Protagoniste di Valore

Protagoniste di Valore: Federica Toscanini, marketing director di Toscanini

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino

Laureata in economia e commercio all’Università Cattolica di Milano, dopo uno stage presso l’agenzia di pubblicità McCann-Erickson, Federica Toscanini ha iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia. Un’azienda fondata nel 1920 che da quattro generazioni è un punto di riferimento internazionale per la produzione di portabiti e soluzioni per appendere capi di abbigliamento, accessori e scarpe. Una realtà imprenditoriale circondata dai boschi e dai torrenti della Valsesia che da sempre è attenta a contenere l’impatto delle produzioni sulle risorse naturali: una strategia che dimostra il rispetto della Famiglia Toscanini nei confronti del pianeta e dei suoi abitanti. Tra le buone pratiche adottate ci sono l’utilizzo di legnami provenienti da foreste controllate e valutati in maniera indipendente da enti accreditati in conformità ai principi della buona gestione forestale, un sistema organizzativo basato sul non spreco e sulla responsability di ogni dipendente, l’impiego di vernici a base acqua e pellami eco-friendly che provengono da concerie italiane certificate. Last but not least, questi lungimiranti imprenditori si sono occupati del recupero delle centrali idroelettriche dismesse lungo il corso dei fiumi Sesia e Mastallone e l’energia prodotta è conferita al gestore della rete elettrica, contribuendo così a ridurre l’uso dei carburanti fossili per il fabbisogno energetico.

Protagoniste di Valore ha incontrato Federica Toscanini, Marketing & Sales Director di questa impresa che vanta clienti come Valentino, Chanel, Loro Piana, Max Mara e Givenchy per citarne alcuni e che, in occasione del centenario che ricorre quest’anno, ha avuto l’onore di ricevere un francobollo emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico e appartenente alla serie tematica “Le Eccellenze del sistema produttivo ed economico”.

Dal fashion all’hôtellerie, i vostri portabiti uniscono qualità e design. Come vengono concepiti?

“La nostra azienda lavora in due modi: da un lato recepiamo gli input dei clienti che ci chiedono di risolvere un problema, ad esempio ci domandano portabiti per esporre in modo creativo un capo, oppure hanno un concept definito dal loro ufficio stile e noi lo produciamo. Dall’altro lato, invece, siamo noi che con curiosità e passione ideiamo nuovi modelli o ricerchiamo nuovi materiali e tecniche di personalizzazione. Circa 20 anni fa, con mio fratello, abbiamo iniziato a provare materiali diversi giocando con il sughero e il plexiglass, che in quei tempi era poco usato. A proposito di questo materiale, ricordo che pochi giorni dopo aver creato i prototipi ci contattò Jean Paul Gaultier perché voleva dei portabiti in vetro. Mi recai a Parigi e mostrai le nostre creazioni in plexiglass che piacquero così tanto che vennero scelte. Il problema è che, trattandosi di prototipi, non erano ancora stati industrializzati per cui passammo l’intera estate a produrli! Alla base di ogni nostro prodotto ci sono l’entusiasmo, l’amore per ciò che facciamo e la ricerca della qualità. D’altronde, è nel DNA del nostro territorio realizzare prodotti di eccellenza. Secondo noi il portabito deve valorizzare la vestibilità del capo e deve presentarlo nel miglior modo possibile. Ecco perché studiamo nuove forme, curiamo i dettagli e creiamo oggetti capaci di distinguersi per il design e per i materiali”.

Toscanini prodottiDa sempre vi ispirate alla filosofia delle 3R: Reduce, Re-use, Recycle. Quali comportamenti virtuosi adottate in azienda?

“In questo ambito siamo stati degli inconsci precursori e già negli Anni ‘70 mio padre utilizzò dei silos per lo stoccaggio di trucioli e segatura che in inverno venivano bruciati in una caldaia per riscaldare gli uffici e il reparto produttivo. Lui da sempre ha puntato sui valori che ci hanno tramandato gli anziani. Un tempo in Valsesia le manifatture avevano una propria centrale idroelettrica che forniva energia ai telai. Nel tempo queste furono dismesse e lui, tra la fine degli Anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, acquistò una centrale idroelettrica che, tra l’altro, diede luce alla prima lampadina del Sacro Monte di Varallo, e nel 1986 la rimise a regime. All’epoca venne considerato un eccentrico, invece seppe creare una cultura famigliare legata alle centrali idroelettriche e infatti nel tempo ne abbiamo acquistate altre ed oggi produciamo energia 20 volte superiore al fabbisogno necessario all’azienda”.

Da quattro generazioni trasmettete valori a favore della collettività e del contesto in cui vivete. Qual è il vostro segreto?

“Veniamo da una terra dalla quale abbiamo ricevuto tanto e abbiamo recepito la cultura del fare bene. Mio fratello ed io siamo cresciuti secondo una regola semplice: Manca ‘ncó ‘n plûch (manca ancora un pelucco) in pratica mai accontentarsi del primo risultato per passare dal ben fatto all’eccellenza. Il prodotto perfetto ha proporzioni corrette: non c’è niente da aggiungere e niente da togliere. Noi lavoriamo così da sempre e queste caratteristiche ci vengono riconosciute sia in Italia che all’estero. Un altro segreto è che siamo affidabili e io stessa dico sempre che la mia scrivania è la prosecuzione di quella dei clienti perché ci identifichiamo nei nostri committenti e per noi la parola data è un valore. Il nostro team di lavoro, infine, ha un senso di appartenenza alla famiglia allargata Toscanini e si impegna nel raggiungimento degli obiettivi. Un aspetto fondamentale che ci rende orgogliosi delle persone che collaborano con noi”.

Siete Bee Respectful. Come è nata l’iniziativa di produrre miele?

Un giorno un signore anziano che non conoscevamo passò a chiederci se in estate poteva portare le arnie nei nostri terreni e mio padre, in modo austero ma cordiale, acconsentì. Ovviamente le api producono il miele e abbiamo quindi deciso di metterlo in vasetti con il nostro logo e regalarlo ai clienti. L’idea è piaciuta molto e questo miele dal sapore delicato è diventato il trait d’union che unisce il nostro lavoro, il territorio della Valsesia e le partnership che abbiamo creato negli anni”.

Donna per lei significa?

Spesso si parla di quote rosa come se si trattasse di una zavorra necessaria per una questione di immagine, invece ritengo che per le aziende sia un valore aggiunto avere delle donne nel proprio organico. Faccio un esempio: nel mondo dell’arredo abbiamo un cliente che anni fa divenne padre e gli feci recapitare il miele e dei mini portabiti decorati appositamente per la sua bambina. Quando tempo dopo mi recai nella sua sede, lui mi elogiò dicendo che nella sua azienda c’erano per lo più uomini e che puntavano su numeri e schemi, mentre noi donne abbiamo un approccio più morbido e rotondo. Secondo me la donna sa porre attenzione su aspetti che spesso non vengono considerati dagli uomini. Purtroppo viviamo in un mondo pensato da uomini per uomini, mentre credo che le aziende abbiano un’opportunità in più con il contributo femminile. In Toscanini i commerciali sono donne, forse perché hanno una maggiore attenzione ai dettagli e alle procedure oltre che una sensibilità diversa, che personalmente considero un valore. Da mia nonna alla mamma alla zia, nella nostra impresa le donne sono state delle colonne portanti, in prima persona o magari dietro le quinte. Sicuramente mio padre è stato un vulcano di creatività, ma con lui ci sono sempre state figure femminili che hanno avuto un ruolo strategico”.

IL FOCUS DI PROGESIA

I Valori dell’azienda Toscanini sono:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Azienda human centric;
  • Valorizzazione dei dipendenti.

Oltre il prodotto

Toscanini è un’azienda che ha fatto del rapporto con i suoi clienti un vero punto di forza: “noi siamo il loro collante, la memoria storica dei clienti” spiega Federica Toscanini. Il team di Toscanini è riuscito a costruire un rapporto duraturo e di fiducia con i clienti, e ciò permette di conoscere in modo approfondito le scelte che ogni cliente ha fatto nel corso del tempo e sulle basi di queste trovare le migliori soluzioni.

Federica Toscanini, infatti, afferma che non si sentono dei fornitori, ma dei collaboratori dei loro clienti. Le loro azioni sono finalizzate non solo alla soddisfazione del cliente diretto, ma anche a garantire un’esperienza di alto livello al cliente finale.

“Il nostro obiettivo è andare oltre il prodotto” afferma Federica Toscanini quando racconta come vengono coinvolti i clienti durante la scelta dei loro portabiti: “offriamo loro una vera esperienza. Il nostro prodotto deve essere toccato. Chiediamo ai clienti di chiudere gli occhi e sentire al tatto le rotondità, il peso, il materiale e ogni dettaglio”.

Dal 1920 ad oggi l’azienda Toscanini ha saputo creare un rapporto unico con la clientela, diventando un vero e proprio punto di riferimento sul mercato, riuscendo a fondere la tradizionale qualità alle azioni di ricerca e sviluppo orientate ad offrire prodotti innovativi e in linea con le esigenze dei clienti.

