CULTURA- Pagina 19

Il Magnanimo si affaccia sulla “sua” piazza

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Alla scoperta dei monumenti di Torino / L’idea di erigere un monumento in onore di Carlo Alberto risale al 1847 sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalle riforme politiche che trovarono una formulazione costituzionale nello Statuto che porta il suo nome

Nel centro della piazza e rivolto verso Palazzo Carignano, il monumento si presenta su tre livelli. Sul più alto posa la statua equestre in bronzo del Re con la spada sguainata in atteggiamento da fiero condottiero. Al livello del piedistallo, che sorregge il ritratto equestre, sono collocate (all’interno di nicchie) le statue in bronzo in posizione seduta raffiguranti le allegorie del Martirio, della Libertà, dell’Eguaglianza Civile e dello Statuto. Al livello centrale sono collocati quattro bassorilievi che ricordano due episodi delle battaglie di Goito e di Santa Luciarisalenti alla Prima Guerra di Indipendenza, mentre gli altri due, rappresentano l’abdicazione e la morte ad Oporto di Carlo Alberto. Agli angoli del piano inferiore, infine, sono poste quattro statue in posizione eretta, raffiguranti corpi dell’Esercito Sardo, quali l’Artiglieria, la Cavalleria, i Granatieri e i Bersaglieri.

 

L’idea di erigere un monumento in onore di Carlo Alberto, detto il Magnanimo, risale al 1847 sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalle riforme politiche che trovarono una formulazione costituzionale nello Statuto che porta il suo nome. Fu un comitato promotore, composto da illustri uomini politici e del mondo della cultura guidato da Luigi Scolari, seguito a ruota dal Municipio di Torino, ad ideare il programma di una pubblica sottoscrizione da sottoporre all’allora ministro dell’Interno Des Ambrois. Seguì un lungo e appassionato dibattito parlamentare volto anche alla individuazione del luogo più adatto ad accogliere il monumento, interrotto brevemente in seguito ai Moti del 1848. L’andamento del dibattito subì una repentina svolta con la morte in esilio di Carlo Alberto nel luglio 1849: da quel momento la commissione istituita per la realizzazione del monumento attribuì all’iniziativa “il valore assoluto di precetto morale e insegnamento perenne”.

Nell’agosto del 1849 l’iniziativa venne ufficializzata da un progetto di legge, uno stanziamento di 300.000 lire e l’apertura di un concorso pubblico. Con una legge del 31 dicembre 1850 la gestione del progetto e le decisioni relative al monumento passarono al Governo e venne infatti nominata, in seguito, una commissione presieduta dal Ministro dei Lavori Pubblici Pietro Paleocapa. Si dovette però attendere fino al 20 maggio del 1856 per ottenere, dalla Camera e dal Senato, il voto che sancì la convenzione con Carlo Marocchetti, lo scultore scelto dal Ministero dei Lavori Pubblici per la realizzazione dell’opera, e lo stanziamento dei fondi necessari per la sua esecuzione (675.000 lire). A Marocchetti, il Ministero riconobbe “la piena e libera facoltà di modificare d’accordo con il Ministero […] il disegno in tutti i particolari limitandosi però sempre all’ammontare della spesa”.

In seguito, fu sotto suggerimento di Edoardo Pecco (l’ingegnere capo del Municipio che seguiva la realizzazione di tutti i lavori di sistemazione della nuova piazza Carlo Alberto) che la statua venne orientata in asse con palazzo Carignano, in modo da poterla cogliere anche dalla piazza omonima attraverso il cortile aperto al passaggio pubblico.L’inaugurazione avvenne il 21 luglio del 1861, cioè pochi mesi dopo l’unificazione d’Italia, con cerimonia solenne, nella quale il capo del governo Ricasoli tratteggiò la figura di un re che aveva configurato e preparato i destini di una nuova Italia.  Per quest’opera a Marocchetti venne riconosciuta la Gran Croce dell’Ordine di San Maurizio.

In tempi recenti, la piazza ha attraversato fasi di vita e utilizzo comuni ad altre piazze storiche del centro cittadino. E’ stata percorsa dalle auto e poi successivamente resa pedonale. E’ una delle piazze più vissute dagli studenti, al punto da essere anche soprannominata “la piazzetta”. Ridisegnata con spazi verdi e raccordata con le vie Cesare Battisti e Lagrange, anch’esse pedonali, tutte insieme creano un perfetto ed elegante percorso tra i musei. Infatti sulla piazza Carlo Alberto si affacciano il Museo Nazionale del Risorgimento nel Palazzo Carignano (sede del primo Parlamento italiano) e la Biblioteca Nazionale, mentre in via Lagrange è situato il Museo Egizio.

Simona Pili Stella

I Templari in Val di Susa

 Andare in montagna significa anche scoprire la storia delle nostre vallate, dei nostri borghi, della gente che ci abita, di tradizioni e costumi che sembravano perduti ma che in realtà sono ancora vivi e presenti e ci raccontano storie che neanche conoscevamo.

