CULTURA- Pagina 21

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

LUNEDI 24 GIUGNO

Come ogni anno, la Fondazione Torino Musei invita i torinesi a celebrare la Festa di San Giovanni, Santo Patrono della città, trascorrendo la giornata alla GAM, al MAO e a Palazzo Madama.

Per l’occasione le collezioni permanenti dei tre musei civici e le esposizioni collegate saranno visitabili alla tariffa speciale di 1€.

Aggiungendo 1€ si potranno visitare anche le mostre temporanee Italo Cremona. Tutto il resto è profonda notte e Expanded – I paesaggi dell’arte alla GAM eTradu/izioni d’Eurasia Reloaded al MAO.

La tariffa a 1€ si applica anche ai possessori di Abbonamento Musei.

(comunicato stampa in allegato)

Vi segnaliamo in particolare:

Venerdì 21 giugno dalle 18:30 al tramonto

LUCI D’ARTISTA SUMMER SOLSTICE

Luce e parola poetica – ACCADEMIA DELLA LUCE

Domenica 23 giugno dalle 15 alle 18

EVOLVING SOUNDSCAPES FILM CLUB

MAO – performance nell’ambito del public program di Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded

Una selezione di film dalla regione SWANA (Asia Sud occidentale/Nord Africa)

 

Giovedì 27 giugno dalle 18:00

SILENZIOSUONO-SOUNDSILENCE

GAM – inaugurazione mostra e performance

 

Dal 27 giugno 2024 al 13 gennaio 2025

CHANGE! Ieri, oggi, domani. Il Po

Palazzo Madama – apre la nuova mostra

Il Duca d’Aosta: sei ore per trasportarlo

Alla scoperta dei monumenti di Torino / La statua in bronzo fu  trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento

Il monumento è situato all’interno del Parco del Valentino, in asse con corso Raffaello e nel centro del piazzale nel quale confluiscono i viali Boiardo, Ceppi e Medaglie D’Oro. La statua che raffigura, sul cavallo ritto sulle zampe posteriori, il poco più che ventenne Amedeo di Savoia Duca d’Aosta durante la battaglia di Custoza, è posta su un dado di granito che poggia a sua volta su un basamento contornato da una fascia di coronamento in bronzo,rappresentante (in altorilievo) 17 figure tra cui numerosi personaggi celebri della dinastia sabauda. Ai gruppi di cavalieri si alternano vedute paesaggistiche come la Sacra di San Michele, il Monviso e Torino con il colle di Superga sullo sfondo.Sul fronte del basamento, poggiata sulla chioma di un albero al quale è appeso lo stemma reale di Spagna, un’aquila ad ali spiegate regge tra gli artigli lo scudo dei Savoia.Nato il 30 maggio 1845 da Vittorio Emanuele (il futuro re Vittorio Emanuele II) e da Maria Adelaide Arciduchessa d’Austria, Amedeo Ferdinando Maria Duca d’Aosta e principe ereditario di Sardegna, crebbe seguendo una rigida educazione militare.Nel 1866 gli venne affidato il comando della brigata Lombardia e partecipò alla battaglia di Custoza nella quale, nonostante fosse stato ferito da un proiettile di carabina, continuò a battersi distinguendosi così per il suo coraggio ed il suo valore.In seguito alla rivoluzione del 1868 e alla cacciata dei Borboni, in Spagna venne proclamata la monarchia costituzionale e nonostante la situazione risultasse molto difficile, Amedeo di Savoia accettò l’incarico così, il 16 novembre 1870, venne eletto Re di Spagna con il nome di Amedeo I di Spagna.Ma la situazione politica risultò ancora più instabile di come lui se la fosse prospettata e davanti a rivolte e congiure (nel 1872 sfuggì miracolosamente ad un attentato), nel 1873 abdicò rinunciando per sempre al trono.Tornato in Italia, venne nominato Tenente Generale e Ispettore Generale della Cavalleria; si spense il 18 gennaio 1890 a causa di una incurabile broncopolmonite.

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Signorilmente affabile con tutti, sempre pronto a prodigarsi per il bene della sua amata città, fu (anche durante il periodo della sua sovranità in Spagna) un personaggio molto popolare e ben voluto tanto che, neanche una settimana dopo la sua morte, la città di Torino costituì un comitato promotore per l’erezione di un monumento a lui dedicato, sotto la presidenza del conte Ernesto di Sambuy. Venne aperta una sottoscrizione internazionale alla quale, la stessa città di Torino, partecipò con la somma di L. 25.000 e in seguito, il 6 marzo 1891, venne bandito un concorso tra gliartisti italiani per stabilire chi sarebbe stato l’autore dell’imponente opera. Tra i ventinove bozzetti presentati ne furono scelti sei che vennero esposti nei locali della Società Promotrice di Belle Arti, in via della Zecca 25 ed in seguito, tra i sei artisti vincitori, venne bandito un nuovo e definitivo concorso che vide come vincitore (nel dicembre del 1892) Davide Calandra. La decisione, secondo le parole della Giuria, fu motivata “dal poetico fervore immaginoso della concezione, dall’eleganza decorativa dell’insieme, dalla plastica efficacia del gruppo equestre e dalla vivace risoluzione del difficile motivo della base“. Inizialmente l’ubicazione del monumento avrebbe dovuto essere, secondo la proposta del Comitato Esecutivo approvata dalla Città di Torino nella seduta del Consiglio Comunale dell’11 giugno 1894, il centro dell’incrocio dei corsi Duca di Genova e Vinzaglio, ma a causa delle dimensioni maestose del basamento si decise che fosse necessario uno spazio più ampio per ospitare l’opera. Dopo avere effettuato delle prove con un simulacro di grandezza naturale in tela e legname (costato alla Città la somma di L. 2480), si decise di collocarla nel Parco del Valentino sul prolungamento dell’asse di Corso Raffaello, presso l’ingresso principale dell’Esposizione Generale Italiana tenutasi del 1898: il 9 novembre 1899 il ConsiglioComunale approvò la scelta della Giunta di tale ubicazione.

