
Jonathan Coe “Io e Mr Wilder” -Feltrinelli- euro 16,50

André Aciman “L’ultima estate” -Guanda- euro 16,00


Barack Obama “Una terra promessa” -Garzanti- euro 28,00

Questo romanzo della scrittrice francese è uscito in patria nel 1981, ed è un altro capitolo dell’affresco complessivo della sua vita, scomposta in tante fasi che racconta agganciandosi allo sfondo sociale, miscelando soggettività e momento storico. Qui l’arco temporale va dagli anni 50 ai 70 e mette a fuoco luci ed ombre del crescere femmina a quell’epoca.
La Ernaux -figlia di appartenenti alla classe lavoratrice del nord della Francia, che gestivano la bottega del paese- in “La donna gelata” narra infanzia, adolescenza, formazione e poi lo schianto nel matrimonio.
La sua è stata una crescita con due genitori fuori dagli schemi dell’epoca; una famiglia che si reggeva su un equilibrio anomalo, in cui i ruoli erano rovesciati. Madre e padre erano complementari al contrario, perché seguendo le loro inclinazioni e attitudini spontanee si organizzarono con lei che mandava avanti la bottega, mentre lui svolgeva i lavori domestici.
Un bell’esempio per la loro figlia unica che crebbe senza impalarsi all’idea che maschile sia superiore al femminile. Sarà soprattutto la madre a spronarla a lasciare da parte le bambole, aspettandosi che studi, sia libera e diventi qualcuno.
Poi c’è il traghettarsi attraverso l’adolescenza, l’accettazione del proprio corpo e la scoperta della sessualità che all’epoca prevedeva grande libertà per i maschi, rigide regole per le ragazze.
Lei studia, cresce e si impegna sulla strada dell’emancipazione; peccato però che l’aver avuto quello che sembrava il vantaggio di una famiglia “illuminata” non l’abbia preparata al confronto con una realtà ben diversa.
Se ne accorgerà una volta sposata con un uomo banale, quando diventerà madre e sarà lasciata sola dal marito a destreggiarsi tra pannolini, pappe e pisolini; restando indietro su tutto il resto, a partire dalla carriera messa in stand by.
Leggendo scoprirete come riuscirà a dare una nuova rotta alla sua esistenza.
E’ magnifica questa biografia romanzata in cui il poeta e scrittore canadese Steven Price ricostruisce la vita del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, cogliendone soprattutto il lato crepuscolare. Nato nel 1986 e ultimo discendente di una nobile casata -ormai decaduta- autore del capolavoro “Il Gattopardo”, è morto di tumore ai polmoni nel 1957, con la delusione di aver visto il suo manoscritto rifiutato da due grandi case editrici.
E’ stata una beffa del destino morire prima di poter assaporare il successo del libro che Bassani volle pubblicare a tutti i costi nella collana che dirigeva da Feltrinelli. Fu riconosciuto un capolavoro ed un trionfo replicato anche al cinema, con l’omonimo film diretto da Luchino Visconti nel 1961 e con un cast stellare.
Price si concentra soprattutto sugli ultimi anni del principe, dopo una vita di studi e letture; ritrae un uomo sul viale del tramonto, malinconico e pensieroso, minato nella salute e deluso dai tempi che avanzano.
In 299 pagine scritte con sensibilità e finezza ripercorriamo le tappe salienti della sua vita.
Le grandi case dell’infanzia, i ricordi più cari, gli anni della guerra con il palazzo di famiglia distrutto dai bombardamenti degli alleati.
Il rapporto strettissimo con la madre aristocratica e altera; Beatrice, la maggiore delle 5 bellissime e stravaganti sorelle Cutò, donna affascinante ma col carattere inasprito da sventure e lutti.
Il suo rapporto con Giuseppe sarà strettissimo e soffocante, e inciderà non poco sulla vita matrimoniale del figlio. Donna Beatrice non approvò mai l’unione con la principessa Alessandra Wolff Stomersee, detta Licy, psicanalista colta e sensibile, che Tomasi di Lampedusa
conobbe nel 1925 e sposò.
Le due donne della sua vita mal si sopportavano e per anni Licy e Giuseppe vissero lontani. Ma il loro fu un rapporto inossidabile, fatto di grande intesa, e lei gli restò accanto fino alla fine.
