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Grimaldi (LUV): “‘bogia nen’? Cirio piuttosto non faccia il ‘bòcia’”

“Il Governo impugna e Cirio gongola;  il Presidente cerca lo scontro coi Ministri, ma governare il Piemonte non è un gioco”

Il governo ha impugnato l’ordinanza della Regione Piemonte che raccomanda alle scuole di misurare la febbre agli allievi all’ingresso e, se non è possibile, di verificare che l’abbiano fatto le famiglie chiedendo un’autocertificazione.

“‘Bogia nen’? Cirio piuttosto non faccia il ‘bòcia’; il Presidente cerca lo scontro coi Ministri, ma governare il Piemonte non è un gioco” – commenta il capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Regione, Marco Grimaldi. “Ma Cirio lo sa che se qualche scuola ha misurato la febbre agli studenti, non lo ha fatto certo grazie ai termometri finanziati dalla Regione? Già, perché nonostante i proclami, le conferenze stampa e i post sui social, neppure un euro dei 500mila promessi dalla Giunta sono stati versati alle scuole. Zero domande, zero iban, zero termometri” – la conferma arriva indirettamente dall’Assessore Gabusi che ha risposto oggi all’interrogazione urgente di Grimaldi.

“Cirio e la sua Giunta hanno creato una gran confusione – prosegue Grimaldi – a partire dalla promessa di mettere un medico in ogni scuola, possibilità prontamente smentita da Icardi, passando per gli annunci di nuovi stanziamenti per dotare ogni istituto scolastico di termoscanner, fino ad arrivare al balletto delle ordinanze nelle quali Cirio raccomandava alle scuole di misurare la febbre agli studenti prima dell’inizio delle lezioni, idea che ha fatto infuriare tutto il mondo della scuola, specie per l’intempestività della proposta, arrivata a soli tre giorni dall’inizio delle lezioni e dopo che ogni istituto aveva messo a punto un proprio programma di rientro consono alle linee guida ministeriali”.

“Nessun termometro è stato pagato dalla Regione Piemonte anche perché la delibera di stanziamento è di venerdì scorso, a sole 72 ore dal suono della prima campanella; insomma – conclude Grimaldi – da parte di Cirio c’è stata solo propaganda e oggi abbiamo la conferma del vero obiettivo della sua manovra: stare qualche giorno sulle prime pagine dei giornali. Da questo punto di vista, l’impugnativa del Governo per noi è una brutta notizia: ora Cirio potrà fare la vittima e dire che lui ci aveva provato. Che tristezza”.

Ospedale Als To5, Salizzoni: “Rischiamo di perdere tempo”

Il vice Presidente del Consiglio regionale: “Fare certezza sui rischi idrogeologici ma il documento con cui si chiede un nuovo studio sul sito è solo una manovra dilatoria”

 

Riaprire la discussione sulla localizzazione del nuovo ospedale unico dell’AslTO5 significa perdere ulteriore tempo, ripartire dalla casella iniziale, e, quindi, mettere in forse questa infrastruttura. Ma quanto fatto e deciso negli ultimi cinque anni era tutto uno scherzo? Strutture obsolete come quelle di Moncalieri e di Chieri quanto possono ancora reggere? La sanità piemontese ha bisogno di ospedali moderni, efficienti, sicuri e dotati di attrezzature di ultima generazione:

così il vice Presidente del Consiglio regionale Mauro SALIZZONI commentando l’approvazione da parte dell’Aula dell’Ordine del giorno relativo al nuovo ospedale dell’AslTO5.

“L’area Vadò era stata individuata alla fine di un faticoso confronto con le amministrazioni locali, ed era stata scelta soprattutto guardando la logistica – ricorda Mauro SALIZZONI nel suo intervento durante il dibattito consiliare – Un precedente studio aveva già escluso il rischio alluvionale. Visto che permangono dubbi in proposito, si è ritenuto di procedere ad un’ulteriore perizia. Tutti concordiamo sul fatto che si debbano avere certezze in tal senso ma un conto è procedere ad una nuova perizia, altro è chiedere di riaggiornare lo studio sul nuovo ospedale della TO5, la cui sede non può certo essere condizionata dal colore politico di questa o quella amministrazione”.