Passione e dedizione

“Il senso di appartenenza dei collaboratori verso l’azienda è fortissimo. La volta in cui è emerso chiaramente è stato il giorno dell’emissione del francobollo Toscanini per i 100 anni di attività” racconta Federica Toscanini. Le persone che lavorano con noi in azienda non sono dipendenti, ma collaboratori che affrontano ogni giorno il proprio lavoro con grande passione e dedizione verso il cliente.

La presenza della famiglia è forte in azienda ed è vissuta come parte integrante della squadra. “Siamo sul campo accanto ai collaboratori, condividiamo la quotidianità, le criticità e le soluzioni” spiega Federica Toscanini. Questa gestione delle risorse umane è funzionale all’approccio customer centric e al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Un tesoro

L’azienda Toscanini, prima di occuparsi di portabiti, produceva coltelli. Le meravigliose pagine di un taccuino datato 1916 di Giovanni Toscanini, nonno di Federica, mostrano modelli di coltelli, disegnati con particolare attenzione ai dettagli e alle rifiniture, elemento distintivo che caratterizza ancora oggi i prodotti Toscanini. Il taccuino è un vero e proprio tesoro, della famiglia e dell’azienda Toscanini, un oggetto capace di evocare emozioni e stupore per i disegni e le annotazioni scritte. In particolare, in una pagina intitolata “Comandamenti della vita” sono scritte le riflessioni di Giovanni Toscanini attraverso le cui parole emerge una grande personalità. La storia dell’azienda e quella della famiglia Toscanini, sono fortemente intrecciate tra loro e sono raccontate nel libro “Toscanini, l’arte di appendere” che è stato pubblicato in occasione dei 100 anni di attività.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

 

Protagoniste di Valore: chi è Roberta Ceretto, Presidente di Ceretto srl

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170 ettari di vigneti di proprietà che si estendono tra Langhe e Roero, 4 cantine, 17 vini prodotti, 150 collaboratori tra vigna, cantina e ufficio, 5.000 clienti suddivisi in enoteche e ristoranti italiani, 60 paesi d’esportazione: questi i numeri della Ceretto, l’Azienda vitivinicola che dal 1937 pone la terra e le persone al centro della propria attività. Sia i fondatori sia le generazioni successive hanno infatti adottato una filosofia aziendale che punta sulla valorizzazione della tipicità del territorio e dei suoi vini e sul coinvolgimento dei collaboratori. Il risultato è noto a tutti: da sempre Ceretto è sinonimo di eccellenza e la cantina è riconosciuta per l’elevata qualità dei prodotti, considerati ambasciatori del Piemonte e dell’Italia nel mondo. La tradizione nei metodi di vinificazione e maturazione, il rispetto per la natura e l’innovazione che punta sull’agricoltura biologica e biodinamica sono le keywords che spiegano il successo enologico della Famiglia. Ma Ceretto è anche sinonimo di arte. Dall’antico casolare ottocentesco di proprietà, che è stato trasformato in una cantina dalle geometrie e dal design moderno, alla celebre Cappella del Barolo dipinta da Tremlett e LeWitt, sono tante le opere promosse da questi mecenati contemporanei.

CerettoProtagoniste di Valore ha incontrato Roberta Ceretto, Presidente e Responsabile comunicazione dell’Azienda vitivinicola che dal 2004 al 2007 è stata Consigliere del Consorzio del Barolo e Barbaresco e dal 2005 al 2008 ha ricoperto il ruolo di Vice Presidente del Gruppo Giovani di Confindustria di Cuneo. Tra i suoi incarichi anche quelli di Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Nuovo Ospedale Alba-Bra onlus, Consigliere d’Amministrazione del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti, Consigliere d’Amministrazione dell’Agenzia di Pollenzo, Membro del Consiglio generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, ente non profit che ha scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico del territorio e Vice Presidente di Confindustria Cuneo. In sintesi, una donna competente, dinamica, determinata e amante dell’arte in tutte le sue forme.

Quando si parla di Ceretto si parla di enologia sostenibile. I risultati sono premianti?

“Negli Anni 2000 abbiamo acquistato una vigna a Cannubi con un’età media di 80 anni e abbiamo visto che era perfetta, mentre vigne più giovani non trattate allo stesso modo avevano fallanze. Mio cugino, che si occupa della parte enologica, si è informato e ha così ragionato sul tema della sostenibilità e del rispetto dei decorsi della natura. Non abbiamo mai voluto convertire tutto al biologico per moda, ma per una questione etica e morale, perché noi 4 cugini, che rappresentiamo la nuova generazione dei Ceretto, volevamo promuovere un’agricoltura più consapevole. Secondo noi è uno sguardo diverso al contemporaneo, visto con gli occhi della tradizione. Gestendo un’azienda con un discreto successo, noi figli per certi versi abbiamo avuto la vita privilegiata, ma non ne abbiamo approfittato. Anzi, abbiamo voluto studiare e lavorare per produrre innovazione di qualità. Abbiamo sentito la necessità di attuare delle modifiche che fossero più compatibili con i tempi attuali. Se negli Anni ’60 mio padre e mio zio dovevano investire per creare l’azienda che oggi è Ceretto, noi abbiamo la responsabilità di intervenire per migliorarla dove è possibile. I vantaggi, quindi, non sono legati alla qualità, perché questo tema risale agli Anni ’60 con i fondatori che avevano scelto terre con ottime esposizioni. Produrre vino biologico e biodinamico ha dei costi notevoli, soprattutto su dimensioni come le nostre, per cui facciamo attenzione a lavorare con attenzione perché le vigne sono delicate e vanno trattate con cura. I risultati sui vini sono ottimi, ma siamo anche favoriti dalle annate particolarmente calde che aiutano la qualità”.

Avete numerosi collaboratori. Cosa significa per voi responsability?

“La responsabilità della terrà è un tema che sentiamo nostro, come la responsabilità verso i collaboratori. Un tema caro a mio padre e a mio zio, ma anche a noi cugini. Il lavoro agricolo è faticoso abbiamo sempre cercato di tenerci vicino i dipendenti dando loro le case, seguendoli e accogliendoli, anche perché molti di loro sono stranieri. Le vigne sono delicate e occorre curarle con costanza, ma è un lavoro faticoso per cui cerchiamo di fidelizzare i collaboratori, che sono una fonte preziosa. Il rispetto per il lavoro e per chi lo fa sono valori che appartengono alla nostra famiglia da sempre”.

Dalle etichette dei vini alla Cappella del Barolo, il design e l’arte sono parte della vostra storia. Un connubio vincente?

Le nostre etichette sono state realizzate da Silvio Coppola, famoso designer degli Anni ’80. Abbiamo mutuato un pensiero simile sui piatti che vengono utilizzati nel ristorante La Piola di Alba, sempre di nostra proprietà, dove abbiamo coinvolto 12 artisti e i tavoli sono variegati e decorati con questi piatti. Abbiamo cercato di mettere un po’ di arte contemporanea in ogni nostro nuovo progetto per renderlo più significativo e la Cappella del Barolo ne è un esempio. Con l’amico David Tremlett nacque l’idea di realizzare qualcosa insieme, poi mio padre gli diede l’input di coinvolgere un secondo artista e così Sol LeWitt si unì al progetto. Agli artisti piacque l’idea di recuperare l’edificio in rovina e Tremlett si occupò delle decorazioni interne e LeWitt di quelle esterne. Il risultato è che 50.000 persone la visitano ogni anno. Da quell’esperienza del 1999 abbiamo capito che l’arte è un incredibile strumento di comunicazione perché ha la capacità di riempire di contenuti un luogo. Con il vino coinvolgiamo un mondo straordinario di persone che amano sia l’arte sia il vino e in questo modo offriamo contenuti per attrarle e far conoscere il territorio. Per noi è fondamentale che sia mantenuto vivo il discorso culturale e vogliamo arricchire di nuove esperienze le nostre cantine e i nostri luoghi. Spesso i progetti che promuoviamo non sono legati al mondo vitivinicolo, ma quando conosci un artista e ti innamori delle sue opere, non puoi non accoglierle”.

CerettoPassione e valorizzazione del territorio sono nel vostro DNA. In che modo li declinate?

“Negli Anni ’80 mio padre unì i suoi prodotti al nascente concetto del made in Italy. Allora il Piemonte e le Langhe non erano conosciuti e il Barolo non era un vino famoso, ma lui decise di abbinare il cibo al vino. Promuovere il Barolo assieme ai prodotti del nostro territorio è stato un gioco di squadra fenomenale che ha portato a grandi risultati. Abbiamo anche notato che chi veniva nelle Langhe rimaneva stupito dalla loro bellezza e se poi si fermava a mangiare, era estremamente gratificato. Visto che il vino è legato alla terra d’origine, giocare con una squadra composta dal territorio e dagli elementi che lo coinvolgono è quindi fondamentale. Per noi lavorare in queste zone è importante e le iniziative che realizziamo sono gratuite perché ci piace che la gente venga nei nostri luoghi. Dal 2014 le Langhe sono Patrimonio dell’Unesco come paesaggio vitivinicolo. Questa è una natura domata: è la dimostrazione che se l’intervento dell’uomo è condotto in maniera sensata, i benefici ci sono”.