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La statua in bronzo fu dunque trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento. Il monumento venne inaugurato il 7 maggio 1902, in occasione della Prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa e Moderna di Torino, durante la quale lo scultore fu anche premiato per aver inserito nell’opera elementi di “Art Noveau”. Nel corso dell’inaugurazione il conte Ernesto di Sambuy, a nome del Comitato, consegnò l’opera al Sindaco di Torino. Originariamente il monumento venne circondato da una cancellata in ferro dell’altezza di circa 130 centimetri, disegnata dallo stesso Calandra, che venne rimossa probabilmente a causa delle requisizioni belliche durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 2004 il monumento è stato restaurato dalla Città di Torino. Per fare un piccolo accenno al Parco del Valentino, di cui certamente parleremo in modo più approfondito prossimamente, bisogna ricordare che ilmonumento ad Amedeo di Savoia è situato nell’area nella quale, fra Ottocento e Novecento, si tennero a Torino alcune tra le più importanti rassegne espositive internazionali. Nel 1949, proprio a fianco del monumento, sorse il complesso di Torino Esposizioni, un complesso fieristico progettato da Pier Luigi Nervi che, durante le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, ha ospitato un impianto per l’hockey su ghiaccio dove sono state giocate circa la metà delle partite dei tornei maschili e femminili. Al termine delle Olimpiadi, la struttura è tornata all’originario uso abituale ripredisponendo un padiglione come palaghiaccio per i mesi invernali. Cari lettori anche questa ennesima passeggiata tra le “bellezze torinesi” termina qui. Mi auguro che il monumento equestre ad Amedeo di Savoia vi abbia incantato ed incuriosito proprio come ha fatto con me; nel frattempo io vi do appuntamento alla prossima settimana alla scoperta o meglio “riscoperta” della nostra città.

(Foto: www.museo.torino.it)

Simona Pili Stella

“Suggestioni letterarie” ad Agliè

Sarà  il gruppo di scrittura dell’ASD di Castellamonte ad avviare, il 15 giugno, alle 17, le attività della sede dell’Associazione culturale I.RI.D.E, in via Principe Amedeo 15 ad Agliè. La neonata sede è  stata inaugurata lo scorso primo maggio dalla presentazione dell’opera restaurata di Domenico Buratti “La madre” ( 1906- 1910?), alla presenza del Segretario Generale alla Cultura Mario Turetta. Il restauro dell’opera è  stato eseguito da Sara Stoisa, restauratrice e art collection manager specializzata nella conservazione, gestione e archiviazione delle collezioni d’arte, e Annalisa Savio, restauratrice di Beni Culturali, ora impegnata nel restauro dei soffitti lignei e dei  mosaici del Duomo di Monreale.

Il 15 giugno si esibirà  un gruppo formato da Concetta Palato, Walter Kiesl e Roberta Vota, che proporranno suggestioni letterarie, alcuni brani inediti scritti durante le lezioni tenute presso la sede di Castellamonte dalla giornalista e autrice Debora Bocchiardo. Il breve saggio dal titolo “Suggestioni letterarie” sarà introdotto e concluso da una esibizione degli allievi di danza dell’ASD Il Volo. Il pomeriggio di letture, realizzato grazie alla gentile ospitalità del critico d’arte e scrittore, prof. Giovanni Francesco Cordero, direttore della rivista Iride e consigliere per l’arte contemporanea del ministro della Cultura Urbani, è frutto di una ricerca sensoriale su se stessi per rendere le descrizioni più accattivanti e vivide con la tecnica “show don’t tell”.

L’evento a ingresso gratuito si svolgerà presso l’ottocentesco cortile interno, tra rose, panche antiche e il piccolo ninfeo, una cornice che rende omaggio allo scrittore Guido Gozzano e che si addice ad un momento di pausa dalla quotidianità per dedicarsi alla lettura, all’arte, alla scrittura e alla danza.

 

Mara   Martellotta

Sarà estate “su di giri” a “Camera”

Negli spazi di via delle Rosine, a Torino, due grandi mostre dedicate all’americana Bourke-White e al bresciano Paolo Novelli

14 giugno/6 ottobre e 14 giugno/21 luglio

Due mostre “da lode”. Entrambe prendono il via giovedì 14 giugno. La prima é una retrospettiva che raccoglie 150 immagini della prima fotografa di “Life”, l’americana Margaret Bourke-White che si protrarrà fino a domenica 6 ottobre; la seconda è invece una personale che riunisce una selezione di opere di Paolo Novelli, che si concluderà domenica 21 luglio prossimo.

