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Alla Casa della Resistenza di Verbania il libro su “Genni” Wiegmann

Domenica 20 settembre, alle 17,30, verrà presentato nella sede della Casa della Resistenza di Verbania Fondotoce ( in via Turati,9) il volume “Genni-Jenny Wiegmann Mucchi”,pubblicato da Unicopli nella collana Novecentodonne. Dopo i saluti istituzionali, insieme all’autrice Lisa Steiner interverrà il critico d’arte Giorgio Seveso. L’iniziativa è promossa congiuntamente dalla Casa della Resistenza con il Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte.

Jenni Wiegmann,scultrice tedesca naturalizzata italiana nata a Berlino nel 1895 studiò tra il 1917 e il 1923 presso l’istituto berlinese Levin-Funke in quegli anni di grande fermento. Nel 1918 prese parte,finita la Prima guerra mondiale, ai moti rivoluzionari di Monaco che portarono alla Repubblica di Weimar e due anni dopo sposò Berthold Müller-Oerlinghausen, uno scultore suo compagno di studi, da cui divorzierà nel 1931. Verso la fine degli anni venti partecipò ad una mostra a New Yorkprima tappa importante della sua carriera artistica. Il matrimonio con Gabriele Mucchi, architetto e pittore nato a Torino, avvenne nel 1933. Conosciutisi nel 1925  svilupparono un intenso rapporto intellettuale e sentimentale che li portò a condividere molte esperienze sia artistiche che politiche, in Italia e a Parigi. Nel 1933 con il marito espose alla V Triennale di Milano, avvicinandosi agli ambienti di “Corrente”, il movimento artistico vicino alla omonima rivista fondata da Ernesto Treccani.  Nel 1937 venne premiata al Salone Mondiale di Parigi con una medaglia d’oro. Gli anni della guerra la videro impegnata nella resistenza come staffetta e attiva nella difesa degli ebrei mentre il marito, salito in montagna, si unì ai partigiani garibaldini in Val d’Ossola. Jenny Wiegman, conosciuta negli ambienti italiani semplicemente come “Genni”, collaborò in vita  anche con molti  architetti come Piero Bottoni, lasciando tracce del sodalizio artistico  in numerosi edifici.

Il libro affronta la vita affascinante di questa donna dalla cultura mitteleuropea, apparentemente fragile e delicata ma con una volontà ferrea e convinzioni maturate con scelte autonome e innovative sia sul piano politico-sociale che di lavoro come scultrice e moglie di un pittore come Gabriele Mucchi. Una donna che, come racconta Lisa Steiner “si è sempre battuta contro quel perbenismo becero e conformista che ha prodotto e produce ancora razzismo e odio nei confronti di chi vuole innovare o ragionare senza uniformarsi facendo solo il passo dell’oca”.

Nell’occasione della presentazione sarà esposta l’opera di Genni Wiegmann Mucchi “Partigiano impiccato”, gentilmente concessa dal Museo del Paesaggio di Verbania che sarà rappresentato dall’aiuto conservatore del museo, Stefano Martinella.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Woody Allen  “A proposito di niente”    -La Nave di Teseo –  euro  22,00

E’ un’autobiografia ricca di ironia, amori, figli, amarezza, malinconia e tanto cinema quella dell’84enne Woody Allen, regista e artista poliedrico di incommensurabile talento.

E se vi state chiedendo se narra anche la bruttissima storia con Mia Farrow, sappiate che alla vicenda riserva pagine al vetriolo in cui chiarisce una volta per tutte come sono andate le cose.

Allan Stewart Konigsberg (questo il suo vero nome) muove i primi passi in una famiglia yddish a Brooklyn, col padre che la sera gli sciorinava storie di gangster, mentre la madre gli ricordava Groucho Marx.

Poi gli inizi della sua strepitosa carriera a soli 16 anni con l’inventiva che lo contraddistingue e lo porta a scrivere battute al fulmicotone per radio, cinema, tv, “New Yorker”, e ad esibirsi nei locali notturni. Il resto è storia nota: 60 anni di carriera in cui ha scritto e diretto una cinquantina di film, che spesso ha reso memorabili con la sua recitazione in ruoli da protagonista (uno per tutti, l’esilarante “Provaci ancora Sam”).

Nel libro racconta gli incontri con personaggi del calibro del commediografo Arthur Miller -col quale concordò che “la vita non ha senso”- con registi europei che ammirava, con attori e attrici –“la bellezza di Scarlett Johanson è radioattiva”- e tanti aneddoti. Emergono le sue fobie, come quella di entrare a un party, e la sua visione esistenziale: già a 5 anni vedeva non il bicchiere, ma la bara mezza piena.

Ci sono succosi capitoli dedicati ai suoi matrimoni e convivenze. Il primo con Harlene, il secondo e tormentato con Louise Lasser che gliene fece di tutti colori, la scoperta di Diane Keaton come attrice e compagna di vita per qualche anno e amica per sempre.

Poi la sventura di incappare in Mia Farrow: nata in una famiglia borderline che ha prodotto casi di alcolismo, tossicodipendenza, suicidi, problemi con la legge, forse è stata anche molestata dai fratelli. Allen scrive: “Ero sorpreso di come fosse cresciuta in quel campo minato di follie assortite e ne fosse uscita non solo illesa ma anche affascinante…” Errore di valutazione madornale che gli rovinerà la vita.

13 anni insieme -anche se ognuno a casa sua- la Farrow che recita nei suoi film, ma soprattutto colleziona figli adottivi, meglio se hanno degli handicap, da esibire in pubblico per glorificare la sua persona. Però dietro le quinte, tra le mura domestiche è tutt’altra faccenda. Due pesi e due misure. La Farrow ha disinteresse, scatti d’ira e picchia regolarmente gli orfanelli che ha raccolto; mentre sviluppa un innaturale e morboso attaccamento al figlio Fletcher e dà il peggio di sé quando scopre che Woody Allen si è innamorato di Soon-Yi, figlia adottiva che lei maltrattava con indicibile cattiveria.

Manipolatrice all’ennesima potenza, la Farrow lo accusa di aver molestato un’altra figlia adottiva, Dylan: gli scatena addosso false testimonianze e plagia la prole fino a convincere Dylan di essere stata davvero violata.