Altro capitolo importante è quello in cui decidono di adottare il figlio di un cugino di secondo grado, il giovane Gioachino, -erano legatissimi a lui e alla moglie Mirella- nominandolo erede legale. Il patrimonio ormai era sfumato, ma il giovane avrebbe almeno ereditato il titolo di duca di Palma e, pur non potendo trasferire quello più importante di Lampedusa, Giuseppe ebbe la certezza che non tutto sarebbe morto e finito con lui.
Questo è un romanzo scoppiettante e racconta l’amicizia di due giovani donne: i loro sogni e le ambizioni, lo scontrarsi contro un mondo ben stretto nelle mani degli uomini che lasciano poco spazio al gentil sesso. Tutto ambientato sullo sfondo della sfarzosa fiera mondiale tenutasi a New York nel 1939, inaugurata dal Presidente Roosevelt in persona.
Protagoniste sono l’attrice Vivi Holden e l’aspirante giornalista Maxine Roth: entrambe dovranno fare i conti con una realtà più dura del previsto, e finiranno per scoprire che a volte il dirottamento della traiettoria che si sognava non necessariamente si traduce in disfatta.
Vivi è un’attrice alle prime armi che punta a diventare una star di Hollywood e mal digerisce l’essere surclassata da colleghe rampanti, più immanicate di lei con i personaggi che contano.
Da Los Angeles plana a New York per diventare la prima donna dello spettacolo di nuoto sincronizzato dell’Aquade, che è la punta di diamante dell’Expo. Ma l’inizio sarà tutt’altro che facile….
Invece Maxine, o più semplicemente Max, ambisce ad entrare nella scuderia dei giornalisti del New York Times, ma anche lei si schianterà contro un muro di difficoltà. Viene spedita a fare una dura gavetta nel giornale dell’esposizione e relegata a pubblicare il programma giornaliero degli eventi. Anche lei se la dovrà vedere con il maschilismo imperante, colleghi subdoli e umiliazioni a iosa.
Sebbene Vivi e Max siano diverse, stringono una fortissima amicizia fatta di condivisione e solidarietà. Si confidano, si aiutano e insieme si fanno forza, rialzandosi ogni volta dalle delusioni, tenaci e combattive, determinate a non tradire i loro sogni e a raggiungere le mete prefisse.
Un romanzo che è una boccata di aria fresca….
Bunin è un autore russo ancora poco conosciuto nel nostro paese: scrittore e poeta, il primo del suo paese a vincere il Premio Nobel nel 1933, e tutt’altro che un personaggio minore della letteratura mondiale.
Ivan Alekseevič Bunin è nato nel 1870 a Voronež in una famiglia di antica nobiltà spazzata via dalla Rivoluzione d’Ottobre e costretta ad emigrare. Lui nel 1920 riuscì a scappare dalla Russia sovietica e a rifugiarsi in Francia, vivendo con scarsi mezzi tra Parigi e Grasse.
Ma fu anche un viaggiatore instancabile e visitò la Palestina, Ceylon, Egitto, Turchia e Africa del nord.
La sua opera lo colloca come “l’ultimo classico”, orgoglioso di scrivere nel solco dell’illustre tradizione ottocentesca russa, da Tolstoj a Cechov.
Il libro racchiude 15 racconti con ambientazioni e soggetti molto diversi tra loro. Alcuni li ha scritti a Capri (dove soggiornava all’Hotel Quisisana), e tra Napoli e l’isola ha ambientato quello di apertura “Il signore di San Francisco” del 1915. Racconto che rasenta la perfezione e narra il viaggio per mare di un ricco signore americano 58enne e della sua famiglia; pagine attraversate da molteplici segnali che indicano la morte della “vecchia” Europa e l’incombere della fine di
un’epoca.
Altri brani traggono spunto dai suoi numerosi viaggi a latitudini diverse e a contatto con culture che esercitarono su di lui un immenso fascino. Curioso di tutto e attento alle diversità, fu attratto soprattutto dai paesi orientali, dalle basi culturali e religiose delle più svariate società; spinto anche da una ricerca interiore morale e filosofica.
