezza fu l’avvocato Gianni Oberto Presidente uscente della Regione Piemonte. Al cimitero Silvio Geuna si esibì in un saluto improvvisato e poco felice. Chi aveva il cuore in tempesta per la morte improvvisa di Valdo, non parlò, ma pianse.
In tutti questi 50 anni non sono stati molti coloro che hanno ricordato Fusi, cogliendone l’importanza di resistente, di avvocato, di politico, di scrittore , di amante di Torino. Il 10 luglio alle ore 11 nella Sala Rossa del Comune, verrà solennemente ricordato. In autunno la Città Metropolitana ha patrocinato delle letture per le scuole di “Fiori Rossi al Martinetto” di Fusi.  Carla Gatti e’ la vera e nobile  “vestale” del culto e del ricordo di Fusi, il cui archivio è conservato presso la Biblioteca “ Giuseppe Grosso” della Città Metropolitana. Grosso, Fusi , Guglielminetti furono  alcuni dei grandi torinesi della  seconda metà del secolo scorso.
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Grande Stevens e le Br
Certamente il compianto avvocato Franzo Grande Stevens fu coraggioso nell’ accettare la difesa d’ufficio dei brigatisti rossi al primo processo contro di loro presieduto da Guido Barbaro. Il presidente dell’Ordine degli avvocati Fulvio Croce pagò con la vita la difesa di Curcio e dei suoi compagni che ritenevano di non essere processabili perché si ritenevano prigionieri politici. In quel contesto Grande Stevens esordi’ con quella che Guido Barbaro, che presiedeva la Corte d’Assise giudicante, definì tanti anni dopo in un colloquio confidenziale con me una “genialità” che gli creò ulteriori difficoltà nell’affrontare il processo. Grande Stevens infatti sollevò un’eccezione di costituzionalità dell’articolo 130 del Codice di procedura penale che imponeva l’obbligatorietà della difesa tecnica anche degli imputati che la rifiutassero.
Poteva essere un modo  per bloccare il processo, mi disse Barbaro. Infatti la Corte giudicò  manifestamente infondata l’eccezione di costituzionalità avanzata da Grande Stevens. Aderire a quella proposta poteva – mi confido ‘Barbaro – fare  involontariamente il gioco dei brigatisti. Più duro ancora fu il mio amico Attilio Rossi, fresco magistrato di Cassazione che aveva decapitato il super partito degli affari a Torino nel 1972. Barbaro mi aggiunse che lui aveva bisogno di poter procedere spedito tra mille difficoltà ,senza dover affrontare quello che secondo lui era un cavillo.Egli aveva persino accettato che gli imputati non si alzassero all’ingresso in Aula della Corte dicendo: ”State comodi”. Diversamente poteva considerarsi un reiterato oltraggio alla Corte. È Guido Barbaro che va onorato per la fermezza coraggiosa che dimostrò non solo in quel processo, manifestando la stessa tempra di Francesco Coco, Procuratore Generale di Genova ucciso dai brigatisti rossi poco tempo prima.
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Il libro di Pezzini tra mare e monti liguri
Stefano Pezzini è stato uno dei più importanti giornalisti liguri de “La Stampa” ed è un intellettuale impegnato sul terreno civile; ha presieduto tra l’altro “Fischia il vento”, fondato da Romano Strizioli a cui è succeduto come presidente. Non sempre le nostre idee politiche collimano, ma tutti e due riteniamo che il libero confronto sia il sale della democrazia. Pezzini è anche un gastronomo d’eccellenza, un grande esperto di quella che Veronelli definiva la “cultura del cibo”; è un novello Mario Soldati che viaggia nella sua Liguria alla ricerca di cibi genuini e di vini sinceri, come diceva Mario. Va segnalato il suo nuovo libro “Sull’onda del gusto ligure” ed. Marco Sabatelli.
