i monaci discendenti degli armeni che fuggirono dalla propria terra all'inizio del Settecento a causa dell'invasione dei turchi ottomani

Venezia armena

Cielo grigio e foschia avvolgono l’oasi armena davanti a Venezia, là dove anche Lord Byron soggiornò per studiare l’armeno. È l’isola di San Lazzaro degli Armeni, a venti minuti di vaporetto da San Marco, un pezzo d’Oriente trapiantato in laguna

È domenica: alle 11 del mattino nove monaci cattolici, siriani, libanesi e georgiani, negli abiti sacri orientali, celebrano la messa nel rito armeno cattolico. Sono i monaci discendenti degli armeni che fuggirono dalla propria terra all’inizio del Settecento a causa dell’invasione dei turchi ottomani. Giunti a Venezia, il doge donò loro un’isola di 7000 metri quadrati, un fazzoletto di terra che da tre secoli è l’isola degli armeni. Anticamente era un lebbrosario, un lazzaretto, da cui l’isola prese il nome e nel 1717 fu regalata dalla Repubblica di Venezia a un gruppo di religiosi fuggiti dall’Armenia a Modone in Morea (Peloponneso) che i turchi stavano strappando al dominio veneziano. Costretti a scappare anche dalla Morea raggiunsero Venezia. Per alcuni anni si sistemarono nei dintorni dell’Arsenale e in seguito ottennero l’isolotto davanti al Lido. Con l’abate Mechitar, fondatore della Congregazione mechitarista, dell’Ordine Benedettino, l’isola divenne un centro di cultura e di scienza con l’obiettivo di preservare la lingua, la letteratura e le tradizioni del popolo armeno. Furono costruiti un monastero, una chiesa, un chiostro, e poi sorsero una tipografia che stampa in 35 lingue diverse e una grande biblioteca che contiene oggi decine di migliaia di volumi, di cui 4.500 antichissimi manoscritti, quadri e arazzi fiamminghi, oggetti arabi, assiro-babilonesi, indiani ed egiziani, tra cui la mummia di Nehmeket del 10 secolo avanti Cristo. Un cortile interno, tappezzato di fotografie e diapositive, ricorda il terribile genocidio del 1915, quando un milione e mezzo di armeni furono deportati e sterminati dai turchi. Neppure Napoleone osò ferire l’oasi armena. Il complesso sopravvisse all’arrivo del generale francese che fece distruggere i monasteri veneziani ma salvò quello di San Lazzaro perchè lo considerò un’accademia di scienze. Venezia è molto legata alla cultura armena. Per esempio, l’albicocca è chiamata anche “armelin”, frutto armeno, e i frati isolani coltivano in giardino molte rose usate per produrre la “vartanush”, una marmellata di petali di rosa, tipica ricetta dell’Armenia. A Venezia c’è anche un altro luogo di culto armeno: è la chiesa di Santa Croce degli armeni (sestiere San Marco), con funzioni religiose celebrate solamente l’ultima domenica di ogni mese. Arrivare a San Lazzaro è facile, senza bisogno di prenotare. Dall’imbarco di San Zaccaria, lungo Riva degli Schiavoni, vicino a San Marco, si prende la linea 20. Ogni giorno alle 15,30 c’è la visita guidata al monastero, con partenza alle 15.00 da San Zaccaria. Chi vuole assistere alla messa della domenica in lingua armena, per curiosità e per scoprire il fascino della spiritualità di questi padri, deve prendere il vaporetto alle 10,30 (la funzione comincia alle 11.00). In quest’ultimo caso capita di essere soli sul vaporetto, insieme al comandante e ai gabbiani che ci accompagnano sull’isolotto. Soli anche in chiesa, tra le antiche e misteriose mura del monastero, insieme ai monaci arrivati dall’Oriente e all’infinito silenzio della laguna.

Filippo Re