“La scelta del sito dove realizzare il nuovo ospedale deve corrispondere a precisi criteri, deve essere un ospedale comodo da raggiungere e deve essere baricentrico-aggiunge ancora Mauro SALIZZONI-Ma la baricentricità non è da intendersi come un’astratta distanza tra punti geometrici, bensì occorre tenere conto della distribuzione della popolazione nell’area dell’Asl, ovvero la densità abitativa. Più di un terzo degli abitanti sono concentrati a Moncalieri e Nichelino. Il rischio è molti cittadini finirebbero con il far riferimento al futuro Parco della Salute, che, quindi, potrebbe risultare sottodimensionato in termini di posti letto”.

Tavolo ex Embraco, Costanzo (M5S): “Un buon inizio”

Questa mattina, in Prefettura a Torino, si è tenuto il primo tavolo tra la Sottosegretaria al Mise Todde, la Sindaca di Torino Appendino, il vescovo Nosiglia e il neo-commissario straordinario dell’Acc Wanbao Maurizio Castro.

All’illustrazione del piano di rilancio del sito di Riva Presso Chieri, messo a punto da Governo e Invitalia, ha partecipato anche la deputata piemontese Jessica Costanzo (M5S), da sempre attenta agli sviluppi della vertenza.
“Questo incontro – commenta Costanzo – è sicuramente un buon inizio. Il Governo dimostra il suo impegno serio, dopo aver lavorato a testa bassa senza annunci e attirandosi a volte per questo le critiche di lavoratori e sindacati.
Il Fondo per la gestione della crisi d’impresa introdotto dal Decreto Rilancio con i 100 milioni di euro stanziati – afferma Costanzo – inizia infatti a dare i suoi frutti, oggi visibili concretamente con il nuovo progetto di creazione del polo nazionale per la produzione di compressori per frigoriferi in cui confluiranno l’ex Embraco e l’ex Acc di Mel, in crisi dopo l’uscita del gruppo cinese Wanbao.  L’obiettivo – continua Costanzo – è quello di strutturare finalmente un vero piano industriale, ciò che era sempre mancato nelle infelici gestioni precedenti. Ho apprezzato molto l’atteggiamento del dottor Castro, nominato commissario straordinario, che ha evitato di sbilanciarsi con numeri e proclami e ha riconosciuto il grande lavoro della sottosegretaria Todde, affermando di non aver mai trovato, in quarant’anni di carriera, qualcuno di esigente e pragmatico come lei.
“Questo progetto – prosegue Costanzo – parte dalla consapevolezza che la specializzazione è la chiave del successo dell’operazione e che d’ora in avanti si eviterà in ogni modo la competizione tra siti. Il cambio di paradigma molto apprezzabile: integrazione sarà la parola chiave, poiché si è visto che negli anni pregressi mettere uno contro l’altro siti che si occupano di produzione dei medesimi beni non ha portato a nulla di buono. La diversificazione è importante: occorre puntare sul know-how e sulle competenze dei lavoratori che dovranno comunque essere riaggiornate dopo lo stop di ben quattro anni per le note vicende.
Salvare l’ex-Embraco – conclude Costanzo – è da sempre obiettivo del governo. Ora, per rispetto di tutti i lavoratori e delle loro storie, occorre mettere da parte ogni trionfalismo e concentrarsi finalmente su una seria politica industriale”.

Tra le pieghe e le piaghe del COVID-19

Il Movimento per la vita di Torino annuncia la presentazione dell’ultimo libro scritto dal giornalista e direttore del quotidiano “La Croce” Mario Adinolfi.

Riceviamo e pubblichiamo / Il libro “Il Grido dei penultimi” verrà presentato dal prof. Valter Boero, presidente del Movimento per la vita di Torino (ore 18 del 16 settembre presso l’Istituto Internazionale Don Bosco in Torino, via Caboto 27) porta lo sguardo su una realtà volutamente nascosta dalle necessità di audience dei media. Non solo, con lo sguardo sui “penultimi”, sarà possibile riflettere sulla nostra vita personale e guadagnare una prospettiva nuova sulla realtà che ci circonda.

C’è una realtà taciuta a cui Mario Adinolfi, ha dato voce raccogliendo toccanti testimonianze.

Emerge da queste testimonianze, la fragilità di tante famiglie e soprattutto la necessità di puntare sul rafforzamento di questa struttura; unica capace di resistere alla forza distruttiva delle avversità naturali e di quelle antropiche.

L’appuntamento è per il 16 settembre 2020, presso l’Istituto Internazionale don Bosco, via Caboto 27 alle ore 18:00.

Munirsi di mascherina e prenotare il posto (info@vitatorino.org) per le solite ragioni di sicurezza COVID.