Lo scandalo è enorme e, anche se il regista è stato scagionato, la portata del danno è sintetizzata dall’ostracismo che soprattutto in America vede Allen come un reietto. Il fattaccio risalirebbe al 1992 eppure ancora oggi il cinema e parte del mondo intellettuale credono alla campagna denigratoria del figlio Ronan (col quale non ha più contatti fin da quando aveva 4 anni, e nemmeno con Dylan da quando ne aveva 7).

A consolare il genio c’è il matrimonio con Soon-Yi che dura da 25 anni, alimentato da un amore costante e due figlie da crescere. Questo e molto altro in poco meno di 400 pagine che scorrono alla velocità della luce….

 

 

Joanne Ramos  “La fabbrica”  -Ponte alle Grazie –   euro  18,00

La fabbrica è Golden Oaks, una vera e propria azienda in cui giovani donne di etnie diverse e classi sociali disagiate vengono reclutate come “madri surrogate” per ricconi di tutto il mondo. E’ semplicemente magnifico questo romanzo di esordio di Joanne Ramos, nata nel 1973 a Manila, nelle Filippine, e dall’età di 6 anni cresciuta in America (nel Wisconsin), laureata a Princeton, un’esperienza di lavoro nel settore finanziario e poi questo libro-bomba che tocca temi attuali e dolenti.

Protagonista è Jane, di origine filippina, con una figlia piccola da sfamare e crescere; vive in un dormitorio e lavora in famiglie benestanti newyorkesi. Poi sua cugina le prospetta una strada diversa e lei si ritrova a Golden Oaks, struttura hi-tech a due ore da Manhattan, incinta e madre surrogata per una “cliente”.

La fabbrica funziona così: diretta da Mae Yu -ambiziosa donna d’affari- ospita ragazze per lo più di etnie sfortunate (filippine, latinoamericane, afroamericane) o del ceto medio americano impoverito. Ma c’è anche Reagan, giovane americana bianca laureata con lode che cerca di smarcarsi dal controllo paterno. Sono tutte madri surrogate alle quali sono stati impiantati ovuli che devono portare in grembo, proteggere e far sviluppare al meglio, seguendo il rigido protocollo dell’azienda: nutrirsi in modo salutare, tenersi in forma con attività fisica mirata, riposare e prendersi cura di sé e dei figli delle committenti. Per tutto questo vengono ampiamente remunerate.

Ma per chi si accollano la gestione dei feti per 9 mesi? Le clienti a volte anonime, altre no, sono spinte da più fattori: troppo in là con gli anni per portare a termine una gravidanza, troppo impegnate, sterili o anche solo vanitose e viziate che non vogliono sformare i loro corpi.

Comuni denominatori delle ospiti della fabbrica sono dubbi, sensi di colpa, terrore di abortire e perdere tutto. Alcune vedono la gestazione come un mero lavoro; altre sono convinte che aiutare altre donne a diventare madri sia un’azione nobile… e ben venga se remunerata.

Il romanzo è ispirato a storie vere che la Ramos ha raccolto; non vuole dare risposte, ma pone grandi domande come: “cosa c’è di giusto o sbagliato nell’esistenza?”, “che valore ha la vita?”.

 

Carlo H. De Medici   “I topi del cimitero”   – Cliquot Edizioni –  euro 18,00

Ecco una curiosa riscoperta, quella del giornalista, scrittore, illustratore e studioso di scienze occulte Carlo H. De’ Medici, della cui vita si sa poco: a partire dalla data di nascita, probabilmente il 29 agosto del 1887, mentre quella della morte non è pervenuta. Era figlio di un banchiere ebreo parigino e per anni visse a Gradisca d’Isonzo, fu vicino agli ambiente delle scienze esoteriche e alchemiche, e dai suoi scritti si evince che s’interrogava sul senso della vita.

I racconti de “I topi del cimitero” fanno parte dei suoi  “Racconti crudeli” del 1924 e colpiscono il lettore a pugno duro come solo la letteratura gotica sa fare, anche se in realtà è difficile classificarli.

I suoi personaggi, raccontati rigorosamente  in prima persona sono “anime nate –morte” che parlano da un imperscrutabile al di là e mettono a nudo l’anima tormentata dell’autore che scandaglia cosa sia la morte, cosa venga dopo o cosa ci sia nell’universo infinito.

I racconti narrano di topi che profanano una chiesa, della bellissima Marta la “taciturna” priva di senno e di materia grigia che fende la folla chiassosa al braccio di un’anziana signora. O ancora di due enigmatiche sorelle incontrate su un piroscafo che lo turbano profondamente «..baciavo Lodovica, e sognavo Luisa…Stringevo al mio petto la mia nuova amante, e chiamavo l’assente. Fuggii per non impazzire».

Nelle pagine fa capolino anche madama La Morte, alla taverna delle “Tre bare”, che si rivela essere una vecchia megera amante delle gozzoviglie e del vino (che non regge e la spinge a scatti d’ira).

E tra le figure femminili «…belle come sono belle le donne che amiamo in sogno» c’è anche Isabella che muore tra le braccia dell’amato.

Questo ed altro nella raccolta che testimonia quanto l’autore fosse affascinato dal decadentismo, influenzato da Poe e Huysmans, e si destreggiasse abilmente in racconti particolarmente esoterici.

Insomma un piccolo prezioso volume che l’editore Cliquot ha strappato dall’oblio arricchendolo anche con le illustrazioni goticheggianti disegnate da De Medici stesso, per meglio raccontare patti col diavolo, profezie, visioni e allucinazioni, fantasticherie varie e godibilissime.

 

Zadie Smith  “Questa strana e incontenibile stagione”  -BigSur –  euro 8,00

Sono 6 saggi sul periodo della pandemia e del lockdown da Covid 19 in cui la scrittrice (nata a Londra nel 1975 da padre inglese e madre Giamaicana)– tra marzo e maggio 2020- ha messo a nudo il tema più che mai attuale .

Lei abituata a viaggiare e dividere la sua vita tra Londra e New York (dove insegna scrittura creativa alla New York University) ha dovuto far fronte a una brusca frenata e sciorinato nero su bianco le sue riflessioni, tra idee politiche, esperienze personali, ragionamenti e spunti vari.

Analizza a fondo come «..l’unico modo per  uscire da qualcosa è attraversarlo. Cercare di conservare un po’ di spazio per sé stessi nell’affollata sfera domestica…».

Ed ecco pagine in cui possiamo riconoscerci e rivivere come abbiamo reinventato i nostri spazi, i rapporti di convivenza, le attività lavorative.