A cura di Monica Poggi, la rassegna dedicata a Margaret Bourke-White arriva nelle sale di “Camera” dopo il successo delle mostre dedicate ad altre due grandissime “signore” e “pioniere” della fotografia del Novecento, Eve Arnold e Dorothea Lange, alla cui altissima qualità operativa, ben s’affiancano gli scatti di Bourke-White (New York, 1904 – Stamford, 1971), capaci di raccontare la “complessa esperienza umana” sulle pagine delle più importanti riviste dell’epoca, superando con convinta determinazione tutte le barriere ed i confini di genere. L’artista, newyorkese del Bronx, fu la prima fotografa straniera ad ottenere il permesso di scattare foto in URSS e la prima donna fotografa a lavorare per il settimanale “Life”. La sua carriera professionale inizia nel 1927, con scatti “a tema industriale: “l’industria– affermava – è il vero luogo dell’arte … i ponti, le navi, le officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento”. All’orizzonte, erano ormai palesi i nefasti segnali della “Grande Depressione” e anche Margaret con il futuro marito, lo scrittore Erskine Caldwell, intraprende un viaggio “letterario – fotografico”, di appassionata ricerca e documentazione sociale, nel Sud, che la portò alla pubblicazione del libro “You Have Seen Their Faces”. Anno fatale, il 1936. Il 23 novembre di quell’anno, il primo numero della rivista “Life” utilizzò una sua foto per la cover, uno scatto dei lavori finiti (grazie al New Deal) della diga di Fort Peck, Montana. Un’immagine che fece il giro del mondo di cui troviamo preziosa testimonianza a “Camera”.

Immagine emblematica della modernità di una resa fotografica in bianco e nero dove appare forte l’attrazione per una certa “pittura cubista” – la sovrapposizione dei piani, le ben definite geometrie astratte, così come la “riduzione dell’immagine compositiva da tridimensionale a bidimensionale” – non meno che per narrati di forte suggestione “onirico-metafisica” trainati nel tempo, fino agli anni Cinquanta, da basilari cifre astratte che la porteranno anche a tentare, con notevole successo, interessanti esperimenti di “fotografia aerea” sempre composti nel matematico rigore delle forme. Tanti i reportages per “Life”: dalla seconda Guerra Mondiale all’assedio di Mosca, dalla guerra in Corea alle rivolte sudafricane. Fu in Russia nel ’41, quando venne invasa dai nazisti e, grazie (pare) all’intervento di Roosevelt, scattò il primo ritratto (non ufficiale, ma l’unico per molti anni) di Stalin, con circolazione autorizzata al di fuori dell’URSS. Fotoreporter, a seguito dell’esercito americano, documentò anche l’entrata delle truppe statunitensi a Berlino e gli orrori di Buchenwald. Il tragico stop nel ’53, quando, all’età di soli 49 anni, venne colpita dal “morbo di Parkinson”. Anni di fatica, di coraggio e dolore, in cui prevalentemente si dedicò a scrivere la sua autobiografia “Portrait of Myself”, pubblicata nel 1963. Fino alla morte, dopo una caduta nella sua casa di Darien (Connecticut), all’età di soli 67 anni.

Fino a domenica 21 luglio, la “Project Room” di “Camera” ospiterà invece, sotto la curatela del direttore artistico del Centro, Walter Guadagnini“Il giorno dopo la notte”, personale di Paolo Novelli (classe ’76), fra i più noti esponenti della fotografia contemporanea di ricerca, “filosoficamente” legato al tema assai praticato dell’“incomunicabilità”. La mostra riunisce due cicli di lavori del fotografo bresciano (“La notte non basta” e “Il giorno non basta”) realizzati fra il 2011 ed il 2018, in “analogico” in un rigoroso bianco e nero. Unico il soggetto: le “finestre”, fissate al chiarore del giorno o al chiaro di luna, “attrici” di per sé assai poco seducenti sulle facciate di edifici, a far da “quinta”, ancor meno seducenti. Il primo ciclo presenta uno scorrere di “notturni”, dove le finestre (coperte da persiane chiuse) fanno capolino dal buio “dialogando con la luce dei lampioni”; il secondo si concentra sulla luce diurna che tocca le sagome geometriche delle finestre “murate”, forme astratte, minimali, sulla superficie dell’edificio. A dominare è proprio il senso dell’“incomunicabilità”, dell’assenza di afflati umani e dell’inefficienza del giorno e della notte. Entrambi fuori gioco, “in un morandiano affondo misterico”, nell’imprimere una svolta alle “magagne” quotidiane.

Gianni Milani

Margaret Bourke-White e Paolo Novelli

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Dal 14 giugno al 6 ottobre

Orari: lun. – dom. 11/19; giov. 11/21

Nelle foto: Margaret Bourke-White “Fort Peck Dam”, 1936 e “Douglas Four Over Manhattan”, 1939; Paolo Novelli “Days n. 3”, 2018 e “Study n. 2”, 2011

Gli appuntamenti culturali della Fondazione Torino Musei

SABATO 15 GIUGNO

 

Sabato 15 giugno ore 10

MISTERI AL MUSEO

Palazzo Madama – attività per famiglie a cura di Cultural Way e Misteri in villa

Hai mai risolto un giallo tra dipinti, sculture e opere d’arte?

Arriva Misteri al Museo! Un nuovo format interattivo in cui insieme alla tua squadra ti troverai all’interno di una vera e propria indagine comedy da risolvere. I partecipanti divisi in team completeranno un percorso accompagnati dai personaggi della storia alla scoperta dell’incredibile bellezza di Palazzo Madama! Un’esperienza avvincente adatta ad ogni tipo di pubblico.

