Storie e immagini di vite femminili rinchiuse nei manicomi, nel nuovo libro della saggista e scrittrice rivolese
Donne fragili. Negli occhi, nei corpi e nell’anima i pesanti fardelli dell’instabilità mentale. Ma anche solo donne “diverse” e per questo sospette, inquiete, libere e perfino geniali tanto da creare fastidiose intollerabili scomodità. E soprattutto “donne”.
Caratteristica considerata – insieme alle altre – un’aggravante in più e, all’epoca, non da poco per famiglie e società. Da nascondere ben bene e senza pietà fra le agghiaccianti mura di un manicomio. Sono loro le protagoniste, quasi mai nominate fatte salve alcune debite eccezioni, del nuovo libro-ricerca “Donne e follia in Piemonte” (232 pagine, pubblicata da “Susalibri Editore”) di Bruna Bertolo, già autrice di numerosi saggi di argomento storico, tra cui “Maestre d’Italia” e “Donne nella Resistenza in Piemonte”. Alla stesura del libro (ricco di documenti originali, con fotografie di Renzo Miglio e Sergio Sut, un capitolo finale scritto dallo psichiatra Pier Maria Furlan e una premessa di Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte), la scrittrice rivolese è arrivata seguendo un meticoloso “lavoro di ricerca – è lei a raccontarlo – attraverso le cartelle cliniche, per circa un secolo di storia”. Dalla seconda metà dell’800 fino agli anni che precedono l’entrata in vigore della “Legge Basaglia”, Legge 180 del 1978, che restituì dignità alla malattia mentale, non più considerando il paziente come “oggetto” da aggiustare, ma come “persona” da accogliere, ascoltare, comprendere ed aiutare. Altra cosa dalle storie vissute nei manicomi-prigione di cui racconta la Bertolo.“Sorie dimenticate, ignorate. Donne scomode internate in manicomio. Un’umanità femminile dolente…Tante storie. Uscivo dall’Archivio dell’ex manicomio di Collegno veramente spossata”. Addosso e dentro, l’amaro groviglio di emozioni, rabbie, compassione per vite tormentate, crudelmente torturate, vite nascoste alla vita. Raramente la Bertolo riporta i nomi. Tranne poche eccezioni. Come per Lucia Saltarin, ricoverata per molti anni al manicomio di Collegno e che “scriveva belle poesie ed era bravissima nel dipingere, ma affetta da deliri di tipo mistico”. Di lei “faccio il nome – precisa la scrittrice – perché lo stesso Guido Ceronetti, nella sua rubrica di prima pagina su ‘La Stampa’, aveva pubblicato la sua poesia ‘Madonna d’Egitto’”. Accanto alla Saltarin, si citano anche Anna Sworova la “smemorata di via Giulio”, Fiorella la “ribelle” di Racconigi, le alienate e le “pellagrose”, le “corrigende” e le “maddalene” del Buon Pastore fino a Ida (Aida) Peruzzi Salgari, moglie del celebre scrittore veronese che da lei ebbe quattro figli in vent’anni di matrimonio. Fino a quando l’estenuante condivisione dei quotidiani problemi legati alla frenetica estenuante attività del celebre marito, portarono la donna – in gioventù promettente attrice nei teatri veronesi – ad una tale difficoltà di vivere da necessitare di un ricovero in manicomio a Torino, dove i Salgari si erano trasferiti nel 1900. Fu “reclusa” nel reparto dei “relitti sociali”. Era mercoledì 19 aprile 1911. Pochi giorni dopo, il 25 aprile, il marito scrittore si tolse la vita nal parco di Villa Rey, sulla collina poco sopra corso Casale, dove al civico 205 una targa commemorativa ricorda ancora oggi la permanenza dei Salgari nel capoluogo piemontese. Lei lo amò fino alla pazzia e lui fino alla morte, scrisse Giovanni Arpino. Storie, quella di Ida Peruzzi e di tante altre sventurate, che scivolano con amara tristezza nelle pagine della Bertolo che ricorda ancora: “L’Archivio di quello che fu una delle realtà manicomiali più importanti del Piemonte, Collegno, permette di raccogliere frammenti di vita, di dolore, di alienazione, spesso di morte, che rappresentano uno squarcio di umanità dolente”. Perché davvero “il manicomio è una grande cassa/ di risonanza/ e il delirio diventa eco/ l’anonimità misura, il manicomio è il Monte Sinai/ maledetto, su cui tu ricevi/ le tavole di una legge/ agli uomini sconosciuta”. Versi della grande Alda Merini. Un’esperienza decennale in tre diversi manicomi. Una grande donna che, attraverso l’arte e la scrittura, ha saputo trasformare nel tempo la tragedia di veri e propri lager manicomiali in sublime poesia.