Zadie Smith riassume un caleidoscopio di esperienze nuove: dalla donna sola chiusa in un appartamento in cui la solitudine si fa ancora più opprimente, alle persone catapultate 24 ore su 24 in una famiglia in cui privacy e tempo vanno ridefiniti.

Niente è stato facile perché il virus si è diffuso velocemente, infettando non solo le persone ma anche famiglie, comunità e Stati, senza guardare in faccia nessuno, perché come scrive Zadie Smith «Al virus non importa chi sei».

“Conosci l’estate?”

IL PRIMO ROMANZO DI SIMONA TANZINI AMBIENTATO A PALERMO  Prima di partire per le vacanze cercavo un libro ambientato a Palermo, la mia città. Non ci vado più molto e ne ho nostalgia. Mi manca il suo  mare, mi mancano i miei cugini, l’arte, l’architettura, il cibo, le emozioni “forti” a cui non sono più abituata. Alla ricerca dunque di una lettura che mi riportasse, almeno con la fantasia, nel mio amato luogo, a fine luglio entro in una libreria di Torino e un commesso entusiasta, e decisamente innamorato del suo lavoro, mi consiglia “Conosci l’estate?” di Simona Tanzini, edito da Sellerio. Lo acquisto fidandomi incondizionatamente del suo giudizio. 

Dalle prime pagine capisco subito che era quello che cercavo, una descrizione della “città-ossimoro”, dei suoi quartieri, delle abitudini e delle esternazioni colorite dei suoi abitanti, dei segni che lascia lo scirocco, della straordinaria bellezza e delle contraddizioni di questa città-continente.

La storia, il linguaggio lucido e ironico della scrittrice mi hanno conquistato. Ho compreso empaticamente i disagi del disturbo percettivo della protagonista, la sinestesia, mi sono immedesimata e specchiata nel suo percorso formativo, è sociologa e giornalista come me. La differenza nel vissuto è che lei è una romana trapiantata a Palermo, mentre io, prima di abitare a Torino, tra l’altro una delle città predilette di Viola, ero una palermitana trapiantata a Roma.

E’ un “giallo mediterraneo” che racconta di un volto del giornalismo televisivo, Viola appunto, che possiede “una particolarità”, un disturbo della percezione, che le fa accostare luoghi e persone a colori e musica. La protagonista purtroppo ha anche i “neuroni bucati”, come lei dice, che la condizionano nei movimenti e nell’approccio alla realtà.

Nel pieno di una ondata di scirocco viene uccisa Romina e il maggiore indiziato per questo omicidio è Zefir, un cantante molto conosciuto. Viola vaga per tutti i luoghi coinvolti dal crimine, conducendo la sua vita movimentata, curiosando nelle case e nelle giornate di ogni tipo di gente. Santo, l’ex caporedattore, trincerato dietro tenaci silenzi la mette in contatto con un suo amico, un poliziotto che lei chiama Zelig perché “cambia spesso colore”, il quale sembra sfruttare le sue intuizioni, le sue visioni, l’abilità di capire le persone attraverso le cromie. L’inchiesta diventa una storia, un girovagare nella eloquente Palermo, un susseguirsi di eventi e coincidenze lontani, mischiati a pensieri contemporanei su se stessa, sulla città, su fatti e persone, con spirito, ironia, a volte cinismo e amore, sentimenti tutti orientati all’obiettivo di rubare la verità ad una realtà complessa e articolata. Dietro la “vicenda gialla” traspare il vero cuore del romanzo: il ritratto commovente, quasi un diario, di una donna che avverte che in lei “si sta allargando il buio”, che è lei “quella diversa” e perciò attraversa la vita in modo totale con tristezza e divertimento, malinconia ed entusiasmo, dolore e godimento.

Un libro nuovo, senza luoghi comuni su un luogo, Palermo, che troppo spesso li riceve e li patisce, una scoperta piacevole.

In attesa di una prossima avventura palermitana di Viola, un invito appassionato a leggere “Conosci l’estate?”.

Maria La Barbera

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Vigdis Hjorth  “Eredità”  -Fazi –   euro  18,50

In Norvegia Vigdis Hjorth è un’autrice famosa ed ha conquistato fama internazionale proprio con questo romanzo, pubblicato nel 2016 nel suo paese ed ora tradotto da Fazi. “Eredità” ha vinto premi prestigiosi, è nella Longlist dell’americano National Book Award 2019, e si discute su quanto sia auto fiction, ovvero realtà o finzione letteraria? Lasciate perdere questa querelle, piuttosto fate caso alla bellezza del romanzo e all’abilità dell’autrice nel raccontare con estrema finezza psicologica.

La famiglia norvegese del romanzo è gelida quanto basta, a suo modo spietata. Voce narrante è quella di Bergljot che narra traumi del passato e un presente difficile.

La sua è una famiglia complicata dalla quale ha preso le distanze da oltre 20 anni; nasconde un segreto indicibile che ha segnato tutta la sua vita e spalancato il baratro nei confronti dei familiari.

I suoi genitori in là con gli anni, decidono di fare testamento per i loro 4 figli. Il primogenito Bard, Bergljot e le sorelle Asa  e Astrid; le più vicine in tutti i sensi ai genitori, alle quali destinano le due case al mare. Un lascito sperequato, un’ingiustizia e un tradimento perché il loro valore affettivo travalica quello economico e apre crepe abissali tra gli eredi.

Quando il padre muore la questione diventa improrogabile e porta a galla antiche rivalità, abusi in famiglia, gelosie e sudditanze affettive.

Scoprirete cosa ha determinato il distacco della protagonista dalla sua famiglia altamente disfunzionale e che la ferita è ancora aperta.

Un libro che vale la pena di leggere perché affronta tematiche profonde, sonda i meandri affettivi dei protagonisti ed è scritto divinamente…

 

 

Banana Yoshimoto  “Il dolce domani”   -Feltrinelli –  euro  12

Libro snello per un argomento mastodontico: come sopravvivere alla morte di chi amiamo?

La scrittrice giapponese ce lo dice in appena 104 pagine, spaziando dal dolore sconvolgente alla stentata sopravvivenza di chi resta con ricordi che fanno male. Ma racconta anche come si può tornare alla vita.

