FIGURE CHE SCOMPAIONO

L'ultimo saluto a Nelida Ravina Cantore

CANTORE MAMMA

Originaria delle Langhe, dopo aver aiutato i partigiani nella lotta di Liberazione, ha incontrato a Torino il suo futuro marito Riccardo che era stato anche lui partigiano e primo Sindaco di Chiusa di San Michele dopo la Liberazione e poi di nuovo dal 1970 al 1983 e con lui ha costituito la sua nuova famiglia radicandosi subito in Val Susa, considerata come sua seconda terra di origine

 

È mancata martedì  20 Ottobre nella sua casa a Chiusa di San Michele Nelida Ravina vedova Cantore. Dieci anni è durata la sua lunga malattia che ha condiviso con suo figlio, la moglie e i tre nipoti. Una lunga vita, 93 anni, dedicata non solo alla sua famiglia, anzi alla sua e a quella di suo figlio, ma anche ricca di impegno e attenzione  nei confronti degli altri.

 

Originaria delle Langhe, dopo aver aiutato i partigiani nella lotta di Liberazione, ha incontrato a Torino il suo futuro marito Riccardo che era stato anche lui partigiano e primo Sindaco di Chiusa di San Michele dopo la Liberazione e poi di nuovo dal 1970 al 1983 e con lui ha costituito la sua nuova famiglia radicandosi subito in Val Susa, considerata come sua seconda terra di origine. Ha dato poi alla luce Daniele che respirata questa aria di famiglia si è impegnato anche lui in politica e in amministrazione ricoprendo vari incarichi tra i quali quello di Assessore e Consigliere Regionale, Consigliere Comunale di Chiusa di San Michele e anche di Torino.

 

Dopo gli studi nelle scuole di Don Bosco, si è diplomata al Conservatorio di Torino e per alcuni anni ha insegnato musica con una particolare passione nei confronti del pianoforte, ha coniugato poi l’impegno famigliare con una assidua opera di volontariato nei confronti dei malati, partecipando anche a numerosi pellegrinaggi a Lourdes fino all’arrivo della sua malattia. Si sono svolti ieri i funerali nella Parrocchia di Chiusa di San Michele, con la partecipazione commossa di numerosi chiusini, valsusini, langaroli e torinesi attorno al figlio Daniele, alla moglie Patrizia, ai nipoti Riccardo (oggi Capogruppo di minoranza in Consiglio Comunale a Chiusa) Andrea e Carlo.

 

La redazione e il direttore del quotidiano “il Torinese” si uniscono al cordoglio della famiglia Cantore

Addio a don Aldo Rabino, il mitico cappellano granata

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Il sacerdote  si sentito male verso la mezzanotte

 

Don Aldo Rabino, lo “storico” cappellano del Toro è morto nella notte. Il sacerdote  si sentito male verso la mezzanotte e, nonostante i soccorsi siano prontamente arrivati, non è stato possibile fare nulla. Si è sentito male mentre si trovava presso l’Associazione O.A.S.I di Maen, al termine dei Camp di Basket. Don Aldo era molto amato in città non solo dai tifosi granata: era sempre in prima fila per le iniziative sociali e benefiche, per lo sport e per i giovani. Aveva 76 anni ed era cappellano granata dal 1971.

Addio a Betta, consulente di Guariniello sull'amianto

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Sessantasei anni, direttore della struttura di anatomia patologica dell’ospedale (nazionale) di Alessandria sino alla pensione, un’esperienza maturata dapprima a Casale Monferrato sempre in anatomia patologica, era dal 1998 presidente della sezione di Alessandria della Lilt – Lega italiana per la lotta contro i tumori

 

