natale

Fino all’Epifania Variety Magic Show alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino

Dal 26 dicembre al 6 gennaio 2025 torna a Torino, alla Casa del Teatro di Torino, l’atteso appuntamento con la magia che vede in scena uno spettacolo adatto a tutta la famiglia con artisti di calibro internazionale. Stupore, divertimento e magia sono assicurati in un viaggio che possiamo definire “Variety Magic Show”.

Torna per il decimo anno l’appuntamento delle Feste con la magia alla Casa del Teatro grazie al solido connubio con Muvix Europa, in collaborazione con il Circolo Amici della Magia di Torino, la più importante realtà magica italiana. Si tratta di uno show sempre diverso, unico, dinamico e magico, adatto ai giovani spettatori così come a quelli adulti che non hanno perso la voglia di farsi incantare. Tra i protagonisti di questa edizione, il brillante illusionista argentino Starman, entertainer di livello internazionale, già campione del mondo di magia nel 2018, con oltre tre decenni di esperienza e una collezione di premi prestigiosi. Starman incanta e intrattiene con il suo stile unico e coinvolgente. Come un ensemble di strumenti musicali dove, anche se tutti diversi tra loro riescono a creare un’armonia comune, così Starman, attraverso procedimenti diversi l’uno dall’altro, riesce a creare una composizione magica nella quale esiste un fil rouge che li lega. Manipolazioni di oggetti, interazioni con il pubblico, gag rivolte ai più giovani ed effetti magici spettacolari. Nel suo ricco bagaglio tutte le sfumature della sua arte magica che ha portato su palcoscenici televisivi di Italia’s Got Talent e di Tu Si Que Vales, ed è stato invitato al celebre programma americano di Las Vegas dedicato alla magia Fool Us.

Un viaggio in meandri onirici e fantasiosi universi avverrà attraverso le illusioni di Alberto Giorgi, artista internazionale conosciuto come “L’Alchimista”, reduce dai successi della produzione televisiva statunitense The Illusionist e di Italia’s Got Talent, in grado di far levitare la propria partner Laura, con la quale saprà dar vita a momenti di grande suspense e spettacolarità. Si tratta di un artista di alto livello innovativo e visionario, creatore di macchine sceniche incredibili, ispirate alle più belle fantasie di Jules Verne, con effetti visivi incredibili e avvincenti.

Il viaggio in questo varietà magico sarà condotto da Jacopo Tealdi, ribattezzato dal pubblico “quello delle mani”. Il suo è appunto un teatro manuale, del gesto, che fonde teatro di figura, narrazione, stand up comedy, danza e mimo in performance nuove e uniche, il “teatro manuale”. I suoi personaggi, le sue voci, i travestimenti delle sue mani saranno il filo conduttore di questo spettacolo adatto a tutta la famiglia tra meraviglia e divertimento.

È un’artista internazionale anche Silvia Gaffurini, “La Fata delle bolle”, allieva del Maestro Fun Yang, che grazie al suo lavoro con le bolle di sapone si è esibita in tutto il mondo, dall’Australia all’Europa intera, dagli Emirati Arabi fino alla Cina. La Bubble Art è al contempo una scienza e un’arte, e Silvia unisce all’abilità e alla poesia delle sue creazioni un tocco di eleganza e di magia che la rende unica. La regia è curata da Giancarlo Judica Cordiglia, attore e regista con tante esperienza in ambito teatrale, televisivo e dell’opera lirica sia in Italia che all’estero. La produzione è curata da Muvix Europa, realtà di produzione artistica capace di coniugare l’illusionismo con le più diverse discipline dello spettacolo, soluzioni su misura, in collaborazione con il Circolo della Magia di Torino, eccellenza nazionale e internazionale nell’ambito dell’arte magica.

Casa del Teatro Ragazzi e Giovani – C.so Galileo Ferraris 266, Torino

Biglietti: intero 20 euro/ ridotto 12 euro/ martedì 31 dicembre, ore 22, serata speciale Variety Magic Show per un Capodanno magico

Biglietteria: biglietteria@casateatroragazzi.it – 011 19740280

 

Mara Martellotta

Concerto di Capodanno alla Reggia con Mario Brunello

Con il giorno di Santo Stefano tornano le Sere di Natale alla Reggia: dal 26 dicembre
al 6 gennaio la Reggia di Venaria apre i suoi straordinari spazi anche in orario serale, per
diffondere l’atmosfera magica del Natale nell’incanto delle sue architetture barocche
illuminate e addobbate a festa. Fino alle ore 21 durante la settimana e fino alle 22 nei
weekend e festivi, è possibile visitare il Piano nobile della Reggia e le mostre “Tolkien.
Uomo, Professore, Autore” e “Blake e la sua epoca” ad una tariffa speciale.

 

CONCERTO DI CAPODANNO ALLA REGGIA CON MARIO BRUNELLO
La grande musica continua ad essere protagonista con il Concerto di Capodanno alla
Reggia, che vede il celebre violoncellista Mario Brunello esibirsi nell’aulico scenario
Cappella di Sant’Uberto mercoledì 1° gennaio 2025
alle ore 21, per celebrare l’arrivo del nuovo anno con
l’incantevole musica del suo violoncello piccolo. Prima
del concerto gli spettatori possono, con lo stesso
biglietto, visitare la Reggia e le mostre in corso.
Solista, direttore, musicista da camera e di recente
pioniere di nuove sonorità con il suo violoncello
piccolo, Mario Brunello è stato il primo europeo a
vincere il Concorso Čaikovskij a Mosca nel 1986. Il suo
stile autentico e appassionato lo ha portato a
collaborare con i più importanti direttori d’orchestra e nell’arco della sua lunga carriera si
è esibito con le più prestigiose orchestre del mondo. Il 22 marzo 2024 è uscito il suo ultimo
lavoro discografico, con il violoncello solo protagonista nelle Sonate di Weinberg.