Recarsi per esempio in Val di Susa, così vicina a Torino e così ricca di memorie storiche, significa ripercorrere fatti ed eventi che affondano le radici ben prima dell’era cristiana. Da Annibale che con 30.000 uomini e 37 elefanti da battaglia valicò nel 218 a.C. il Moncenisio o forse il Monginevro, ma non si escludono altri passaggi come sul Piccolo San Bernardo o addirittura sul Monviso, ad Augusto che a Susa, 2000 anni fa, di ritorno dalla Gallia, si fermò a Segusium (Susa romana) per fare la pace con le bellicose tribù delle Alpi Cozie. Da Costantino il Grande che nel 312, proveniente dalla Britannia e diretto a Roma, scese a Susa per sbaragliare le truppe dell’usurpatore Massenzio fino a Carlo Magno che alle Chiuse di Susa (le rovine delle fortificazioni sono ancora parzialmente visibili) sconfisse nel 773 i Longobardi di Desiderio che il torinese Massimo d’Azeglio ha illustrato in un prezioso bozzetto. Grande storia, grandi eventi hanno segnato la Val di Susa ma ci sono anche storie minori o anche solo oggetti e simboli che ci ricordano il passaggio da queste parti di personaggi altrettanto importanti. Come i Templari che spuntano ovunque, come i funghi in Val Sangone, e spesso vengono visti in luoghi dove in realtà non sono mai stati. E proprio una leggenda valsusina narra che i Templari sarebbero saliti alla Sacra di San Michele arrampicandosi, a piedi e a cavallo, sul monte Pirchiriano ottocento anni fa. I Cavalieri del Tempio si sarebbero ritrovati nell’antica abbazia per trattare il passaggio di alcuni monaci alla Confraternita esoterica e religiosa dei Rosacroce. Tre croci incise nella pietra accanto alla porta dell’Abbazia, la Porta di Ferro, dimostrerebbero l’attendibilità dell’incontro. È probabilmente solo un racconto popolare ma tra il Piemonte e i Templari, ordine religioso-militare fondato nel 1119, poco dopo la prima Crociata, c’è sempre stato un forte legame storico. Si sa infatti con certezza che i Templari furono presenti in molte città e paesi del Piemonte, tra cui, Cuneo, Alba, Ivrea, Moncalieri, Torino, Chieri, Casale, Vercelli e Novara. Anche in Val di Susa è stato registrato un certo via vai di templari. Da fonti storiche risulta che il più antico insediamento templare, risalente al 1170, fu presumibilmente quello di Susa e presenze templari sono state individuate nella vicina San Giorio, a Villar Focchiardo e a Chiomonte. Sorprendente e imprevisto è stato il ritrovamento negli anni Novanta, da parte di alcuni esperti guidati dalla studiosa Bianca Capone Ferrari, di alcune croci templari nel piccolo comune di San Giorio, alle porte di Susa. Una croce è murata nella facciata della canonica che in tempi antichi era quasi certamente una fortezza da cui si controllavano i movimenti nella valle attaversata dalla Dora Riparia mentre sull’arco del portale laterale di una cappella del XIII secolo, che si trova nei pressi della chiesa parrocchiale, risplende un’altra croce templare. Si ritiene pertanto probabile che a San Giorio fosse presente un presidio militare dei Cavalieri rosso-crociati a difesa della valle e del ponte sulla Dora. È stato finora impossibile accertare il luogo esatto dell’insediamento templare a Susa (forse si tratta della chiesa di Santa Maria della Pace sulla Dora), tuttavia esistono documenti che confermano la presenza in città di una “domus templi”, come dimostra la magnifica croce a otto punte scolpita in un fianco della cattedrale di San Giusto.

Filippo Re

(foto LIGUORI)

Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Oltre Torino: storie miti e leggende del Torinese dimenticato

È l’uomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nell’arte.
L’espressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo l’uomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo. Non furono da meno gli autori delle Avanguardie del Novecento che, con i propri lavori “disperati”, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto “Secolo Breve”. Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di “ricreare” la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i “ghirigori” del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa l’edera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di un’arte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che l’arte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

 

Torino Liberty

Il Liberty: la linea che invase l’Europa
Torino, capitale italiana del Liberty
Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
Liberty misterioso: Villa Scott
Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
La linea che veglia su chi è stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock

