Alberto Cirio racconta la Torino che vorrebbe e difende il Regina Margherita: “non è solo con la quadratura dei conti che puoi darti la patente di buon amministratore”
Il candidato Presidente della coalizione del centro destra spiega la sua ricetta per costruire una Torino più europea: difendere tutte le eccellenze, promuovere il territorio, creare una lobby Piemonte e nuove infrastrutture
Lei che conosce bene il territorio, da ex assessore al turismo ed ex vice presidente dell’Ente turismo Bra, Alba, Langhe e Roero, come vede la Torino del futuro?
Torino è una città dalle mille ricchezze. Il turismo è diventato sempre più motivazionale che di destinazione: oggi le persone si chiedono “che tipo di vacanza voglio fare?” e in base a questa domanda scelgono una destinazione. Torino offre di tutto: da una vacanza da città d’arte, da città europea, culturale, dei grandi eventi sportivi, ma per far questo serve un governo regionale che investa realmente nella: ad esempio la tassa di soggiorno dei turisti deve essere messa a sistema con i fondi che la Regione deve tornare a investire per promuovere tutto il territorio. Se pensiamo alle distanze che un turista percorre per venire da noi e la distanza che c’è tra Torino e, per esempio, il Lago Maggiore, ecco che ci rendiamo conto che vi è una maggiore offerta di luoghi di vario genere a distanze percorribili, questo può raddoppiare il turismo su tutto il territorio. Torino è una grande città di studi e non grazie all’intervento pubblico, ma grazie alle eccellenze presenti: attrarre studenti da fuori è una via che crea business e aprire al mondo dei leader di domani, perché chi va a studiare in una città poi se la porterà nel cuore ovunque andrà e sarà un soggetto con cui far rete a beneficio di Torino. Bisogna quindi investire sui servizi per gli studenti, molti dei quali poi sfruttabili da tutti i cittadini. Ci sono tanti settori da sviluppare per la Torino del futuro, il concetto di Torino capitale a me piace tantissimo.
A proposito di Università e scuola: come favorire il collegamento con il mondo del lavoro?
Innanzitutto bisognerebbe aiutare le famiglie ad aprire la mente e abbandonare la vecchia concezione della liceizzazione della scuola: gli Istituti tecnici e professionali che abbiamo oggi sono davvero molto validi nella preparazione dei giovani. Bisogna pensare di scegliere percorsi formativi in linea con la domanda del mondo del lavoro e non solo alla propensione del ragazzo/a: abbiamo dieci mila studenti con studi specialistici divisi fra 30% azienda e 70 % scuola, in Germania la proporzione è ribaltata. In Piemonte abbiamo gettato il seme con un progetto che coinvolge gli ITS, ma dobbiamo accelerare perché il mondo oggi è un’altra cosa, sta vivendo una rivoluzione digitale e dobbiamo cavalcarla. Personalmente credo che nell’università si debbano creare dei corsi in europrogettazione, che costituiscono un primo anello per accedere ai fondi europei e gli spagnoli lo sanno bene: sono tra i primi percettori dei fondi comunitari. Il Piemonte ha tutte le condizioni per poterlo fare, bisogna far dialogare queste realtà, creare un interscambio.
Se come dice lei, il Piemonte ha bisogno dei fondi europei, allora ha bisogno anche dell’Unione Europea, non solo economicamente ma anche politicamente. Non crede che questo si ponga in contrasto con il sovranismo e l’euroscetticismo della sua appartenenza politica?
Da parlamentare europeo posso dire di non essere euroscettico, posizione ormai abbandonata da tutti dopo la Brexit che ha fatto scoppiare la bolla antieuropeista, ma eurocritico. Sono convinto che se gli inglesi tornassero alle urne sceglierebbero di restare nell’Unione. Noi ci abbiamo messo del nostro nel contare poco al suo interno è vero, ma l’UE non ha certo avuto una mano leggera. La figura di Juncker è significativa: se lo vedo non mi viene certo voglia di abbracciarlo, infatti l’UE lo sa e sta puntando anche a cambiare la sua immagine, perché sono le persone che fanno l’Unione Europea. Al suo interno noi dobbiamo contare in due modi, il primo è far valere le nostre esigenze e adesso non è così, basti pensare che la Regione paga un ufficio a Bruxelles dove c’è un funzionario solo che, poveretto, deve far tutto e a un mese dalle elezioni Chiamparino dice “dobbiamo aprirlo anche all’Università”, ma non è l’ufficio il problema, è che a Bruxelles mancano le persone. Il secondo modo, invece, è quello di costruire una “lobby Piemonte”con stakeholder pubblici e privati, in grado di far valere gli interessi del territorio in Europa con una strategia condivisa. Chiamparino dice di fare i progetti qui e portarli su: questo è un errore, i progetti bisogna crearli lì. Noi abbiamo la Conferenza Stato-Regioni, dove se i piemontesi lo vorranno mi siederò a rappresentarli ma, lo dico in anteprima, in quel caso mi siederò con pari distanza alla Conferenza con la Baviera, perché se faccio europrogettazione lo faccio con i paesi con cui abbiamo affinità, non solo con le altre regioni d’Italia. Abbandonare una mentalità provinciale non può che far bene alle industrie, che infatti sono molto favorevoli.