Mario Brunello è il Direttore Artistico dei Festival Arte Sella e dei Suoni delle Dolomiti. A
ottobre 2020 è stato nominato Direttore Artistico del Festival di Stresa, succedendo a
Gianandrea Noseda.
LA VENARIA REALE NEL PERIODO NATALIZIO:

• Dal 26 dicembre fino al 6 gennaio:
La Venaria Reale è sempre aperta e, in occasione delle Sere di Natale alla Reggia,
apertura secondo programma anche in orario serale (escluso il 31 dicembre e il 6
gennaio) con biglietto agevolato a parte.
Per informazioni e programmi dettagliati: lavenaria.it – immaginariavenaria.it

Tanti anni fa Natale da Biella al Sud. Ricordi e una riflessione sui nostri tempi

Caro direttore, mi permetto di disturbarti per inviarti una facezia. 

Anche se, a ben guardare, forse non si tratta di una semplice celia. Inizio prendendola un po’ alla larga… Da bambini, per me e mio fratello le festività natalizie coincidevano con un lungo viaggio da Nord a Sud.

Con l’inizio della pausa scolastica, lasciavamo l’algida Biella per raggiungere temperature decisamente più miti a Maddaloni, paese natio dei miei genitori nonché del sottoscritto (mio fratello, invece, è nato qui, al vecchio Degli Infermi). Vita da figli di emigrati. Un viaggio attesissimo, ma altrettanto spossante. Da Biella San Paolo si raggiungeva Milano per salire sui vagoni letto di allora, le celebri “cuccette”.

Il ricordo di questa effimera migrazione, nel mio immaginario, è legato al freddo. Pungente a Biella, come a Santhià e poi a Milano Centrale.
Negli scompartimenti del treno, invece, un caldo tropicale alla partenza e la conta dei pinguini a notte foda, da Bologna fino a dopo Roma Termini.
A Napoli Centrale, scendendo dal convoglio, si respirava un’aria diversa: quella di casa, certo, quella della festa, pure, ma soprattutto quella di una temperatura più… accogliente.

Ci si scioglieva negli abbracci con i parenti che ci attendevano al binario e si sbottonavano cappotti e giacche a vento. I berretti? Via. Che ce ne facevamo? Lì mica si battevano le brocchette. Passano gli anni, stagioni che si alternano ad altre, e mezze stagioni che non esistono più…

Oggi ho 52 anni, è il 28 dicembre di questo 2024 bisesto. Come quasi tutti i sabati (o le domeniche, a seconda degli impegni e dei comunicati stampa da scrivere), sono andato a camminare. Ben coperto, ovviamente, ma in bermuda, ancorché felpate. Giornata splendida, nemmeno una nuvola, il Mucrone senza l’ombra di un minuscolo “cappello”.

Nei tratti in salita ho avuto caldo, in discesa e in pianura sembrava di essere già in primavera. Rientrato a casa, porto a spasso il mio cane, in paziente attesa del mio ritorno per espletare le sue “formalità di rito”. La bestiolina ama zompettare nell’area cani di via Lamormora. Abitiamo a poche decine di metri da lì, tra l’altro.

Arrivati in prossimità della recinzione, mi avvedo di uno strano e forse inedito fenomeno naturale. Sogno o son desto? Sugli alberi i primi germogli!
Ora, io, nella mia finitezza, non so se una cosa del genere sia proprio tanto normale, ma so anche che se per decenni continui a insozzare la ionosfera con miliardi di tonnellate di CO2 e compagnia cantante, può essere che, ad un certo punto, qualcosa si inceppi… no?

Con buona pace di Don Buffolo, che da Oropa tuona contro ogni evidenza, vestendo i panni, laicissimi, del più fervente negazionista dei cambiamenti climatici.
Per il rilancio di un’economia planetaria basata sui combustibili fossili, invece, citofonare Trump(et)!

Vincenzo Lerro

Il presepe a Bousson di Cesana

Grandi angeli illuminati dal sole di questi giorni conducono alla capanna della Natività con un percorso suggestivo tra poca neve e tanto ghiaccio. Accade anche quest’anno nella frazione Bousson di Cesana Torinese, già nota per la splendida chiesa cinquecentesca della Madonna delle Nevi.
Percorrendo le stradine della frazione di Bousson i visitatori sono accolti dalle figure del presepio a grandezza naturale che rappresentano gli antichi mestieri. Proseguendo nella via della “Casa delle Lapidi” giungono alla grotta della Natività. C’è il contadino, il pastore, il falegname, il cacciatore, la venditrice di formaggi e altri ancora, viene munto il latte, gli animali da cortile come galline e oche vengono accudite, la lana viene lavorata e così via.
Un carretto con cavallo a grandezza naturale rappresenta il mezzo di trasporto dell’epoca utilizzato da tutti nella borgata. Il tema della Natività si mette in mostra anche quest’anno nella frazione Bousson grazie all’impegno dell’Associazione Contempora, fino al 31 gennaio 2025. Le figure, una quarantina, sono dipinte a mano dall’artista Valeria Tommasi e la novità di quest’anno sono i grandi angeli che dalla via della Casa delle Lapidi indicano ai visitatori la stradina verso la Natività. Il Presepe artistico di Bousson nasce con la volontà di rappresentare in modo incantato e fiabesco le figure della Natività e i Re Magi.
Per le figure, che mettono in scena la vita di tutti i giorni, è stata prestata molta attenzione alle tradizioni del territorio, raffigurandole con gli abiti tradizionali e inserendo vari oggetti usati nelle borgate di montagna come le ceste in legno con manici che un tempo venivano utilizzate per il trasporto delle patate o le gerle usate per portare il fieno. A Bousson di Cesana fino al 31 gennaio.         Filippo Re