Donna per lei significa?

“Secondo me noi donne, io per prima, siamo delle equilibriste perché, dall’alba al tramonto, ci districhiamo tra numerosi impegni e pensiamo a tante cose contemporaneamente. Per noi, inoltre, il cuore è più forte della testa e ritengo che sia un plus perché talvolta con una parola gentile si risolvono tante questioni”.

Il Focus di Progesia

I valori dell’Azienda Vitivinicola Ceretto sono:

  • Sviluppo sostenibile: sostenibilità ambientale, sociale e di governance;
  • Valorizzazione dei dipendenti;
  • Iniziative di conciliazione famiglia e lavoro e agevolazione della gestione del tempo in azienda.

Un’azienda, una famiglia

“Si chiama Azienda Vitivinicola Ceretto, ma siamo una famiglia” afferma Roberta Ceretto quando racconta del suo rapporto con i dipendenti. “Ci sono persone che sono state con noi dalla fine della scuola alla pensione, persone con grandi valori, che condividono le nostre idee e le portano avanti. Alcuni sono arrivati con una valigia e null’altro. Noi abbiamo ristrutturato delle cascine e ne abbiamo fatto dei luoghi accoglienti dove costruire un futuro”. Tutto ciò non è stato studiato a tavolino, ma è stata l’evoluzione naturale dell’azienda che ha voluto da sempre costruire un rapporto di fiducia con i suoi collaboratori e collaboratrici. L’azienda ha quindi saputo valorizzare e fortificare il rapporto con i dipendenti da cui traspare un grande senso d’appartenenza, fondamentale per l’efficienza e per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

L’azienda conta in totale ottanta lavoranti, in vigna sono metà donne e metà uomini, mentre in cantina, luogo in cui vi è generalmente la sola presenza maschile, grazie al supporto dell’innovazione tecnologica oggi sono entrate nel team anche alcune donne. “In azienda siamo due eredi femmine e due maschi, quindi per noi è assolutamente normale ragionare e confrontarci alla pari e questo si riflette su tutta l’azienda”.

Il gusto e l’arte

“In un periodo in cui nessuno aveva ancora scommesso sulle Langhe, Bruno e Marcello Ceretto sono andati controcorrente, puntando sulle materie prime del territorio” racconta Roberta Ceretto, ricordando quando negli anni ’80 cominciava a prendere forma l’idea del Made in Italy, grazie agli stilisti di moda e al cibo e ai vini sempre più riconosciuti come elementi distintivi della nostra nazione. L’intuizione di mio padre e di mio zio è stata quella di puntare sulla qualità del prodotto e sulla sua valorizzazione attraverso un packaging di alto livello, che potesse rispecchiare la preziosità del vino.

Nell’Azienda Vitivinicola Ceretto quindi, il gusto è associato all’arte, perché nel vino si ritrovano elementi che hanno molto in comune con le opere d’arte “duro lavoro, passione, emozione e soddisfazione, si parla al cuore delle persone” spiega Roberta Ceretto.

“La scelta dell’azienda è quella di investire sempre prima di tutto sulla qualità a prescindere. La valorizziamo con la creatività e la giusta dose d’estetica, senza dimenticare l’attenzione al territorio che per noi è particolarmente prezioso e lo rispettiamo innovando in modo sostenibile”. Questi valori sono condivisi dai collaboratori e anche dai nostri clienti, che desiderano vivere un’esperienza unica legata non solo alla qualità del vino, ma anche alle visite alle cantine, ogni anno numerosissime, e alla consapevolezza che l’azienda rispetta il territorio e i suoi frutti.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

Protagoniste di Valore: Valentina Parenti, founder di GammaDonna

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Valentina Parenti incarna alla perfezione il concetto di multitasking. Imprenditrice, gestisce con successo l’agenzia Valentina Communication con la quale ha ideato GammaDonna e il GammaForum internazionale dell’Imprenditoria Femminile e Giovanile. È co-fondatrice del tavolo interassociativo Yes4TO a cui aderiscono i Gruppi Giovani di 24 associazioni del territorio torinese, in rappresentanza di oltre 20.000 imprenditori e professionisti, e la cui finalità è formulare proposte unitarie sul futuro della Città. Fortemente impegnata in ambito associativo, è stata Consigliere e referente per l’organizzazione del Convegno annuale di Santa Margherita Ligure dei Giovani Imprenditori di Confindustria, ha ricoperto il ruolo di Consigliere Regionale FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) per 2 mandati e nel 2017 è stata nominata componente dell’Advisory Board di Assolombarda del progetto STEAMiamoci per la riduzione del gender gap nei settori economici a più alto valore aggiunto, con particolare riferimento alle materie STEAM. What else? È laureata in tedesco e spagnolo, è iscritta all’Ordine dei Giornalisti, è moglie e mamma, e Startupitalia! Magazine l’ha inserita tra le 150 donne dell’innovazione da conoscere e seguire nel nostro paese. L’ultimo anno l’ha vista impegnarsi come attivista contro le disparità di genere, contribuendo alla nascita di Movimenti come Dateci Voce e Il Giusto Mezzo.

Da sempre vi occupate dell’integrazione di genere e dei giovani nel mondo del lavoro. Come è nata l’Associazione GammaDonna e su quali valori è cresciuta?

GammaDonna è nata nel 2004 con lo scopo di valorizzare l’iniziativa imprenditoriale di donne e giovani, la loro capacità di affrontare il cambiamento e di innovare, superando difficoltà e ostacoli.

Lavoriamo per il cambiamento culturale del Paese, attraverso lo scouting e la promozione di iniziative imprenditoriali innovative e incentivando il networking fra startup, imprenditori esperti e investitori. Promuovendo, in sostanza, una community virtuosa dell’innovazione applicata al business. Il Premio GammaDonna, è la sintesi di tutto questo: si rivolge alle imprenditrici – non solo di prima generazione – che abbiano innovato con prodotti, servizi, processi e/o modelli organizzativi nuovi. Il nostro riconoscimento rappresenta un formidabile moltiplicatore di visibilità, che spesso coincide con un’improvvisa accelerazione di business: siamo convinti che le imprenditrici abbiano bisogno anzitutto di comunicazione, ma anche di creare o fortificare la propria rete di relazioni di business, e avere l’opportunità di accedere a nuove opportunità di formazione e aggiornamento professionale.

GammaDonnaLa XII edizione del PREMIO GAMMADONNA si è tenuta in live streaming. Quali sono stati i temi?

La contingenza drammatica ci ha spinto a ripensare alla nostra attività, a rafforzare ulteriormente la nostra partnership con QVC Italia e a trasformare il Premio nel primo format televisivo italiano dedicato alle donne che fanno impresa e innovazione. Siamo doppiamente entusiasti, perché all’orgoglio per il nostro debutto televisivo si aggiunge la soddisfazione per i temi trattati e per averli portati ad un pubblico molto più ampio. Dall’industria del ferro al coding, passando per le nanotecnologie, le piattaforme per la vendita online e lo smaltimento ecologico dei rifiuti: le storie imprenditoriali delle 5 finaliste della 12a edizione del Premio smentiscono, con i fatti e con il sorriso, quegli stereotipi che vedono le donne escluse da determinati ambiti, considerati tradizionalmente di appannaggio maschile.

Ci sono azioni che occorre intraprendere per un futuro di parità e inclusione dove non si ragioni per stereotipi, ma sulla base dei talenti?

L’aspetto più critico e implacabile della disparità, che è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia, inizia dal salario: il pay gap resta del 10% in più a favore degli uomini a parità di mansione. In pratica, è come se per lo stesso lavoro una donna cominciasse a guadagnare dalla seconda metà di febbraio rispetto a un collega. Senza dimenticare la grave questione dell’occupazione femminile (il cui tasso è sceso al di sotto del 50% in Italia, ultimo in Europa) e l’accesso femminile alle posizioni apicali.

In questo scenario, la nostra Associazione fa del suo meglio per contribuire al cambiamento verso una maggiore equità sociale. Di cui, in ultima analisi, beneficerà l’intera società, non solo le donne. Il nostro impegno a raccontare e promuovere storie di innovazione al femminile vuole essere di stimolo e ispirazione per tutti: una testimonianza di come capacità, determinazione e costanza possano condurre a grandi risultati. Esiste un tessuto imprenditoriale al femminile, spesso poco noto ma diffuso in tutti gli angoli del Paese, che contribuisce ogni giorno, in maniera significativa, all’economia. La difficoltà più grande sta nel portare alla luce queste storie, nel convincere le donne a mettersi in gioco, a dimostrare il proprio valore. Perché se è vero che le donne hanno bisogno di rappresentanza nei luoghi decisionali, è altrettanto vero che c’è un grande bisogno di una rappresentazione femminile che demolisca gli stereotipi così profondamente radicati nella nostra cultura.