Articolo 1. Il Liberty: la linea che invase l’Europa

Ogni periodo storico è caratterizzato da un proprio particolare sentire, da scoperte e personaggi che ne delineano i tratti distintivi e, soprattutto, da forme artistico-letterarie-culturali che lo identificano. In questa serie di articoli voglio approfondire una peculiare corrente artistica, permeata di linee curve, con ornamenti di vetri e di pietre, uno stile che non solo interessò tutte le arti, dall’architettura, all’illustrazione, all’artigianato, all’oreficeria, ma divenne quasi un “modo di vivere”: il Liberty. Verso la fine del secolo XIX e l’inizio del XX nasce in Belgio un importante movimento, chiamato Art Nouveau che, opponendosi a tutte le accademie neoclassiche e neobarocche, applica la produzione industriale a forme d’arte, interpreta la linea con dinamismo espressivo, propone partiti decorativi che rompono con la fissità e danno movimento a pavimenti, scale, ringhiere, soffitti, modellano e curvano le pareti esterne, procurando vivacità e colore all’insieme. Tale movimento, che unifica in quei decenni lo slancio architettonico di tutta Europa, giunge in Italia con il nome di Liberty o Floreale, stile che ama applicare all’architettura ricercate forme decorative, spesso desunte dalla natura vegetale.  L’Art Nouveau influenza le arti figurative, l’architettura, le arti applicate, la decorazione di interni, gioielleria, mobilio, tessuti, oggettistica, illuminazione, arte funeraria, e assume nomi diversi, ma dal significato affine, a seconda dei luoghi in cui essa si manifesta: Style Guimard, Style 1900, Scuola di Nancy, in Francia; Stile Liberty, dal nome dei magazzini inglesi di Arthur Lasemby Liberty, o Stile Floreale, in Italia; Modern Style in Gran Bretagna; Jugendstil (“Stile giovane”) in Germania; Nieuwe Kunst nei Paesi Bassi; Styl Mlodej Polski (“Stile di Giovane Polonia”) in Polonia; Style Sapin in Svizzera; Sezessionist (Stile di Secessione”) in Austria; Modern in Russia; Arte Modernista, Modernismo in Spagna. Alla base del movimento vi è l’ideologia estetica anglosassone dell’Arts and Crafts di William Morris, fervido sostenitore della libera creatività dell’artigiano come unica alternativa alla meccanizzazione: una sorta di reazione alla veloce industrializzazione del tardo Ottocento. Arts and Crafts si volge alla riforma delle arti applicate portando avanti un’istanza sociale e morale che persegue il risorgere della produzione artigiana e l’attento studio del gotico come l’arte più dotata di spirito organico, volta a delineare planimetrie e forme “descrittive”, elementi nei quali l’indirizzo critico vuole vedere i germogli del rinnovamento architettonico.

L’Art Nouveau apre la strada all’architettura moderna e al design. Determinante per la diffusione di quest’arte è sicuramente l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, tuttavia anche altri canali ne segnano l’importanza: ad esempio la pubblicazione di nuove riviste, come L’art pour tous, e l’istituzione di scuole e laboratori artigianali. La massima diffusione del nuovo stile è comunque da rapportarsi all’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino del 1902, in cui vengono presentati progetti di designer provenienti dai maggiori paesi europei, tra cui gli oggetti e le stampe dei famosi magazzini londinesi del noto mercante britannico Arthur Lasemby Liberty. La nuova linea artistica, in rottura con la tradizione, è presente nelle grandi capitali europee, come Praga, con la grande figura di Moucha, Parigi in cui Guimard progetta le stazioni per la metropolitana, Berlino, dove nel 1898 i giovani artisti si dissociano dagli stili ufficiali delle accademie d’arte, intorno alla figura di Munch, Vienna, dove gli artisti della secessione danno un nuovo aspetto alla città.  Una delle caratteristiche più importanti dello stile, che presenta affinità con i pittori preraffaelliti e simbolisti, è l’ispirazione alla natura, di cui studia gli elementi strutturali, traducendoli in una linea dinamica e ondulata, con tratto “a frusta”, e semplici figure sembrano prendere vita naturalmente in forme simili a piante o fiori. Si stagliano in primo piano le forme organiche, le linee curve, con ornamenti a preferenza vegetale o floreale. Tra i materiali, vengono adoperati soprattutto il vetro e il ferro battuto. In gioielleria si creano alti livelli di virtuosismo nella smaltatura e nell’introduzione di nuovi materiali, come opali e pietre dure, nascono monili in oro finemente lavorato e smaltato; i diamanti vengono accostati ad altri materiali, come il vetro, l’avorio e il corno. Solo in Italia, a differenza degli altri territori prima chiamati in causa, il Liberty non si contrappone al passato o alla tradizione accademica dell’insegnamento e dell’esercizio delle arti, con la conseguenza che qui, sulla nostra penisola, non si consolidò mai una scuola di riferimento identificabile con il movimento Liberty, al contrario ci furono singole personalità artistiche che si dedicarono ad approfondire i caratteri dello stile floreale ed epicentri per la diffusione del gusto dell’arte nuova, tra questi poli di profusione ci fu proprio Torino. Nei prossimi articoli considereremo nel dettaglio alcuni palazzi e quartieri della città sabauda particolarmente suggestivi e rilevanti dal punto di vista decorativo e architettonico, che testimoniano la meravigliosa trasformazione della nostra città, ancora oggi conosciuta come capitale del Liberty italiano.

 

Alessia Cagnotto

Il mausoleo della Bela Rosin, il Pantheon torinese

Un piccolo gioiello neoclassico alle porte della citta’.

