MAO Museo d’Arte Orientale
via san Domenico 9, Torino
Venerdì 24 marzo ore 16.30
Il MAO è lieto di ospitare venerdì 24 marzo alle 16.30 la presentazione del poemetto Kumārjīv, a cura della prof. Alessandra Consolaro, UniTO.
Nel poemetto omonimo del poeta hindi Kunwar Narain (1927-2017), il grande traduttore Kumarjiv (in sanscrito Kumārajīva), vissuto a cavallo tra la lingua sanscrita e quella cinese sedici secoli prima di noi, diventa un soggetto poetico, che consente al lettore di ripensare l’interazione tra storia, attività intellettuale e poesia.
Kumarjiv è il traduttore prototipico che comunica il messaggio buddhista in un contesto interculturale. È ricercatore, conoscitore e commentatore, ma non vuole essere un “maestro”. Da un lato, la sua vita è ilprototipo dell’infinita ricerca umana della verità.
Allo stesso tempo il Kumarjiv di Kunwar Narain è cittadino del mondo, nato fuori dal subcontinente indiano, ma capace di fare di una lingua e di una religione indiana la sua casa. Non da ultimo, Kumarjiv esplora la tensione e la ricerca di una soluzione nella dicotomia tra vita mondana e vita intellettuale/spirituale, trovando un equilibrio e una conciliazione tra due stili di vita apparentemente contrapposti. Kumarjiv così come reso da Kunwar Narain è un individuo, la cui attività di traduzione è il risultato di una scelta personale, che gli concede una percezione molto profonda dell’essenza della traduzione: entrare nel mondo dell’altro aprendo la porta della lingua è come costruire un sentiero di illuminazione tra due culture. È la celebrazione di una profonda amicizia tra due lingue e culture, senza fusione, senza dominio di una sull’altra e senza rivendicazioni di perdite o guadagni, solo un incontro festoso. Questa traduzione italiana presenta uno spaccato di un viaggio di traduzione e poesia lungo la Via della Seta della storia.
Ingresso libero.
I cani, fra i temi più fotografati nella sua lunghissima carriera. A loro ha dedicato 4 dei suoi oltre 40 libri a tema fotografico. Non c’è quindi da stupirsi del soggetto preso a pubblico manifesto della mostra a lui dedicata, fino al prossimo 11 giugno, dalla “Palazzina di Caccia” di Stupinigi. Siamo a New York, 1974. Lo scatto, catturato (alla Cartier-Bresson) nel suo più indifferibile “attimo fuggente” ci mostra gli stivali alti e lucidi di un’elegante (si presume) signora dal lungo soprabito, alla sua sinistra un buffo e simpatico cagnolino agghindato per le feste e alla sua destra le lunghe zampe di un cagnolone di alta taglia. Iconico e ironico trio. Anche questa è “Famiglia”.

Passeggiare per Torino
Tale meridiana zodiacale pu
La Corona ferrea, risalente al IV-V secolo, è il pezzo più pregiato conservato nel Duomo di Monza, al centro della cappella di Teodolinda, in una teca nell’altare. Vederla da vicino, a così tanti secoli di distanza, è un’autentica emozione, un grande spettacolo. Siamo dinanzi ad un oggetto incredibile, a tu per tu con la Storia. Una delle tante meraviglie della nostra penisola che possiamo ammirare solo per pochi minuti. Millecinquecento anni di storia ti passano di fronte in un istante, quel diadema immortale brilla di luce e colori, irradia un’energia straordinaria e ti ricorda che in quel momento sei davanti alla storia d’Italia e dell’Europa cristiana. Un oggetto antico utilizzato per l’incoronazione dei re d’Italia, per dare un riconoscimento quasi divino al loro regno, dai re longobardi a Carlo Magno, dal Barbarossa a Carlo V fino a Napoleone. La Corona ferrea è un vero gioiello formato da sei piastre in oro e argento decorate di gemme, zaffiri, smalti, rosette e petali dorati uniti tra loro da cerniere e legate da un anello di ferro. Secondo la tradizione cristiana il ferro fu ricavato da un chiodo con cui fu crocifisso Gesù e per la Chiesa cattolica si tratta di una reliquia che Sant’Elena avrebbe trovato nel 326 d.C. durante un viaggio in Palestina e inserito nella corona del figlio, l’imperatore Costantino. Ancora oggi, una domenica di settembre, la Corona ferrea viene portata in processione per il centro storico di Monza. Il suo valore è simbolico, la sua fama sta nell’incoronazione di grandi personaggi della storia. Tutto ciò è custodito nel Duomo di Monza ma non è questo l’unico tesoro pieno di fascino in cattedrale. La Corona di ferro risplende al centro di uno stupefacente tempietto, a sinistra dell’abside centrale del Duomo: è la celebre cappella di Teodolinda e, quando si accendono le luci, la cappella lascia di stucco chi la guarda. Sulle pareti, affrescate alla metà del ‘400 dai pittori milanesi Zavattari, c’è tutta la storia di Teodolinda in 45 scene di vita, le storie descritte risalgono al VI secolo, all’epoca di Teodolinda, ma i costumi indossati da uomini e donne sono del Quattrocento. Teodolinda era una regina longobarda,
bavarese, cattolica, saggia e colta, che decise di fare di Monza la sede estiva del regno longobardo. Si sposò due volte, con Autari che morì un anno dopo le nozze, e poi con Agilulfo, duca di Torino, che convertì al cattolicesimo insieme al popolo longobardo. Esercitò molta influenza sulle scelte politiche del nuovo sovrano a tal punto che gli storici sostengono che le decisioni principali del regno furono prese da entrambi. Il loro figlio, Adaloaldo, fu il primo re longobardo ad essere battezzato cattolico. La regina e suo figlio sono sepolti in un grande sarcofago posto dietro l’altare della cappella. Anche Agilulfo ha il suo gioiello, è la Croce di Agilulfo, custodita nel Tesoro del Duomo. Filippo Re


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