Protagonista e voce narrante è la 28enne Sayoko, rimasta vittima di un incidente d’auto insieme al suo compagno e grande amore, lo scultore Yȏichi. Lui muore sul colpo, lei si ritrova semiagonizzante con un bastone di ferro conficcato nella pancia… e se prima credeva che la vita potesse essere eterna, ora lo schianto è contro la dura realtà: «La morte è sempre a un passo da noi».

Quella di Sayoko e Yȏichi era una bellissima storia di amore, intimità e profonda comprensione in una relazione a distanza che riusciva a stare in equilibrio, con lui che viveva a Kyoto e lei a Tokyo. Il destino sferra il suo colpo mortale a fine estate mentre tornano da un soggiorno alle terme…e  per lei nulla sarà mai più come prima.

Il romanzo è la cronistoria di come  Sayoko affronta il dolore al risveglio in ospedale, tra traumi fisici e soprattutto lo strazio soverchiante per la morte di Yȏichi.

Anche se i due non erano sposati il loro era un legame talmente saldo che i genitori di lui la trattano in tutto e per tutto come la vedova del figlio.

Ma lei sente di aver ormai perso la sua “Mabui”, ovvero l’anima. E a Okinawa si dice che se ti cade il “Mabui” devi tornare a raccoglierlo nel punto in cui è caduto. Ecco quello che si appresta a fare, tra mille difficoltà  interiori e tanta nostalgia, Sayoko.

Un libro che parla di morte, ma anche di tanta speranza, scritto dopo il terremoto e lo tsunami di Fukushima e dedicato dall’autrice alle popolazioni colpite.

 

 

Kathleen  Rooney  “Lillian Boxfish si fa un giro”  -8tto Edizioni-  euro 19,00

Non si può non amare la protagonista e voce narrante di questo gioiello, pubblicato da una nuova e coraggiosa casa editrice fondata da 4 donne intraprendenti, esperte di editoria e con un palato letterario finissimo e di alto livello.

Lillian è un’arzilla e divertentissima vecchietta di 85 anni che festeggia sola soletta l’ultimo giorno dell’anno 1984 a New York  -che non è solo lo sfondo del romanzo, ma la grandiosa e affascinante coprotagonista- e lo fa camminando avvolta nella sua pelliccia, agghindata a festa.

Una lunga passeggiata anche nei ricordi della sua vita che sciorina in pagine magnifiche, piene di ironia, intelligenza e sensibilità; leggere e profonde allo stesso tempo.

Negli anni 20 Lillian era arrivata nella Grande Mela e aveva trovato lavoro come copywriter per il grande magazzino di lusso Macy’s.  Brillante, arguta, divertente e determinata era diventata in poco tempo una leggenda del mondo pubblicitario, la prima donna in questo campo e pagata profumatamente.

Poi il colpo di fulmine per Max, l’attesa del figlio e la fine del lavoro, perché negli anni 30 le donne con figli non sapevano neanche cosa fossero le tutele della maternità.

Lillian camminando farà incontri che aprono spiragli nei suoi ricordi e riportano a galla successi e gioie, ma anche fallimenti e rinunce.

Un romanzo che vi trascinerà senza sosta, terapeutico perché pieno di ironia e saggezza, ispirato alla vera storia di Margaret Fishback, il primo pubblicitario donna più pagato al mondo. Un gioiello da non perdere, che vi lascerà dolcezza e buonumore a iosa.

 

 

Glenn Cooper  “Il sigillo del cielo”  – Editrice Nord-  euro   20,00

Al centro di questo thriller c’è una misteriosa pietra nera, fulcro dei destini di vari personaggi che viaggiano su tre piani temporali diversi – tra umano e divino- con svolte inaspettate e continue.

La storia inizia con il famoso archeologo 62enne Hiram Donovan che, durante uno scavo in Iraq nel 1989, trova sepolta nella sabbia una pietra levigata a specchio. Un disco di ossidiana, perfettamente piatto e rotondo, 10 cm di diametro, uno di spessore… e quando un raggio di sole ne colpisce la superficie, qualcosa di inspiegabile accade allo scienziato. Contravvenendo alla sua etica, non dichiara la scoperta, la nasconde e la invia alla moglie, in America, per studiarla con calma in un secondo tempo. Peccato che il destino abbia in serbo per lui una morte violenta, mascherata da incidente.

Massachusetts, ai tempi nostri, il figlio di Hiram, Carl, che ha seguito le orme paterne ed è University Professor ad Harvard, deve fare i conti con la morte dell’anziana madre Bes. E’ stata assassinata nel suo lussuoso appartamento di Park Avenue a New York, messo a soqquadro ma dal quale sembra non sia stato rubato nulla.

Carl affronta il dolore e, insieme alla fidanzata Jessica, smonta la casa materna, trovando la busta spedita oltre 30 anni prima dal padre, ancora sigillata. Da quel momento in poi anche le loro vite saranno in pericolo.

Terzo piano temporale all’indietro, nel 1095 a Mosul dove tutto ha inizio, con il monaco Daniel Basidi che parla con gli angeli….

A mozzarvi il fiato sarà l’ossessione per questo oggetto che ha travolto imperatori, religiosi e avventurieri, una minaccia per  il mondo che tocca a Carl affrontare.

Non smentisce la sua bravura Glen Cooper, uomo dai mille talenti e selfmade-man, in questo romanzo in cui innesta anche la sua laurea in archeologia ad Harvard. Nel suo curriculum c’è anche un dottorato in medicina ed è stato a capo di un importante industria di biotecnologie. Non basta, oltreché autore del best seller “La biblioteca dei morti” al quale sono seguiti altri romanzi di successo è anche sceneggiatore e  produttore cinematografico.