Il presepio vivente di San Francesco, il primo della storia

Città e paesi accendono la magia del presepe vivente. Accanto al presepio originale che riscalda e illumina le nostre case è sempre più consolidata la tradizione del presepe vivente con decine e anche centinaia di figuranti che danno vita ad una processione lungo le vie dei borghi e a una vera rappresentazione della Natività. I paesi sono coinvolti in modo intenso, le scenografie e i costumi sono realizzati dai residenti e vengono ricostruiti i luoghi e i personaggi della Terra Santa di duemila anni fa, con i pastori, i soldati romani, il mercato e le botteghe artigiane. In modo molto più semplice di come avviene oggi ma non per questo meno suggestivo fu la preparazione del primo presepio vivente della storia, 800 anni fa, in un paesino del Lazio, a Greccio, in provincia di Rieti, pensato, voluto e preparato con le sue mani nientemeno che da Francesco d’Assisi. Era il 1223, dopo un viaggio in Terra Santa Francesco d’Assisi rimase molto impressionato dalla rappresentazione del Natale nei luoghi sacri del cristianesimo e il borgo di Greccio, a 700 metri di altezza, gli ricordava Betlemme. A quel punto sorse in lui il desiderio di rievocare la nascita di Gesù e di farlo in mezzo alla natura, con una grotta, la mangiatoia, il bue e l’asinello. Il 24 dicembre 1223, a mezzanotte in punto, si animarono i personaggi del primo presepe vivente della storia e da quel giorno Greccio divenne un paese famoso in tutto il mondo e ogni anno, a Natale, si rivive la stessa atmosfera di ottocento anni fa. Il presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi, attribuiti a Giotto, dipinta alla fine del Duecento.            Filippo Re
nella foto  il Presepe vivente di Greccio, autore Giotto

Rifllessioni su Babbo Natale

Nonno, come mai sul 25 Dicembre c’è scritto solo Natale e non il nome intero, Babbo Natale?”

La domanda di mio nipote mi ha lasciato di stucco…

Il 25 Dicembre è la festa principale per tutti i bambini, che la attendono con ansia soprattutto per un motivo: ricevono regali dai genitori, dagli zii, dai nonni; e la cerimonia dell’apertura dei pacchio dono sotto l’albero è uno dei momenti magici dell’anno…

Che tensione nei giorni precedenti, che timore di non meritare giochi, bambole, scatole multicolore perché non si è stati abbastanza buoni durante l’anno…

Che gioia scartare la carta e scoprire, oh sorpresa, proprio quello che sognavano e che avevano chiesto in letterine accorate…

Che felicità passare ore liete a giocare con i fratelli, i cugini, gli amici mentre i “grandi” intrecciano conversazioni e programmano l’ormai prossima festa di Capodanno…

Per i piccoli da decenni i regali sono portati da Babbo Natale, un personaggio inesistente creato dalla Coca Cola per reclamizzare la sua nota bibita gassata.

 

Nel 1931 Coca‑Cola commissionò all’illustratore Haddon Sundblom il compito di disegnare Babbo Natale per le pubblicità natalizie. Queste raffigurazioni hanno cambiato il modo in cui Babbo Natale veniva rappresentato: il primo Babbo Natale infatti era verde e si legava alla tradizione nordica di Odino, che immaginava il personaggio che regalava dolciumi. La sua origine peraltro può essere ascritta ancor più indietro nel tempo, legata ad un personaggio realmente esistito nel IV secolo a.C, e cioè il vescovo Nicola di Mira, che ancora sopravvive nei paesi nordici con il nome di Santa Klaus..

Potenza del marketing: in pochi decenni un’immagine pubblicitaria ha cancellato non solo secoli di tradizioni radicate, ma (e questo è l’aspetto più triste nella domanda del mio nipotino) la vera essenza del 25 Dicembre, che non è la festa di Natale Babbo, ma è la festa che ricorda la nascita di Gesù!

Nei calendari più attenti e precisi, il 25 Dicembre è infatti descritto come “Natale N.S.G.C.”, sigla misteriosissima per tutti i nipotini e per la stragrande maggioranza degli adulti, che, per esteso, significa “Natale di Nostro Signore Gesù Cristo”.

Natale è un aggettivo, non un nome! Indica il giorno “natale” (cioè della nascita) del Redentore.

Una festa intrinsecamente religiosa, staccata da ogni contenuto gaudente legato a regali, feste, cenoni, pacchi dono.

Una festa che dovrebbe far riflettere sui contenuti spirituali, sull’importanza di staccarsi dai valori materiali e meditare sui valori spirituali; altro che regali, trenini, tablet, bambole, cellulari…

E la cosa più triste è che (riflettete!) passate poche ore o pochi giorni i rutilanti giocattoli giaceranno in un angolo, dimenticati ed inutili, perché il tempo corre in maniera sempre più veloce, bruciando anche le cose più belle e desiderate e lasciando un triste, amaro vuoto nell’anima.

GIANLUIGI DE MARCHI

 

La gazza e il Natale a cucù

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L’inverno non era ancora neve ma nell’aria si avvertiva da giorni la sua presenza. Da nord soffiava vigoroso un vento freddo e le nuvole, nel cielo ingrigito, si rincorrevano veloci. I boschi del Mottarone erano silenziosi. Solo qualche passero infreddolito cinguettava senza molta convinzione. Solo Mirella svolazzava tra i rami del vecchio albero sul piazzale della stazione ferroviaria. Saltellava sulle zampe come un’anima in pena.

Mirella era una gazza bella e furba. Bella, poiché possedeva un piumaggio iridescente che la rendeva del tutto particolare, come solo gli uccelli eleganti sanno di poter essere. A prima vista appariva bianconera ma, a seconda della luce, s’intravedevano nel piumaggio riflessi color verde metallico e grigio perla. Ne era consapevole e lo faceva pesare agli altri uccelli durante il volo, quando alternava veloci battiti d’ala a lunghe planate, inarcando il becco con aria altezzosa.