Tra i racconti migliori c’è la storia di Gotami: ragazza di famiglia modesta, nata ai piedi dell’Himalaya, viene notata dal principe locale che ne fa la sua amante, e lei si trasferisce a corte, senza mai un lamento per il suo ruolo di concubina. Un racconto che gronda fascino e ricorda le favole orientali dal fascino esotico.
Non mancano poi pagine dedicate alla sua patria e alla Russia contadina, racconti profondamente realistici e disillusi che parlano di povertà, violenza e vita misera nelle izbe, le case di legno in cui vivevano i contadini.
Vi chiederete perché tanto talento non raggiunse la notorietà presso i suoi contemporanei: probabilmente per il suo carattere distaccato, sincero fino in fondo e decisamente poco diplomatico, non certo per mancanza di bravura….leggere per credere.
L’argomento è di quelli dedicati sui quali ancora oggi nella Penisola, nonostante l’istituzione della Giornata del Ricordo, si fatica a trovare una memoria condivisa, un riconoscimento di quello che accadde nei giorni della seconda guerra mondiale e, soprattutto, che ne seguirono la fine, ovvero il dramma delle foibe quello successivo degli Istriani, dei Dalmati, dei Giuliani da quelle che erano state chiamate dal nazionalismo italiano di inizio secolo le ‘Terre Irredente’.
La stessa introduzione, del resto, evidenzia subito ‘l’urgenza’ del suo essere, come sottolinea l’autore: “impedire che il Giorno del Ricordo diventi una data memoriale fascista, togliere ai propagandisti politici il monopolio delle celebrazioni’. Parole che andrebbero benissimo se fossero state applicate anche al 25 aprile in passato per evitare che la Liberazione diventasse una data memoriale di una sola parte politica (anche se è vero che il Pci con la sua struttura clandestina si fece carico di gran parte della Resistenza nel bene e nel male ed ebbe molti militanti che caddero in combattimento, vennero giustiziati o presero la via del lager, ma la Resistenza non fu un’esclusiva dei comunisti ma anche di tutte le altre forze, socialisti, giellisti, cattolici, monarchici, liberali) e chi lo avesse detto passava immediatamente per revisionista. Il caso di Giampaolo Pansa, nato e morto antifascista, è emblematico.
Nella sua pubblicazione Gobetti parla di ‘morte e di violenza, di sofferenza e di esilio’ è vero, ma l’impressione che si ha leggendo l’agevole pubblicazione e che sia tutta a senso unico, ovvero degli italiani ‘brutti e cattivi’ e degli slavi ‘buoni e vittime incomprese’ che reagiscono a tanti soprusi e reazioni perpetrate dai fascisti nel ventennio. Una visione oggettiva della storia, al di là dei sentimenti di parte, non può negare che il fascismo di frontiere fu una delle espressioni più deleterie del periodo mussoliniano, pur contestualizzata – come tutto deve sempre essere fatto – nel periodo in cui si articolò. Negare la lingua, il culto, la cultura, l’istruzione scolastica ai neo-sudditi sloveni perseguendo una politica di italianizzazione forzata fu un atto miope, come lo fu nei confronti degli altoatesini o anche nell’arco alpino occidentale. E’ sufficiente leggere i ‘Discorsi parlamentari dell’on. Engelbert Besednjak’ per avere la conferma di quanto appena espresso, anche se il deputato della minoranza slovena nell’indirizzo di risposta al discorso della Corona del 4 giugno 1924, suo primo discorso in lingua italiana, non avrà riserve nei confronti del Governo Mussolini. E Besednjak, terminata la legislatura, dovrà abbandonare l’Italia per evitare dal fascismo persecuzioni. A parte questa breve digressione poco conosciuta dalla grande storia, rileva però che Gobetti non è realmente andato alla vera radice del problema del Confine Orientale, che ha un nome preciso e si chiama ‘Nazionalismo’. E non è soltanto di marca fascista o comunista, come potrebbe fare pensare una semplificazione, ma è più generalmente italiano e slavo e risale al post prima guerra mondiale e agli errori della pace di Versailles. In un bel libro, oggi dimenticato (nella pur ampia bibliografia ragionale di Gobetti non ve n’è traccia) ‘La Jugoslavia dalla Conferenza di Pace al Trattato di Rapallo’, Il Saggiatore, 1966, Ivo Lederer, nato a Zagabria nel 1929 e allora professore incaricato all’Università di Yale, descrive ciò che accadde nei convulsi giorni che seguirono il 4 novembre 1918, con l’esercito italiano proiettato verso Lubiana e fermato dagli Alleati dell’Intesa, un Pietro Badoglio avversario dello jugoslavismo e fervente sostenitore del Trattato di Londra del 1915 che infiltra sul territorio del nascente stato dei Servi, dei Croati e degli Sloveni dei propagandisti ‘foraggiati’ dall’esercito italiano.