Situato a Mirafiori sud a Torino, al confine con il comune di Nichelino, il Mausoleo della Bela Rosin, dedicato dai figli alla madre Rosa Vercellana, amante e poi moglie di Vittorio Emanuele II di Savoia, e’ un mini pantheon situato al centro di un bel parco di trentamila metri quadrati.

Progettato dall’ architetto Angello Demezzo tra il 1886 e il 1888, consiste in una pianta circolare, con un diametro di 16 metri, e un frontone che riporta il motto “Dio, Patria e famiglia”; questa struttura possiede 16 colonne, 8 nella parte esterna (il proneo) e 8 che delimitano le nicchie dove una volta erano contenute le salme di Rosa e dei suoi figli che ora riposano altrove, l’ingresso e’ in ferro battuto ed e’ caratterizzato dalle insegne dei Conti Mirafiori.

Il mausoleo, purtroppo, negli anni e’ stato teatro di episodi spiacevoli fino al suo recente restauro che gli ha restituito il suo valore e il suo pregio. Nel 1970 dopo essere stato acquistato dal Comune di Torino e aperto al pubblico e’ stato profanato dalle attivita’ illecite di tombaroli in cerca di gioielli e oggetti preziosi, motivo per cui le salme della Rosin e dei suoi figli sono state trasferite al Cimitero Monumentale di Torino; dopo qualche anno fu ancora deturpato e utilizzato, o almeno cosi’ si dice, per riti satanici. Diverse furono le proposte perche’ questo luogo storico potesse essere riqualificato: realizzare una moschea o il planetario, nessuna di queste fu realizzata soprattutto a causa dei costi diristrutturazione necessari per una  nuova destinazione d’uso. Nei primi anni del 2000 finalmente si attuo’ l’ambito restauro che ha mantenuto le prerogative originarie, come lo stile neoclassico, con qualche rifacimento strutturale indispensabile come la ricostruzione del tetto e la realizzazione di un trompe-l’oeil sul soffitto a cassettoni; all’esterno invece fu effettuato il taglio degli alberi del viale d’ingresso.

Dal 2005, data della inaugurazione del nuovo corso, il Mausoleo della Bela Rosin e’ gestito dalle Biblioteche Civiche Torinesi ed e’diventato un punto di servizio bibliotecario, durante l’estate, poi, il parco diventa un giardino di lettura, attrezzato con gazebo e panchine per permettere ai visitatori di leggere sul posto libri disposti su carretti colorati o  prenderli con il prestito gratuito.Inoltre si  organizzano eventi, mostre, concerti e spettacoli come “Pazze Regine” ispirato alla storia d’amore tra Rosa e Vittorio Emanuele II.

La sua posizione non centrale e il non essere inserito, molto spesso,  nei circuiti turistici penalizza un po’ questo ulteriore gioiello di Torino che si sta cercando gia’ da  anni di rimettere al centro dell’attenzione attraverso varie iniziative e avvenimenti interessanti. Il Mausoleo della Bela Rosin rimane, comunque,  un monumento di  importanza  sia storica che architettonica, un altro tesoro della preziosa dote di questa citta’.

MARIA LA BARBERA

 

Per informazioni

https://bct.comune.torino.it/sedi-orari/mausoleo-della-bela-rosin

mausoleo.belarosin@comune.torino.it

CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale

Un affascinante viaggio storico documentato al “Forte di Bard” attraverso i reportages fotografici del francese Marc Riboud e del britannico Martin Parr

Fino al 17 novembre

Bard (Aosta)

La Cina di ieri e la Cina di oggi. Due mondi totalmente diversi e diversificati. Una lunga cavalcata fra stravolgimenti storici e mutazioni politiche, economico-sociali e umane trascorse lasciando segni profondi e drammatici nel “Paese” o “Fiore di mezzo” ( “Zhongguo” o “Zhonghua”) come i Cinesi chiamano la loro Terra. Dalla Cina anni Sessanta, contrassegnata dalla “Grande Rivoluzione Culturale” di Mao Zedong, alla Cina fine anni ’70 di Deng Xiaoping. Fino ad oggi. Fino alla Cina del “Terzo Millennio”, superpotenza globale, seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e Paese più popoloso al mondo nonché il quarto per estensione territoriale. Ebbene, proprio alla vasta pagina storica che contempla ciò che fu la Cina di avantieri, di ieri e ciò che è la Cina odierna, alle sue trasformazioni sociali ed economiche ed alle sue tante contraddizioni, è dedicata la mostra “China. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”, progetto fotografico inedito curato dal fotografo inglese Martin Parr, promosso dal “Forte di Bard” e dall’“Agenzia Magnum Photos” e allestito nelle “Sale delle Cantine” del “Forte” valdostano fino a domenica 17 novembre.

Più di 70  sono le fotografie, in bianco e nero e a colori, presentate in rassegna, a firma di Marc Riboud  e dell’inglese Martin Parr, due fra i nomi di maggior prestigio dell’“Agenzia” fondata nel 1947 a Parigi da mostri sacri quali Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, tanto per citarne alcuni.