Le visite spettacolo sono a cura di Misteri in villa e CulturalWay.

Costo visita spettacolo: € 15 (biglietto di ingresso al museo non incluso)

Prenotazione obbligatoriainfo@culturalway.it / www.culturalway.it / 339 3885984 (anche su WhatsApp)

DOMENICA 16 GIUGNO

 

Domenica 16 giugno ore 16:30

BUDDHISMO: aspetti storici, culturali e iconografici nelle collezioni del MAO

MAO – Visita guidata speciale a cura di Theatrum Sabaudiae

Il percorso di visita trasversale si concentrerà sui nuclei di opere afferenti al Buddhismo trattandone origini e ramificazioni in riferimento alle diverse tradizioni dei paesi asiatici che trovano rappresentazione nelle collezioni del MAO e relative interazioni, specificità ed elaborazioni figurative a livello stilistico e simbolico. L’itinerario inizia nelle sale dedicate alla produzione artistica dell’Asia meridionale dalle più antiche espressioni dell’arte buddhista al successivo sviluppo della raffigurazione antropomorfa del Buddha, per proseguire con l’arte di Sud Est asiatico, Cina e Giappone, soffermandosi sulle interpretazioni artistiche esito dell’incontro della diffusione del Buddhismo con creatività e sensibilità locali, e concludere con il peculiare linguaggio della Regione Himalayana, manifestazione materiale della complessa ritualità e iconografia della tradizione Vajrayana. L’esperienza si propone anche come riflessione sulla funzione originaria di soggetti e manufatti in esposizione per riscoprirne valenza religiosa e utilizzo cultuale.

Info e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30)

Costi: 6 € a partecipante

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; gratuito per possessori di Abbonamento Musei.

 

MERCOLEDI 19 GIUGNO

Mercoledì 19 giugno dalle 10 alle 15:30

TRADURRE L’IMMAGINARIO DA SHIRAZ A FIRENZE: L’ARTE VISIVA DEL LIBRO DEI RE AL MAO

MAO – giornata di studi a cura di Veronica Prestini nell’ambito del public program della mostra Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded

Intervengono Veronica Prestini, Francesca Gallori, Michele Bernardini, Nicoletta Fazio, Francis Richard, Giancarlo Porciatti.

Nella cornice del public program di Tradu/izioni d’Eurasia Reloaded, il MAO propone per mercoledì 19 giugno dalle 10 alle 15:30 una giornata di studi aperta al pubblico sullo Shahnameh, Il libro dei re, prezioso manoscritto illustrato del XVI secolo opera del poeta persiano Ferdowsi, giunto in prestito in occasione dell’esposizione dalla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

Il manoscritto è presentato all’interno del percorso di mostra in dialogo con alcuni tessuti e ceramiche ottomane decorate con il motivo del cintamani, caratterizzato dalla presenza di tre sfere disposte a triangolo spesso accompagnate da due o più strisce ondulate, che a loro volta rimandano alla pelle di tigre e di leopardo, le vesti che indossa Rostam, l’eroe protagonista dell’epica raffigurato nelle finissime miniature dello Shahnameh. Un’intricata sovrapposizione di simbologie e tradizioni transitate dall’antico mondo iranico a quello turco.

L’esposizione del codice al MAO è stata resa possibile grazie a un delicato e complesso processo di restauro e digitalizzazione eseguito con il contributo del MAO e dell’Istituto per l’Oriente C. A. Nallino di Roma, operazione che ne consentirà anche una più semplice fruizione da parte della comunità di studiosi.

Ingresso libero.

(comunicato stampa in allegato)

 

Mercoledì 19 giugno ore 16.30

PIANTE OFFICINALI E D’ORNAMENTO

Palazzo Madama – Lezioni botaniche “Primavera nel Giardino Botanico Medievale”

La grande varietà di piante utili coltivate nel Giardino Botanico Medievale ci consente di osservare portamenti, fogliami e fioriture di ogni tipo e di grande aiuto per rendere più ornamentali i nostri giardini e balconi: liquirizia e enula campana, altea e malva, saponaria e artemisia sono ingredienti di molte ricette in erboristeria e cosmetica ma occupano anche prati e aree selvatiche in molti ambienti del nostro territorio e per questo è utile prendere ispirazione sulle loro strategie di sopravvivenza e colonizzazione degli spazi.

Costo per ogni incontro: 5€ ingresso in giardino (gratuito Abbonati Musei) + 5€ ogni incontro

Durata: 1 ora

Info e prenotazioni: tel. 011 4429629; e-mail: madamadidattica@fondazionetorinomusei.it
Prenotazione consigliata.

 

GIOVEDI 20 GIUGNO

 

Da giovedì 20 giugno al 9 settembre 2024

TEATRI E TEATRINI. Le arti della scena tra Sette e Ottocento nelle collezioni di Palazzo Madama

Palazzo Madama – apre la nuova mostra a cura di Clelia Arnaldi di Balme

La mostra presenta una selezione di materiali relativi alla storia del teatro, fra cui diversi nuclei di disegni scenografici: dalle opere di Filippo Juvarra per il teatro del cardinale Ottoboni contenute nei primi due volumi di disegni dell’architetto messinese, ai bozzetti scenografici dei Galli da Bibiena, dei fratelli Bernardino, Fabrizio e Giuseppe Galliari, di Pietro Gonzaga e di Romolo Liverani, realizzati per opere in musica messe in scena nei teatri di Torino, Milano e Parma dal 1750 a tutto il secolo successivo.