E dall’altro capo, come non dimenticare che la delegazione del neo Stato che riuniva gli Slavi del Sud si presentò a Versailles, con una delegazione capeggiata da Nikola Pasic che incluse nelle proprie richieste territoriali le città di Trieste, Gradisca, Monfalcone e Gorizia. Siamo nel 1918, il fascismo non è ancora nato, come pure il Partito Comunista di Jugoslavia non è ancora nato perché sarà fondato a Vukovar nel 1920. E’ un bel passo a ritroso ma indispensabile per comprendere quello che poi sarebbe accaduto negli anni e nei decenni successivi e culminato poi negli episodi di terribili barbarie e di omicidi collettivi che furono le foibe. Di tutto questo, però, non vi è un accenno neanche fugare nell’opera di Gobetti che preferisce puntare il dito su ‘Red Istria’ e fare aleggiare un’ombra di dubbio sul fatto che Norma Cossetto (ma quante furono le Norma Cossetto che non hanno avuto neppure una menzione e sono finite nelle foibe ?) abbia o meno subito violenza. Peccato che l’autore non citi tra le sue fonti padre Flaminio Rocchi con il suo ‘L’esodo dei 350mila giuliani, fiumani e dalmati’ e minimizzi sul fatto che ad essere colpiti furono non gli italiani in quanto italiani, ma in quanto fascisti. C’è da chiedersi, a questo proposito, se ha letto cosa scrive un autore che anche solo a pensarlo lontanamente contiguo al ventennio si offenderebbe, ovvero quel Giorgio Bocca, autore di una ‘Storia dell’Italia partigiana’ la cui lettura sa oggi di molto apologetica della Resistenza. Ebbene, pur sorvolando su fatti come quelli della Osoppo, sulla ‘Liberazione’ di Trieste da parte del IX Corpus, Bocca è netto e si sofferma ampiamente sulla sorte del Cln triestino e sul comportamento che i titini ebbero all’ombra di San Giusto. Fatte tutte queste doverose, sia pure brevi e parziali precisazioni, fermo restando che la guerra è SEMPRE un dramma e nella guerra sono sempre gli innocenti ed i deboli i primi a pagare, viene allora spontaneo fare una domanda: E ALLORA ERIC GOBETTI ?
Massimo Iaretti
La XIX edizione al via in 8 regioni italiane
Gli scrittori coinvolti: Abdullahi Ahmed; Gianumberto Accinelli; Federico Appel; Jonathan Bazzi; Giulia Caminito; Fabio Cantelli; Sabino Cassese; Giuseppe Catozzella; Andrea Colamedici; Diego De Silva; Olivier de Solminihac; Donatella Di Pietrantonio; Bernard Friot; Fumettibrutti; Maura Gancitano; Björn Larsson; Cathy La Torre; Antonella Lattanzi; Davide Longo; Alberto Lot; Francesco Kento Carlo; Michele Masneri; Davide Morosinotto; Rosella Postorino; Teresa Radice; Davide Reviati; Alessandro Robecchi; Simone Saccucci; Igiaba Scego; Francesca Serafini; Sualzo; Emanuele Trevi; Tiziana Triana; Stefano Turconi; Silvia Vecchini; Alice Urciuolo; Daniele Zito.
Al via in classe e online la XIX edizione di Adotta uno scrittore, l’iniziativa di promozione della lettura sostenuta dall’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte, in collaborazione con la Fondazione con il Sud.
