Proiettato ieri al cinema Ambrosio di Torino il film che racconta gli ultimi sette giorni del ragazzo romano

SULLA MIA PELLE. LA STORIA DI STEFANO CUCCHI

Sono le 18.14 quando al cinema Ambrosio di Torino, termina la proiezione del film che racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, il trentunenne romano morto nove anni fa dopo essere stato arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti. Nonostante lo scorrere dei titoli di coda, nessuno osa alzarsi dalla poltrona. Nessuno parla. Tutti li, immobili a fissare lo schermo, increduli, attoniti, come se ci si aspettasse un ultimo colpo di scena che però non arriva: Stefano Cucchi è morto e Lui ancora non ha giustizia. La somiglianza tra i protagonisti, Alessandro Borghi e Jasmine Trinca, a Stefano e Ilaria Cucchi è impressionante così come impressionante è la loro bravura nel raccontare quella che è la storia di una famiglia, ma che in realtà ne racchiude molte altre che non sono però arrivate sulle prime pagine dei giornali. E’ la storia di tutti coloro che troppo spesso si sentono impotenti davanti alle autorità e che pensano che tacere sia meglio visto che “tanto non cambia niente”. È un film che fa rabbia soprattutto se si considera che, come ha dichiarato il regista Alessio Cremonini presente in sala prima della proiezione, “il 99% dei dialoghi è stato preso dai verbali. Verbali in cui le persone coinvolte sostengono di avere avuto quel determinato tipo di rapporto con Cucchi”. Più che un film, in effetti, sembra un documentario: Stefano Cucchi non viene descritto come un martire, ma semplicemente come un ragazzo che, come ha detto la protagonista femminile Jasmine Trinca anche Lei presente in sala, “nella vita ha sbagliato mille volte, ma non per questo doveva fare quella fine”. La Trinca, inoltre,   alla domanda “Perché è stato fatto questo film” risponde: “In questo momento storico per noi raccontare un mondo in cui non ci si accorge di chi sta accanto a noi in cui c’è una perdita totale della considerazione dell’essere umano ha un significato e per questo motivo ha un valore aggiunto vederlo in una sala cinematografia perché diventa un’esperienza collettiva”.  Questo film ha l’intento di smuovere le coscienze e ci riesce in pieno: è un pugno allo stomaco, un male viscerale ma necessario, che tutti dovrebbero provare.

 

Dora Mercurio