Ruffino (Fi): “Le preferenze danno valore al voto di genere”

Commenta l’on. Daniela Ruffino, deputata di Forza Italia:

Il ritorno al proporzionale, da me auspicato come tanti elettori, segna il ritorno alla politica fatta di dialogo, di confronto e di alleanze, tutte qualità troppo sbrigativamente negli ultimi anni liquidate come “inciucio”. Un’accusa tanto ipocrita ma anche molto utile alle forze radicali per mettere all’angolo i partiti moderati, riformisti e liberali. Con il proporzionale, ovviamente, è decisivo il ritorno alle preferenze, perché solo in questo modo si restituisce all’elettore il potere di scegliere i propri rappresentanti. E le preferenze, con l’obbligo del “voto di genere“ per riconoscere spazi alle donne, sono il sale della democrazia rappresentativa basata sul meccanismo proporzionale.

Con l’attuale formula dei “listini bloccati”, come accade in tutte le elezioni, dai Comuni al Parlamento, si è consolidato il potere oligarchico dei partiti e nei partiti. Qualcuno ricorda le battaglie di un passato anche recente per dare piena attuazione agli artt. 48 e 49 della Costituzione sulla natura dei partiti politici? Finito tutto a tarallucci e vino. I partiti sono stati svuotati dalle forme più incredibili di leaderismo, con le conseguenze che tutti vediamo sulla qualità della rappresentanza politica. Il cursus honorum della troppo vituperata Prima Repubblica aveva se non altro il pregio di portare in Parlamento un personale politico già rodato nei Comuni o nelle Regioni e quindi non digiuno di politica amministrativa. Ora si deve avere il coraggio di riequilibrare la rappresentanza attraverso l’obbligo delle preferenze di genere, unica via, al momento, per superare una discriminazione inaccettabile e valorizzare le capacità e le qualità femminili. Quando questo sono riconosciute dagli elettori e non solo dai capi-partito.

Scuola: Molinari (Lega), ordinanza Cirio ‘tampone’ a caos Azzolina

 “Sacrosanta l’ordinanza della Regione Piemonte. 

Un ‘tampone’ al caos scuola causato dal ministro Azzolina, che fa lo scaricabarile sulle famiglie obbligandole a certificare la temperatura dei propri figli. Grazie all’ordinanza del governatore Cirio, invece, nelle scuole del Piemonte – dove ad oggi ci sono 20mila cattedre vuote – è previsto un controllo ulteriore da parte della scuola. Tutto ciò a tutela degli studenti, ma anche dei docenti e dei presidi, che hanno responsabilità anche di natura penale in caso di contagi. Piuttosto, con tutti i fantamiliardi spesi, perché il governo non ha dotato le scuole di termoscanner?”.

Così il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari.

Gruppo Covid, Gallo (Pd): “Il deserto alla riunione in corso Regina”

Oggi le sedute del gruppo di lavoro sull’emergenza Covid19 sono entrate nel vivo, con la prima audizione del direttore Aimar e una ricostruzione dei principali provvedimenti normativi sulla pandemia. Tra gli elementi emersi, ha destato sorpresa apprendere che su 8 dirigenti della Sanità, al momento dell’epidemia, il direttore si trovava, di diritto o di fatto, a vicariarne 6.

In Direzione Sanità mancavano per pensionamento i responsabili dei settori Farmacia, rapporti con le strutture erogatrici, prevenzione veterinaria e anticorruzione; inoltre erano bloccati per malattia il ragioniere capo e un altro responsabile a Milano dal lockdown.

“Un quadro desolante, di assoluta carenza di programmazione delle risorse umane, che ovviamente l’epidemia ha reso ancora più esplosiva” sottolineano il Coordinatore del Gruppo d’Indagine Covid-19 (Pd) e il Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale Raffaele Gallo “Non solo si poteva arrivare più preparati ad affrontare l’emergenza, ma anche in tempo ordinario non è ragionevole ricorrere sistematicamente a strumenti straordinari come il vicariato”.

“Torneremo a occuparci della questione dispositivi” rileva il coordinatore del Gruppo d’Indagine: “mentre il direttore Aimar scriveva alle ASL di continuare ad approvvigionarsi, rilevando questo come un compito esclusivo delle aziende, l’Unità di crisi regionale (e anche la protezione civile nazionale) si intestavano il tentativo vano di centralizzare rilevazione dei fabbisogni e acquisti, contribuendo a una situazione confusionaria e poco chiara nelle responsabilità. L’unità di crisi, a differenza delle ASL, era peraltro dotata in questo senso di poteri straordinari per gli acquisti previsti dal governo dall’ordinanza protezione civile 630/3 febbraio”.