Accanto a questi capolavori grafici sono collocati il dipinto di Giovanni Michele Graneri che ritrae l’interno del Teatro Regio di Torino con la rappresentazione del Lucio Papirio del 1752, e il ventaglio raffigurante il Teatro Regio e il Teatro Carignano con i palchi e i nomi degli occupanti nella stagione teatrale del 1780 – 1781. La mostra è anche l’occasione per esporre una selezione di scenari per teatrini di marionette del XIX secolo, giunti a Palazzo Madama grazie al legato di Mario Moretti (1984). Si tratta di una serie di quindici fondali, ancora montati sulle bacchette originali, provenienti dal teatro detto di San Martiniano in Via San Francesco d’Assisi a Torino (sito presso la chiesa dei Santi Processo e Martiniano, oggi non più esistente), dove operava la compagnia Lupi – Franco. I soggetti raffigurati erano di attualità storico-politica e patriottici, in stretta relazione con gli ideali risorgimentali, e spesso questi oggetti riproducevano opere e balli rappresentati nei teatri veri e propri, talvolta con modifiche e revisioni critiche. Le scene erano realizzate dagli stessi pittori che operavano al Teatro Regio e al Carignano: tra gli altri, Giuseppe Bertoja, Giovanni Venere, Giuseppe Maria Morgari.  In mostra saranno inoltre presentati sei fondali e un teatrino, ovvero la struttura entro cui venivano montati e conservati i teli, provvisto di aste e pennacchi lignei.

Info: https://www.palazzomadamatorino.it/it/evento/teatri-e-teatrini-le-arti-della-scena-tra-sette-e-ottocento-nelle-collezioni-di-palazzo-madama


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Lo sbarco in Normandia e “i lunghi singulti dei violini d’autunno” di Verlaine

Per diverse settimane, dopo le imponenti celebrazioni ufficiali, la Normandia ospiterà le rievocazioni storiche in occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco alleato del 6 giugno 1944 che aprì il secondo fronte europeo contro le armate del Terzo Reich, allo scopo di alleggerire il fronte orientale dove da tre anni l’Armata Rossa sovietica stava combattendo contro i tedeschi. Una vicenda che cambiò la storia europea, imprimendo una svolta al secondo conflitto mondiale, iniziata molto tempo prima quando venne pensata e organizzata l’imponente operazione militare tra la penisola del Cotentin e la zona di Caen, capoluogo del Calvados normanno, preparando mezzi e truppe, considerando il meteo, le distanze marine, le maree. L’annuncio dello sbarco venne dato con delle frasi in codice trasmesse da Radio Londra utilizzando la poesia Canzone d’autunno di Paul Verlaine. Furono utilizzati i primi versi (“I lunghi singulti dei violini d’autunno” ) il primo giugno e poi i versi successivi al massimo nelle 48 ore precedenti l’attacco per avvertire la Resistenza francese. Il terzo e il quarto verso della poesia (“mi lacerano il cuore di un languore monotono”) arrivarono la sera dal 5 giugno 1944. All’alba del giorno dopo ebbe inizio la più grande offensiva militare della storia. In quello che verrà ricordato come il “giorno più lungo” – in codice, operazione Overlord – gli anglo-americani impiegarono un impressionante numero di uomini e mezzi. Circa 150mila soldati americani, britannici, canadesi, polacchi e francesi attraversarono il Canale della Manica, trasportati o appoggiati da quasi 7 mila navi e 11 mila aerei, sbarcando su cinque spiagge – ribattezzate Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword– nel tratto di costa normanna che si estende per circa un centinaio di chilometri tra Le Havre e Cherbourg. I nazisti del Terzo Reich avevano costruito, dalla Norvegia al sud della Francia, un sistema di bunker e fortificazioni conosciuto come il Vallo Atlantico ed erano convinti che un eventuale sbarco alleato sarebbe avvenuto nel Pas de Calais, nel punto in cui la costa inglese e quella francese sono più vicine. E lì avevano concentrato gran parte delle loro forze.