Qual è il valore della relazione come acceleratore di sviluppo e generatore di impatto sociale?

In un mondo caratterizzato da crescente complessità e da rapidi e continui cambiamenti, il nostro futuro come esseri umani e come imprese dipende dal numero, ma soprattutto dalla qualità, delle connessioni virtuose che saremo riusciti ad instaurare.

Mio padre definiva queste connessioni “strategiche”, per distinguerle per utilità e peso da quella moltitudine che ci travolge senza portare valore. Grazie alla preziosa eredità della mia famiglia, sono cresciuta credendo e praticando l’impegno a favore del territorio e di chi non ha avuto le mie stesse possibilità.

“Molte piccole persone che, in molti piccoli luoghi, fanno molte piccole cose possono cambiare la faccia della terra” recita una scritta sul muro di Berlino. Credo ci sia una profonda verità in questa frase e credo che l’unione di queste persone possa avere un impatto che è spesso grandemente sottovalutato. Ne sono testimonianza iniziative straordinarie, di cui sono stata tra le co-promotrici quest’anno, come #DateciVoce – per la rappresentanza femminile nei luoghi decisionali – e #GiustoMezzo – per la destinazione della metà del Recovery Fund a politiche integrate che tengano conto dell’impatto di genere.

GammaDonnaDonna per lei significa?

“Insisti e persisti, raggiungi e conquisti”, questo è il mantra che mia madre ripeteva a me, quando ero piccola e che ora ripeto a mia figlia.  E a mio figlio. Perché, in realtà, questo consiglio vale per tutti.

Non è cosa siamo, ma cosa scegliamo di diventare che conta. Lavorare sodo per migliorarsi e credere in se stessi è una sfida che appartiene a ognuno di noi. Forse per una donna il cammino è più impervio, a causa del retaggio culturale, ma ci anima una visione del mondo che è rigeneratrice: la capacità di assorbire traumi, delusioni, urti, guardando avanti senza accartocciarsi e immaginando sempre qualcosa di nuovo. Alcuni la chiamano resilienza, io preferisco definirla predisposizione ad amare la vita incondizionatamente.

IL FOCUS DI PROGESIA

I valori di GammaDonna sono:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Valorizzazione di genere, competenze e carriere femminili.

Premio GammaDonna: innovazione e consapevolezza

Le imprenditrici che decidono di partecipare al Premio GammaDonna sono ogni anno di più e, in particolare, in questo 2020 così difficile e complesso sono state addirittura il 30% in più rispetto all’anno precedente. “Si tratta di donne che nella loro esperienza imprenditoriale fanno innovazione, ne hanno consapevolezza e credono fortemente in ciò che fanno” afferma Valentina Parenti “e questi tre step non sono assolutamente scontati”. Esiste inoltre un filo conduttore che caratterizza le vincitrici, che secondo Valentina Parenti è “l’attenzione all’impatto ambientale e sociale. Tutte desiderano rendere il mondo un posto migliore”.

Una cosa che accomuna tutte le partecipanti del Premio GammaDonna è il bisogno di ampliare e migliorare la rete di conoscenze e la comunicazione, nonché la formazione e l’aggiornamento professionale. Tali esigenze sono state rilevate dalle ricerche realizzate in collaborazione con le università (Unitelma Sapienza e Tor Vergata), nelle numerose survey online e dai feedback raccolti durante gli eventi nelle undici edizioni del Premio. La business community GammaDonna, appena lanciata su Facebook, andrà incontro a questi bisogni e permetterà alle imprenditrici di moltiplicare le occasioni di conoscenza e di confronto delle esperienze.

Valentina Communication

GammaDonna e GammaForum nascono da una realtà solida, altamente dinamica e che ha saputo innovarsi nel tempo: Valentina Communication, l’agenzia di comunicazione di cui Valentina Parenti è la Presidente.

Valentina Communication è stata fondata negli anni ‘80 dalla madre di Valentina Parenti, Giuliana Bertin, che è stata una pioniera del settore. Inizialmente l’agenzia si occupava di consulenza sulla comunicazione e PR esclusivamente per il settore dell’economia e della finanza. “Nel tempo è diventato un family business;” racconta Valentina Parenti “è entrato prima mio padre Mario, e in seguito io e mio fratello Marco. Ognuno di noi ha portato il suo personale contributo. Il mio ad esempio è legato al mio innato interesse per le tematiche sociali”. Attualmente l’Agenzia si occupa di comunicazione in modo innovativo offrendo servizi di ufficio stampa, PR, eventi e strategie di comunicazione, rivolgendosi a realtà eterogenee, dalle startup ai grandi gruppi e alle multinazionali.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

Protagoniste di Valore: Serena e Chiara Bonfanti di Fratelli Bonfanti

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Protagoniste di Valore: rubrica a cura di ScattoTorino

Non semplici oggetti che completano il look, ma piccoli pezzi d’arte da indossare. Sono questi i bottoni firmati Fratelli Bonfanti. La loro storia ebbe inizio a Torino nel dopoguerra, quando Walter Bonfanti fondò una fabbrica dedicata alla loro produzione, coinvolgendo i fratelli e reclutando un’eccellente manodopera locale. A lui succedettero i figli Elio e Mario, grazie ai quali l’azienda divenne sinonimo di qualità superiore non solo in Italia, ma nel mondo. Da più di 70 anni questi importanti accessori dall’estetica esclusiva si trovano nei migliori negozi di mercerie, negozi di lane, negozi per sarti e hobbistica e hanno impreziosito capi di brand del calibro di Armani, Etro, Nina Ricci, Escada, Brooksfield.  Da San Francisco a New York, da Londra a Monaco di Baviera, da Parigi a Roma, da San Pietroburgo a Osaka, ad ogni latitudine i bottoni Bonfanti sono riconosciuti sono riconosciuti come un’eccellenza del made in Italy. Le due collezioni che ogni anno vengono realizzate includono fino a 200 nuovi modelli, ciascuno dei quali può essere declinato in funzione delle esigenze dei clienti senza trascurare la qualità, la selezione attenta dei materiali e il design. Chiara e Serena Bonfanti, figlie di Mario, costituiscono la terza generazione di questa famiglia che lavora con cura, etica e impegno nel rispetto della tradizione senza dimenticare di guardare al futuro. E a proposito di innovazione, su iniziativa del Direttore creativo Elio Bonfanti è stato ideato il laboratorio Button Clinic in cui la clientela – dagli atelier degli stilisti emergenti agli uffici stile delle Maison di moda nazionali e internazionali – può customizzare i propri bottoni. Tra le novità firmate dalle sorelle Bonfanti c’è anche la collaborazione con l’artista torinese Paolo Gillone, in arte Jins, che ha realizzato una capsule che si ispira e prende il nome dal titolo del libro dell’autore francese Louis Pergaud La guerra dei bottoni: si tratta di t-shirt sulle quali si possono applicare i bottoni.

Protagoniste di Valore ha intervistato le sorelle Bonfanti: Serena, che si occupa della gestione dei clienti esteri e siede inoltre nel consiglio di Apid, e Chiara che ha rapporti con i fornitori e con il cliente finale per quanto concerne gli ordini e le spedizioni ed è consigliera in API di Uniontessile. Due donne intelligenti, lungimiranti, solari e dalla forte personalità che, insieme, scrivono una nuova pagina di storia nel mondo dei bottoni.

Dal 1945 ad oggi, com’è cambiata l’azienda nel tempo?

Chiara Bonfanti: “Per stare al passo con i tempi abbiamo dovuto cambiare anche noi. Da quando è stata fondata dal nonno, e poi con mio zio e mio padre, l’impresa ha vissuto un cambio epocale ed è passata da una realtà di vendita piemontese e italiana ad una struttura internazionale che non dimentica la propria matrice e punta sul made in Italy, nostro punto di forza all’estero. Negli anni l’internazionalizzazione si è consolidata sempre più e ancora oggi il 70% del nostro fatturato è realizzato con l’estero. Questo perché in tante culture il bottone non è solo un oggetto di utilizzo nel vestiario, ma è anche craft e hobbistica. Serena ed io abbiamo apportato delle novità in azienda legate al rapporto con il cliente finale, che oggi forzatamente deve essere diretto e veloce. Ad esempio, abbiamo puntato sui social network e attraverso le nostre pagine Instagram e Facebook presentiamo le collezioni e le ultime novità in modo che la clientela possa vederle e contattarci in tempi brevi”.

In un settore tradizionale come quello in cui operate, come una politica improntata alla sostenibilità vi permetterà di affrontare le sfide del futuro?

Serena Bonfanti: “Nelle nostre collezioni abbiamo sempre avuto materiali naturali come la madreperla, il corno, il cocco, il corozo e il legno. Tutti di ottima qualità e durevoli nel tempo. Il nuovo trend è inserire bottoni riciclati o di origine ecologica e ne stiamo realizzando in canapa, in polvere di corozo, ma anche in carta riciclata mescolata con poliestere. Produrre con un’attenzione spiccata all’ecologia fa parte del cambiamento ed è un nuovo modo di vedere la moda. Molti stilisti stanno puntando su materie che rispettino l’ambiente e anche noi stiamo dando un’impronta più marcata in tal senso”.