Era il 1956, quando Marc Riboud (Saint-Genis-Laval, 1923 – Parigi, 2016) mise per la prima volta piede in Cina, proprio quando la futura “Repubblica Popolare Cinese” stava per cambiare volto sotto la guida di Mao, emergendo sulle ceneri del conflitto tra “comunisti” e “nazionalisti” perpetratosi per vent’anni e trovandosi così a gestire una società profondamente divisa e ferita. Riboud (che in Cina fece ancora ritorno nel ’65, quando stava per essere lanciata la “Grande Rivoluzione Culturale”, negli anni ’70 e tante altre volte ancora fino al suo ultimo soggiorno a Shanghai nel 2010) sottolineava come i Cinesi non fossero per niente intimiditi dall’obiettivo fotografico e come, proprio grazie a questo, riuscisse a immortalare un aspetto della Cina poco conosciuto in Occidente: quello della vita quotidiana. Suo riconosciuto maestro Robert Capa che gli insegnò ad “affrontare gli sguardi sempre più da vicino” per riuscire a realizzare scatti il più possibile “perfetti”.

 

In mostra troviamo esposta anche la sua prima fotografiadella Cina:1956, una donna, vestita di nero e abbracciata a una tristezza senza confini, sul treno diretto a Canton. Nei suoi numerosi viaggi in Cina, il cui ultimo data 2010, Riboud visita gran parte del Paese, scattando suggestive immagini della vita di tutti i giorni del popolo cinese, dal mondo del lavoro a quello del tempo libero. Un mondo silente. Chiuso a speranze e a migliori prospettive, ancora lontane a venire.

Data, invece, al 1985 il primo viaggio cinese di Martin Parr (Epsom, 1952), testimone dunque di una Cina più moderna, profondamente attratta dal “consumismo”, dal lusso di marca occidentale e dalle piacevolezze del “tempo libero”. “Una Cina – sottolineava nel ‘97 – che oggi assomiglia molto a Chicago”. Dodici scatti, in mostra, del suo primo reportage cristallizzano attimi di un mondo completamente diverso, da quello presentatosi a Riboud: triste memoria l’economia comunista mentre spiagge affollate, auto di lusso, ostentazione quasi provocatoria testimoniano un paese profondamente cambiato nella seconda metà del XX secolo. In parete anche scatti dedicati alla vita di alcuni settori economici, come le industrie tessili o di gioielli, così come il mondo del tempo libero, tra esercizi di “Tai Chi” e pause pranzo al “Mc Donald”. Il tutto attraverso scatti in cui Parr gioca a mescolare “realtà” e “artificio”, grazie ad effetti come flash sparati in faccia anche in pieno giorno, giochi di luce e tecniche particolari. Sue e solo sue.

“Un fotografo che viene da un altro pianeta”, diceva di lui Cartier-Bresson. Certo, un fotografo fra i meno “politicamente corretti”, killer di tutte le regole della fotografia moderna, cui s’avvicina con le armi più improbabili di “cinico” sperimentatore ed innovatore.

Gianni Milani

“CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”

“Forte di Bard”, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 17 novembre

Orari: mart. – ve, 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle Foto/”Magnum Photos”: Martin Parr “American Dream Park”, Shanghai, 1997; Marc Riboud “In the train …”, 1956 e “An antique shop window”, Beijng, 1965; Martin Parr “Happy Valley Racecourse”, Hong Kong, 2013

La magia della Reggia: “Sere d’Estate” alla Venaria

Aperture prolungate, al venerdì e al sabato, alla “Reggia”, con eventi e spettacoli a biglietto speciale

Dal 26 luglio al 31 agosto

Venaria Reale (Torino)

E’ una buona consuetudine estiva. Così, come prassi ormai da tempo consolidata, con l’arrivo dell’estate, anche quest’anno la “Reggia di Venaria” – fra le “Residenze Sabaude Patrimonio Unesco” dal ’97 –  con i suoi “Giardini” e le “mostre” in corso prolungherà ogni venerdì e sabato (e mercoledì 14 agosto, vigilia di Ferragosto e “Festa di Venaria”), l’orario di apertura al pubblico fino alle 23, con biglietto speciale.

Il grandioso complesso monumentale alle porte di Torino (progettato, a partire dal 1658, dall’architetto Amedeo di Castellamonte su incarico del duca Carlo Emanuele II come base per le battute di caccia e successivamente ingrandito con numerosi corpi edilizi, alla cui progettazione lavorò anche il più celebre architetto di Casa Savoia, Filippo Juvarra) ospiterà infatti da venerdì 26 luglio a sabato 31 agosto, “Sere d’Estate alla Reggia”, rassegna, organizzata in collaborazione con “Piemonte dal Vivo”, che porta la musica e lo spettacolo dal vivo nei “Giardini” con concerti, serate dedicate al ballo e dj set immersi nella bellezza del luogo.