 

 

 

 

 

Ci vediamo al Gigi Bar

La storia del Gigi Bar, locale-simbolo di Stresa che ha visto innumerevoli personalità sostare ai suoi tavolini gustando originalissimi cocktail e le delicatissime “margheritine”, è diventata un libro

Una vicenda leggendaria che Andrea Dallapina, giornalista e scrittore, ha voluto omaggiare con un romanzo dal titolo “Ci vediamo al Gigi bar – Una storia della Stresa da bere” (Alberti Libraio editore), mettendo in rilievo la passione e l’estro dei gestori.È un piccolo romanzo tributo alla lunga attività di Bruno Strola e della moglie Anna –afferma l’autore – per oltre quarant’anni e sino all’anno scorso hanno condotto il locale. È anche il racconto di una società quasi del tutto scomparsa, nella quale ai tavolini del caffè passavano il turista, l’intellettuale, l’imprenditore, il politico mescolati ai tanti clienti di Stresa”. L’aria bohémienne, lo spirito dei tempi,la bella e suggestiva passeggiata del lungolago stresiano, le facciate dei grandi alberghi e i dehors dei locali che guardano verso le isole dell’arcipelago Borromeo fanno da cornice a queste vicende, dove il protagonista del romanzo è proprio quel luogo frequentato dal bel mondo che, con un velo di malinconica tristezza, ha chiuso definitivamente i battenti nel gennaio scorso, dopo sessant’anni di onorata carriera. Le tante foto che accompagnano e arricchiscono il testo raccontano per immagini questa storia, soffermandosi sull’arte pasticciera di Bruno Strola, affinatasi in gioventù tra Milano, la Roma della “dolce vita” e il Lido di Venezia. Andrea Dallapina ha dato vita ad un narratore, lo scrittore americano Nick Wright (detto anche “mister Negroni” per la preferenza generosamente accordata al cocktail nato a Firenze cent’anni fa) che, ritornato dopo tre decenni in visita alla “perla del lago Maggiore”, ricostruisce la storia del Gigi Bar, teatro di incontri importanti e di deliziose colazioni e aperitivi.Donne e uomini di spettacolo, grandi musicisti ospiti a Stresa per le “settimane musicali”, campioni dello sport, imprenditori di successo, personalità della cultura e della politica come Mario Soldati, Ugo La Malfa, Oscar Luigi Scalfaro: una carrellata lunghissima di ospiti illustri, di passaggio o habitué, riempie le pagine con aneddoti e curiosità. Un percorso a ritroso nel tempo nel quale il narratore riavvolge come una pellicola l’intera storia del locale, accompagnato da Bruno e dal poeta stresiano Franco Esposito, moderno “Virgilio” e memoria storica di incontri e chiacchierate a quel tavolino del “Gigi” che per tantissimo tempo è stato il suo ufficio, seguendo le stesse abitudini di un altro famoso “scrittore di lago”, Piero Chiara.

Tra le tante notizie che si apprendono scorrendo le pagine del libro è particolarmente interessante l’atto di nascita, tra i tavolini del “Gigi bar”, del premio letterario che porta il nome della cittadina lacuale, fondato da un gruppo di intellettuali, tra i quali Franco Esposito, Mario Bonfantini, Mario Soldati, Gianfranco Lazzaro e Piero Chiara. Esposito, spronato dal grande Leonida Repaci, si lanciò nell’impresa già nel 1975, coinvolgendo l’amico Lazzaro. Ma le difficoltà a reperire le risorse necessarie resero impraticabile l’impresa. Determinati a raggiungere il risultato decisero di scrivere una lettera al pittore Mario Tozzi ,cresciuto a Suna, dall’altra parte del golfo Borromeo. Gli chiesero in dono una sua opera da mettere in palio quale premio per il concorso letterario. Il maestro rispose con sollecitudine inviando una sua litografia e così, nel 1976, iniziò anche quest’avventura che, già dai primi anni, vide protagonisti della giuria personaggi del calibro di Carlo Bo, Giovanni Spadolini, Giorgio Barberi Squarotti, Primo Levi. Quella del Gigi Bar è una storia di passione familiare per il lavoro che è terminata per ragioni anagrafiche, quando la coppia ha chiuso la propria attività e spento l’inconfondibile insegna rossa al neon che invitava i clienti nelle notti dell’epoca d’oro dei ruggenti anni ’60 e ’70. Un’intera comunità e tanti “vip” sono rimasti orfani delle celebri brioche e margheritine create nel 1857 dal pasticcere Pietro Antonio Bolongaro in onore della principessa futura regina Margherita. Resta il libro e un po’ di amarcord, con tutti i significati che questa parola porta con se, dalla profondità all’ironia, fino alla nostalgia dei ricordi.

 

Marco Travaglini

La rassegna dei libri più letti del mese

Ecco una piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di agosto.

Primo posto per l’intenso Fiore di roccia, di Ilaria Tuti (Longanesi), racconto “al femminile” ambientato durante la Grande Guerra; segue l’interessante dibattito sulla saga scritta da Natasha Salomons, I Goldbaum (Neri Pozza); terza posizione per Cinque donne e un arancino, leggero racconto di Catena Fiorello (Giunti).

 

Il sondaggio del mese ha incoronato l’investigatore più amato dai lettori ma la sfida è stata davvero appassionante, così come il dibattito che ne è seguito: se volete saperne di più, potete leggere l’articolo QUI 

Nel mese di agosto ricorreva l’anniversario della nascita di Ray Bradbury, geniale e profondo cantore di un’America ormai scomparsa e autore del celeberrimo Fahrenheit 451, pietra miliare della fantascienza e fulgido esempio di quella che oggi chiamiamo narrativa distopica.

Per conoscere meglio questo grande scrittore, oltre al succitato Fahrenheit 451, noi proponiamo la lettura del classico L’estate incantata e del meno noto, ma inquietante, Il popolo dell’autunno, più volte citato da King come fonte d’ispirazione per il suo It.

 

Per il mese di agosto, la libreria LA CONFRATERNITA DELL’UVA di  Bologna ha scelto per i nostri lettori: L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniels (Atlantide Edizioni), un libro di una giovane autrice statunitense che ha già il respiro di un nuovo classico americano; Dal tuo terrazzo si vede casa mia di Elvis Malaj (Racconti Edizioni). Il nuovo corso della produzione letteraria italiana è lasciare che anche gli italiani di seconda generazione possano raccontarsi: in questo romanzo troverete una linfa, una rabbia e una vitalità inedita; La confraternita dell’uva di John Fante (Einaudi), un titolo che è anche un omaggio e una strizzatina d’occhio al nome della libreria!

Per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e delle letteratura venite a trovarci sul nostro sito ufficiale e scoprite ogni settimana i consigli letterari del nostro canale Youtube!

A presto e buone letture!

 

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

I libri più letti nel mese di settembre

Torna puntuale la piccola rassegna dedicata ai titoli che maggiormente hanno interessato i lettori iscritti al gruppo di Facebook Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di settembre.