Con la scomparsa di Pier Giacomo Betta, le indagini sull’amianto, in particolare quelle di Raffaele Guariniello e della procura di Torino, perdono un loro valido consulente. Sessantasei anni, direttore della struttura di anatomia patologica dell’ospedale (nazionale) di Alessandria sino alla pensione, un’esperienza maturata dapprima a Casale Monferrato sempre in anatomia patologica, era dal 1998 presidente della sezione di Alessandria della Lilt – Lega italiana per la lotta contro i tumori. L’esperienza casalese lo aveva avviato ad un approfondimento nelle malattie derivanti da esposizione da amianto  ed era stato promotore della nascita della delegazione casalese del sodalizio, molto attiva per una decina d’anni e ne aveva “benedetto” le varie iniziative come l’accordo con Asl 21, Aso Alessandria e Misericordia Casale che diede il via alla banca biologica sul mesotelioma (con progetto di Bruno Castagneto) oggi un punto di forza nella lotta alla malattia. Ma era stato anche impegnato, in particolare negli ultimi anni, come consulente di parte di diverse procure italiane che avevano avviato indagini sui decessi causati dall’esposizione all’amianto. E tra queste ci sono sia Eternit che Eternit bis che ter, ancora in itinere. Pertanto è particolarmente significativo quanto scrive Afeva di Casale e di Cavagnolo che lo ricorda “con grande riconoscenza per l’impegno profuso con grande professionalità nella lotta all’amianto”.

 

Massimo Iaretti

Addio a Berardino, il questore degli anni di piombo

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Era conosciuto anche per una sua passione: i  presepi. Ne realizzava uno diverso ogni anno, attorno al quale riuniva la famiglia.
   

E’ morto nella notte l’ex questore di Torino Annino Berardino. Lascia la moglie e tre figli. Aveva 86 anni, ed era stato capo della polizia torinese tra il 1989 e il 1992. Affrrontò i periodi difficili dell’autunno caldo, della contestazione e dell’emergenza terroristica. Era conosciuto anche per una sua passione: i  presepi. Ne realizzava uno diverso ogni anno, attorno al quale riuniva la famiglia per Natale.
   

(Foto: il Torinese)

E’ morto Gianni Alasia, tra i protagonisti della sinistra torinese nel dopoguerra

Gianni AlasiaPartigiano, sindacalista, amministratore pubblico, deputato e saggista, Alasia è stato uno dei protagonisti della sinistra piemontese. Nato a Torino il 7 febbraio del 1927 ha attraversato tutte le concitate fasi della storia del secolo scorso

 

Dopo una lunga malattia è morto, all’età di 88 anni, Gianni Alasia. Partigiano, sindacalista, amministratore pubblico, deputato e saggista, Alasia è stato uno dei protagonisti della sinistra torinese e piemontese nel dopoguerra. Nato a Torino il 7 febbraio del 1927 ha attraversato tutte le concitate fasi della storia del secolo scorso. Durante la Resistenza, giovanissimo, era diventato, col nome di battaglia di “Astro”, partigiano della III Brigata della Divisione “Bruno Buozzi” delle Brigate Matteotti. Dopo aver partecipato agli scontri per la liberazione di Torino, Alasia decise di aderire al PSI, militando nella minoranza di quel partito. Nel 1950 sposò la compagna della sua vita,  Pierina Baima. Licenziato dalla Savigliano nel 1951, si dedicò a tempo pieno alla politica, entrando nella Federazione del Psi e, quindi, nel comitato centrale. I primi incarichi istituzionali lo videro eletto nel 1956 consigliere provinciale e nel 1960 consigliere comunale a Torino. Lo scorso 8 maggio era stato insignito dalla Città di Torino del Sigillo civico, la più alta onorificenza dell’amministrazione, “per il lungo e fattivo impegno politico e democratico svolto dai consiglieri comunali che hanno partecipato alla Resistenza contro il nazifascismo”. 

 

Nel 1959 Gianni Alasia venne eletto segretario della Camera del Lavoro Cgil di Torino, carica che ricoprirà per quindici anni,  fino al 1974. InAlasia Nelle verdi vallate dei tassi seguito alla scissione del partito socialista fu tra i fondatori del Psiup, con Lucio Libertini, Vittorio Foa e Tullio Vecchietti. Nel 1972, sciolto il partito socialista di unità proletaria , Alasia entrò nel Pci, all’interno del quale ricoprirà numerosi incarichi istituzionali a livello piemontese  (dal 1976 al 1980 Assessore al Lavoro e all’Industria della Regione Piemonte) e nazionale (venne eletto nel 1983 alla Camera dei Deputati nelle liste del Pci ). Nel 1991 dopo il XX congresso del Pci che, dopo la “svolta della Bolognina” che segnò lo scioglimento di quel partito,  fu tra i fondatori, con Armando Cossutta, Sergio Garavini e Lucio Libertini, del Movimento per la Rifondazione Comunista (sarà  proprio Alasia il coordinatore unico per Torino) da cui nacque nel 1992 il Prc. Nel 1995 verrà candidato alla Presidenza della Regione Piemonte per Rifondazione , ottenendo il 9,3% dei voti. La costante che ha accompagnato tutta la sua vita, segnando il suo profilo sociale e civile,  è stata la battaglia per il lavoro, per la sua dignità e valorizzazione, insieme alle lotte per l’ambiente e la pace. Gianni Alasia ha scritto molti libri. Il primo, uscì nel 1984, col titolo Socialisti, centro sinistra, lotte operaie nei documenti torinesi inediti degli anni ’50-’60 e l’ultimo, nel 2008, Nelle verdi vallate dei tassi: la libertà!. Di quest’ultimo lavoro, Gianni – del quale sono stato amico e compagno – mi chiese di curare l’introduzione.

