Il rapporto “Italiani nel mondo 2016”, redatto dalla fondazione Migrantes e presentato in questi giorni, fotografa i “nostri” flussi migratori, dove fanno irruzione i giovani che erano appena nati o erano adolescenti allo scoccare del Duemila. Infatti, la fascia anagrafica che va tra la maggiore età e i 34 anni è quella più soggetta all’emigrazione. Del resto,già ora, un italiano su dodici vive al di fuori dei confini nazionali. In totale gli italiani residenti all’estero sono poco più di 4 milioni e ottocento mila. Sarà pure la libertà di movimento in Europa e la percezione – soprattutto per i più giovani – che la mobilità rappresenta un fenomeno normale e positivo, sarà la crisi o sarà che all’estero il lavoro offerto è più stabile e meglio pagato , resta il fatto che il numero di persone che lasciano l’Italia continua a crescere. In dieci anni, coincidenti più o meno con l’inizio della lunga crisi , il numero di persone residenti all’estero è aumentato del 54%, passando da tre milioni a 4,8 milioni, il 7,9% della popolazione. Molti tra costoro sono gli emigranti di vecchia data, ma il milione e 800mila persone in più sono una nuova generazione che è partita. Oggi l’emigrazione non è più la stessa di un tempo: ai bastimenti con la terza classe che – per dirla come De Gregori in “Titanic” – costava “ dolore e spavento” si sono sostituiti i voli low cost e le videochiamate, la globalizzazione e un’idea più precisa del mondo. Ma resta, tutto intero, il problema di fondo: un paese, il nostro, che perde parti importanti senza attrarre immigrazione qualificata, cosa che altri paesi – più dinamici e capaci di sviluppare politiche in tal senso – sanno fare e fanno. Storicamente, il più grande esodo della storia moderna è stato quello degli Italiani. A partire dal 1861 sono state registrate più di ventiquattro milioni di partenze. Nell’arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione al momento dell’Unità d’Italia si avventurava verso l’ignoto. Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47% dell’intero contingente migratorio: il Veneto (17,9 %), il Friuli Venezia Giulia (16,1%) e il Piemonte (709 mila persone, 13,5%). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali. Con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto daCalabria, Campaniae Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia. Tra l’inizio del secolo scorso e lo scoppio della prima guerra mondiale, altri 831 mila piemontesi cercarono fortuna in altri paesi ( il 9,5% del fenomeno migratorio di quel periodo). Si può distinguere l’emigrazione italiana in due grandi periodi: quello dell’appena citata “grande emigrazione” , tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del Novecento (dove fu preponderante l’emigrazione verso il continente americano) e quello dell’emigrazione“europea”, che ha avuto inizio a partire dagli anni cinquanta. Un fenomeno esteso, con una dimensione importantissima: nessun altro paese europeo ha avuto un flusso costante di emigranti per un periodo così lungo. Questa realtà dovrebbe far riflettere in tempi in cui l’Inghilterra del “dopo-Brexit” – dopo la lotta alla presunta invasione di “extracomunitari” – considera “invasione” anche l’arrivo di altri cittadini europei, italiani compresi.
E annuncia un giro di vite ai permessi di lavoro e studio. Tutto ciò in un’Europa dove sono tornati i muri e il filo spinato, mentre alle frontiere del mare continua la pressione dei disperati in fuga dalle guerre o in cerca di migliori condizioni di vita. Oggi, non solo tra i sudditi della Regina,si richiedono nuove barriere, non più fisiche ma legali, alla libera circolazione di uomini e di mezzi. Il trattato di Schengen, che di questa libertà era stato la bandiera, è sottoposto a pressione e rischia di saltare. E con il trattato l’idea stessa d’Europa. Un tempo, per gli italiani, la valigia è stata il simbolo dell’emigrazione. E l’arrivo nella baia di New York, dopo aver viaggiato per quasi un mese sulle “carrette del mare”, coincideva con l’essere sbarcati ad Ellis island ,l’isolotto alla foce del fiume Hudson dove tutta una serie di norme – come quelle in vigore oggi – operavano una drastica selezione. A quel tempo, come ha scritto in un bel libro il giornalista Gian Antonio Stella (“L’Orda”) “gli albanesi eravamo noi” e “ci rinfacciavano di aver esportato la mafia” e “ci facevano pesare addosso secoli di fame e ignoranza“. Un tempo che era solo ieri. Nonostante siano passati poco più di cent’ anni, tanti hanno dimenticato o fanno finta di non sapere che gli italiani erano né più né meno vittime della xenofobia verso gli “altri” come lo sono gli immigrati di oggi.
Marco Travaglini