 

Nel mese di settembre i libri più commentati nel gruppo sono strati: A voce alta, capolavoro di Bernhard Schlink che racconta una storia di passione e presa di coscienza . Al secondo posto fa il suo ingresso Fu sera e fu mattina, nuovo romanzo di Ken Follett che costituisce il prequel del famoso I pilastri della terra; infine terzo posto per La ragazza del secolo scorso, l’autobiografia di Rossana Rossanda, recentemente scomparsa.

L’autore più citato del mese è Valerio Massimo Manfredi, i cui nome è sempre molto presente n tra i consigli dei lettori: tra i suoi romanzi, i più amati sono senza dubbio Lo scudo di Talos, romanzo che ripercorre le vicende delle Guerre Persiane, Antica Madre, ambientato tra i legionari di Nerone e Teutoburgo, che racconta l’epica battaglia tra i barbari di Arminio e i romani.

Questo mese, la libreria San Michele di Albenga consiglia per voi:

Un capolavoro che lascia cicatrici: “Viaggio al termine della notte” di Celine (Corbaccio). Un colpo di genio, breve ma perfetto: “Le braci” di Marai (Adelphi). Un racconto profondo e delicato che non si scorda. “Le nostre anime di notte” di Kent haruf (NN editore).

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Il tempo dei maggiolini

La  narrativa dell’autore intende dare voce soprattutto alla gente comune, a quel mondo piccolo ma non minore col quale lo scrittore di Omegna ha sempre amato convivere, assimilandone i problemi,  le speranze, le gioie e i dolori

“Il tempo dei maggiolini” è un  libro che contiene sedici racconti di Marco Travaglini (nella foto) , edito dalla torinese Impremix Edizioni Vislagrafika. Confesso che mi ha sempre attirato la  narrativa di Marco Travaglini perché  intesa a dare voce soprattutto alla gente comune, a quel mondo piccolo ma non minore col quale lo scrittore di Omegna ha sempre amato convivere, assimilandone i problemi,  le speranze, le gioie e i dolori. Una scrittura la sua che nasce dal cuore e arriva al cuore, che sa  cogliere con passione e slancio poetico   la vita delle strade, dei piccoli paesi del lago e della montagna, con attenzione particolare – è il caso di “Il tempo dei maggiolini” – al passato, ai giorni dell’ infanzia, della  giovinezza, a tempi meno facili ma più ricchi di semplicità, di saggezza antica, di rapporto umano. Erano gli anni delle case di ringhiera, dei grandi prati non ancora invasi dal cemento; delle quattro stagioni; delle primavere verdi  punteggiate di rondini e maggiolini; delle serate estive sfolgoranti di lucciole, sull’aia o davanti alla calma scura del lago ancora impregnato dei caldi profumi del giorno, delle creme solari.

Su questi sfondi, che Marco riprende con l’attenzione e la sensibilità dell’osservatore acuto, si intrecciano avvincenti storie di quotidianità, popolate da personaggi estrosi, a volte strambi e un po’ picareschi, ma sempre coinvolgenti perché pennellati con felice aderenza: il fiorista Arrigo Molinetti, patito del canto e di Jannacci, e il giardiniere Galaverna, che spopolano nelle balere  col complessino dei “Trambusti”, offrendo la loro arte in cambio di polli, conigli e tacchini arrosto; il Belletti, un po’ tocco,  imbattutosi in un cavallo parlante; il Secchi, che spaventa di sera le   donne dalle parti del cimitero; l’analfabeta Albertino, convinto che basti comprare gli occhiali per saper leggere; e decine di altre figure tipiche della vita povera e raccolta del tempo che fu. Su tutte la maestra Maria Scrivani la quale, a dispetto dei suoi 90 anni, ripercorre con straordinaria lucidità la sua carriera di insegnante a Omegna, ricostruendo l’atmosfera della vecchia scuola e della città con la precisione e l’acutezza del cronista  di vaglia.

Il ritratto del suo alunno Gianni Rodari,  “un bambino con lo sguardo serio ma con i pensieri allegri” è da antologia, così come quello di altre realtà omegnesi, fra le quali la storica ditta  Cardini, specializzata nella lavorazione delle lamiere metalliche, diventata famosa per la  pionieristica attività nel settore dei giocattoli di latta. “Papà, se tu comperi un giocattolo Cardini, il più bravo, il più studioso diverrò tra i bambini”, recitava una pubblicità sulle  pagine della Domenica del Corriere e del Corriere dei Piccoli.Il libro spazia sull’intera provincia del Verbano Cusio Ossola e si spinge oltre, sconfinando nel Novarese. Ricche di fascino la leggenda della pentola d’oro delle due Quarne, atavicamente divise da feroce rivalità, e la rievocazione delle tradizioni, degli usi e dei costumi walser della valle Formazza, mentre  la descrizione delle riprese di Una spina nel cuore, film tratto da un racconto di Piero Chiara, girato alla stazione di Omegna, e di I bei tempi di Villa Morini, “scandalosa” rievocazione delle case chiuse, che trasformò in un set da film “scollacciato” la tranquilla comunità di Brovello Carpugnino, è semplicemente esilarante.

Non poteva ovviamente mancare il lusciàt, mitico artigiano che girava l’Europa ad aggiustare e vendere parapioggia e parasoleArgante Delvivo, di Sovazza, assurse addirittura, per volontà nientemeno che della principessa Sissi, a  “ombrellaio fornitore ufficiale della Casa d’Asburgo”.  E ricco di mistero è Vincent, il pittore dei sogni e delle stelle, apparso all’improvviso sul lago sul finire dell’estate, tra un temporale e l’altro: “Allampanato, magro come un chiodo, il volto, incorniciato da una rada barba grigia,  era illuminato da due vivaci occhi neri che luccicavano al riparo delle folte sopracciglia”.E c’è tanto dell’altro.Un bel revival davvero, questa nuova raccolta di Travaglini, che la dolcezza della memoria e il profondo coinvolgimento emotivo dell’autore rendono  ancora più vero e palpitante. Un momento di ricordo e forse di rimpianto per chi vent’anni non ha più, una scoperta piacevole e frizzante per chi di quel passato ha percepito solo gli echi”.