Anche quand’era a terra camminava e saltellava impettita, tenendo la coda sollevata. Si credeva molto furba e scaltra, abituata com’era a turlupinare il prossimo. In quanto gazza si distingueva dagli altri uccelli per un piccolo particolare: subiva il fascino degli oggetti luccicanti, era attratta da quelli particolarmente colorati che adorava rubare e nascondere. “Comunque”, teneva a precisare con gli altri pennuti, “andiamoci piano con le offese: io non sono una ladra. Diciamo che ho la tendenza ad appropriarmi delle cose belle anche se non sono mie. Ma non è un difetto, semmai una qualità. Mi piace il bello e di fronte al bello non resisto. Suvvia, e che sarà mai?“. Mirella andava presa così com’era. Si riteneva, nonostante il difettuccio, una gazza senza aggettivo. E pretendeva di esser chiamata esclusivamente con il nome proprio. Visto e considerato che, pur negandone l’evidenza, un po ladra lo era nei fatti, aveva accumulato un bel bottino nel nido che si era ricavata tra le travi del solaio della signora Brigida, l’anziana proprietaria della locanda del Lago. Lì, nel fitto intreccio di ramoscelli, brillavano gli oggetti racimolati durante le sue scorribande. Un bottone dorato, una spilla di latta, una fibbia argentata, alcuni tappi di metallo a corona, una moneta da cinquecento lire di quelle vecchie, con incise le tre Caravelle, il cappuccio di una stilografica. Tutte cose luccicanti e quindi di valore. Ma da un po’ di tempo Mirella aveva messo gli occhi sull’orologio del capostazione. Amleto Ballanzoni era un omone sulla sessantina, con il volto incorniciato da una folta barba bianca. I bambini, per questo, l’avevano ribattezzato Babbo Natale. D’indole buona, sorridente e pacioso, non se l’era mai presa. Anzi: la somiglianza con il caro e simpatico vecchietto gli garbava, strappandogli un sorriso. Da una trentina d’anni dirigeva con fischietto e paletta la stazione ferroviaria di Baveno, sulla linea Milano-Domodossola. Un tempo era una fermata importante, ora un po meno, ma il signor Amleto, con in testa il suo berretto da capostazione di prima classe in panno rosso e galloni dorati, non si scomponeva.

Il dovere era sempre il dovere. “I treni devono viaggiare in orario”, affermava compito scrutando orgoglioso il suo Perseo meccanico, a carica manuale, con la lucida locomotiva turca disegnata sulla cassa. Quest’orologio da tasca, fissato al panciotto con una catena d’argento, era il tratto distintivo del ferroviere, quasi un segno del comando. L’orologio assumeva un’importanza vitale e serviva a garantire l’assoluta precisione nel calcolo per regolare il traffico su rotaia. Tutto dipendeva dal tempo: tabelle, orari, coincidenze, scambi. E la sincronizzazione degli orologi era indispensabile. Quello in possesso di Amleto non è un orologio comune ma un modello costruito appositamente per le Ferrovie dello Stato e quindi era “l’Orologio”, quello con la “o” maiuscola. Preciso, infallibile, perfettamente funzionante. “L’orologio per noi è un po’ come l’Arma dei Carabinieri: nei secoli fedele”, sentenziava al bancone del Circolo Operaio il Ballanzoni, lisciandosi la barba. Magari non durava proprio dei secoli ma qualche decennio sì. E il suo Perseo era lì, testimone muto ma preciso, a confermarlo. Il destino del ferroviere e quello del suo orologio erano talmente indissolubili che, di norma, andavano in pensione insieme. Deposto il berretto e riconsegnati fischietto e paletta, l’orologio rimaneva di proprietà, quasi fosse una medaglia, un distintivo, un segno di riconoscimento per chi aveva fatto parte della grande famiglia dei ferrovieri. Proprio a quell’orologio mirava la gazza ladra. Per Mirella rappresentava l’oggetto del desiderio. Un lucente e ticchettante trofeo da aggiungere alla sua collezione, il pezzo più pregiato, la “chicca” della quale potersi vantare a destra e manca. Iniziò a svolazzare con aria indolente attorno alla stazione. Un battito d’ali così svagato non avrebbe destato i sospetti del capostazione che, tra l’altro, non pareva avere (così almeno pensava Mirella) grandi conoscenze in fatto di uccelli e quindi particolare timore nell’avvistare nei dintorni il volteggiare di una gazza. Così, in quei giorni che anticipavano l’avvio delle feste di fine anno, proprio mentre iniziò a nevicare, accadde il fatto più inatteso e terribile che l’Amleto Ballanzoni si sarebbe mai immaginato di vivere: il furto dell’orologio.