Quali pratiche attuate nel rispetto dell’ambiente nel processo produttivo?

Chiara Bonfanti: “Fratelli Bonfanti è nata e cresciuta in Barriera di Milano e fino a 20 anni fa producevamo tutto qui. Successivamente, per motivi legati al nostro modello di business e per avere un’ampia collezione da offrire ai clienti, abbiamo spostato la produzione nella bergamasca. A Torino risiede il polo logistico e centralizziamo la fase finale del lavoro. Siamo legati al quartiere che ci ha visto nascere e che in questi anni è cambiato molto e siamo certi che ci saranno ulteriori positivi cambiamenti, come l’incremento della raccolta differenziata a cui noi già partecipiamo ad esempio con il recupero della carta. Per noi è fondamentale essere attenti all’ambiente e alle persone in ogni fase del processo produttivo. Per questo dedichiamo una parte della collezione ai bottoni realizzati con materiali riciclati. Attualmente stiamo studiando anche come sostituire o affiancare il nostro storico packaging in plastica con sacchettini di carta nell’ottica di avere un sempre minore impatto ambientale”.

Fratelli BonfantiLa vostra impresa ha legami con il mondo accademico. Un valore aggiunto?

Serena Bonfanti: “Mia sorella ed io crediamo nell’importanza di aprire le porte al mondo universitario perché per noi questo tipo di scambio è fondamentale. La nostra azienda ha un respiro internazionale, ma noi siamo concentrate a lavorare con impegno e spesso abbiamo la sensazione di perderci le novità o i nuovi spunti. Ecco che allora il mondo accademico per noi rappresenta anche questo. Grazie a progetti realizzati tramite APID di Alternanza Scuola Lavoro abbiamo accolto e lavorato con studenti che si sono occupati di tecnologia, grafica, ricerca e sviluppo di mercati esteri. In questo modo loro hanno portato avanti concretamente un progetto e noi abbiamo potuto conoscere meglio gli strumenti del futuro. Con l’Istituto Tecnico Majorana di Grugliasco nel 2019 abbiamo partecipato ad un progetto della Camera di Commercio di Torino e con il nostro bottone intelligente siamo arrivati terzi. L’ultima esperienza l’abbiamo avuta con lo IAAD: una studentessa la scorsa estate si è laureata portando come tesi la nascita e la crescita della nostra azienda e l’evoluzione dei bottoni nella storia della moda. È stato un piacere ed un onore seguirla”.

Donna per voi significa?

Chiara Bonfanti: “Nel nostro caso vuol dire essere madri, compagne, imprenditrici e cercare di trovare il tempo per noi stesse. Personalmente ritengo che sia una sfida giornaliera enorme perché provo ad affrontare al meglio tutto ciò che devo fare quotidianamente. Secondo me, però, è un valore aggiunto perché noi donne abbiamo sensibilità, visioni e forze non banali. È un plus che dobbiamo conquistare giornalmente e tenere stretto con unghie, denti e sorriso. È una dura lotta, ma bella. Se dovessi rinascere vorrei essere di nuovo donna”.

Serena Bonfanti: “Per me significa essere madre in tanti modi: verso mio figlio e verso tutti. Noi donne ci prendiamo cura di un progetto e ci mettiamo in gioco a costo di togliere tempo ad altro. È un approccio agli obiettivi molto femminile. Io faccio parte del consiglio direttivo di Apid e questa caratteristica la riscontro in tutte le consigliere con cui ho il piacere di lavorare. Per me significa anche essere sorella e con Chiara ci diamo forza e, nella nostra diversità, siamo l’esempio che essere donne non vuol dire essere nemiche. Nella nostra azienda, tranne papà e zio, siamo tutte donne e collaboriamo senza tensioni o problemi. Abbiamo invece circa 50 rappresentanti nel mondo e quasi tutti sono uomini, questo perché hanno più possibilità di viaggiare e di gestire il loro tempo lontano dalla famiglia. In Piemonte però inizieremo a breve una nuova collaborazione con una rappresentante e siamo molto contente di questa new entry”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Il Sistema di Valori della Fabbrica di Bottoni Fratelli Bonfanti comprende:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Progetti di economia circolare;
  • Azienda human centric.

L’importanza della cura del cliente

Per Chiara e Serena Bonfanti è fondamentale “mantenere sempre un rapporto diretto e umano” con tutti i clienti, sia in Italia che all’estero. Per questo motivo in azienda viene curato con particolare attenzione tutto il processo d’acquisto, dal primo contatto con l’agente fino all’arrivo della merce in negozio, offrendo sempre la migliore soluzione a ogni esigenza del cliente. Afferma Chiara: “facciamo di tutto per far vivere ai nostri clienti un’esperienza d’acquisto autentica e affascinante, e ci impegniamo ad essere presenti su più canali, da quelli tradizionali ai social”.

Nonostante la pandemia abbia messo in difficoltà il mercato, la Fratelli Bonfanti ha deciso di reagire accelerando la realizzazione di progetti innovativi, su cui stava già lavorando, finalizzati a migliorare l’esperienza del cliente, accorciando le distanze e valorizzando la cultura del bottone. “Abbiamo studiato insieme ai nostri clienti la user experience più idonea a far sfogliare i nostri cataloghi online, come se li avessero tra le mani” racconta Serena “abbiamo rilevato i loro bisogni e i loro suggerimenti, costruendo online dei cataloghi tradizionali in modo non tradizionale”.

La stessa cura è stata adottata per lo studio di un espositore ideato per valorizzare i bottoni di materiale naturale e di materiale riciclato, che viene fornito ai clienti associato a una formazione specifica. Un vero e proprio servizio di supporto alla vendita e di cultura della sostenibilità ambientale.

Tradizione e innovazione

“Quando i giovani entrano nella nostra realtà hanno sempre una reazione di stupore, meraviglia e curiosità. Restano affascinati dalla storia dell’azienda e del bottone, una vera e propria scoperta di un mondo sconosciuto” racconta Chiara Bonfanti, riferendosi agli studenti che entrano in contatto con l’azienda attraverso i progetti di Alternanza Scuola e Lavoro.

Insieme agli studenti sono stati portati avanti molti progetti, tra cui la realizzazione dell’attuale sito aziendale e di diversi flyer. Secondo Serena Bonfanti il tempo dedicato ai giovani è prezioso: “è uno scambio di esperienze: noi raccontiamo la nostra tradizione e loro ci raccontano come la tradizione sta cambiando e si evolve”. Per Chiara e Serena il lavoro con i giovani è una risorsa importante, perché permette di valorizzare le radici e la storia dell’azienda, e allo stesso tempo di stare al passo con il cambiamento, grazie alle idee e alle proposte innovative delle nuove generazioni.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

Protagoniste di Valore: Monica Cerutti e il social First Life

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a Cura di ScattoTorino

 

Torinese amante della propria città, Monica Cerutti ha speso parte della propria vita nell’impegno politico e si è dedicata con passione alle tematiche femminili. Nel 1997 è stata Consigliera della Circoscrizione 10 dove ha avviato il progetto Spazio Donna 10, nel 2001 è stata eletta Consigliera Comunale di Torino e nel 2010 Consigliera Regionale. Nella sua carriera ha sempre operato con etica e sensibilità, occupandosi – tra gli altri – della tutela dei diritti degli animali e adoperandosi contro il loro maltrattamento nei circhi. Attenta alle politiche femminili è stata Presidente di Emily Torino, l’associazione che sostiene la presenza delle donne nella vita pubblica come valore portante della democrazia. La sua carriera l’ha vista ricoprire, dal 2014 al 2019, il ruolo di Assessora Regionale in Piemonte con delega alle Pari Opportunità, Diritti Civili, Diritto allo Studio, Politiche giovanili, Immigrazione, Cooperazione decentrata e Diritti dei Consumatori. Al termine del suo mandato Monica Cerutti, laureata in Scienze dell’Informazione e con un master in Informatica e Telecomunicazioni conseguito al Politecnico di Torino, è tornata a svolgere il lavoro di analista nel settore delle telecomunicazioni in Telecom Italia. Tuttavia non ha abbandonato il suo impegno nel sociale e ha attivato una collaborazione con il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino per l’attività di ricerca Progettare l’inclusione sociale con FirstLife, un social network “civico” pensato per le città il cui fine è incentivare la progettazione partecipata a scala locale, stimolare iniziative di auto-organizzazione, sviluppare pratiche collaborative tra gli attori territoriali pubblici e privati.

Monica Cerutti First LifeUn suo giudizio sulla parità di genere nel nostro paese?