 

Benito Mazzi  

Dal “Pierino” di Chiara al “paese dei mezaràt” di Dario Fo

Entrambi, oltre a narrare le gesta degli autori in tenera età, alquanto discoli e con l’argento vivo addosso, offrono uno spaccato straordinario su persone e luoghi che s’affacciano sul lago Maggiore

Costretto a stare in casa per qualche giorno ho approfittato dell’occasione per rileggere due libri divertenti: “Le avventure di Pierino “, di Piero Chiara, e “Il paese dei mezaràt”, di Dario Fo. Entrambi, oltre a narrare le gesta degli autori in tenera età, alquanto discoli e con l’argento vivo addosso, offrono uno spaccato straordinario su persone e luoghi che s’affacciano sul lago Maggiore. Nel primo, il protagonista che combina guai tra le bancarelle del mercato di Luino (a cui Pierino poteva partecipare per l’intera giornata perché “la direzione scolastica aveva stabilito la vacanza settimanale al mercoledì, invece che al giovedì come in tutt’Italia, forse più per comodo degli insegnanti che degli scolari” ) è proprio il piccolo Chiara. Pierino salta da un’avventura all’altra, pestifero e inarrestabile, un vero monello per le strade di Luino. Finché i grandi non si stancano della sua vivacità e lo mandano in collegio.

Ma lui è fatto così, vivace e furbo, allegro e goloso, e anche bugiardo, quando serve per salvarsi da una punizione. Pierino non si può fermare e in collegio impiega tutte le sue energie per fare ammattire i suoi pazienti professori. Ingegnoso come lo sono i bambini particolarmente svegli della sua età, Pierino ( due terze ripetute a suon di bigiate, pur essendo un rampollo di commercianti e quindi destinato agli studi) vive le sue avventure a Luino, la città sulla “sponda magra” del lago Maggiore dov’è nato “in remote stanze sopra i tetti” nella secentesca casa Zanella e che nel primissimo Novecento è un attivissimo crocevia commerciale tipico delle terre di frontiera. In un mercato in cui convergono venditori onesti e ciarlatani, bancarellai improvvisati e imbonitori, saltimbanchi da quattro soldi e commercianti cittadini con spazi affittati per tutto l’anno, va in scena una straordinaria commedia umana. Una curiosità: tra i tanti che affollano il mercato compare anche la figura del ricco formaggiaio Berlusconi, che si trova suo malgrado coinvolto in un lancio di forme di gorgonzola, taleggio e grana padano di cui aveva omaggiato tre sorelle zitelle divenute ladre per necessità.

Il libro si articola in due parti. Nella prima è il mercato stesso nella sua coralità di personaggi a riempire il palcoscenico, mentre nella seconda (Pierino non farne più!) il piccolo irrequieto ritorna a fagocitare la scena, combinandone davvero di tutti i colori, sino a finire in collegio dall’altra parte del lago, dai salesiani di Intra. All’anagrafe Piero Chiara era registrato proprio come Pierino e alcuni capitoli come “Non piangere Bertinotti”, “L’evaporazione delle angurie” o “Guerra e pace con i Formentini” sono davvero spassosi. Viceversa, ne “Il paese dei mezaràt“, Dario Fo racconta i luoghi, gli eventi e i personaggi leggendari che hanno segnato la sua infanzia ( e non solo). Prendendo le mosse dai luoghi natii ( San Giano, in provincia di Varese) e da quelli dove ha trascorso l’infanzia, Fo s’avventura nel turbine della memoria restituendoci le imprese del padre ferroviere, le visite in Lomellina al nonno Bristìn, indugiando su episodi di volta in volta teneri e drammatici fino al suo apprendistato all’Accademia di Brera di Milano, agli stratagemmi per campare, al dramma della guerra con il reclutamento forzato e, per finire, con un notevole salto temporale in avanti, i funerali di “Pà Fo”, figura centrale di questo “romanzo di formazione”.

Il titolo rimanda al dialetto  lombardo, soprattutto a quello in uso sul lago Maggiore, dove “mezaràt”significa mezzo-topo. Il paese dei mezaràt equivale al paese dei pipistrelli ed è riferito alla gente di Porto Valtravaglia che lavorava sopratutto di notte, perché erano soffiatori di vetro, pescatori e contrabbandieri. Porto Valtravaglia, dove il piccolo Fo cresce e va a scuola, era – secondo il grande attore – “un paese in cui i bar e le osterie non chiudevano mai, non avevano neanche le porte, non avevano un ingresso principale. Io sono cresciuto lì, in un paese dove c’erano persone che provenivano da tutta Europa, dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna, perfino dall’Oriente, ognuno con una tecnica diversa di soffiatura del vetro“. In quella babele di lingue e dialetti si inserivano discorsi, dialoghi, favole, lazzi sarcastici e paradossali. È un mondo ormai scomparso, che non esiste più, che però per Dario Fo è stato fondamentale. La sua capacità di raccontare – si pensi all’uso di certe pause o dei gesti – proviene direttamente da quel mondo popolato da affabulatori straordinari.

E’ lo stesso Dario Fo a definire la sua infanzia “eccezionale”: “Ho avuto la possibilità di vivere un’infanzia sempre attorno al lago Maggiore, ma cambiando un paese dopo l’altro. Ho frequentato la terza elementare in tre posti diversi, la quarta in due scuole differenti. Poi sono andato a Luino per le scuole medie, a Milano per il liceo di Brera e infine all’Università. Quindi io, figlio di un ferroviere, ero sempre in viaggio. Questo naturalmente ha influito molto sul mio carattere. Credo di essere una persona generosa, ed ho imparato non solo da mia madre o da mio padre, ma anche dal clima che mi sono trovato intorno“. Il capitolo finale de “Il paese dei mezaràt“, racconta il funerale del padre, il quale prima di morire si era preoccupato di ingaggiare una banda che per tutto il tragitto da casa fino al cimitero suonasse le marce dei partigiani delle valli. “ Per ogni valle (sei o sette sul lago Maggiore), infatti, c’era un gruppo di partigiani che creava una propria canzone. Mentre si andava al funerale, tra le bandiere rosse, la gente, gli anarchici, iniziò un altro funerale, quello dello scrittore Piero Chiara, che aveva sempre avuto fama d’essere un gran mangiapreti. Per cui la gente si unì al corteo di mio padre pensando che fosse quello di Chiara. Poi quando è arrivato il feretro da Varese, nel luogo dell’appuntamento non c’era nessuno. Così tutti i giornali riportarono questo episodio“.

Marco Travaglini

L’isola del libro. Speciale William Faulkner

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria / Un grande applauso alle edizioni “La nave di Teseo” per aver portato in libreria i 6 racconti polizieschi di William Faulkner “Gambetto di cavallo”; autore che vinse il Premio Nobel nel 1950

Un gigante della letteratura americana e mondiale del XX secolo, nato a New Albany (Mississippi)   il 25 settembre 1897 e stroncato da una trombosi a Byhalia il 6 luglio 1962.