Se gli spazi di “Cascina Medici del Vascello”propongono tra gli altri “La Paranza del Geco”, “The Sweet Life Society” e “Afrodream” in concerto, la selezione musicale al “Giardino delle Rose” sarà curata da “Jazz Re:Found”.

E non solo musica. Le serate prevedono, infatti, anche spazi ad hoc per gli appassionati di danza, alle prime armi e non.  L’appuntamento è alle 18 con lezioni specifiche per imparare i passi più “iconici” del tango, del flamenco, dello swing e non solo.

Il tutto legato alla possibilità di visitare in orario serale la “Galleria Grande”, la “Sala di Diana”, la “Cappella di Sant’Uberto” insieme agli altri magnifici ambienti della “Reggia” e alle grandi mostre attualmente in corso, da “Capodimonte da Reggia a Museo” (nella “Sala delle Arti”) alle  installazioni d’arte contemporanea “Venaria Green Art” e “Mainolfi/Sculture. Bestiario” nei “Giardini”. In occasione di “Sere d’Estate alla Reggia”, la programmazione si allunga anche al sabato pomeriggio e alla domenica ancora con spettacoli di danza e, perfino, spettacoli di “circo contemporaneo” diffusi nei “Giardini” della “Reggia” con Compagnie del territorio e ospiti internazionali. Tra gli artisti da non perdere Parini Secondo (con le danzatrici Camilla Neri e Francesca Pizzagalli), la Compagnia francese “Cie Didier Théron”, “EgriBiancoDanza” e “Balletto Teatro di Torino”.

In agenda, anche appuntamenti fissi, quali:

Al calare della sera i “Giardini” si illuminano della magica luce di 5mila candele per creare un’atmosfera davvero unica; dalle 18, in “Cascina Medici del Vascello”, “Musica dal vivo” con Flamenco, Tango, Pizzica, Swing, Afro… per rilassarsi, ballare e gustare un aperitivo al tramonto nel bel mezzo dei “Giardini” della Reggia; dalle 21,30, nel “Giardino delle Rose” le serate proseguono sotto le pergole del roseto dove si può ammirare il “Giardino” illuminato dalle candele sorseggiando un cocktail al “Chiosco delle Rose” con selezione musicale a cura di “Jazz Re:Found Selectors”; alle 23, infine, nella “Corte d’onore”, “Teatro d’Acqua” della “Fontana del Cervo” spettacolo di luci, suoni e movimenti d’acqua. In un intreccio spettacolare di magia e fantastica creatività.

Per info: “Reggia di Venaria”, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino); tel. 011/4992300

Programma dettagliato: www.lavenaria.it

g. m.

Dante Graziosi e le storie della risaia

C’è stato un mondo che, scriveva Sebastiano Vassalli, “merita di essere documentato: nelle sue architetture, nei suoi attrezzi, nel suo linguaggio, nelle sue tradizioni, nelle sue storie”.

Non vi è dubbio che uno dei più importanti cantoni della civiltà contadina tra Sesia e Ticino, forse il più celebre, sia stato Dante Graziosi. Nato l’11 gennaio del 1915 a Granozzo , un borgo sull’acqua delle risaie all’estremo sud del novarese e al confine con il pavese lombardo, Graziosi fu medico veterinario, partigiano della divisione Rabellotti con il nome di battaglia di “Granito”, docente universitario di Igiene e Zootecnia all’Università di Torino, parlamentare della Dc per quattro legislature e sottosegretario in altrettanti governi, fondatore della Coldiretti novarese. Prima di dedicarsi alla narrativa fu anche autore di molti saggi scientifici di zootecnia. L’esordio letterario avvenne tardi, nel 1972 quando Graziosi ( all’epoca cinquantasettenne) fece rivivere con i racconti de La terra degli aironi la civiltà contadina che si era sviluppata tra le risaie della bassa novarese, narrando un mondo destinato al tramonto. Alla sua attività di veterinario dedicò nel 1980 il suo libro più famoso, Una Topolino amaranto, da cui venne tratto uno sceneggiato Rai. Nel 1987 pubblicò Nando dell’Andromeda, una saga padana al tempo delle mondine, della vita che si svolgeva sulle aie della bassa agli albori delle prime lotte sociali nelle campagne. Nando, il protagonista, è un camminante, uomo libero con l’animo del poeta. Al centro delle storie del “James Herriot italiano”, validissimo emulo del famoso scrittore e veterinario britannico, c’era il Molino della Baraggia di Granozzo dove l’autore, scomparso improvvisamente il 7 luglio 1992 a Riccione, era vissuto e dove sorge ora il centro sportivo di Novarello. Davide Lajolo ne descrisse il modo di raccontare sostenendo come potesse apparire all’antica, con una scrittura“che mette punti, virgole e sentimenti al posto giusto, che vibra e s’intenerisce nell’amore della sua terra, della gente, delle strade, dell’erba, della vita del suo paese, sia un riscatto dalla noia di certo burocraticismo politico, dalle formule e dalla corsa alle poltrone. È un ritornare a guardarsi allo specchio come uomo per ritrovare le caratteristiche di fondo di chi ha imparato perché si sta al mondo”. I suoi libri sono pubblicati dalla novarese Interlinea, casa editrice diretta da Roberto Cicala, che in occasione del ventesimo anniversario della morte di  Graziosi propose Le storie della risaia, un volume che raccoglie i migliori testi dell’aedo della Bassa.