 

L’ultimo libro di Gianni è una favola sulla Resistenza dal sapore tragicomico che trae chiaramente ispirazione del greco Esopo, dal latino Fedro, ma anche da La Fontaine e Orwell. Sullo sfondo dei boschi del Vergante, luogo di origine dell’amata moglie Pierina, alla quale questo lavoro è stato dedicato, si muovono un gruppo di animali, tassi, cani, volpi, provenienti da esperienze diverse, ma tutti uniti nella lottà per la libertà, per il trionfo dei valori della democrazia, della pace, della giustizia. Gli animali di Gianni sono l’allegoria, il simbolo di una battaglia che travalica quel preciso periodo storico e che supera lo spazio per collocarsi in tutte le epoche e in tutti i momenti in cui un popolo, in qualche parte del mondo, si batterà per riaffermare la propria dignità e la propria identità. Gianni teneva molto a quest’ultimo racconto, quasi rappresentasse una sorta di testamento, un congedo anticipato dalla vita, dagli uomini, dal mondo, quasi volesse affidarvi un messaggio che non deve essere disperso; “Molte di quelle sperenze sono state deluse” vi scriveva “Ma non c’è da perdersi d’animo. In fondo i tassi ci sono ancora”. Esattamente come in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociare il loro cammino con quello di Alasia resteranno e ci saranno sempre i suoi insegnamenti di coerenza, di passione civile, di orgoglio, quelli che nemmeno la morte potrà cancellare. Requiescas in pace, Gianni. Che la terra ti si lieve.

 

Marco Travaglini

Barbara Castellaro

Cesarina e "La casa in collina" di Pavese

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pavese casa Fu a Serralunga di Crea che  Pavese trascorse due inverni ed un’estate durante la seconda guerra mondiale e concepì una delle sue opere più belle. Cesarina Sini, che insieme alla sorella Maria Luisa, nata nel 1928, conservava e perpetrava ai posteri il ricordo dello zio, era molto legata a Serralunga. Insieme alla madre Maria trascorreva ,  soprattutto d’estate, alcuni periodi di soggiorno presso “Villa Mario”

 

Se n’è andata in punta di piedI, con discrezione, come è sempre vissuta Cesarina Sini. Aveva novantadue anni – essendo nata nel 1923 – ed il suo nome è legato, in modo semplice quanto indelebile, con la storia del Comune che ospita il Santuario di Crea, ma che ospita anche quella casa, quei paesaggi, dove Cesare Pavese scrisse “La casa in collina”. Cesarina dello scrittore di Santo Stefano Belbo era nipote perché la sorella Maria Pavese, sposò Guglielmo Sini. E Guglielmo Sini era uno dei tre figli maschi di Cesare Sini (gli altri erano Mario ufficiale morto nella Grande Guerra e Luigi, poi direttore di Rumianca, cui si aggiunse anche una figlia, Federica), direttore dell’Italcementi, che nel 1920 fece costruire “Villa Mario”, casa con annesso terreno,  intitolata al figlio Mario, come si piuò vedere dalle M impresse nei pali di cemento che sostengono la recinzione. Fu a Serralunga di Crea che  Pavese trascorse due inverni ed un’estate durante la seconda guerra mondiale e concepì una delle sue opere più belle. Cesarina Sini, che insieme alla sorella Maria Luisa, nata nel 1928, conservava e perpetrava ai posteri il ricordo dello zio, era molto legata a Serralunga.