“Dispiace rilevare che da parte della maggioranza emerge disinteresse; soltanto tre consiglieri hanno partecipato ai lavori del gruppo: un’occasione persa di confronto e approfondimento” chiosa il Presidente del Gruppo PD

I diritti costituzionali valgono per tutti

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Impedire a Salvini di tenere comizi elettorali è un grave reato sanzionato dalla legge. Non si tratta di un disturbo arrecato ad una manifestazione qualsiasi. Anche strappare un manifesto elettorale è sanzionato dalla legge

Si tratta della legge che regola le elezioni che devono vedere tutti i partiti in gioco trattati nello stesso modo durante il periodo della campagna elettorale.
Qui l’analfabetismo politico giunge ad ignorare o finge di ignorare le regole del gioco democratico fissate in modo inequivocabile a tutela di tutti i contendenti. Sfasciare palchi e incendiare manifesti sono cose che vennero tollerate nel ‘68 e possono tornare contro Salvini. Manifestare in modo violento contro Salvini non è consentito e non è neppure un atto di coraggio. L’intolleranza non è mai accettabile. La vera tolleranza ha un valore se essa viene praticata  nei confronti di idee estreme, non nei confronti di idee semplicemente un po’ diverse dalle nostre. Per ora,ci si è limitati al lancio di pomodori,  ma domani si potrà ricorrere anche pietre, magari servendosi di fionde. Ci sono diritti costituzionali che vanno tutelati nei confronti di tutti, nessuno escluso. Per anni mi sono battuto per diritti del MSI come partito votato e rappresentato in  Parlamento, così oggi mi batto per i diritti di Salvini. In democrazia le mezze verità non sono consentite e determinano solo confusione. La libertà è un diritto di tutti, in campagna elettorale lo è doppiamente. Certi intellettuali che plaudono a chi disturba Salvini, dovrebbero saperlo. Impedire di tenere comizi ricorda per altro  comportamenti che giusto cent’anni fa incominciarono ad essere praticati dai fascisti di allora. Forse è  bene richiamare quella lezione di un secolo fa. Allora era in voga, non dimentichiamolo mai, il manganello e l’olio di ricino.
Scrivere a quaglieni@gmail.com

Il Prc-Se in piazza per l’occupazione e il reddito

Locatelli:”cambiare rotta, riprendere la lotta prima che sia troppo tardi”

Sabato, a Torino, in piazza Castello, Rifondazione Comunista era presente alla manifestazione di Cgil, Cisl e Uil indetta per sollecitare risposte alla crisi occupazionale e produttiva che investe il Piemonte e l’area metropolitana di Torino.  Stando a uno studio commissionato dall’Anci, Torino è l’area che più di altre subirà gli effetti di una caduta del fatturato e del reddito in una percentuale compresa tra il 14,4% e il 20%. “Un dato impressionante – commenta Ezio Locatelli, segretario provinciale Prc-Se di Torino – non riconducibile solo all’emergenza sanitaria ma a problemi preesistenti. Basti dire che in soli 12 anni, dal 2007 al 2017,  l’incidenza della povertà assoluta tra le persone tra i 18 e i 34 anni per mancanza di lavoro e di reddito è più che quadruplicata passando dall’1,9 al 9,1%. Questo per dire che il problema non è quello di tornare a prima della pandemia, come chiedono a gran voce gli industriali che pensano di uscire dalla crisi rilanciando le grandi opere, le privatizzazioni, riducendo il costo del lavoro, tornando alla libertà di licenziamento, avendo mano libera di attuare spoliazioni e delocalizzazioni. Grandi aziende come Fca che dopo aver intascato da parte del pubblico garanzie e prestiti, non si fanno remore di eludere gli obblighi fiscali e di trasferire le produzioni all’estero. Una spoliazione in piena regola a fronte dell’inerzia delle istituzioni locali e nazionali. Basta attendismo, bisogna imporre un cambiamento di rotta, un piano per il lavoro, il reddito, lo sviluppo sostenibile. C’è solo un modo per farlo che è quello di  riprendere la lotta prima che sia troppo tardi”.

 

Giancarlo Pajetta, il “ragazzo rosso” 

Trent’anni fa, il 13 settembre 1990, si spegneva nella sua casa romana  Giancarlo Pajetta, il “ragazzo rosso”, definizione che offrì lo spunto per il titolo della sua autobiografia.