La cappa grigia del cielo si era rotta e la neve precipitava lieve, a larghe falde. Si rinnovava la magia che nasceva in ogni persona, bambini e adulti; una magia speciale, antica. I più piccoli giravano su se stessi con  le facce rivolte al cielo e le bocche aperte; ogni fiocco che si depositava  sulle lingue aveva un sapore particolare, emettendo una specie di lieve crepitio. Era uno dei suoni dell’infanzia, uno dei ricordi di attesa felice che non avrebbero mai dimenticato. Il capostazione era uscito a guardare il cielo e bastò un attimo di disattenzione, uno sguardo appena distolto dal prezioso oggetto che aveva momentaneamente appoggiato sulla scrivania dell’ufficio, dopo averlo staccato dalla catenella per lucidarlo. L’orologio sparì come d’incanto. Il disperato capostazione, non trovandolo al rientro in ufficio, frugò dappertutto in un crescendo di agitazione e sconforto. Niente. Il suo Perseo non c’era più. Era pur vero che aveva lasciato la porta aperta ma, Buon Dio, era  successo tutto così in fretta che non riusciva a farsene una ragione. Chi poteva essere stato? Il perché lo intuiva: era un signor orologio che poteva senz’altro far gola a qualche malintenzionato. Ma, nonostante si sforzasse di pensare chi potesse essere il colpevole, l’identità del ladro rimaneva un mistero. Si trattava di un furto con destrezza, senz’ombra di dubbio. Come se l’orologio si fosse volatilizzato. Non immaginava il pover’uomo di aver fatto centro con quella definizione. Sì, perché proprio su di un volatile andava concentrata l’attenzione e la conseguente ricerca della refurtiva. Amleto Ballanzoni, però, non s’intendeva per nulla d’uccelli. Sapeva distinguere un passero da un’aquila solo per le dimensioni. Era a conoscenza di tutto quanto concerneva il mondo delle rotaie ma di ornitologia capiva poco o nulla. Non sapendo distinguere un tordo da un merlo, una beccaccia da una poiana, immaginarsi cosa può sapere delle gazze e di quel loro vizietto. Così Mirella impreziosì la sua collezione e per un paio di giorni se ne stette buona a rimirare i suoi trofei senza sentire l’impellente bisogno di dedicarsi al furto, alla rapina, all’altrui alleggerimento. Al capostazione, con il morale a terra, non restò che arrangiarsi in qualche modo. Nell’attesa di comprarsi un orologio nuovo, pur con la consapevolezza che come il suo Perseo non ce ne sarebbe stato più di eguale, recuperò dalla soffitta il vecchio pendolo a cucù.Era un ricordo della zia Ermelinda che, a  sua volta, l’aveva ereditato dal signor Giustinetti, un impiegato alle poste svizzere di Martigny che d’estate e per molto tempo soggiornò in una camera d’affitto sul lago Maggiore.

Per ringraziare la zia delle gentilezze e di un certo qual affetto che la gentildonna aveva in qualche misura corrisposto, lasciò come pegno d’amicizia il simbolo più indicativo del tempo per uno svizzero: un orologio. Nella fattispecie, quell’orologio a cucù. L’oggetto, seppur impolverato e con la superficie tormentata da qualche scalfittura, manteneva un invidiabile funzionamento. Il meccanismo era in buono stato ma il merito del suo pieno recupero fu di Amleto che, con passione e curiosità, si dilettava a smontare e rimontare tutti i meccanismi che gli capitavano tra le mani. Si trattava di un pezzo veramente raro della produzione tedesca di orologi a cucù di fine ‘800 e doveva avere anche un discreto valore economico. Il frontale riproduceva, stilizzandola, una tipica stazione ferroviaria dell’epoca, in foggia neogotica. “Quasi un segno del destino”, commentò l’omone, piacevolmente sorpreso dalla scoperta. Il cucù se lo ricordava vagamente e vederlo ora come riproduzione del suo ambiente di lavoro e di vita gli fece momentaneamente passare  il magone per il furto subito. Il movimento, revisionato e sincronizzato, consentiva allo scoccare delle ore l’apertura di uno sportello dal quale usciva un uccellino che eseguiva un intonato canto del cuculo. Il piccolo volatile canterino sembra quasi vero. “Non è la mia cipolla”, borbottò Amleto, “ma non è neanche poi male e, in fondo, tiene bene il tempo che poi è giusto il mestiere che deve fare”. Così, in quei giorni che precedevano il Natale il pendolo a cucù prese servizio. La cosa non passò inosservata nemmeno a Mirella che, terminata la fase contemplativa, aveva ripreso i suoi giri. Al canto del cuculo si era precipitata a curiosare dalla finestra dell’ufficio della stazione. Ciò che vide la lasciò interdetta, con il becco spalancato. “Mamma mia, che fusto! Che melodia, che ugola intonata”, disse tra se, incantata davanti alla visione dell’uccelletto di legno che faceva capolino dal pendolo al battere dell’ora. Mirella ebbe un tuffo al cuore. Avvertì il fascino irresistibile del maschio canterino e, turbata, guardandolo con occhio languido, se ne innamorò così, su due zampe. Il classico colpo di fulmine, “le coupe de foudre”, come dicono gli svizzeri tra Losanna e Ginevra. Roba da rimarci stecchita, dimenticando d’essere ladra e immaginandosi stretta in un abbraccio a cinguettare appassionatamente con quell’esempio superbo di germanico volatile. Come fare ad attirarne l’attenzione? Come farsi vedere e trasmettere il piacevolissimo brivido che le intirizziva le piume? Aspettò rapita per ore, alternandosi in volo tra il davanzale della finestra e l’albero del piazzale della stazione. Ogni tanto il cuculo faceva la sua comparsa, cantava e poi si ritirava dietro l’anta di legno. Non pareva interessato alla presenza di Mirella. Quasi non l’avvertisse. La gazza era incredula.