Un tema centrale per il territorio, specie in questo momento, è la sanità. La sua posizione è in linea con quella dal celebre chirurgo pediatrico P. Abbruzzese candidato in una delle liste che appoggia la sua corsa, che di recente ha duellato a distanza con Salizzoni sul Regina Margherita: una sanità su misura, con al centro la persona. È una visione che si pone in antitesi a quella della città della salute voluta da Chiamparino?
È una visione che può essere sintetizzata così: io per comprare la Play-Station a mio figlio non faccio debiti, ma per curarlo o operarlo se si ammala sì. Se i conti tornano molto bene, perché hanno la loro importanza, ma la sanità salva la vita alle persone. Oggi in media un cittadino piemontese ha speso 640 euro di sanità privata, questo vuol dire che le persone che quei soldi non li hanno, non si sono fatti curare o stanno aspettando 120 giorni per una cataratta, o peggio. Inoltre togliere prospettive a chi lavora all’interno degli ospedali li porta ad abbandonare il proprio posto, come è successo al primario dell’Oftalmico che è andato in Lombardia. Mia madre, che si fa curare da lui, è andata fino in Lombardia e a fine anno, la spesa per curare mia madre in Lombardia lo Stato la toglie dalle casse del Piemonte. Chi è costretto ad andare operarsi lontano dal territorio (la cosìddetta mobilità passiva), non ci va gratis, lo paga la regione di residenza, ovvero il Piemonte. Credo che il Presidente della Regione debba fornire delle linee guida ai tecnici. Quando Abbruzzese ha detto che i bambini non sono piccoli adulti, non ha espresso un parere come potrei fare io da politico che sa ben poco di questo, ma sta parlando come medico che ha dedicato la vita ai bambini e sa che vanno curati con strumenti, tecniche e sensibilità diverse, a misura di bambino: queste non possono e non devono essere cancellate.
Si riferisce al Regina Margherita?
Sì, anche. Gli ospedali specialistici son presenti in tutta Europa e la loro efficienza e importanza è dimostrata, credo possano esserci anche qui. Per come la penso, non è solo con la quadratura dei conti che puoi darti la patente di buon amministratore della sanità.
Torino è una città che più di altre soffre la questione ambientale, non a caso è stata battezzata come la più inquinata d’Europa. Cosa pensa in relazione a questo tema? Quali soluzioni suggerisce?
Bisogna cambiare mentalità, ma questo non può avvenire senza le infrastrutture: non si può dire ai cittadini di non prendere l’auto se i mezzi non sono adeguati alle esigenze. Un po’ come per i blocchi sul traffico: abbiamo inserito nel nostro programma delle deroghe su di essi perché non si può chiedere a una persona (magari di una certà e con una punto di quindici anni), che la sua auto da un giorno all’altro è fuorilegge, che quindi deve comprarne una nuova da 20 mila euro, con agevolazioni a 15mila. È una follia. Sevono le infrastrutture, basti pensare all’alta velocità: per andare a Roma prima andavamo tutti in aereo, ora prendiamo il treno, perché c’è, perché è puntuale, veloce e comodo. Quando si prendono le decisioni negli uffici di piazza Castello bisogna ricordare che poi vengono vissute dalle persone che vivono la città e il territorio tutti i giorni. Se da Moncalieri devo venire a Torino, è scomodissimo oggi farlo con i mezzi pubblici, sono praticamente costretto a prendere l’auto: se si chiede ai cittadini di usare i mezzi, bisogna che questi non solo vi siano, ma siano anche efficienti.
Basta fare qualche esempio: il polo universitario (Palazzo Nuovo, Campus Einaudi) non è raggiunto da una linea metro e per attraversare Torino da Barriera di Milano a Mirafiori, con qualsiasi linea ci va un’ora e venti minuti ad andare e poi a tornare, per un totale di almeno 2 ore e quaranta di viaggio. Ci si impiega meno ad andare a Milano. Una mobilità che appesantisce la qualità della vita.
Infatti è una assurdità per tutti, dagli anziani, alle famiglie, come per gli sportivi, che magari hanno bisogno di far entrare e uscire dalla città il pulmino della squadra: non gli si può chiedere di andare con i mezzi, di non usarlo o di prenderne uno nuovo che non si possono permettere e in cambio non offrire un servizio poco pratico e consono alle esigenze dei cittadini. Sono tutti temi che io e la mia squadra, se i piemontesi vorrano, affronteremo.
Ha già formato la squadra che, in caso di elezione, porterà sugli scranni di Palazzo Lascaris?
No, ma una cosa è certa: vogliamo persone competenti che vivano il territorio e dunque siano consapevoli delle problematiche e delle esigenze che ci sono. Per sapere cosa serve a un territorio bisogna viverlo, dal centro alla periferia, è l’unico modo.