Purtroppo le problematiche che erano presenti e si volevano affrontare 20 o 30 anni fa continuano ad essere le stesse anche oggi e questo è un aspetto su cui forse non si riflette a sufficienza. In Italia sono stati fatti dei passi avanti rispetto alla segregazione orizzontale e verticale e abbiamo figure femminili di eccellenza ai vertici aziendali e in ambito politico, ma la loro percentuale non è così elevata. Inoltre il tasso di occupazione femminile in questo preciso periodo storico sta retrocedendo, per cui è chiaro che la crisi economica che stiamo vivendo purtroppo ha impatti importanti sulle situazioni più fragili e in questo senso le donne giocano un ruolo significativo. Sarebbe utile che ci fosse una consapevolezza diffusa capace di colmare il divario di genere con un aspetto di equità e di sviluppo per l’intera comunità. Oggi c’è ancora scarsa consapevolezza, forse anche da parte delle stesse donne. Una società più equa offrirebbe una leva di sviluppo per tutti e le donne potrebbero portare una visione diversa in ambito sociale e professionale”.

Parliamo di inclusione?

“Dovrebbe essere una delle priorità in una comunità che voglia valorizzare i suoi componenti. Ho lavorato e continuo a tenere presente il fatto che in una società le diversità tra uomo e donna, le differenze di età, di provenienza o quelle legate a fragilità temporanee o permanenti, come la disabilità dovrebbero venir considerate elementi che la comunità stessa deve valorizzare per essere coesa e guardare al futuro con ottimismo. Dobbiamo prendere in considerazione sia gli aspetti pratici sia ciò che è intangibile per lavorare sull’inclusione e provare a costruire relazioni, così da creare tutti insieme una comunità unita. La pandemia ha fatto emergere alcuni aspetti negativi nelle persone e il termine stesso di distanziamento sociale determina paure e timori. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene infatti che vada superato il concetto di distanziamento sociale a favore del distanziamento fisico”.

L’Information and Communications Technology, oggi, prende in considerazione le differenze e l’inclusione?

“Mai come in questo momento nell’ICT e nell’intelligenza artificiale c’è l’esigenza di tenere presente questi aspetti perché, data la scarsa presenza delle donne nelle discipline STEM, il rischio è che non partecipino ai progetti di intelligenza artificiale per cui il mondo proposto non include le sensibilità e le conoscenze al femminile. Un mondo, tra l’altro, che taglia fuori coloro che provengono da quei paesi che non stanno lavorando su questo argomento. Ad esempio, gli algoritmi attuali di riconoscimento facciale tendono a non riconoscere le donne di colore.  A causa della pandemia abbiamo una digitalizzazione molto spinta, ma non possiamo tralasciare una parte di umanità nel costruire i nuovi algoritmi. Unendo gli obiettivi di parità di genere e di un mondo più inclusivo, c’è bisogno di una partecipazione più ampia e di una maggiore attenzione alle differenze diversamente declinate anche nell’ambito dell’Information and Communications Technology e dell’intelligenza artificiale perché questi aspetti riguarderanno tutti e tutte”.

Che cos’è FirstLife?

“Si tratta di un social network civico e gratuito che vuole costruire relazioni all’interno di una comunità perché, a differenza di altri social, non valorizza il singolo ma la collettività. Ideato dal Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Torino, si basa su una mappa interattiva i cui contenuti riguardano le attività e i progetti associati ai luoghi. Su FirstLife si può interagire con gli altri utenti partecipando a discussioni, gruppi tematici ed eventi; inoltre si possono aggiungere luoghi, racconti e notizie sulle aree di proprio interesse. La piattaforma è stata utilizzata nelle scuole per accompagnare i ragazzi a conoscere meglio il proprio territorio, ha partecipato a progetti come Adotta un monumento ed ha avuto applicazioni in ambito culturale, ad esempio per Piemonte dal vivo e Torino a cielo aperto. Dato il suo valore, ci stiamo adoperando per farla utilizzare in diverse amministrazioni locali”.

Donna per lei significa?

“Vuol dire prendersi cura delle persone e dell’altro a 360 gradi”.

IL FOCUS DI PROGESIA

I Valori del progetto FirstLife, il social network civico sono:

  • Sviluppo sostenibile – sostenibilità ambientale, sociale e di governance.

Costruire relazioni all’interno della comunità

La piattaforma FirstLife mette a disposizione dei cittadini e delle cittadine un nuovo modo per far crescere la partecipazione e la collaborazione attiva, attraverso sette principali attività che possono essere fatte su questo social network civico: la ricerca di informazioni su scala locale, la condivisione di notizie ed esperienze tra utenti, la valorizzazione delle risorse locali attraverso la mappatura di luoghi, attività, progetti e storie, la scoperta di novità del proprio quartiere e della propria città, il poter documentare le proprie attività, la possibilità di organizzare gruppi di lavoro sul territorio e la gestione e promozione di progetti ed eventi.

A differenza dei social più conosciuti, FirstLife vuole essere un centro virtuale in cui far emergere contenuti di valore per tutti, un luogo in cui valorizzare le attività e le azioni dell’intera comunità e non della singola persona, come invece siamo abituati a vedere in altri social network. Si tratta quindi di “un social network orientato ai bisogni della comunità” come afferma Monica Cerutti, che ha l’obiettivo di avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle cittadine, coinvolgendoli attivamente”.

A differenza degli altri social, FirstLife è un luogo virtuale in cui non ci sono fakenews, che lascia il posto all’informazione e dove vige la regola della comunicazione educata, gentile e appropriata.

FirstLife, le prossime azioni

La piattaforma a disposizione di cittadini e cittadine è sempre in evoluzione e segue le innovazioni tecnologiche. Monica Cerutti, infatti, conferma che “sono previste novità dal punto di vista delle funzionalità con lo scopo primario di costruire un servizio sempre più vicino ai cittadini, in linea con i loro bisogni e le loro esigenze”. Un altro obiettivo dell’introduzione di nuove funzioni è quello di raggiungere un numero sempre maggiore di utenti, perché in questo modo sarà possibile favorire una più ampia partecipazione e coinvolgimento di persone nei progetti e nelle attività del territorio.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

 

Protagoniste di Valore: Elena Miroglio, Presidente di Miroglio Fashion

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino

Cuore e testa. Questa, in sintesi, Elena Miroglio, una donna eclettica che dai viaggi trae ispirazione per il proprio business e che ama le espressioni artistiche come stimolo per promuovere la creatività e favorire la crescita nell’azienda e i temi di sostenibilità e salvaguardia dell’ambiente. Dopo la laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha studiato Business and Management all’Università della California di Santa Barbara ed ha iniziato la carriera nell’area prodotto e retail di un’azienda di abbigliamento di Los Angeles. Rientrata in Italia si è occupata della divisione Fashion del Gruppo Miroglio ed ha lavorato prima nell’area design e sviluppo prodotto e successivamente nel retail, nel marketing e nella comunicazione. Presidente di Miroglio Fashion, con il fratello Giuseppe – che è Vice Presidente del Gruppo – e con l’AD Alberto Racca e il Consiglio d’Amministrazione contribuisce a definire le strategie aziendali di questa realtà che è nata alla fine del 1800 come attività commerciale, che nel 1947 si è trasformata in industriale e che oggi è presente in 22 paesi con 37 società e 4 insediamenti produttivi per portare la moda made in Italy alle donne di tutto il mondo.
Cuore e testa, dicevamo. Due cardini che caratterizzano la vita personale e quella professionale di Elena Miroglio, una persona sensibile che per le sue qualità nel 2007 è stata nominata Cavaliere della Repubblica per il contributo dell’azienda all’emancipazione femminile da un modello estetico costrittivo: la sua è infatti la prima impresa italiana a dedicare particolare attenzione a tutte le donne, al di là delle forme e degli stereotipi. A conferma del suo impegno, la Presidente di Miroglio Fashion sostiene il bando lanciato della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche che ha portato all’assegnazione di sette borse di studio riservate ad infermiere che hanno conseguito la laurea magistrale con lode e che hanno scelto di iscriversi ad un master di II livello nelle aree specialistiche di maggior rilievo infermieristico.

Miroglio FashionMiroglio fashion significa?

La società opera lungo tutta la filiera della moda femminile e del retail e i suoi brand sono distribuiti tramite i nostri negozi e clienti multimarca. Curiamo il prodotto, lo stile, la catena del valore e in funzione del marchio alcune attività sono fatte in outsourcing. Abbiamo tre brand italiani di fast fashion: Motivi, Oltre e Fiorella Rubino che vengono distribuiti principalmente nei centri commerciali italiani e che si rivolgono a target con stili di vita differenti. C’è poi Elena Mirò che ha un posizionamento premium ed è distribuito in negozi diretti presenti nei centri storici delle principali città italiane, oltre che tramite negozi multimarca; è distribuita all’estero, in particolare in Spagna ed in Russia. Ci sono poi altri brand, come Caractère, rivolti principalmente al mercato italiano. Infine, da alcuni anni, abbiamo una join venture in Turchia con la Famiglia Ayaydin e firmiamo tre brand rivolti al mercato locale, all’Asia Centrale e al Medio Oriente”.