Ma come? Non avverte, quel pennuto, il mio fascino? Non incrocia mai il mio sguardo. Anzi, mi pare che tenga sempre gli occhi fissi davanti a se… E quel suo rimanere lì, impettito come uno stoccafisso? E’ una mia idea o quello se la tira un po? “. Mirella, come tutte le gazze, era caratteriale, piuttosto scontrosa, scorbutica. Ma il fascino esercitato da quell’uccelletto del cucù era troppo forte e lei, nonostante tutto l’orgoglio, non poteva (e non voleva) resistergli. “Che sia sensibile ai regali?”, pensò Mirella. Forse subiva anche lui l’attrazione degli oggetti lucenti. Chissà che quell’uccello, forse per timidezza, non avendo il coraggio di volar via da quella strana casetta, non avesse bisogno di qualche incoraggiamento? Mirella volò al suo nido e, preso un bottone dorato, lo posò sulla mensola a fianco del pendolo a cucù. Allo scoccare dell’ora, puntualmente, l’uccelletto fece capolino cantando e, senza rivolgere lo sguardo né a destra né a sinistra, ritornò dietro l’uscio. Forse il bottone era poca e misera cosa, pensò la gazza, e poco per volta si privò di tutto il suo patrimonio, accumulato di furto in furto. Cedette anche il pezzo più pregiato: l’orologio sottratto al capostazione mettendo a segno il colpo più bello della sua vita. Era innamorata persa, la povera Mirella. Innamorata senza speranza, ignara del fatto che l’uccello di legno dell’orologio a cucù non poteva  corrisponderle l’affetto essendo un finto volatile, tutto legno e senza cuore. Così, dopo tutto quel gran darsi da fare senza ottenere in cambio nemmeno uno sguardo, con il cuore gonfio di amarezza, la gazza fece per riprendersi le sue cose ma, colmo della disperazione, oltre al bottone, ai tappi e alla spilla non trovò più l’orologio. Amleto Ballanzoni l’aveva visto sulla mensola e, incredulo, si era dato una gran manata in fronte: “Eccolo lì, il mio Perseo! Vecchio balordo, cominci a perdere i colpi! L’avevo davanti agli occhi e non riuscivo a vederlo da tanto ch’ero agitato. Meno male, va… D’ora in poi starò più attento a dove metto le cose”. Il capostazione, recuperato il prezioso orologio, decise di lasciare al suo posto anche il pendolo a cucù. Ormai faceva parte dell’arredamento. Funzionava bene e, per di più, era perfettamente in integrato con l’ambiente della stazione ferroviaria. L’unica modifica che Amleto decise di introdurre riguardava quel fastidioso cuculo che cantava, monotono, ogni ora. L’eliminazione avvenne senza troppe storie. Bastò spegnere il meccanismo della suoneria con l’apposita levetta e l’uccello restò, segregato e silenzioso, dentro la sua casetta trasformatasi in prigione. Mirella, ormai disperata, vedendo quella porticina sempre chiusa, decise di andarsene via, il più lontano possibile da quell’odioso uccello pieno di boria che chissà poi chi si credeva di essere. Volò via verso Loita dove conobbe, proprio la vigilia di Natale, una gazza maschio. Tra i due scoccò l’amore e di comune intesa, rastrellando oggetti in quattro e quattr’otto, abbellirono la loro dimora nel bosco che saliva verso Campino. Amleto Ballanzoni, intanto, fischiando e agitando la paletta all’arrivo e alla partenza dei treni nella sua stazione, con il berretto rosso in testa e l’orologio ben saldo alla catenella del panciotto, salutava i bambini che si sporgevano dai finestrini dei convogli gridando “E’ Babbo Natale! E’ Babbo Natale!”. L’uccelletto di legno riposò nella penombra della sua dimora in attesa di tornare a cantare allo scoccare di ogni ora. Può darsi che accadrà presto ma noi non lo sappiamo. Forse è anche già accaduto ma questa è un’altra storia.

Marco Travaglini

Quando Dickens, con il “Canto di Natale”, inven­tò il mito della tradizione

Il pranzo, la famiglia, le vacanze, la neve, i regali, la beneficenza, i canti, i dolci e addirittura il vin brulé. Tutto, o quasi: mancano il panettone o il pandoro e, data l’epoca, l’al­luvione tecnologica di sms ed e-mail, tutte uguali, replicate all’infinito

 

 Se comandasse il pastore del presepe di cartone sai che legge farebbe,firmandola col lungo bastone? “Voglio che oggi non pianga nel mondo un solo bambino,che abbiano lo stesso sorriso il bianco, il moro, il giallino”. Sapete che cosa vi dico io che non comando niente? Tutte queste belle cose accadranno facilmente; se ci diamo la mano i miracoli si faranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno”. In questa fila­strocca di Gianni Rodari è racchiuso, quasi fosse una di quelle palle di vetro con il paesaggio innevato, lo “spirito” del Natale. Ma esiste ancora, oggi,  lo spirito del Natale? Quell’essere “più buoni e un po’ meno egoisti” è un ricordo lontano, sfocato. Il Natale moderno con l’albero, i regali, Babbo Natale, i buoni sentimenti ed i biglietti d’auguri sono un’invenzione anglosassone, d’epoca vittoriana, e il suo principale interprete fu uno dei più grandi romanzieri dell’Ottocento, Charles Dickens. In “Canto di Natale”, suo malgrado, lo scrittore inglese inven­tò gran parte della mitologia che, oggi, costituisce la tradizione natalizia: il pranzo, la famiglia, le vacanze, la neve, i regali, la beneficenza, i canti, i dolci e addirittura il vin brulé. Tutto, o quasi: mancano il panettone o il pandoro e, data l’epoca, l’al­luvione tecnologica di sms ed e-mail, tutte uguali, replicate all’infinito. Con quel libro – che racconta della fantastica storia dell’avarissimo Scrooge che diventa generoso, dopo la visita di tre spettri proprio durante la notte di Natale – pubblicato il 18 dicembre 1843 e venduto in seimila copie nella prima settimana (per l’epoca, un bestseller), Dickens mise in fila i “nuovi valori” che questa festività intendeva rappresentare. Non solo la fami­glia ma anche lo spirito di carità che biasima l’ingiustizia sociale e la povertà, descrivendo a suo modo quell’Inghilterra rurale dell’epoca destinata a fare da sfondo alle cartoline di auguri con i paesaggi innevati. Così nacque il Natale “moder­no” che, poi, l’evoluzione consumistica ha adattato, necessaria­mente, ai tempi.