L’edizione 2021 farà incontrare studenti e scrittori: coinvolgerà 37 autori che saranno adottati da 19 scuole (8 secondarie di secondo grado, 6 secondarie di primo grado, 5 primarie), 2 università e 13 scuole carcerarie di 8 regioni italiane. Oltre a Piemonte, Campania, Sicilia, Basilicata, Puglia, Calabria, Sardegna, il progetto approda per la prima volta nel Lazio, alla Casa Circondariale Raffaele Cinotti di Rebibbia Nuovo Complesso a Roma, nel quadro di un’iniziativa a cui partecipano studenti dei percorsi scolastici interni dell’IIS J. Von Neumann di Roma, detenuti universitari o bibliotecari, detenuti comuni. Aumenta infatti il numero delle scuole carcerarie coinvolte grazie al contributo dell’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte e Fondazione con il Sud: nel 2021 prendono parte al progetto le scuole carcerarie di Torino, Biella, Saluzzo (CN), Alessandria, Novara, Asti, Roma, Pozzuoli (NA), Locri (RC), Gela (CL), Turi (BA), Potenza, Salerno.
Adotta uno scrittore online e per tutti
Già nel 2020 Adotta uno Scrittore ha aperto i suoi contenuti a docenti e studenti non coinvolti nel progetto grazie alla piattaforma digitale SalTo per la Scuola. Anche per questa nuova edizione dell’iniziativa, sulla piattaforma SalTo+ troveranno spazio alcune video-lezioni realizzate dagli autori adottati che saranno a disposizione di tutta la comunità scolastica del Salone. Il ciclo di lezioni si intitola Adotta una parola: ciascun autore sceglierà una parola, un modo per mostrare voci diverse, sguardi sul mondo e approcci degli scrittori di questa edizione. Ma anche per fornire a tutte le scuole materiali da affiancare alla didattica tradizionale. I primi video di Adotta una parola sono stati pubblicati mercoledì 14 aprile, su Salto+: protagonisti Alessandro Robecchi (a partire dalla parola ossessione), Bernard Friot (a partire dalla parola banalità) e Simone Saccucci (a partire dalla parola ostacolo).
Il racconto partecipato di autori e studenti coinvolti dal progetto avrà come sempre uno spazio dedicato sul Bookblog.
Tra le adozioni dell’edizione 2021:
Donatella Di Pietrantonio, finalista al Premio Strega 2021 con Borgo Sud (Einaudi), sarà a Rebibbia, in un incontro a più voci con studenti ristretti, studenti delle superiori, bibliotecari e altri detenuti; alla Casa di Reclusione di Asti arriverà Fabio Cantelli, a partire dal libro Sanpa, madre amorosa e crudele (Giunti), nel quale racconta la comunità fondata da Vincenzo Muccioli, soggetto dell’omonima serie di Netflix; Diego De Silva sarà alla Casa Circondariale di Salerno, per incontrare insieme studenti ristretti e delle superiori di Salerno; così come Cathy La Torre, che all’Istituto Penitenziario Cantiello e Gaeta Casa di Reclusione San Michele di Alessandria – Reparto Collaboratori di Giustizia – incontrerà insieme gli studenti reclusi e gli studenti dell’Istituto Istruzione Superiore Saluzzo Plana di Alessandria. O ancora, all’Istituto Penale Minorile Ferrante Aporti di Torino i ragazzi incontreranno i filosofi Andrea Colamedici e Maura Gancitano, mentre all’Istituto Penale Minorile Emanuele Gianturco di Potenza sarà adottato lo scrittore e attivista Abdullahi Ahmed. All’Università del Piemonte Orientale arriverà poi Emanuele Trevi a partire da Due vite (Neri Pozza), il suo ultimo libro che gli è valso la candidatura al Premio Strega 2021. Anche Antonella Lattanzi, sarà alla Casa Reclusione di Turi (Bari) con Questo giorno che incombe (HarperCollins Italia); mentre Alice Urciuolo, scrittrice e sceneggiatrice, porterà il suo Adorazione (66thand2nd), altro candidato al Premio Strega 2021, all’Istituto Superiore Norberto Bobbio di Carignano. E ancora, sempre tra i candidati allo Strega, Giulia Caminito, sarà all’Istituto Comprensivo di Diano d’Alba (CN). Grazie alle possibilità offerte dal digitale, saranno diversi anche gli autori stranieri che si collegheranno dall’estero con gli studenti italiani, tra questi: Björn Larsson, Bernard Friot, Olivier de Solminihac.