Esso contiene anche  le ricette di Lara e Claudio Pasquarelli del famoso e stellato  ristorante “Da Claudio“ di Bergeggi a cui conferii in passato  il premio di alta gastronomia “Mario Soldati”. Il libro è come uno scrigno che contiene la storia, la cultura, il cibo della Liguria, andando oltre al consumismo becero dei bagnanti stagionali che devono fermarsi ai ristoranti che in tre mesi devono guadagnare per l’intero anno. La Liguria ha una lunga tradizione di cucina di terra e di montagna  pensiamo alla “cucina bianca” di Briga italiana e francese). E poi i vini: dal Rossese alla Granaccia, dal Pigato al Vermentino, per non parlare dell’olio che ha una storia relativamente recente in Liguria  narrata con dovizia di particolari storici da Pezzini, che è soprattutto un uomo colto come Soldati. Nella mia biblioteca, a fianco dell’ormai classico libro del medico – umanista Roberto Pirino, presidente dell’Accademia della Cucina Italiana del Ponente Ligure “I tesori di Albenga -Olio, vino e ortaggi“ De Ferrari editore , troverà posto il volume di Pezzini con cui ho collaborato anche durante il Premio “Albingaunum” ucciso da un certo provincialismo grossolano  che non ha studiato il latino e forse neppure l’italiano.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com
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Premio Strega
Il premio Strega Saggistica esordisce molto male, premiando con 22 voti su 55 (giuria spaccata e senza maggioranza) Anna Foa che sputa  con malanimo sinistro su Israele e tradisce l’ebraismo.  Salvatore Piacenza
libri
Cosa vuole pretendere dal Premio Strega, una kermesse mondana da sempre che adesso fa anche puntate in paesini come Cervo Ligure  all’insegna del più provinciale spettacolino estivo? Scurati ottenne lo Strega, può anche averlo Foa. Se penso al mio precettore prof. Salvatore Foa mi vengono i brividi.
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Brandone, finalmente un articolo sul giornale
Il prof .Giorgino  Brandone è  stato mio modesto e dimenticato insegnante in una scuola torinese prima di diventare preside in una scuola professionale o tecnica, non ricordo esattamente. Adesso ha avuto, ormai in pensione, il battesimo della notorietà con tanto di foto perché la ASL gli fatto due esami radiografici in due sedi diverse e il prof. si è rivolto al giornale per protestare. Un episodio davvero curioso.   G.N.
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Una storia davvero incredibile che non meritava una pagina di giornale. Quel professore non ha mai avuto notorietà culturale e in fondo è giusto che oggi in pensione si parli di lui sia pure per i suoi problemi di salute. Non è certo il famoso cestista domenicano, anche se ne porta il cognome. Forse sono parenti?
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Metalmeccanici in tangenziale
E’ veramente scandaloso chi solidarizza con i metalmeccanici che a Bologna hanno bloccato la tangenziale, provocando la paralisi del traffico e un grave danno ai cittadini. Queste violazioni della legge della convivenza civile  vanno represse. E chi scrive che si lede il diritto di sciopero se si perseguono degli  evidenti reati, non è in buona fede.  A. De Reregibus Biella
Sono d’accordo con Lei. La protesta non può mai ledere i diritti altrui. Bloccare la tangenziale può anche significare  bloccare una ambulanza. I tempi di un sindacalismo violento sono finiti. Io ricordo nel 1970 che un treno da Roma in arrivo a Torino dopo un viaggio notturno  venne bloccato da attivisti che si erano distesi sui binari nei pressi di Villanova d’ Asti. Restammo fermi ore in aperta campagna. Sul treno viaggiava l’ex presidente del Consiglio senatore Pella che venne prelevato tardivamente da un’auto inviata dal prefetto. Mi offrì un passaggio molto gentilmente ed arrivammo a Torino alle 11,30. Il treno avrebbe dovuto essere a Porta Nuova alle 8.  Per decine di anni queste violenze sono state tollerate. Finalmente adesso esse vengono considerate reati. Anche il socialista rivoluzionario Mussolini si stendeva sui binari delle tradotte che portavano i soldati che nel 1911 si dovevano imbarcare per la Libia. Quelle proteste e quegli scioperi ripresi dopo la grande guerra nel Biennio rosso portarono per reazione al fascismo. La storia a volte è bizzarra, ma il grigio prof. Revelli è arroccato sulle sue ideologie dogmatiche e non capisce la realtà, ritenendo leso il diritto di sciopero.