Marco Travaglini

Valle Formazza, la “piccola repubblica” dei walser

Incuneata nel cuore della Alpi, fino al centro delle “Alpi Somme” da cui partono le acque nelle quattro direzioni dei venti, la valle Formazza ha una storia singolare e affascinante, irripetibile in qualsiasi altra valle dell’arco alpino

La prima e più importante delle colonie walser, il  “nido d’aquila” di questo grande popolo di montanari che disseminò di comunità i due versanti dell’arco alpino. Lo storico Enrico Rizzi, scrivendo per l’editore Grossi la “Storia della Valle Formazza” , ha consegnato ai lettori un lavoro monumentale, frutto di anni di certosine ricerche, raccogliendo documenti e testimonianze. Un’opera davvero completa che illustra la storia ricca e spesso imprevedibile della Valle Formazza. “ La nostra posizione strategica, quasi fosse un cuneo nel cuore delle alpi centrali – afferma la vulcanica sindaca di Formazza, Bruna Papa – ha consentito al nostro territorio di essere per secoli un’arteria di traffici mercantili, scambi e contatti con il nord delle Alpi più di qualsiasi altra vallata dell’eco alpino”. Una valle “sospesa tra sud e nord” a far da cerniera e punto d’incontro anche per motivi artistici, religiosi e civili. Il nodo dei passi attraversati nei secoli dai someggiatori lungo le vie europee del sale, del vino, dei formaggi, la sua eccezionale posizione strategica, hanno fatto della più antica colonia fondata dai Walser nel medioevo, una “piccola repubblica” sospesa tra la Lombardia e la Svizzera . Territorio conteso con agli Svizzeri che cercavano un altro sbocco verso il Mezzogiorno, allargando e rettificando il confine meridionale della Val Leventina, venne aggregato al ducato di Milano, e seguì le vicende di tutto il restante della Val d’Ossola rimanendo sotto la dominazione spagnola fino al 1714, e passando poi sotto le dominazioni austriaca (1714-48), sabauda (1748-97), francese (1797-1814) e italiana.Retta per secoli autonomamente, con il proprio tribunale valligiano e rustiche magistrature democratiche, Formazza  ha sempre coltivato la sua fiera indipendenza, la sua lingua, lo stile delle sue case di legno, le sue antiche tradizioni, un ricchissimo paesaggio naturale che ha nella superba Cascata della Toce il suo monumento più suggestivo, ammirato nei loro viaggi alpini da naturalisti e scienziati, poeti e artisti come Saussure, Dolomieu, Coolidge, Ermanno Olmi,Carlo Rubbia. Un luogo  che Mario Rigoni Stern  raccontò nel suo libro “L’ultima partita a carte”, descrivendo  il suo “corso sciatori” in alta Val Formazza nel gennaio del 1939 : “Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra”. Tornando al libro di Rizzi  va detto che lo storico delle Alpi e autore di molti libri sui Walser nelle 480 pagine di quest’opera straordinaria, corredata di foto e documenti, non tralascia nulla nel ricostruire la storia di questa bellissima valle.

Marco Travaglini

Un’estate nelle fortezze piemontesi tra storia, musica e spettacoli

Si rinnova l’impegno per la valorizzazione del sistema delle fortificazioni piemontesi, declinando la visione più ampia e di lungo termine della Regione Piemonte e della Fondazione Compagnia di San Paolo, che hanno individuato nel ricco e differenziato patrimonio fortificato una risorsa strategica per la promozione turistica dei territori mediante la cultura.

Da questo mese di luglio un fitto calendario di musica, spettacoli, visite guidate e tanto altro animerà i forti di Exilles, Fenestrelle, Gavi e Vinadio, già coinvolti lo scorso anno, e l’Opera 5 di Moiola, un’opera in caverna tra le più grandi del Cuneese facente parte di un più ampio sistema difensivo di fortini costruiti in Valle Sturaoltre al progetto Le Strade dei Forti, che vuole valorizzare il paesaggio fortificato del Pinerolese. Sarà avviato anche uno speciale gioco a premi per incentivare la visita e la partecipazione alle attività previste in tutte le fortificazioni coinvolte. Si concluderà il 21 e 22 settembre con la seconda edizione di Forti Fortissimi!.

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«Forti Piemonte – ha sottolineato Marina Chiarelli, assessore regionale alla Cultura, Turismo e Sport nel corso della presentazione svoltasi nella Sala Trasparenza della Regione – è un progetto di valorizzazione di fortificazioni che, con la loro storia e le loro architetture imponenti, sono motore di sviluppo e di innovazione e capaci di offrire esperienze culturali di altissimo livello. Un patrimonio che ci ricorda la storia millenaria del nostro Piemonte ed è destinato non solo ad attrarre un pubblico internazionale, ma anche a far riscoprire a noi stessi luoghi che spesso sono rimasti nell’ombra».