In 19 anni Adotta uno scrittore ha coinvolto oltre 12.000 studenti di 400 classi e, inoltre, 18 case di reclusione, due università e un ospedale. Gli autori adottati sono stati quasi 400. A ulteriore supporto del libro e della lettura, l’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte negli anni ha permesso l’ingresso gratuito al Salone a oltre 140.000 studenti e studentesse piemontesi.
Quando veniamo concepiti non siamo soli: probabilmente anche tu non sai di aver perso un fratello o una sorella prima della nascita. La possibilità che la gravidanza parta con un potenziale gemellare che poi si risolve con un parto singolo, è altissima, ed è un fatto normale. Civallero e Rossi ci guidano con i loro libri in un affascinante viaggio alla scoperta della “sindrome del gemello che resta”, delle sue implicazioni e potenzialità.
“Competenza e passione contraddistinguono il lavoro di ricerca e le pubblicazioni delle autrici di questa settimana – commenta soddisfatta l’assessore alla Cultura Laura Pompeo – Due ‘esperte di benessere’ che ci propongono un tema insolito e di sicuro interesse per il nostro pubblico”.
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Monforte d’Alba– Un iraniano, rifugiato politico in Olanda; un’inglese di origine nigeriana; una francese, un americano e un italiano. Cinque fra scrittori e scrittrici di forte valenza internazionale scelti da un Giuria Tecnica composta da docenti, intellettuali, critici e scrittori, presieduta da Gian Luigi Beccaria, linguista, saggista e crico letterario: sono loro i finalisti dell’XI edizione del “Premio Lattes Grinzane 2021”, promosso dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba, intitolato a Mario Lattes (editore, pittore, scrittore, fra i più importanti intellettuali del secolo scorso) e rivolto alle opere di narrativa italiana e internazionale pubblicate in Italia, per quanto riguarda l’odierna edizione, fra il gennaio 2020 e il gennaio 2021. Ecco i loro nomi: Kader Abdolah (nato in Iran e rifugiato politico in Olanda) con “Il sentiero delle babbucce gialle” (Iperborea; traduzione di Elisabetta Svaluto Moreolo), Bernardine Evaristo (britannica di origini nigeriana) con “Ragazza, donna, altro” (Sur; traduzione di Martina Testa), Maylis de Kerangal (francese) con “Un mondo a portata di mano” (Feltrinelli; traduzione di Maria Baiocchi), Nicola Lagioia con “La città dei vivi” (Einaudi) e Richard Russo (statunitense) con “Le conseguenze” (Neri Pozza; traduzione di Ada Arduini). Vincitrice del “Premio Speciale Lattes Grinzane” – attribuito ogni anno a un’autrice o autore di fama internazionale che, nel corso del tempo, abbia saputo raccogliere un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico – è invece quest’anno la canadese di lingua inglese (nata ad Ottawa e residente a Toronto) Margaret Atwood, edita in Italia principalmente da “Ponte alle Grazie” e tradotta, fra gli altri, da Guido Calza, Camillo Pennati, Elisa Banfi, Francesco Bruno, Margherita Crepax, Raffaella Belletti e Renata Morresi. Autrice di romanzi di successo come “Il racconto dell’Ancella”, “I testamenti”, “L’altra Grace” e “L’anno prima del diluvio” ( molti dei quali trasposti in serie televisive ) Atwood è in uscita in Italia, sempre per “Ponte alle Grazie”, con il romanzo “Bodily Harm”, scritto nel 1981 e con la sua più recente raccolta di poesie “Dearly”, attesi entrambi in autunno, oltreché con “Oryx e Crake”, in libreria dal 13 maggio, nuova edizione de “L’ultimo degli uomini”, edito in italiano nel 2003.
I cinque romanzi finalisti, così come il Premio Speciale, sono ora affidati alla lettura e al giudizio di 400 studenti delle Giurie Scolastiche, avviate in 25 scuole superiori, da Bolzano a Trapani (passando anche in Piemonte per Torino e Alba). Con i loro voti, i giovani giurati decreteranno il libro vincitore tra i cinque in gara, che sarà proclamato sabato 2 ottobre, nel corso della cerimonia di premiazione al “Teatro sociale Busca” di Alba (ingresso libero fino a esaurimento posti, con modalità che saranno definite nel rispetto delle norme sull’emergenza sanitaria Covid-19). In questa occasione il “Premio Speciale” Margaret Atwood terrà una lectio magistralis su un tema a propria scelta e sarà insignita del riconoscimento. Inoltre, nel corso della mattinata i finalisti incontreranno gli studenti delle scuole del territorio cuneese. Gli appuntamenti del Premio saranno anche trasmessi in diretta streaming sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”, permettendo così di raggiungere pubblici diversi e lontani e mettendo a disposizione di tutti importanti contenuti della grande narrativa contemporanea.