L’operazione Overlord avvenne invece più a sud, sulle spiagge di Nomandia e la battaglia divampò violentissima. Nel primo giorno dello sbarco furono più di diecimila le perdite alleate tra morti – oltre un terzo del totale – feriti, prigionieri e dispersi. Oltre novemila quelle tedesche. Sul litorale della Côte de Nacre, la splendida costa di madreperla, da Deauville a Cherbourg, da Arromanches al promontorio della Pointe du Hoc, si consumò una delle vicende più drammatiche e sanguinose della storia del Novecento. Il panorama stupendo che domina e s’affaccia sull’oceano rende quasi impossibile immaginare tanta violenza e dolore. Eppure basta guardarsi attorno per vedere ancora le ferite prodotte dai campi di battaglia: voragini aperte nel terreno dalle bombe piovute dal cielo e dal mare, resti delle casematte e dei pontoni sulle spiagge, bunker e postazioni d’artiglieria pesante, i tanti cimiteri e musei di guerra disseminati ovunque a testimoniare ciò che accadde ottant’anni fa. Lo sbarco in Normandia fu decisivo per la vittoria degli alleati che ad un prezzo altissimo riuscirono a conquistare una testa di ponte, combattendo per altri due mesi prima che l’esercito tedesco cedesse e cominciasse una ritirata che sarebbe finita soltanto ai confini della Germania. La battaglia di Normandia durò dal 6 giugno al 25 agosto del 1944, con la liberazione di Parigi, e fu una delle più cruente tra quelle combattute sul fronte occidentale, costando più di 70mila morti fra gli alleati e oltre 200mila fra i tedeschi. Altri 20mila furono i morti fra i civili. Moltissimi di quei soldati caduti riposano oggi nei 30 cimiteri distribuiti in tutta la regione, dei quali 22 nel solo dipartimento del Calvados. Ci sono quelli canadesi di Bretteville-sur-Laize e Bény-Reviers e quelli britannici (ben sedici), a partire da Bayeux, una delle prime città ad essere liberate dai nazisti dove, il 16 giugno 1944, il Generale De Gaulle tenne il suo primo discorso sul suolo francese libero. Il cimitero di Bayeux raccoglie le spoglie di quasi quattromila combattenti britannici e un memoriale che ricorda i 1809 soldati del Commonwealth che non hanno ricevuto una sepoltura. C’è quello imponente di Colleville-sur-Mer, il più famoso cimitero americano della seconda guerra mondiale in Europa che ospita, allineate sotto le croci bianche, le tombe di 9387 soldati caduti durante lo sbarco e i combattimenti che seguirono, situato sulle alture che sovrastano la spiaggia ribattezzata “bloody Omaha”, la sanguinosa Omaha. Quindici chilometri più a sud, quasi sperduto nella campagna, non distante dal piccolo abitato di La Cambe c’è il cimitero dove riposano i corpi di 21.222 soldati tedeschi, il doppio di quelli sepolti a Colleville. Non c’è vigilanza armata e nemmeno un religioso silenzio lì attorno, essendo quasi ai bordi dell’autostrada Parigi-Cherbourg, dove rombano le auto e i Tir. Non è a ridosso della linea del fronte, affacciato sulle spiagge del D-day. In quel tempo era una retrovia. Eppure, nonostante quello di La Cambe sia “un cimitero dei vinti” è pienamente percepibile forse più lì che altrove l’orrore, la violenza e l’incubo della guerra. Una scritta in pietra ammonisce in tedesco “dunkel ist”, è buio. Buio come il tempo che ci è dato vivere, con le guerre in Medio Oriente e ai confini europei dell’Est, a riprova che, con buona pace di Cicerone, la storia non è quasi mai maestra di vita. Buio come il destino dei tanti che caddero su entrambi i fronti nel 1944, sotto quella luce del nord di Normandia che gli impressionisti immortalarono sulle loro tele fondando la loro straordinaria corrente artistica che celebra quest’anno il suo secolo e mezzo di vita.

Marco Travaglini

Dimensione poetica nell’incontro promosso dalla Dante Alighieri di Torino

 

 

Giovedì 13 giugno, alle ore 18, presso la sede della Dante Alighieri, vi sarà un incontro tra i poeti torinesi Elettra Bianchi, Franco Canavesio, Mario Parodi, Max Ponte, Eugenio Salomone, Patrizia Valpiani, Enrico Vercesi e Franco Villa. L’incontro è curato da Patrizia Valpiani, Presidente onoraria dei Medici Scrittori Italiani che, parallelamente all’attività sanitaria, coltiva da sempre la passione letteraria, ricevendo vari premi e riconoscimenti, autrice di numerose opere di narrativa e poesia, è socia del comitato torinese della società Dante Alighieri da diversi anni e ideatrice del Cenacolo della poesia dei Medici Scrittori di Torino. Il Presidente del comitato torinese, Giovanni Saccani, introdurrà la serata. L’evento avrà luogo presso lo Studio 17, in via Cesare Battisti 17, presso la sede del comitato di Torino.

 

Mara Martellotta

La finale di Incipit offresi con Eugenio in Via Di Gioia

Giovedì 6 giugno, ore 21

Villa La Tesoriera, corso Francia 186, Torino  

INCIPIT OFFRESI

Dopo 19 tappe in 6 regioni – Piemonte, Valle d’Aosta, Umbria, Liguria, Campania, Lazio – si conclude la nona edizione del primo talent letterario itinerante giovedì 6 giugno a La Tesoriera, in occasione dell’Evergreen Fest. L’ultima sfida a colpi di incipit sarà condotta da Eugenio Cesaro degli Eugenio in Via Di Gioia, special guest. Presentano Chiara Pacilli, giornalista e conduttrice tv e Giorgia Goldini, attrice, autrice e comica, accompagnati dalle musiche di Enrico Messina e della violinist performer Marta Pistocchi. Tra gli ospiti, il valdostano Simone Torino, classificatosi l’anno scorso al secondo posto, vincitore della XXXVII edizione del Premio Italo Calvino, assegnato martedì 4 giugno, con il romanzo “Macaco”, il cui incipit è stato presentato proprio a Incipit Offresi 2023.