La scuola di oggi e di ieri

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Leggendo un ‘intervista  in occasione delle prove degli Esami di Maturita ‘ad Eraldo Affinati – che deve la sua fama soprattutto  alla dedizione, insieme alla moglie, al mondo della scuola – ho notato in particolare una riflessione dello scrittore sulla incapacità dei giovani d’oggi ad affrontare il commento di  un testo perché la scuola non insegna e non abitua alla lettura. Quindi Tomasi e Pasolini diventano ostici, come d’altra parte ogni testo letterario. La sintesi, i riassunti sono alla base della scuola d’oggi, dice lo scrittore. Il discorso è certo  assai più complesso perché molti studenti non sono in grado di capire un testo anche non letterario perché mancano delle basi linguistiche, morfologiche e sintattiche, considerate ormai obsolete. Mancano in alcuni casi  anche delle capacità di ragionamento, quello che Pascal definiva  “ il pensare come si deve”. Le osservazioni di Affinati mi hanno fatto venire alla mente il peggior professore della mia carriera di studente: tal Remo Frassino o Fassino (non sono riuscito a ricostruire neppure il cognome) nativo e residente a Pinerolo che tutte le mattine a bordo di una 600 veniva a Torino ad insegnare, nel ginnasio da me frequentato, ben cinque  materie: Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia. Ore ed ore ogni settimana, un tormento ed una noia infiniti.  Era un bacchettone, scapolo, abbastanza ignorantello, un catto-comunista ante litteram che quell’anno ci obbligò a fare un quaderno sul quale dovevamo incollare i ritagli degli articoli sul Concilio Vaticano II che il professore vedeva come una nuova presa della Bastiglia. Il docente era esigentissimo  nell’obbligarci a fare riassunti di ogni materia,  senza capire che finiva di proporci una pseudo -cultura fondata sul detestato Bignami usato di norma  dagli studenti privi di impegno.  Riassumere era il suo imperativo categorico. La lettura, ad esempio dei “Promessi sposi” ,diventava secondaria rispetto al riassunto che il professore controllava periodicamente per controllare che tutti avessero i quaderni  a posto, senza mai verificare il contenuto di queste sintesi che spesso nel caso mio, scriveva mia madre, per evitarmi una ulteriore fatica, considerata dalla mia mamma del tutto  inutile. I miei genitori che pure dissentivano totalmente dal professore non fecero mai nulla contro di lui, anzi lo ignorarono del tutto senza andare neppure una volta a colloquio con lui. Solo per interposta persona consigliò come ripetitore un suo amico: un consiglio  che mio padre non prese in considerazione. Per fortuna la quinta ginnasio passò e mi  ritrovai in liceo dotato di ferree capacità di tagliare e incollare articoli e anche di riassumere. Se però avessi avuto una guida come il professore pinerolese anche in liceo sarebbe stata la fine. Fui invece stimolato , anzi direi obbligato a leggere i testi ed ebbi un’educazione estetica anche  da parte di un precettore privato scelto da mio padre. Era un professore che aveva conosciuto Croce e mi mise in mano il suo  “Breviario di estetica” . Capii in modo inequivocabile i limiti del professore del Ginnasio che appariva già allora l’esempio di un nozionismo becero in cui eccelsero tutti i miei compagni di scuola che forse non riuscirono neppure a laurearsi ma al ginnasio giunsero al 10. Per tutt’altri motivi la scuola è di nuovo ridotta così. Il vento del ‘68 ha travolto tutto, ma il semplicismo mnemonico è rimasto. Nel ‘69 il ministro Fiorentino Sullo  pensò  di eliminare la contestazione, riducendo l’esame a due prove scritte e due orali. Da quel momento i licei incominciarono a perdere il loro valore formativo e via via prevalse il facilismo con la conseguente desertificazione degli studi.  La visione stitica – mi si passi la piccola volgarità che rispetto al linguaggio d’oggi è una raffinatezza – del professore di Pinerolo è sopravvissuta a tutto. Certo un testo di Tomasi di Lampedusa e anche di Pasolini (che ebbe una formazione classica   diventa una prova difficoltosa perchè  la sintesi è il punto di arrivo dell’analisi attenta e della lettura puntuale. Cose che nella scuola d’oggi sono diventate delle rarità.