Info: 0173/789282 – eventi@fondazionebottarilattes.it, book@fondazionebottarilattes.it, WEB fondazionebottarilattes .it / FB Fondazione Bottari Lattes / TW @BottariLattes / YT FondazioneBottariLattes / IG fondazione_bottari_lattes
g. m.
Scriveva nel 1753 la contessa Angelica Kottulinsky, dama d’onore della principessa Vittoria di Savoia Soissons: “Non ho mai visto una città così ben pulita e tenuta così accuratamente in ordine come Torino; tutti i mercoledì si fa passare in tutte le strade, attraverso dei canali, l’acqua della Dora; fiume che si getta nel Po a ottocento passi dalla città; vi si spazzano dentro tutti i rifiuti; l’acqua che scorre rapidamente pulisce nello spazio di un’ora tutta la città”. Città meraviglia delle meraviglie per la giovane contessa austriaca. Città bella, ordinata e soprattutto pulita. A scapito, però – ci viene da sottolineare – del suo povero fiume, allora “a ottocento passi dalla città” e che oggi tuttavia non pare vivere tempi troppo migliori. A ricordarci l’elogio subalpino dell’austriaca contessa (cui già aveva dedicato per altro un interessante libro nel 2016) è la scrittrice torinese Giusi Audiberti, autrice di una piccola preziosa guida edita di recente da Neos Edizioni con il titolo “Guarda in su…guarda in giù nel cuore di Torino”. Come in una semplice ma suggestiva e intrigante filastrocca articolata in 80 pagine, il centro di Torino “si dispiega negli sguardi in su e in giù” attraverso “una passeggiata frizzante, attenta, storica, nel cuore della città sabauda alla scoperta di segreti e tesori nascosti”. Quelli davanti ai quali, proprio noi “turineis” (doc o d’adozione) passiamo magari tutti i giorni o anche più volte al giorno senza manco accorgercene. Quanti “nuovi” particolari di una città sicuramente fra le più belle d’Italia (“sobria e barocca, raffinata ed elegante, nobiliare e popolana”) scopriremmo ex-novo, se anche solo per un attimoalzassimo gli occhi al cielo o li abbassassimo a terra, guidati da quella saggia curiosità troppo spesso cancellata dalla malmostosa disattenzione e dal tran trandel vivere quotidiano! In questo può aiutarci la Guida di Giusi Audiberti, che è un vero e proprio “atto d’amore”, come scrive nella prefazione la giornalista Franca Cassine, che aggiunge: “tra le pagine scorre l’affetto per quei luoghi che diventano scrigni densi di ricchezze da scoprire”. Che sono proprio tante. Dal palazzo con il “piercing gigantesco” all’albergo dove soggiornò Mozart nel 1771; dal punto di piazza Castello dove fu arso sul rogo nel 1558 il pastore valdese Goffredo Varaglia all’Obelisco di piazza Savoia innalzato a seguito delle leggi Siccardi. Via via fino al luogo dove nel 1847 il maestro Michele Novaro musicò l’Inno di Mameli alla centrale piazza San Carlo dove 52 torinesi, nel 1864, vennero uccisi durante le proteste contro il traferimento della capitale. Per finire con la storia degli spartiti autografi di Antonio Vivaldi, di cui si erano perse le tracce, ricomparsi nel 1926 nell’alessandrino e ora conservati nella Biblioteca Nazionale Universitaria e conla torre circolare della chiesa di San Lorenzo, che ricordala parigina Colonne Mèdicins facendo così sorgere ildubbio che anche quella torinese fosse una torre astronomica dalla quale osservare il cielo sopra Torino. “In tempo di lockdown (ma non solo) – spiega l’autrice, che oggi si occupa anche di volontariato culturale ed é titolare di un corso di storia ‘al femminile’ all’Unitre di Torino – questa passeggiata cittadina è dedicata a chi non sa resistere al fascino di Torino, per scoprire o riscoprire storia e storie, arte e cultura, curiosità e dettagli inediti nel centro antico della prima capitale d’Italia”.