 

Irriducibile antifascista, partigiano e vicecomandante delle Brigate d’assalto Garibaldi, parlamentare della Repubblica fin dalla Costituente, dirigente di primo piano del Partito Comunista Italiano, Pajetta è stato uno dei protagonisti del ‘900. La sua salma riposa in Val d’Ossola, nel piccolo cimitero di Megolo , frazione di Pieve Vergonte, nella  stessa tomba che ospita l’intera famiglia Pajetta, dai fratelli Gaspare (morto giovanissimo in battaglia proprio a Megolo, durante la Resistenza, nel febbraio del ‘44) e Giuliano, a mamma Elvira e papà Carlo.

Giancarlo Pajetta era nato a Torino il 24 giugno del 1911. Figlio di Carlo, avvocato, e di Elvira Berrini, maestra elementare, iniziò giovanissimo la sua attività politica iscrivendosi nel 1925, a quattordici anni, alla federazione giovanile comunista. Una scelta di campo che gli valse nel febbraio del 1927, mentre frequentava il liceo-ginnasio Massimo D’Azeglio a Torino, l’espulsione da “tutte le scuole del Regno” per tre anni per “propaganda antifascista”, secondo la locuzione dl tempo. Come non bastasse, Gian Carlo Pajetta venne arrestato e rinchiuso, quando non aveva ancora 17 anni, nella sezione minorile delle carceri giudiziarie di Torino. Il 25 settembre del  1928 il Tribunale Speciale lo condannò a due anni di reclusione che scontò nelle carceri di Torino, Roma e Forlì. Nel 1931 espatriò in Francia dove il “ragazzo rosso” assunse lo pseudonimo di “Nullo”, diventando segretario della Federazione giovanile comunista, direttore di Avanguardia e rappresentante italiano nell’organizzazione comunista internazionale. In quel periodo Pajetta compì numerose missioni clandestine in Italia fino a quando, il 17 febbraio del 1933, venne arrestato a Reggio Emilia. Il Tribunale Speciale fascista lo condannò a 21 anni di reclusione. Rimase in carcere dieci anni e sei mesi tra Civitavecchia e Sulmona, fino alla liberazione che avvenne il 23 agosto del 1943, un mese dopo la caduta del fascismo. Poi venne l’8 settembre e la guerra partigiana, durante la quale perse la vita a diciotto anni il fratello Gaspare, combattendo a fianco del capitano Filippo Maria Beltrami e degli altri resistenti sulle balze del Cortavolo, sopra l’abitato di Megolo.

 

L’altro fratello, Giuliano, anch’esso dirigente comunista fu deportato nel campo di concentramento di Mauthausen e tre suoi cugini persero la vita per mano dei nazisti e dei fascisti. “Nullo” partecipò da protagonista alla lotta di Liberazione come Capo di Stato Maggiore ( anche se, di fatto, fu vice comandante generale) delle Brigate Garibaldi e membro del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà. Fu in questa veste che, tra il novembre e il dicembre del 1944, Pajetta si trovò a Roma, come membro del CLNAI, per trattare con gli Alleati e con il governo Bonomi l’accordo politico-militare che portò al riconoscimento delle formazioni partigiane come formazioni regolari e all’attribuzione delle funzioni di governo al Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Dopo la liberazione Giancarlo Pajetta diventò direttore dell’edizione milanese de l’Unità e membro della Direzione del Pci. Nel 1945 venne eletto alla Consulta (non era potuto diventare senatore perché troppo giovane) e successivamente nel 1946 all’Assemblea costituente. Nel 1948 diventò deputato della Repubblica, ruolo nel quale venne riconfermato ben dodici volte). Negli ultimi anni della sua vita, a partire dal 1984, venne eletto al parlamento europeo. La sua biografia si intreccia con la storia repubblicana del dopoguerra e con le vicende del movimento comunista. Una storia lunga decenni tra i fronti popolari, i legami e le divergenze tra le peculiarità nazionali dell’Europa occidentale e l’Unione Sovietica, i grandi eventi storici e le guerre, la liberazione dal fascismo, il Cominform, la guerra fredda, il promemoria di Yalta e la destalinizzazione, la primavera di Praga stroncata dai carri armati sovietici, la crescente attenzione verso un nuovo internazionalismo e i paesi emergenti nel sud e nell’est del mondo,  il destino strategico dell’area mediterranea e la ricerca di una visione nuova attraverso l’eurocomunismo. Un impegno appassionato sul quale occorre ancora oggi riflettere, indagare. In un libro-intervista a cura di Ottavio Cecchi, intitolata “La lunga marcia dell’internazionalismo” e pubblicata dagli Editori Riuniti, Pajetta concentrò il suo pensiero su questi temi di grande attualità sostenendo come dovessero “fondarsi sulla distensione, sulla pace, sulla collaborazione internazionale, su rapporti non imperialisti tra paesi sviluppati e paesi emergenti,sullo scambio di esperienze”. Scriveva( eravamo nel marzo del 1978, anno cruciale) “Circolazione delle idee e degli uomini deve voler significare anche circolazione del socialismo e fiducia nelle forze nazionali e di classe che in ogni paese tendono al rinnovamento sociale”.