 

Insieme alla madre Maria trascorreva ,  soprattutto d’estate, alcuni periodi di soggiorno presso “Villa Mario” dove viveva invece con maggiore frequenza la zia Federica Sini, che tutti in paese conoscevano come la “Tota” Sini, maestra per lunghi anni nella zona. Poi, dopo la scomparsa della mamma prima e della zia poi, Cesarina – che in paese aveva alcune amicizie da sempre, Liliana Patrucco, che viveva a Casale ma aveva fatto le scuole dai nonni a Serralunga e Gina, moglie di Attilio Godino, mitico sindaco democristiano della Valcerrina negli anni Sessanta e Settanta (e padre di Giuseppe, poi sindaco di Serralunga, vicini di casa dei Sini che la ricorda come “una persona sempre allegra, solare, simpaticissima”) – aveva incominciato a trascorrere periodi sempre più lunghi, soprattutto in estate a Villa Mario. E durante queste permanenze erano “mitici” i suoi falò nel prato. Chi scrive l’ha conosciuta personalmente sin da quando aveva i pantaloni corti: i suoi genitori affittarono per l’estate la casa che era stata costruita nella parte superiore della proprietà dal 1967 sino al 1998 e spesso da bambino e da ragazzino andava a giocare nella “Casa di Pavese” e che in virtù della sua conoscenza con la famiglia Sini fece da tramite ad un giovanissimo Marco Giorcelli, per diciannove anni alla guida del bisettimanale “Il Monferrato” allora alle prime armi come giornalista (ma aveva portato alla maturità una bellissima tesina su Pavese) per l’intervista a Maria Pavese avventa nella cucina di Villa Mario,. Ed è anche rimasto impresso nei ricordi della sorella di Cesarina, Maria Luisa che qualche anno fa, fattosi ormai uomo, in occasione dello spettacolo di Umberto Orsini in piazza a Serralunga gli disse: “Si, Massimo, mi ricordo bene di te e di tuo fratello, eravate delle pesti da piccoli, tiravate sempre le code ai gatti”.  Anche questi sono ricordi di un passato che non c’è più e che, con la scomparsa di Cesarina Sini perde un altro importante pezzo, non solo del Monferrato ma dell’intero Piemonte e dell’Italia.

 

Massimo Iaretti

 

 

 

L'addio a suor Ambrogina, angelo del Cottolengo

COTTOLENGO

E’ mancata suor Ambrogina, suora del Cottolengo, che per diversi anni ha 
prestato il suo servizio ad Orbassano e Pasta. Personaggio molto amato dalla 
comunità di fedeli che l’ha conosciuta, amica del vescovo di Biella e Vercelli. 
Qui di seguito il saluto di Laura Sergi che la ricorda con affetto

 

Suor Ambrogina … delle suore cottolenghine della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino ha continuato il suo cammino incontro al Signore, suo sposo. Grazie suor Ambrogina per quello che sei e per quello che hai donato. Sei stata con noi come sorella e amica. Ci hai amato con tenerezza e passione, sempre pronta a donare conforto, a stare dalla parte di chi fa più fatica. Hai incontrato tutti, visitandoci con spirito missionario, nelle nostre case portando, con le parole e con la vita, la Gioia e la Speranza che nascono da un Amore grande vissuto nella ferialità e nella semplicità che rimanda alle cose essenziali della vita che tu hai trovato. La nostra vita cambia quando ci percepiamo dono di Dio in cui ci arricchiamo gli uni gli altri, in cui l’altro è uno spazio sacro.

 

Abbiamo imparato insieme l’Amore stesso di Dio: l’Amore che perdona. Senza il perdono non c’è la famiglia, la comunità, l’amicizia, le relazioni e abbiamo tanto bisogno tutti di sentirci amati in questo modo. Non è facile, ma il motto, tanto caro, del Cottolengo – Caritas Christi urget nos (“L’amore di Cristo ci sprona” 2 Cor 5,14) – ha illuminato i nostri passi nell’amare l’altro, ogni altro, così com’è, nella consapevolezza che Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.
Come in autunno, il chicco viene sepolto sotto terra, seminato e vi rimane fino alla primavera quando germoglia con due piccole foglie che emergono dal terreno, così come chicco di grano sei stata seminata nella nostra Orbassano ed ora stai vivendo la trasformazione in piccola  pianta che si svilupperà fino a diventare grande e produrrà una spiga con tanti chicchi. 

 

Arrivederci suor Ambrogina, ci ritroveremo perché ci riconosceremo.                                                                                                     

 

Laura Sergi