Gianni Milani
Tre parole e il disegno di un triangolo simbolico al cui interno un grande occhio scruta e avverte minaccioso i passanti. Tre parole che danno anche il titolo all’ultimo libro (224 pagine, pubblicate da “Neos edizioni”) del torinese Riccardo Marchina, giornalista e scrittore, che già per “Neos” aveva scritto nel 2011 “L’agenzia dei segreti precari” e nel 2018 “Lo squalo delle rotaie”. E proprio quelle parole affiorano alla mente di Pietro, il protagonista del romanzo, allorché pensa o si trova davanti all’imbarazzante bellezza di Mascia che “aveva grandi cosce, appiccicate a un corpo magro” e sulla schiena “aveva tatuato un sole stilizzato, all’interno del quale c’era un triangolo” e ancora “al suo interno c’era un occhio. Era una sorta di ‘Zeus ti vede’”. Siamo a Torino all’interno del vecchio Borgo Campidoglio, quartiere operaio sorto a fine ‘800, caratteristica isola di case basse (oggi museo a cielo aperto d’arte urbana – il MAU – per le circa 200 opere pittoriche di street – art dipinte sui muri esterni), di botteghe che sono memoria fascinosa di antichi mestieri artigianali, enoteche e caratteristiche piole dai prodotti tipici e dai semplici ma robusti e sinceri vini locali: “periferia ovest della città, dove corso Regina Margherita si perdeva nel parco della Pellerina, prima di diventare una cosa unica con la tangenziale”. E proprio qui si snoda gran parte della storia di Pietro. Quattro figli avuti da due (ex) compagne diverse, quindi due famiglie da mantenere, l’uomo lavora in un’impresa di torrefazione di Torino, fino a quando una multinazionale olandese acquisisce l’azienda e la sua vita comincia a rotolare all’ingiù. Licenziato e addirittura sospettato dell’omicidio della responsabile del personale, con la quale aveva una relazione, Pietro è condannato a giornate scandite da frustranti colloqui di lavoro e convocazioni in commissariato. Sullo sfondo la Torino ch’era un tempo città dell’auto, del caffè, della cioccolata, della birra, della penna a sfera, dell’informatica… e ora é “città sempre più fluida, inafferrabile e infida”. A sostenerlo nei vorticosi tentativi di riprendere in mano la propria vita, c’è però Mascia, giovane e provocante cameriera di una scalcinata ma accogliente trattoria di Borgo Campidoglio. “Giallo” urbano, si diceva. Ma non solo. Con questo romanzo, infatti, Riccardo Marchina intende superare la quotidiana, intricata e avvincente realtà degli eventi, sfruttati a base solida da cui partire per proporci una “riflessione sul mondo del lavoro fatto di acquisizioni aziendali e società di outplacement, di globalizzazione spinta e difesa del made in Italy, di esuberi e bandiere sindacali affisse ai cancelli delle fabbrichette, di responsabili del personale imbevuti di tecniche e filosofie aziendali e start-up come rimedio estremo all’impossibilità di ricollocarsi”. In tal senso, le parole dello scrittore (che per “Neos” cura anche la serie antologica “Spirito d’estate”) ci portano dentro, e fino al fondo di una realtà contemporanea assurda, frenetica e imprendibile, dalla quale non resta che fuggire. “Verso un posto dove Zeus non possa più vederci”.
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Il mare e il silenzio sono il rifugio della protagonista Iz quando la vita tenta di stritolarla e lei trova pace affacciandosi sulla sommità del faro che appartiene alla famiglia del marito.
E’ la storia di un’amicizia totalizzante e perduta -fatta di innumerevoli luci ed ombre- tra la timida, studiosa e di origini modeste Elisa e la bellissima reginetta della scuola Beatrice, destinata a diventare un mito attraverso il suo blog che ricorda tanto l’ascesa delle influencer griffate nostrane.
Herman Joachin Bang è stato uno scrittore danese, (1857-1912), esponente di spicco del movimento naturalista e anti-romantico che negli ultimi 30 anni dell’800 portò alla ribalta i letterati scandinavi.
Fu pubblicato da Bang tre anni dopo il precedente ed è il seguito naturale delle sue memorie, concentrate questa volta sugli anni formativi, precedenti agli esordi letterari.
Monforte d’Alba – Saranno annunciati mercoledì 14 aprile prossimo i cinque romanzi finalisti e il vincitore del Premio Speciale dell’XI edizione del “Premio Lattes Grinzane”.
fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Il vincitore di questa edizione terrà una “lectio magistralis” su un tema letterario a propria scelta e verrà insignito del riconoscimento sempre nel corso dell’appuntamento fissato per sabato 2 ottobre ad Alba. In programma anche un incontro di scrittrici e scrittori finalisti con gli studenti del territorio cuneese. Gli appuntamenti saranno trasmessi anche in diretta “streaming” sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”.
Rubrica settimanale a cura di laura Goria
Elena e Pietro insieme stanno bene: lei in parte ha trovato un surrogato del padre, col quale c’era stato un segreto non apertamente svelato, che però aveva inficiato il loro rapporto.
Mette in discussione l’assurdità trash di certi programmi -di basso livello, ma grande share- impostati sulla bieca rincorsa di squallidi gossip; l’immagine fasulla di certi personaggi televisivi; l’indifferenza della politica per la cultura e il bello; lo strapotere dei social e di un mondo imbastito sulla vuota immagine.
E’ una deliziosa passeggiata nel passato questo libro scritto dallo studioso di ampi interessi Bernardino Branca che racconta la storia di una grande villa affacciata sul Lago Maggiore. Lo fa attraverso le vicende dei suoi proprietari e dei vari ospiti transitati nelle stanze e nel parco. In gran parte è il racconto di un mondo che non c’è più, ancorato alla bellezza, alle tradizioni, all’educazione e a un elegante modo di attraversare la vita.
Attraverso la storia di questo storico hotel leggerete anche, se non soprattutto, la storia della mecca del cinema: successi e cadute di divi e dive, i loro eccessi e stravizi, gli amori, i litigi, le feste ad alto tasso alcolico e di droghe, gli sfarzi e le miserie umane legate all’altalena della gloria e del declino.