 

Un pensiero che, in un epoca di appannamento e confusione valoriale, di scarse capacità di elaborazione di un pensiero di sinistra e progressista, di profonda debolezza delle classi dirigenti della politica, rivela all’opposto la preparazione, la passione e la determinata volontà dei protagonisti di una fase importante della storia italiana. Il giorno prima di morire a causa di un arresto cardiaco Giancarlo Pajetta rilasciò al Messaggero un’intervista nella quale, riferendosi alla “svolta della Bolognina” che avrebbe portato allo scioglimento del PCI, confessò di vivere i giorni più brutti della sua vita. Un sentimento comprensibile per chi aveva vissuto e partecipato a quella storia collettiva che segnò la vita di intere generazioni. Pajetta sapeva cogliere le novità, il bisogno di cambiare, l’evoluzione della storia ma temeva che un grande patrimonio di idee e valori potesse in qualche modo disperdersi.  Era toccato a lui, con la sua voce tonante, pronunciare l’orazione ai funerali di Enrico Berlinguer, dopo aver accompagnato Giorgio Almirante, avversario di mille battaglie, a render visita alla salma del leader comunista nella camera ardente alle Botteghe Oscure. Anche da quell’episodio si coglie la cifra democratica e la levatura di un grande personalità. Miriam Mafai, giornalista e scrittrice scomparsa nel 2012, visse per trent’anni al suo  fianco e così raccontò il “ragazzo rosso”: “È morto a casa mia. Ma ho vissuto con lui molti anni, se si intende per vivere insieme stare insieme, viaggiare insieme, studiare insieme. Stiamo stati anche molto felici ma non abbiamo mai vissuto da coniugi: non eravamo interessati né io, che avevo già più di 30 anni né lui, che ne aveva oltre 50, a scambiarci l’esistenza dalla mattina alla sera. Giancarlo si trasferì a casa mia solo nell’ultimo periodo”. Pajetta morì senza assistere alla fine, ormai decretata, del Pci. Lo raccontò, ancora, Miriam Mafai: “Lui muore quando sta morendo il partito comunista. Quindi ha già visto il crollo del muro di Berlino ma non ha visto, per sua fortuna, la bandiera rossa calare dal pennone del Cremlino.Ma all’epoca il Pci sta cambiando nome e lui sa che finirà. Certo Giancarlo è morto perché non era più un giovanotto ma credo che non abbia voluto vedere il seguito”. La drammaticità della sua personalità stava nell’estrema fedeltà al socialismo e al Pci, vissuta senza nasconderne e denunciandone limiti e difetti. Era consapevole di quella che Berlinguer chiamò “l’esaurimento della spinta propulsiva” dell’URSS pur riponendo molte speranze in Gorbaciov. Pajetta, tra i leader più amati e popolari nel vecchio partito comunista era un grandissimo oratore e i suoi comizi si trasformavano ogni volta in un avvenimento perché riusciva a stabilire un rapporto straordinario con il sentimento popolare di quelle piazze piene. Quando chiesero alla Mafai che uomo fosse, questa fu la sua risposta:“Era una personalità ricca di sfumature, per alcuni versi insopportabile.Impaziente, molto colto, un divoratore di libri di ogni genere. E poi viveva di niente, a Roma in un appartamento orrendo. Non aveva mobili e io gli dicevo che aveva nostalgia del carcere. Parlando della mia casa diceva: Vedi? Qui in Unione Sovietica ci vivrebbero tre famiglie! Io gli rispondevo: infatti, io non voglio andare a vivere in Unione Sovietica. Giancarlo immaginava una società che non esisteva più e il suo sogno, da vecchio, era una camera in affitto in una casa di operai a Torino. E, diversamente da tutti i deputati, ai suoi figli ha lasciato praticamente niente”.

Marco Travaglini