Marco Travaglini

 

Natale 1944, l’eredità della libertà

 

Faceva freddo in quella stalla abbandonata. Dai muri tirati su a secco entrava un’aria gelida, sibilata dal vento che quella notte turbinava neve. Attorno a quel tavolo di fortuna, combinato da due vecchie assi poggiate su malfermi cavalletti di legno, io, Giorgio e Renato parlavamo di quale futuro ci attendeva. La cera della candela era rappresa in pallide lacrime e le parole scorrevano veloci, di bocca in bocca. Quando sarebbe finito l’incubo della guerra, l’occupazione dei tedeschi e l’arroganza dei fascisti della repubblica sociale con quei ghigni sinistri e i simboli delle teste da morto? L’Italia sarebbe tornata come prima del fascismo o sarebbe cambiata davvero? Certo, volevamo la libertà ma non si combatteva solo per ottenere quella. C’era di più, molto di più. “Il nostro obiettivo riguarda insieme libertà e democrazia”, diceva Giorgio. “Non è possibile che le cose rimangano come al tempo dello Statuto Albertino. Non basta che ci sia un sovrano che conceda di sua iniziativa, bontà sua, i diritti al popolo. Anzi. Non va nemmeno bene che ci sia un Re, la monarchia, i Savoia a decidere e comandare. Quelli sono scappati all’8 settembre lasciandosi alle spalle un paese dilaniato, distrutto, occupato. Prima hanno aperto le porte al Duce, poi all’avventura della guerra e ora dovremmo accoglierli ancora, perdonando tutto? Nemmeno per idea!”. Accompagnava le parole picchiando pugni sul tavolaccio, facendo tremare la candela che prontamente dovevo prendere al volo. Eravamo d’accordo tutti e tre: non avevamo preso le armi per cacciare i fascisti e i tedeschi per tornare ad essere sudditi. Insieme alla libertà volevamo giustizia, un lavoro da svolgere con dignità. Volevamo la fine di quei tormenti che ci avevano avvelenato la vita. Era la vigilia di Natale, il 24 dicembre 1944. Dopo la caduta della Repubblica dell’Ossola e il proclama di Alexander che ci chiedeva di cessare le azioni di guerriglia, in questo gelido e duro inverno ci eravamo riorganizzati ma bisognava stare attenti. C’erano giorni in cui venivamo avvertiti che in giro c’erano tedeschi e fascisti che ci davano la caccia e non era il caso di uscire allo scoperto, altri in cui si preparava o si effettuava un agguato o un’azione particolare. Avevamo deciso di non stare ad aspettare che gli alleati riprendessero a risalire l’Italia. Dovevamo fare la nostra parte e l’avremmo fatta ad ogni costo. Nei periodi di inattività eravamo impegnati anche in grandi discussioni, in cui si parlava del futuro, di come lo si immaginava. L’idea del futuro, anche fosse solo per istinto, era associata al desiderio di qualche cosa di completamente diverso che chiamavamo genericamente democrazia, cioè un Paese senza dittatura, senza imposizioni, senza violenza. Sono passati tantissimi anni e a volte penso a quella sera e alle tante sere passate a discutere, alle azioni e ai rischi che corremmo, ai compagni che persero la vita e vedendo quest’Italia piatta, meschina, ignorante mi scopro a pensare chi ce l’avesse fatto fare. Poi, superato lo scoramento, mi ritornano in mente le parole di Renato quando diceva che non bisognava illudersi, che le cose sarebbero sì cambiate ma che non c’era conquista che sarebbe stata ottenuta una volta per tutte, che per noi che volevamo cambiare la società, che aspiravamo a cambiare il mondo non ci sarebbe mai stato congedo. Quante volte ci siamo ritrovarti da anziani. Noi, i sopravvissuti con i capelli bianchi. Noi che avevamo fatto saltare i ponti e con queste mani tremanti un giorno avevamo lanciato bombe a mano e stretto forte le armi. Con queste signore dallo sguardo mite, diventate nonne e anche bisnonne, che a quei tempi nascosero pistole, portarono messaggi, ospitarono e nutrirono partigiani, fecero con coraggio la loro parte. Oggi siamo rimasti in pochi e facciamo fatica a camminare, sorretti da un bastone o una stampella. Attraversiamo lentamente le vie che un tempo ci videro muoverci con rapidità, colpendo e fuggendo. Vecchi, malandati, spesso soli e dimenticati. Può darsi che si susciti tenerezza o compatimento ma a quel tempo sbaragliammo interi battaglioni, rischiammo la vita, ci battemmo per garantire quella libertà della quale oggi tanti ne fanno cattivo uso, abusandone, senza immaginare quanto ci sia costata perché non ne sono mai stati privati e non hanno dovuto battersi per riconquistarla. Non c’è retorica. Non serve indulgere in nostalgie. Abbiamo la consapevolezza di aver fatto ciò che era giusto e che tutto quanto è accaduto non deve essere dimenticato e quei semi di giustizia e libertà non inaridiscano mai. Siamo gli ultimi testimoni e tra poco non ci sarà più nessuno di noi. Il nostro regalo per Natale e per tutti i giorni a venire è questa eredità. Fatene un buon uso e non scordatevi quanto è costata.

Marco Travaglini

Musei, mercatini, cori gospel. Il Natale a Torino è ricco di iniziative

Anche quest’anno la Città di Torino propone un Natale ricco di iniziative, che intratterranno torinesi e turisti fino al 6 gennaio 2025

Non mancheranno i simboli della tradizione, come l’albero di Natale a Palazzo Civico e il Boschetto di Natale in Piazzetta Reale, il Calendario dell’Avvento, i mercatini del Villaggio di Natale in piazza Solferino e il Presepe di Emanuele Luzzati, accompagnato quest’anno dalla novità del Teatrino di Natale.

“Anche per quest’anno – spiega il sindaco Stefano Lo Russo – Torino ha in programma un ricco calendario di iniziative diffuse per il periodo delle feste natalizie, pensate sia per chi vive e lavora in città che per chi arriverà per trascorrervi un periodo di vacanza. Dal mondo in questo periodo non arrivano purtroppo sempre notizie positive e proprio per questo è forse ancora più importante che il Natale sia un momento di speranza e di luce per tutte e tutti ed un’opportunità per godersi la città e il tempo con i propri cari”.