Incipit Offresi è ideato e promosso dalla Fondazione ECM – Biblioteca Civica Multimediale di Settimo Torinese. In 8 anni Incipit Offresi ha scoperto più di 60 nuovi autori, pubblicato 70 libri e coinvolto più di 10mila persone, 30 case editrici e più di 50 biblioteche e centri culturali. Incipit Offresi è un vero e proprio talent della scrittura, un’occasione innovativa per diventare scrittori, una scommessa basata su poche righe, un investimento sulle potenzialità dell’autore. La vera chance dell’iniziativa è la possibilità offerta agli aspiranti scrittori di incontrare e dialogare direttamente con gli editori coinvolti nelle varie fasi del progetto, farsi conoscere e raccontare la propria idea di libro.

Gli 8 finalisti avranno 60 secondi di tempo per leggere il proprio incipit o raccontare il proprio libro. In una sfida uno contro uno, gli aspiranti scrittori saranno giudicati dal pubblico presente in sala. I concorrenti primo e secondo classificato riceveranno rispettivamente un premio in denaro di 1.500 e 750 euro; saranno inoltre messi in palio, fra tutti i partecipanti alla finale, il Premio Italo Calvino, Indice dei Libri del Mese, Golem, Leone Verde, Circolo dei Lettori ed eventuali altri premi assegnati dagli editori.

I finalisti: la 26enne Carlotta Marricco da Aosta; il 45enne Mauro Bennici di Nichelino (TO); l’imprenditrice Bianca Brotto da Manerba del Garda (BS); il 64enne Luigi Callegaro di Torino; Riccardo Nigra di 20 anni, il più giovane concorrente, da Venaria Reale (TO); il 23enne Christian Mella di Bollate (MI); Sandra Puccini da Quarrata-Pistoia (PT); Fausto Bruno Campana di Impruneta (FI).

Incipit Offresi è un’iniziativa ideata e promossa dalla Fondazione ECM – Biblioteca Archimede di Settimo Torinese, con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo e la collaborazione di Emons Edizioni, Fondazione Circolo dei lettori e FUIS – Federazione Unitario Italiana Scrittori. 

Il Premio Incipit e il campionato sono dedicati a Eugenio Pintore per la passione e la professionalità con cui ha fatto nascere e curato Incipit Offresi.

INFO

Giovedì 6 giugno, ore 21

Evergreen Fest – Villa La Tesoriera, corso Francia 186, Torino

Incipit Offresi, la finale

www.incipitoffresi.itinfo@incipitoffresi.it

Arnaldo Morano, il magnifico sognatore

 

Imitazione libera da ogni vincolo, pensiero d’avanguardia in nome delle leggi autonome dell’arte 
Della vita del maestro liutaio torinese non si apprende granché e questo testo ha lo scopo di tracciare un profilo su genio e strategia della sua passione, o meglio il testamento artistico come visione di se stesso. Le motivazioni che l’hanno avviato a quest’arte hanno contribuito ad un successo tale da essere apprezzato e inserito nel contesto internazionale, perseguendo l’obbiettivo a scopo personale. Con l’esperienza ereditata nella falegnameria del padre e il bisogno di nutrirsi di situazioni nuove e concrete, il giovane Arnaldo (1911-2007) frequentò la scuola violinistica e col desiderio di possedere uno strumento personale costruì il primo violino come autodidatta nel laboratorio di Rosignano Monferrato, luogo d’origine paterna, dove costruì il suo primo quartetto d’archi commissionato dal Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi di Torino. Il richiamo alle armi segnò un intervallo al suo progetto, si trasferì a Torino dove riprese l’attività nei suoi laboratori in corso Cairoli e in via Mazzini di fronte al Conservatorio, ritornando al luogo d’adozione monferrino dopo il 1967.
Era attratto unicamente dal passato, seguace e studioso dei grandi italiani che produssero l’eccellenza della liuteria mondiale dal 1600 a metà 1700: Stradivari, Guarneri del Gesù e Guadagnini. Egli ebbe modo di studiare a fondo il proprio ruolo e con l’accurata selezione e preparazione dei materiali è ancora oggi considerato uno dei più grandi costruttori e restauratori internazionali. Ebbe l’intuizione di utilizzare, dopo molti esperimenti, una vernice a base di olio di lino e resine vegetali che permettevano una coloratura molto accurata, flessibilità degli spessori e capacità di conferire un suono originale ed eccellente agli strumenti, elemento indispensabile della liuteria. Le mostre  espositive e i concorsi francesi, americani e italiani di Cremona, Milano e S.Cecilia di Roma gli procurarono diversi riconoscimenti e diplomi, tra i quali il primo premio con medaglia d’oro per un violino e il quarto per una viola da lui costruiti per il concorso internazionale di liuteria contemporanea di Cremona del 1949 durante le celebrazioni dedicate a Stradivari.
Il violino premiato fu iscritto con il n.32 nel registro del Museo Civico di Cremona, rappresentando il suo passaporto artistico. L’ammirazione per la sua intelligenza creativa, prospettiva concreta ed essenziale dei grandi personaggi, ridestò l’attenzione dei suoi colleghi e allievi: Collini di Crema, Gallinotti di Solero, Bondanelli di Novara, Negri di Casale, Bonino di Pinerolo e Volpi di Rosignano. Negli spazi comunali interni al teatro comunale di Rosignano, già intitolati Saloni Morano nel 2012, fu inaugurata nel 2018 una vera e propria bottega di strumenti di lavoro artigianali, ereditati dai nipoti, con soluzioni chimiche e barattoli di vernice creando uno spazio espositivo d’eccellenza sulla storia della liuteria classica mondiale. La qualità ha prevalso sulla poca produzione di Morano che puntava al restauro di strumenti classici di ogni epoca.
Elemento di bravura fu la costruzione ex novo di una viola Maggini (1580-1630) appartenuta al violista romano Sciolla e il restauro dello Stradivari “Van Houten” del 1701, appartenuto al violinista, compositore e direttore d’orchestra francese Rodolphe Kreutzer, conosciuto per la Sonata n.9 in la maggiore per pianoforte e violino opera 47 di Beethoven a lui dedicata. L’opera rappresenta il passaggio tra il classicismo di Mozart e Haydn e l’anticipo del romanticismo di Schubert, uno dei massimi interpreti dell’epoca post illuminista. La Sonata a Kreutzer è famosa per il drammatico e tempestoso “Presto” del primo movimento che ispirò l’omonimo romanzo breve dello scrittore russo Lev Tolstoj, opera pervasa dal fluire delle passioni e dei sensi. Oggi questo strumento è utilizzato dal nostro celebre violinista Uto Ughi che definì Arnaldo Morano “il più grande liutaio del mondo”.
Armano Luigi Gozzano