Gli esordi non furono facili: scrisse poesie, si mantenne facendo svariati lavori e viaggiò tra New Orleans, New York, Parigi. Sposò la fanciulla che aveva amato in gioventù, Estelle Oldham (divorziata da poco), con lei visse a Rowen Oak, che abbandonerà solo per le incursioni nella mecca del cinema. Un matrimonio difficile, dai sentimenti cupi e carente di romanticismo e affetto. Dapprima la sua carriera letteraria sembra un fallimento. Allora, deluso dai rifiuti degli editori, decide di scrivere solo più per se stesso e il risultato è uno dei suoi capolavori, “L’urlo e il furore”.

E’ l’inizio della folgorante esplosione creativa di Faulkner che sfociò nelle grandi opere composte tra fine anni 20 e inizio 30: ci ha lasciato 20 romanzi e 85 racconti, più alcuni testi per il grande schermo. La sua vita fu attraversata anche da difficoltà economiche dovute soprattutto allo stile di vita dispendioso suo e della moglie. Nel 1932 cercò di risolvere la situazione finanziaria lavorando per circa un decennio come sceneggiatore a Hollywood. La sua vita oscillò tra alti e bassi, alcol che gli distrusse il fisico e relazioni con donne più giovani che bruciarono il suo matrimonio.

Ambientò le sue opere nel profondo sud, che trasferì nell’immaginaria contea di Yoknapatawpha, di cui – con incredibile realismo- colse e descrisse in modo indimenticabile la difficile realtà rurale negli anni della Grande Depressione: tra povertà, fatica, sudore di bianchi e neri, pregiudizi, ingiustizie e schiavitù.

Ed ecco l’occasione perfetta per leggere o rileggere alcune sue opere.

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William Faulkner “Gambetto di cavallo. Sei racconti polizieschi” -La nave di Teseo-   euro 18,00

Il racconto che dà il titolo alla raccolta fa riferimento a una mossa di scacchi e l’autore lo scrisse nel 49, quasi in concomitanza con il conferimento del Nobel per letteratura. Un’ incursione nel genere poliziesco attraverso sei storie ambientate nell’immaginaria contea di Yoknapatawpha, con protagonista dilettante (sulla falsa riga di Sherlok Holmes) l’avvocato di mezza età Gavin Stevens, procuratore di contea, alle prese con disperata gente comune, miserie, misfatti e misteri. Nella provincia tormentata e bigotta, Stevens attraversa sconfinate lande dove si trova alle prese con crimini locali. Li affronta caparbio e cerca di risolverli attraverso il percorso deduttivo, armato dell’ inseparabile pipa (proprio come Faulkner stesso). Sei vicende in cui scendono in campo famiglie tragiche e disfunzionali, solitudini e rancori, illusionisti e misteriose scomparse e ricomparse, confessioni e sotterfugi.

 

“L’urlo e il furore”   -Einaudi- euro 11,50

E’ il primo grande romanzo di Faulkner pubblicato nel 1929. Racconta tragedie, decadenza e disgrazie dei Compson, una grande famiglia del sud americano alle soglie della Grande Depressione. A narrare questa stirpe, un tempo gloriosa, sono più voci; tra queste spicca quella di Benjamin, ragazzo afflitto da un ritardo cognitivo, che alterna piani temporali differenti tra passato e presente. Perché Faulkner era un maestro nel seguire una cronologia affettiva, prima ancora che temporale, ed abilissimo nell’ammantare i lunghi monologhi interiori di una potentissima forza evocatrice.

 

“Mentre morivo” -Adelphi-   euro 11,oo

E’ del 1930 questo libro che Faulkner scrisse in sole 6 settimane, quando aveva 32 anni; di giorno lavorava come operaio in una centrale elettrica e di notte creava. Ambientato nell’immaginaria contea di Yoknapatawpha è un coro polifonico intorno alla vita, alla morte e al funerale di Addie Bundren, madre di 5 figli e moglie di Anse. E’ il marito che, per rispettarne le volontà, fa costruire la migliore cassa possibile e intraprende un viaggio, tra il folle e il grottesco, su un carretto sgangherato per andare a seppellirla a Jefferson, lontano da casa. Il romanzo scivola nei racconti di 15 voci narranti che hanno fatto parte della vita di Addie, povera donna poco amata. Così com’è vissuta -in solitudine e con il suo orgoglio- rischia di morire senza il conforto dei suoi cari. Persino il figlio prediletto diserta il suo capezzale: l’unica ad assisterla è la compaesana Cora che non vuole farle “…affrontare il Grande Ignoto senza un viso familiare lì a farle coraggio”. Un libro che traccia tanti profili psicologici sullo sfondo dell’ambiente rurale con i suoi usi e le sue chiusure.

“Luce d’agosto” -Adelphi-   euro 13,00

Pubblicato nel 1932 fu considerato un capolavoro. E’ un romanzo che mette a nudo la dura realtà di disadattati ed emarginati, e indaga pregiudizi e razzismo. Lo fa attraverso le vicende di una folta pletora di personaggi: dalla povera ragazza incinta che attraversa Alabama e Mississippi per cercare il padre del bambino, a un reverendo ripudiato dalla sua Chiesa, passando per sceriffi, taglialegna, predicatori e negri disperati. Una comunità e un universo composito che si mette in allarme quando si sparge la voce di un brutale omicidio.

 

“Assalonne Assalonne” -Adelphi-   euro 28,00

Questo romanzo del 1936 ruota intorno alla vita e al destino di un uomo assillato dall’incertezza   sulla sua identità razziale. Apre scorci di vita sulle piantagioni di cotone e sulla brutalità con cui venivano fustigati i lavoratori neri. E’ la storia del contadino Thomas Stupen che diventa proprietario della piantagione in cui lavora, e di Bon, il probabile figlio. Anche in queste pagine Faulkner sciorina una narrazione multipla per mettere a fuoco una realtà che conosceva molto bene: il modo miope in cui i bianchi degli Stati del Sud consideravano il passato storico e la loro incapacità di fare i conti con la spietata piaga della schiavitù. Una curiosità: tra gli affetti più solidi di Faulkner ci fu quello che lo legò alla sua governante di colore, Callie Bar.