“Sono convinto – e credo lo pensi anche il sindaco Fassino – che dalla fase di Torino vetrina ospitale si debba passare a quella, più intrigante, della produzione di cultura”
Intervista con Luca Beatrice
di Alberto Vanelli
1) Qual è il suo giudizio sul modello di gestione dei musei e delle istituzioni culturali torinesi, basato su fondazioni e consorzi e sulla compartecipazione degli enti locali e delle Fondazioni bancarie? Quali sono i suoi limiti e i suoi punti di forza? Può essere un modello generalizzabile ed estendibile a livello nazionale?
In generale, non solo a Torino ma in tutta Italia, gestire i musei d’arte contemporanea è molto faticoso perché i contenitori sono assai costosi, “cubano” quasi tutte le economie e dunque resta poco per una programmazione stimolante. In più c’è la difficoltà di fidelizzare il pubblico specialista solo per il contemporaneo: numeri piccoli, poco significativi a fronte di spese ingenti. L’impressione, talvolta, rispetto al panorama straniero, è di trovarsi di fronte a cattedrali nel deserto. Detto questo, credo non vi sia altra possibile soluzione, oltre a ipotizzare calendari più frizzanti, che mettere insieme pubblico e privato, anche se ciò finisce per creare nuclei di potere granitici e difficilmente rinnovabili. Sono convinto – e credo lo pensi anche il sindaco Fassino – che dalla fase di Torino vetrina ospitale si debba passare a quella, più intrigante, della produzione di cultura. Indispensabile per non invecchiare e per non ripetere sempre gli schemi che ben conosciamo.
2) Qual è la sua opinione sui risultati raggiunti in questi anni nel sistema della cultura torinese? Pensa che si potrebbe fare qualcosa di più o di diverso?
Torino ha un’offerta culturale imponente, talora bulimica, unica per quanto riguarda la sfera pubblica nelle città italiane. Difficile rimproverare qualcosa all’amministrazione comunale e regionale in tal senso, a meno di non volere, come al solito, tirare acqua al proprio mulino. Ma qualcosa va cambiato: ci vuole più coraggio in proposte innovative, cercare di attrarre un pubblico più giovane, convincere i professionisti 30-40enni che la cultura non è solo svago, lusso, ma un vero e proprio core-business nella nostra città. Ogni giorno, al Circolo dei lettori, ci interroghiamo su quanto poter fare di diverso e il vantaggio di lavorare con donne e uomini giovani ci aiuta. Ecco, se proprio dovessi esprimere un’opinione di rottura, direi che Torino avrebbe bisogno di credere un po’ di più in un nuovo pubblico della cultura, anzi tentare di formarlo per non perdere troppi pezzi per strada. Anche a rischio di qualche pensionamento eccellente, soprattutto in strutture complesse e nelle famose macchine da evento.
3) Dalla ricerca compiuta dal Torinese emerge un significativo squilibrio tra le diverse istituzioni museali, sia dal punto delle risorse assegnate, sia dal punto di vista dei risultati di pubblico e della qualità delle iniziative. Come si spiega tutto questo?
Chi si trova a decidere sull’assegnazione delle risorse ha a che fare con un pregresso di sprechi e inutilità. E chi pretende, spesso poi non restituisce in termini di pubblico. Intanto metterei la condizione di un’amministrazione sana, che non giochi col denaro altrui, non dissipi e non pretenda. Poi basta con gli eccessi di personalismo, in quanto un museo è sempre della comunità, non del direttore o del presidente. eppure quando sento parlare di strutture a rischio chiusura, nonostante molte non meritino di restare in piedi, mi viene sempre in mente che alcune persone potrebbero perdere il loro lavoro, perché i vertici cascano sempre in piedi, ma chi sta in retroguardia molto meno.
4) Come si spiega, secondo lei, il grande successo di manifestazioni come Artissima e Paratissima, se posto a confronto con l’apparente crisi delle collezioni torinesi di arte contemporanea, a partire da quelle della Gam e del Castello di Rivoli?
Innanzitutto bisogna fare un distinguo. Artissima è una fiera finalmente a livello internazionale, con professionisti riconosciuti e proposte molto interessanti. Paratissima una divertente kermesse in cui vige lo spirito del tutti dentro in nome del dilettantismo assoluto. E queste due cose non possono e non devono andare mai insieme: Paratissima non è certo una fiera alternativa e qualificata come Liste a Basilea. Penso che artissima dovrebbe intanto tutelare meglio il proprio marchio, perché il tutto mi suona un po’ da parodia (così come la campagna di comunicazione impostata sullo stesso colore rosa). Detto questo, in genere le fiere attraggono più delle mostre e dei musei perché il pubblico ha la sensazione di essere partecipe di un evento ristretto nel tempo e nello spazio, in un tempo in cui si vive la città il giorno e la notte. I musei fanno più fatica per via della programmazione lunga, dei costi di gestione, dell’estrema difficoltà di inventare programmi collaterali sfiziosi, che non possono certo essere le solite conferenze alle 18.
5) Qual è, a suo avviso, la chiave per il rilancio del Castello di Rivoli?
Molto difficile, forse impossibile. Da anni il Castello è il peggior museo d’Italia, gestito sciaguratamente, in modo familistico e con una programmazione orribile e vuota. Carolyn Christov ci proverà, è una persona competente e non simpatica, che farà alleanze con i gruppi di potere, ma certo è troppo snob per porsi il problema del pubblico. Non so, vedremo. Non sono però ottimista.
ALCUNI LINK DELLE PUNTATE PRECEDENTI:
I dati dei musei torinesi
http://www.iltorinese.it/quanti-visitatori-musei-torino-i-bilanci-in-pareggio-per-pochi-euro/
L’intervista con Vittorio Sgarbi
http://www.iltorinese.it/sgarbi-torino-citta-bella-ditalia-imparato-mettersi-in-luce/
L’intervista con Alberto Vanelli
http://www.iltorinese.it/vanelli-generazione-imprenditori-creativi-per-aumentare-pil-torino-culturale/
(Foto G.Belfiore)