Ripercorriamo la vostra storia?

“Siamo nati come azienda tessile per poi svilupparci nel settore dell’abbigliamento con la produzione di capi rivolti ad una clientela indifferenziata. In seguito abbiamo sviluppato i marchi, grazie anche alla collaborazione con stilisti e la creazione di capsule specialistiche. Oggi abbiamo diversi team di stilisti interni, ognuno dei quali dedicato al proprio marchio. Con i cambiamenti del mercato ci muoviamo verso un modello organizzativo più evoluto che metta sempre più al centro i bisogni delle clienti. Ciò richiede anche un cambio culturale e la capacità di raccogliere, segmentare ed interpretare un gran numero di informazioni – big data – per soddisfare le esigenze della clientela e addirittura realizzare il prodotto partendo dalle richieste concrete delle consumatrici attuali e potenziali. Gli investimenti nell’e-commerce e nei progetti di Customer Relationship Management sono utili anche per questi scopi”.

Come avete reagito al Covid-19?

“La pandemia ha colpito molto il settore del fashion: pur non cambiando la nostra visione, abbiamo studiato un protocollo per la riapertura degli show room e dei negozi già prima di maggio, integrando le attività digitali con quelle della rete fisica. Abbiamo puntato sull’experience, intesa come relazione umana con la cliente, e sulla sicurezza: due bisogni importanti per ognuno di noi. Sull’online, in particolare su Elena Mirò, abbiamo sviluppato attività per mantenere un rapporto umano: ad esempio con appuntamenti per avere una consulenza immediata sull’acquisto digitale e abbiamo creato delle Smart box ovvero una selezione di abiti inviati alla consumatrice conosciuta dalla Store manager che sceglie comodamente da casa ciò che le piace e ci rinvia quello che non vuole tenere. Attualmente il traffico dei negozi è inferiore rispetto al 2019 a causa del Covid e le leve che funzionano sono le promozioni. Stiamo individuando altre iniziative per rispondere sia alle esigenze del mercato sia per far nascere nella clientela la necessità di andare in negozio”.

Elena Miroglio_2Il vostro business si svolge nel rispetto dell’ambiente. Quali processi produttivi vi caratterizzano?

“Premetto che l’abbigliamento purtroppo non è uno dei settori più sostenibili per caratteristica insita.Avere molti fornitori e una catena del valore lunga rende più complesso il controllo di ogni fase. Nella moda sono tanti i paesi coinvolti e ognuno ha regolamenti diversi. Ci sono però dei protocolli internazionali ai quali ci dobbiamo attenere. La nostra produzione è in Cina, Est Europa, Nord Africa e Turchia, tranne il 20-30% che è realizzata in Italia. Per questo facciamo firmare dei protocolli rispetto all’ambiente lavorativo, al lavoro minorile, alle sostanze tossiche ed effettuiamo dei controlli sulle materie prime, sugli stabilimenti e sui capi di abbigliamento. Abbiamo firmato il protocollo Detox di Greenpeace che punta alla riduzione di sostanze dannose per l’ambiente. I requirement richiedono un cambiamento non solo nel nostro settore, ma anche in quello chimico. Stiamo lavorando per ridurre la plastica, gli imballaggi e i rifiuti: abbiamo progetti in divenire sull’economia circolare per eliminare gli sprechi e rimettere nella catena del valore la rimanenza. Ad esempio, diamo i capi di scarto alla ong Oxfam che si occupa di prelevarli e venderli nel proprio canale di charity. Il nostro marchio Oltre a breve uscirà con una capsule di prodotti made to order, ovvero capi che vengono ristudiati dagli stilisti partendo dalle rimanenze. In questo modo tutti, anche le clienti, si sensibilizzano al tema del non spreco. Stiamo anche lavorando per la riduzione dell’emissione di CO2, con diverse iniziative, tra cui la sostituzione, nei negozi, dell’illuminazione con led a basso consumo energetico. Effettuiamo tante piccole azioni concrete che sono tangibili: un percorso che si articola in più step e in più aree: supply chain, processi produttivi, miglior benessere delle persone in azienda attraverso la flessibilità e dei programmi di formazione che puntano alla soddisfazione dei singoli dipendenti. Crediamo nei giovani e vorremmo inserirne sempre di più in organico perché sono la risorsa per traghettarci nel post Covid. Grazie al nostro AD Alberto Racca, puntiamo sui nuovi talenti e sulle risorse che, come noi, pensano che per trovare le soluzioni serva il lavoro di squadra”.

Durante l’emergenza sanitaria siete stati tra i primi a convertire parte della produzione per fornire mascherine

“All’inizio è stata una conversione in emergenza, oggi invece le produciamo presso Sublitex che è la società del gruppo leader mondiale nel settore della stampa transfer, una tecnologia water free. Oggi produciamo mascherine chirurgiche anche stampate.

In ambito filantropico, quali sono le finalità della Fondazione Elena e Gabriella Miroglio?

“La Fondazione è nata negli Anni ’50 quando ancora in Italia non esisteva il welfare aziendale. Mio nonno, che era un uomo illuminato già all’epoca, ha fondato un asilo ed ha messo a punto una serie di attività per i dipendenti. Oggi la Fondazione è radicata sul territorio e si occupa dei collaboratori e delle loro famiglie. Accanto all’asilo abbiamo sviluppato anche delle attività per i nostri senior”.

Donna per lei significa?

“Essere donna è un percorso: penso che ogni 10 anni potrei rispondere in maniera diversa. Amo viaggiare perché mi offre la possibilità di conoscere persone e imparare da culture diverse. Nei miei viaggi ho incontrato donne che mi hanno aiutata ad abbattere gli stereotipi. Adoro la diversità in quanto è una risorsa e una forma di creatività. Essere donna significa avere la libertà di essere se stesse e vivere la parte emozionale in modo più aperto perché con l’emotività si possono cogliere le sfumature e si può sviluppare quell’empatia necessaria per creare rapporti durevoli e concreti”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Il Sistema di Valori di Miroglio Fashion comprende:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Politiche aziendali Human Centric;
  • Valorizzazione dei dipendenti e delle dipendenti;
  • Iniziative di conciliazione famiglia e lavoro e agevolazione della gestione del tempo in azienda.

L’esperienza del cliente sempre al centro

Per Elena Miroglio il contatto umano con ogni cliente è un elemento imprescindibile negli store come nell’esperienza online. Per questo motivo l’azienda ha puntato su una strategia omnichannel, offrendo alle clienti un’esperienza d’acquisto individuale e personalizzata, indifferentemente dal canale di interazione con cui si avvicinano ai loro brand preferiti.

In Miroglio Fashion l’impatto del Covid ha per necessità dato una spinta rapida ed efficace alla sperimentazione di nuove tecnologie e nuovi processi in linea le esigenze della clientela. Tutti i progetti realizzati, tra cui la vendita in streaming, le smart box e l’assistenza alla vendita a distanza, sono stati un modo per valorizzare il rapporto “umano” con ogni singola cliente all’interno dell’ambiente virtuale.

L’accurato studio delle informazioni quantitative, i big data, integrati all’analisi dei dati comportamentali, gli small data, raccolti dalle addette alle vendite che sono sempre in prima linea, hanno permesso alla Miroglio Fashion di effettuare scelte strategiche importanti e sviluppare nuovi progetti che presto saranno sperimentati sul campo, il cui filo conduttore è la sicurezza e l’autenticità del rapporto con le clienti.

Nell’ambito delle strategie adottate per rendere unica l’esperienza delle clienti, Miroglio Fashion ha puntato sulla formazione degli store manager e delle addette vendite. Inoltre, uno strumento che si è dimostrato molto funzionale per le addette alla vendita è il WorkPlace di Facebook, una piattaforma che permette loro di accorciare le distanze (sono circa quattromila in tutta Italia) condividendo consigli, idee e soluzioni in gruppi specifici suddivisi per brand o per obiettivi. Un’opportunità per confrontarsi sulle esperienze vissute negli store e per mettere in pratica best practice per migliorare la customer experience.

L’orientamento al futuro e l’importanza delle radici

“La nostra cultura aziendale è orientata al futuro ma sempre nel rispetto delle nostre radici” afferma Elena Miroglio, raccontando come l’azienda stia puntando sull’innovazione, senza però allontanarsi dai valori che hanno guidato fino a oggi le azioni di Miroglio Fashion. In particolare, i giovani sono per Miroglio un valore aggiunto all’interno della realtà organizzativa, in quanto la loro visione sulle nuove tecnologie e la loro attitudine a essere propositivi possono supportare l’azienda ad affrontare il rapido e continuo cambiamento di questo settore.

“È importante che le persone siano felici di lavorare con noi” sostiene Elena Miroglio, e l’attenzione verso il personale è dimostrata attraverso diverse azioni positive realizzate dall’azienda per favorire la conciliazione dei tempi tra famiglia e lavoro, nonché survey periodiche finalizzate a rilevare il clima aziendale. L’attenzione ai dipendenti e alle dipendenti è storica, come dimostra l’asilo aziendale creato dal nonno di Elena Miroglio negli anni ’50 per supportare le famiglie.