Roberto Saviano: intervista all’autore di “Noi due ci apparteniamo”

A quasi vent’anni dalla pubblicazione di “Gomorra“, il libro che ha cambiato per sempre il corso della sua vita e ha consacrato la sua figura di autore internazionale, Roberto Saviano torna in libreria con “Noi due ci apparteniamo” edito da Fuori scena. Potente e affascinante, Saviano racconta nuovamente la realtà mafiosa con un reportage narrativo innervato di storie inedite e resoconti giudiziari. L’autore mette al centro della narrazione l’amore, il sesso e la passione e l’influenza che le stesse hanno sull’andamento e sui delicati equilibri delle organizzazioni criminali. Quella condotta da Saviano è un’analisi profondissima, delicata e del tutto inedita perché arricchita da episodi privati e, talvolta spiazzanti, della vita dei personaggi che animano queste pagine. Il testo studia anche il nuovo ruolo rivestito dalle donne e di come stiano sovvertendo le regole istituzionalmente costituite. Quello che colpisce è però l’umana e profondissima domanda che si pone l’autore riprendendo una questione che già il Macchiavelli aveva indagato ne “Il principe”: è meglio essere amati piuttosto che temuti, o se è meglio esser temuti piuttosto che amati.

Ne abbiamo parlato direttamente con l’ autore Roberto Saviano.

Riprendendo questa filosofica questione, già sondata dal Machiavelli, qual è risposta?

Come diceva l’autore, nell’animo umano vi è la spinta ad essere l’una e l’altra cosa, ma è difficile mettere insieme il timore e l’amore. Machiavelli arriva alla conclusione che tra le due risulta molto “più sicuri esser temuti piuttosto che amati”. Infatti timore desta la conseguente paura di essere puniti ed è persistente nel tempo. L’amore è in continua evoluzione ed è soggetto a mutamenti, quindi, un giorno potrebbe anche venire meno. Questo concetto è ben chiaro alle organizzazioni criminali ed è per questo Raffaele Cutolo diceva che “non si può ragionare con il cuore ma solo con la testa”.

Dal suo racconto sembra che non vi sia posto per un sentimento d’amore vero nelle organizzazioni criminali. Questo perché inevitabilmente amore e tragedia vanno di pari passo?

Non solo nel mondo criminale, ma nella vita in generale sono due concetti che viaggiano in parallelo. Nelle organizzazioni l’amore viene percepito come quel qualcosa che conferisce una certa libertà che, però, i clan non possono concederti. Inevitabilmente se ti innamori “sei fuori controllo”, sei soggetto al giudizio e anche al divieto dal fare o non fare determinate cose: se ami non puoi stare alle regole dettate da loro. Per tale ragione l’amore è l’atto più pericoloso, perché è il più incontrollato. Quando in queste situazioni si ama, probabilmente, ci si sta già condannando a morte.

Anche loro però “cercano dei momenti di pace” dove far ristorare la loro anima. Dalle sue indagini, dov’è emersa più chiaramente questa ricerca?

L’ho percepito anche vedendo il modo in cui scappano e cercano delle compagne che non c’entrano nulla con l’organizzazione. Lo fanno anche solo per parlare di tematiche che si differenzino da quelli a cui sono abituati a discutere a casa loro: è un’evasione dall’ orrore che vivono.

Quindi nella vita più ritirata, come descrive nel libro, cercano la pace e forse l’amore.

In quel momento trovano un conforto e abbassano le difese. Spesso proprio allora vengono arrestati: è l’unico attimo in cui non si segue una procedura o una gestione specifica, ma si vivono dei momenti spontanei. Anche loro hanno il desiderio di vedere la persona che amano ed escono dal controllo delle regole. Se una persona ti manca o vuoi a tutti i costi vederla è difficile che si possa assecondare la prudenza. Anzi l’imprudenza che porta alla persona amata diventa la cosa più importante e decidono di esporsi.

Discostandoci dalle tematiche del libro, nel corso della conferenza ha parlato anche di libertà di espressione e ha detto che “il corpo è il più importante grimaldello che abbiamo per la nostra libertà“. Secondo Lei è così nella società odierna?

Purtroppo no, perchè viviamo ancora in una società molto bigotta.

 Valeria Rombolà