Gianni Milani
Lunedì 12 aprile 2021
Arte tra i libri
Ore 18
Il lungo cammino della biblioteca per risistemare e valorizzare la collezione civica di arte contemporanea della Città diventa un libro. Dalla mostra dedicata a Tino Aime (2018) all’acquisizione delle ultime opere, “Arte tra i libri” fa il punto di tutte le iniziative intraprese. Saluto di apertura del sindaco Paolo Montagna. Intervengono Laura Pompeo, Giuliana Cerrato, Silvana Nota e vari artisti della scena cittadina.
BIBLIOBABEL
Evento finale
Ore 18
Promuovere il dialogo interculturale arricchendo l’offerta dei servizi delle biblioteche: questo l’obiettivo di BiblioBabel, progetto in cui Moncalieri è protagonista insieme alla Fondazione Amendola. Al centro della serata, il dialogo con la comunità romena di Moncalieri. Con la partecipazione di Padre Marius Floricu e dell’imprenditore Alessandro Varga.
Potenziamento della rete Wi-Fi
Moncalieri sta lavorando a un progetto di potenziamento della connettività Wi-Fi, per permettere l’accesso gratuito alla rete Internet da parte di residenti e turisti. Le immediate adiacenze e i locali della biblioteca Arduino rientrano nell’iniziativa insieme ad aree pubbliche come piazza Baden-Baden, piazza Vittorio Emanuele II, via San Martino, via Matteotti, piazza Caduti, oltre a varie sedi decentrate del municipio come Informa Giovani e il Polifunzionale di Santa Maria.
Il nuovo sistema ha il vantaggio di essere semplice, consentendo l’accesso alla rete sia da un proprio dispositivo (notebook, tablet, smartphone) che dalle postazioni fisse della biblioteca tramite le credenziali Sbam, che vengono rilasciate a tutti gli utenti, minori compresi, non appena effettuano l’iscrizione alla biblioteca. Il tutto fatte salve le esigenze di sicurezza, che vincolano la biblioteca a conservare il tracciamento di tutti gli accessi e delle navigazioni effettuate da ciascun utente. Ciò sia a fini statistici, sia per eventuali condotte illecite, per la verifica delle quali i dati possono essere messi a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Le liriche contenute in “Al di là del tempo” spaziano dagli affetti e dai legami personali al forte e persistente amore per la natura in tutte le sue espressioni, ai temi sociali e ai luoghi dell’anima, all’interrogarsi sulla vita.Una poesia, ogni volta che viene letta, riaccende le memoria.Ogni volta si rinnova, impedendo che sui versi si depositi la polvere del tempo. Perché la poesia, come scrive Graziella ha “la forza di un canto” e “ogni giorno si svela pian piano”. Le sue poesie nutrono il cuore e la mente di chi le legge perché entrambi esigono passione, godono del bello e del vero, vagano nell’infinito, tra la realtà e il sogno. La poesia è la prova della vita. E nella poesia di Graziella Minotti Beretta di vita ce n’è davvero molta. A volte trabocca nei versi, in altre si nasconde tra una riga e l’altra. E’ una presenza forte, decisa. Nonostante tutto, nonostante le avversità e il dolore, in queste poesie c’è un grande amore per la vita. In fondo, chi sa amare è felice. Di fronte ai problemi, come sosteneva Alda Merini, “la miglior vendetta è la felicità”. Non si può avere il meglio di tutto ma certamente trarre il meglio da ciò che si ha. Questa è la lezione che caratterizza tutta i versi dei poemi di questa autrice. Ne “Un finale diverso” questo inno alla libertà viene riassunto: “Sfidai me stessa, sciolsi il cappio che gettai alle ortiche. Presi fiato e fiducia verso me stessa,alla mia anima. E di loro mi presi cura”. La rottura di un vincolo, la scelta di essere se stessa, la rivendicazione orgogliosa della propria libertà. La prova che aveva ragione Alda Merini quando ammoniva di non cercare di prendere i poeti “ perché vi scapperanno tra le dita”.
Marco Travaglini