L’approccio con il personale di Miroglio Fashion è basato sulla corresponsabilità tra azienda e dipendenti, in cui tutti sentono propria la realtà organizzativa, intervenendo attivamente nel trovare le soluzioni alle complessità e agendo in modo coerente alla mission aziendale per raggiungere gli obiettivi.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

 

Protagoniste di Valore: Stefania Doglioli, co-fondatrice di SAFE

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino

Stefania Doglioli, sociologa specializzata in statistica, vive di passioni. Prima per lo studio, poi per il lavoro. A 20 anni, studentessa, collabora con l’Università di Trento e successivamente studia in Inghilterra, finanziata dall’ateneo. Dopo il dottorato insegna statistica a Milano, in Politecnico e in Bicocca, ma rifiuta la carriera universitaria per vivere una realtà diversa. Prima si occupa di biodiversità, poi collabora con importanti centri di ricerca di Milano e Torino e con altre prestigiose realtà cittadine. Sempre all’ombra della Mole si occupa di formazione professionale ed educazione per entrare appieno nella materia perché conoscenza e azione per lei sono la chiave per capire a fondo ciò di cui si occupa. Con il Centro Studi di Torino realizza il primo profilo nazionale di formazione professionale per operatrici di servizi anti violenza e il progetto oggi è parte integrante della Legge Regionale come obbligo formativo per tutti gli sportelli che si occupano di violenza alle donne. Poiché la violenza di genere ha profonde radici culturali, Stefania Doglioli decide di dedicarsi agli aspetti culturali utili a generare il cambiamento.L’intrepida impresa, come la chiama, la porta a licenziarsi da un impiego sicuro e a fondare SAFE, un progetto di innovazione sociale oltre che la prima agenzia nazionale di fundraising per l’educazione contro la violenza di genere. Alla guida ci sono un gruppo di donne illuminate composto da Ferdinanda Vigliani, Natascia de Matteis, Giulia Piantato, Elisa Forte, Emiliana Nardin, Silvia Marino, Chiara Zoia e naturalmente da lei. Il valore di SAFE è saper creare connessioni tra profit e non profit per alimentare un fondo e garantire ad una rete di nodi territoriali presenti in Italia gli strumenti utili a realizzare interventi educativi di prevenzione alla violenza di genere nelle scuole e nei luoghi di aggregazione.

safe_logo_Qual è la mission di SAFE?

“Offrire i supporti finanziari, di networking, comunicativi, didattici, di ricerca e sviluppo alla rete che si occupa di educazione alla violenza di genere nelle scuole e nei luoghi di aggregazione. Lavoriamo come un’impresa e abbiamo un modello organizzativo il più snello possibile. Il nostro catalogo spiega ciò di cui ci occupiamo e qual è il budget necessario per raggiungere un obiettivo in modo da agire nella trasparenza più completa. Il 70% dei fondi raccolti è destinato alla rete, che viene selezionata per l’altissima qualità, in modo da garantire competenza e serietà, il 10% alla comunicazione, il 5% alla ricerca e il 15% alla raccolta e gestione dei fondi”.

Il progetto a chi si rivolge?

“Essendo un ponte, ha diversi interlocutori: i finanziatori, le università che hanno sviluppato le metodologie e che compongono il comitato scientifico, le associazioni di categoria, autorevoli testimoni del mondo della cultura aziendale e naturalmente i fruitori finali”.

Voi avete diversi supporter: qual è il loro ruolo?

“I supporter firmano un contratto con SAFE e si impegnano a sostenere e a diffondere le nostre iniziative in base al tipo di skill. Per quanto riguarda le aziende e le associazioni di categoria, abbiamo un rapporto diretto e creiamo progetti concreti che siano davvero utili”.

Stefania Doglioli SafeLa governance di un’organizzazione come dovrebbe agire per la parità di genere?

“Servirebbe un patto organizzativo all’interno delle aziende in cui tutte le componenti siano coinvolte in un comune sistema di valori. Il tema è profondamente culturale per cui la legislazione non basta. Bisognerebbe creare dei modelli di leadership e di organizzazione che superino quelli tradizionali e che spesso invece sono di tipo maschile perché un tempo le donne non partecipavano al momento decisionale dell’impresa. Ciò che occorre è il coinvolgimento dei dipendenti e delle dipendenti e la condivisone dei valori”.

Donna per lei significa?

“È un dato culturale. Sono nata biologicamente donna e sono stata cresciuta come una femmina. Crescendo sono tornata ad essere donna. Per me vuol dire ricondurre la cultura condivisa alle vere potenzialità che può esprimere una donna e che non sono quelle dell’assegnazione di ruoli costrittivi. Siamo cresciute per millenni con determinati modelli, ma esiste una cultura alternativa che possiamo portare avanti solo se acquisiamo consapevolezza su cosa significhi essere portatrici di differenza per diventare un volano per il cambiamento. Essere donna vuole dire avere grandi opportunità e un’incredibile responsabilità che possiamo gestire con la ricerca della consapevolezza”.

Il FOCUS DI PROGESIA

Le aziende che sostengono il progetto SAFE attuano le seguenti best practice:

  • Impatto Sociale d’Impresa;
  • Politiche aziendali Human Centric;
  • Valorizzazione delle dipendenti e dei dipendenti;
  • Valorizzazione di competenze e carriere femminili.

“Lavoriamo come un’impresa”

Il percorso di sviluppo del progetto di innovazione sociale SAFE è stato molto simile alla realizzazione di un progetto imprenditoriale. Fin dall’inizio sono stati definiti obiettivi e pianificate azioni, puntando sulle competenze e sulla professionalità delle persone coinvolte. L’associazione è stata da subito vissuta come un’organizzazione a cui dedicare totalmente impegno ed energie e non come un hobby a cui riservare ritagli di tempo. Dalla fase iniziale il progetto è stato supportato da manager e consulenti con competenze specifiche, in quello che Stefania Doglioli definisce “un processo di apprendimento” che ha permesso al gruppo di lavoro di dotarsi di strumenti e metodi utili a programmare obiettivi a breve e a lungo termine. Questo ha consentito a SAFE di arrivare a essere a livello nazionale una voce autorevole nell’educazione contro la violenza di genere e contestualmente di valorizzare la dimensione locale lavorando con le singole comunità. Le parole di Stefania Doglioli “lavoriamo come un’impresa”, infatti, riflettono la realtà SAFE: l’associazione è riuscita a raggiungere importanti obiettivi relativi alla prevenzione della violenza di genere, attraverso un’organizzazione tipicamente aziendale che prevede l’ampliamento del network, un centro di ricerca e sviluppo e più sedi operative distribuite su tutto il territorio nazionale.

I benefici per le imprese

“Le persone veicolano i valori. Se un’impresa punta sui valori coinvolgendo le persone che vi lavorano, allora quella è un’azienda che veicola valori” afferma Stefania Doglioli sottolineando l’importanza della presenza delle imprese nel progetto. SAFE lavora accanto alle scuole per educare i bambini e le bambine, i giovani e le giovani a comprendere gli stereotipi, gli atteggiamenti, il linguaggio e i comportamenti nocivi in ottica di prevenzione della violenza di genere e allo stesso modo lavora accanto alle aziende, dove lavorano i genitori di queste nuove generazioni, in modo da costruire una rete di relazioni che possa contribuire ad abbattere i fenomeni di discriminazione e di violenza.

Collaborare con SAFE può essere per un’azienda una grande opportunità per trarre benefici per la sua organizzazione e per i propri stakeholders. Gli studi confermano infatti che i dipendenti che sentono di condividere gli obiettivi e i valori della propria azienda sono più coinvolti, più proattivi e di conseguenza più produttivi. Inoltre, riconoscersi nei valori dichiarati da un’azienda è importante anche per il cliente, perché attualmente chi acquista non sceglie più solo il prodotto o il servizio, ma decide basandosi sull’insieme delle esperienze e dei valori condivisi con il marchio o il brand. Lo stesso vale per i fornitori, oggi molto più attenti a far parte di una filiera che veicola valori condivisi. Infine, un beneficio che un’azienda può trarre a lungo termine è quello di riuscire a costruire intorno a sé, a livello locale, una comunità sostenibile in cui si possa lavorare in sinergia favorendo il benessere di tutti.

In questo contesto, hanno un ruolo fondamentale le associazioni di categoria, che si sono dimostrate subito molto disponibili alla sensibilizzazione delle imprese, soprattutto delle piccole e medie aziende, ossia quelle più difficilmente raggiungibili. Infatti, mentre le grandi imprese per loro impostazione riconoscono il valore di queste azioni, le piccole aziende hanno bisogno di acquisire consapevolezza. “Grazie al supporto delle associazioni di categoria” – afferma Stefania Doglioli – “siamo riusciti a costruire un ponte raggiungendo centinaia di piccole aziende oggi attive nel progetto SAFE”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino