RILETTI PER VOI / “Passi stracciati” (Voglino editrice), il libro di Erri De Luca racconta l’incontro con i reclusi di un ospedale psichiatrico in Bosnia. Il testo, un vero e proprio romanzo poetico, è accompagnato dalle foto in bianco e nero di Claudio Massarente che “restituiscono l’abbandono di un popolo lasciato a se stesso”.
Uno squarcio duro su un paese che scompariva, dopo la dissoluzione della ex Jugoslavia e l’incedere drammatico del conflitto che l’insanguinò nella prima metà degli anni ’90. “Eravamo troppo pochi per diventare lago e troppi per essere inghiottiti dalla terra”, diceva lo scrittore Mehmed Mesa Selimovic, bosniaco d’origine musulmana. L’incontro coi reclusi dell’ospedale psichiatrico bosniaco, dove la pazzia risulta essere più “normale” della guerra che si sta combattendo, si accompagna ai gesti di solidarietà verso la gente che soffriva, verso quel paese al quale la comunità internazionale aveva riservato una colpevole indifferenza che sfociò in silenziosa complicità con violenti e assassini. Una vicenda che annunciava come il dopoguerra sarebbe stato altrettanto duro quanto la guerra stessa. Dal testo è stato poi tratto l’omonimo spettacolo di
Assemblea Teatro. Scrive Renzo Sicco, scrittore e regista, direttore artistico della compagnia teatrale torinese: “Ci impressionò:c’erano dentro guerra, dolore, violenza e amore. Decidemmo un allestimento per voce e percussioni, una batteria per simulare mitragliatrici e bombe. Un’assordante continua esplosione contro una voce flebile,che però diventa superiore perché la forza è motivata dall’amore”. “Passi stracciati” è una riflessione sull’assenza della comunità internazionale nella “guerra fredda” compensata, solo in parte, dal volontariato di tanti che, come Erri De Luca (a quel tempo autista di camion per il trasporto di viveri e medicinali),si prodigarono a garantire aiuti umanitari. Resta indelebile la terribile testimonianza di dolcezza della protagonista, Glazba. La ragazza, con la sua lucida follia, cancella la sua precedente identità ( Sjenka, “ombra”) e diventa “Glazba”, parola che in
superficie appare dura ma dal significato dolce che, tradotta, equivale, a “musica”. La pazzia permette a lei di intravedere ancora un gesto possibile d’amore, negato invece nella realtà vissuta tutt’attorno e descritta con terribile efficacia dalle fotografie scattate nei luoghi in cui è ambientata la storia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Una lezione poetica contro i conflitti, i muri che vengono eretti, il nazionalismo esasperato al punto da generare odio e violenza. Una buona lettura utile per riflettere sul recente passato e – per dirla con le parole di Predrag Matvejević, indimenticabile e finissimo intellettuale – riflettere sul recente passato per capire il presente e pensare al futuro, “poiché un popolo non esiste senza la sua memoria”.
Marco Travaglini
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Il romanzo parte dal 1907 quando Frieda vive a Nottingham con l’appannato e rigido marito Ernest, studioso di etimologia, «…disciplina a tonnellate, ma zero passione» e i loro 3 figli piccoli.
Questa è l’autobiografia che la baronessa Frieda von Richtofen (membro dell’aristocrazia bavarese e imparentata con Manfred von Richtofen, il Barone Rosso dell’aviazione tedesca) scrisse dopo la morte di Lawrence nel 1930 e pubblicò nel 1934.
Lawrence (nato a Eastwood nel 1885, morto a Vence nel 1930), fu scrittore, poeta, drammaturgo, saggista e grande innovatore della letteratura anglosassone. Ha scritto molti romanzi ma uno su tutti vale la pena leggere, “L’amante di Lady Chatterley”, dato alle stampe nel 1928, di cui potete trovare più edizioni.
Il protagonista ha lasciato l’Europa, dove l’intolleranza e il fascismo avanzano impietosi, e cerca di ricostruirsi una vita dall’altra parte del mondo.
Più di tutti però viene travolta da Lorenzo, il bambino del primo piano, dodici anni, arguto e premuroso, cinico e pungente, dotato di un’intelligenza formidabile, ma affetto da una grave malattia, la sindrome delle ossa di vetro, che gli impedisce di
E pensare che lei, “accudita da Simone de Beauvoir e Lady Oscar” avrebbe voluto solo un’amante, come le donne emancipate che ha sempre ammirato! E, invece, ne finisce stritolata, accanto a Francesco diventa la donnina di marzapane con le ginocchia che tremano. Quell’ordinarietà da cui si illudeva di poter fuggire, ora diventa la sua fissazione.
Poi scorrono pagine sublimi in cui Astolfo si innamora della foto di una donna misteriosa che campeggia su una pietra tombale priva di nome e date. E’ un colpo di fulmine e anche l’inizio di un mistero. Malinverno la battezza Emma (come la flaubertiana Bovary), ne cura la sepoltura con infinita attenzione, e la sua vita cambia quando arriva una donna che è identica a quella della foto. E’ Ofelia, si porta dentro un dolore che viene da lontano ed è uno dei personaggi chiave.
Centrale è il desiderio di mutazione di tre donne.
Al centro c’è la narrazione del difficile dialogo tra civiltà diverse; tema che l’autrice vive sulla sua pelle, lei che è nata a Rabat, in Marocco (nel 1981), e vive a Parigi.
Ci conduce nel vecchio West e ci catapulta in una storia vera, quella dell’esperimento poi fallito condotto dall’esercito per importare in Nord America decine di cammelli e dromedari dal Medio Oriente.