Gli appuntamenti hanno preso il via domenica 1 dicembre, con l’apertura delle prime due caselle del Calendario dell’Avvento in piazza San Giovanni. Qui ogni sera alle ore 17.30 i Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Torino sveleranno una delle scene natalizie ispirate dai bozzetti del grande illustratore e scenografo Emanuele Luzzati, realizzate grazie alla collaborazione tra il Teatro Regio e Lastrego&Testa.

Sabato 7 dicembre alle ore 17 in piazza Solferino ha aperto ufficialmente il Villaggio di Natale, dove torinesi e turisti possono passeggiare tra i mercatini alla ricerca di decorazioni e regali, pattinare sulla pista di ghiaccio, gustare una cioccolata calda, visitare l’Igloo di Babbo Natale, scattarsi foto ricordo nel “Tunnel degli innamorati” e assistere a spettacoli di animazione e musica. L’Igloo sarà il fulcro di numerose attività per bambini e famiglie, tra cui l’iniziativa solidale del “Giocattolo sospeso”, realizzata in collaborazione con l’associazione N.I.D.A. e il Sermig, che permetterà di donare giocattoli ai bambini in difficoltà e che quest’anno si arricchirà della partnership con Bontempi, che regalerà oltre mille strumenti musicali. Il Villaggio sarà aperto fino al 6 gennaio compreso, dal lunedì al venerdì dalle ore 12 alle 21 e nei fine settimana dalle 10 alle 23.

Il primo appuntamento di domenica 8 dicembre è stato all’insegna della solidarietà, con il raduno dei Babbi Natale in piazza Polonia, di fronte all’ospedale Regina Margherita, il tradizionale momento di festa organizzato dalla Fondazione FORMA per raccogliere fondi destinati al sostegno dell’ospedale pediatrico e che ha visto anche la partecipazione del Sindaco.

Palazzo Civico ha aperto  le porte al pubblico per ammirare l’albero di Natale allestito nel Cortile d’Onore. In un’atmosfera fiabesca, i più piccoli qui potranno anche incontrare Babbo Natale, per consegnargli le letterine e scattare qualche foto ricordo. L’appuntamento si è ripetuto ogni domenica, dalle 14.30 alle 18.30, fino al 22 dicembre.

In Piazzetta Reale c’è  il Boschetto di Natale, dominato da un maestoso abete del Caucaso di oltre 10 metri e allietato nelle ore pomeridiane da melodie natalizie. Novità dell’allestimento di quest’anno vialetti progettati per accompagnare lo sguardo del visitatore verso la Chiesa di San Lorenzo, la Cappella della Sindone e Palazzo Madama, mettendo così in risalto i capolavori barocchi che circondano la piazzetta.

Da lunedì 9 dicembre i personaggi della tradizione natalizia e delle fiabe del Presepe di Emanuele Luzzati tornano in piazza Cavour. E proprio questo scenario ospiterà la principale novità di quest’anno: accanto al presepe, ogni giorno dalle ore 16.30 alle 20, il Teatrino di Natale metterà in scena uno spettacolo multimediale dove la magia delle fiabe e delle poesie di due grandi scrittori, Roberto Piumini e Gianni Rodari, incontra la creatività dei bambini. Un racconto visivo e sonoro, della durata di circa 30 minuti, dove ad animarsi saranno i disegni e le composizioni realizzate dai bambini delle scuole dell’infanzia di Torino che daranno vita, grazie alla colonna sonora originale e alle voci degli attori, alle Poesie sulla Felicità di Roberto Piumini e, nella seconda parte, alle fiabe natalizie di Gianni Rodari, che già l’anno scorso avevano entusiasmato grandi e piccini. L’inaugurazione si è tenuta lunedì 9 dicembre alle ore 11 con ospiti speciali i bambini della scuola primaria Niccolò Tommaseo e delle scuole per l’infanzia coinvolte nel progetto del Teatrino, curato dai Servizi Educativi della Città insieme a Punto Rec Studios.

È dedicata ai più piccoli ma piacerà anche agli adulti l’iniziativa in collaborazione con il Museo del Risorgimento che ospita sotto i portici di piazza Carlo Alberto, giochi in legno giganti e una grande tastiera di 8 metri che potrà essere suonata con i piedi, coinvolgendo il pubblico presente e unendo musica e danza. I giochi in legno sono stati fruibili il 7 dicembre, quando la piazza ha ospitato anche gli spettacoli di giocolieri e trampolieri, e il 4 gennaio mentre il grande piano il 14 e 22 dicembre.

Numerose le animazioni che offriranno un momento di intrattenimento dal vivo come la performance di Sand Art in piazzetta Reale il 6 gennaio.

Tutte le circoscrizioni cittadine, sono poi illuminate grazie a Natale di Luce, il progetto della Città di Torino, curato e realizzato da Iren, che per il secondo anno porta nelle vie e nelle piazze della città scenografie luminose. Le installazioni sono Universo (piazza Santi Apostoli, Circoscrizione 2), Tunnel luminoso (piazza Santa Rita, Circoscrizione 2), Galassie (piazza Benefica, Circoscrizione 3), Stelle e pianeti (piazza Risorgimento, Circoscrizione 4), Cielo stellato (piazza Montale, Circoscrizione 5), Bouquet di fiori luminosi (piazza Foroni, Circoscrizione 6), Boules de lumière (la nuova installazione di quest’anno in piazza Chiaves, Circoscrizione 7) e Sfere celesti (piazza Galimberti, Circoscrizione 8).

Il programma dettagliato e aggiornato degli appuntamenti sul sito www.comune.torino.it/eventi/natale2024

Foto: Nicola-DE-MARIA Photo-Loris-Olivieri-Courtesy-FIAF