A coordinare l’intera iniziativa la Fondazione Artea, in collaborazione con Associazione Abbonamento Musei, Fondazione Piemonte dal VivoVisit Piemonte, con il supporto di enti ed associazioni locali direttamente o indirettamente coinvolti nella gestione e nell’animazione dei forti.

Il programma completo è su https://fondazioneartea.org/forti-piemonte/

Tristemente Amalia

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato
Torino e le sue donne
Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce.

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Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, Emmeline Pankhurst, colei che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.  Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere. (ac)

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9. Tristemente Amalia
Negli articoli precedenti ho voluto proporre storie di donne medico, donne soldato, paladine dell’istruzione, figure imponenti, dal carattere forte che non deflette. Eppure non tutte le eroine sono fatte della stessa pasta, in più, parlando di protagoniste al femminile, è impossibile non incappare in una storia d’amore, legata ai canoni romantici della passione travagliata e devastante, tipica delle eroine tragiche che si consumano per qualche immeritevole eroe, con la medesima grazia di Madama Butterfly o con la cruda, suicida determinazione di Didone.  Amalia Guglielminetti nasce a Torino il 4 aprile 1882. Rimane orfana di padre a soli cinque anni e viene accolta nella casa del nonno paterno, Lorenzo. Il nonno è molto religioso e fedele ai valori tradizionali del cattolicesimo ortodosso, delega quindi l’educazione della bambina ad istituti privati di stretta osservanza cattolica. All’età di 22 anni, Amalia dimostra passione per la letteratura e doti di scrittrice pubblicando la sua prima raccolta di poesie “Voci di Giovinezza”, di impronta carducciana. A Torino frequenta la Società di Cultura insieme a illustri personaggi quali Thovez, Pastonchi, Graf, Gozzano e Borgese; è in questo ambiente che la giovane cresce e diventa donna appassionata e sensibile, sempre vestita all’ultima moda parigina, proprio secondo i canoni del gusto Liberty. Nel 1907 pubblica “Le vergini folli” dove si intravvedono i temi che saranno poi dominanti nei lavori successivi. E’ questo scritto a incuriosire il poeta torinese Guido Gozzano, che si interessa a lei e con cui Amalia inizia una travagliata, intensa e breve storia d’amore. La relazione tra i due poeti viene ricostruita attraverso una serie di carteggi, che vedono Gozzano proiettato in una dimensione letteraria scritta e cerebrale, mentre Amalia desidera trasformare il rapporto in un concreto legame sentimentale. Da questa altalenante esperienza nascono “Le seduzioni”, poesie in cui si trova riflesso l’amore sognato e perduto, già presente nelle precedenti raccolte poetiche. L’influenza della relazione con Guido rimane evidente, tuttavia Amalia sa andare oltre e si colloca con autorevolezza nella storia letteraria italiana del primo Novecento. D’Annunzio la definirà “l’unica vera poetessa che abbia oggi l’Italia”. Nel 1909 pubblica “Emma” un volumetto di poesie dedicato alla sorella morta di tifo a soli 29 anni. Nel 1911 cura l’introduzione del volume “Versi”, edito a Torino dai Fratelli Pozzo, di Edmondo Rubini Dodsworth, il futuro primo traduttore italiano (nel 1923) dell’opera di William Blake. Nello stesso anno pubblica “l’Amante ignoto”, prima opera teatrale e omaggio a D’annunzio. L’opera diventa nota anche grazie all’attrice Lyda Borelli, diva del cinema muto tra le più amate dal pubblico, che recita qualche scena nel salotto “Donna di Torino”.Nel 1913 esce l’ “Insonne”, volume poetico all’interno del quale la lirica “Risposta a un saggio” sembra essere un controcanto alle poesie di Gozzano “L’onesto rifiuto” e “Una risorta”. Questo è l’ultimo lavoro poetico impegnativo di Amalia, che nel 1934 pubblicherà “I serpenti di Medusa”, senza particolari novità artistiche. Scriverà ancora versi, soprattutto per volumi rivolti all’infanzia. Intanto si dedica ad opere narrative, in cui tuttavia i personaggi femminili restano in linea con le tematiche oggetto della precedente produzione in versi. Sempre nel 1913 esce il suo primo lavoro in prosa, “I volti dell’amore”, ma la critica è piuttosto severa. Amalia collabora anche con alcune riviste su cui scrive di poesia e di prosa. In questo contesto conosce lo scrittore e critico letterario Dino Segre (di dodici anni più giovane) e con lui inizia una difficile relazione che tuttavia si protrae per alcuni anni. Nel 1917 esce “Nei e cicisbei” e nel 1919 “Il Baro dell’amore”, lavori che saranno un clamoroso insuccesso.

Amalia torna in auge con il romanzo del 1923 “La rivincita del maschio”, in cui è evidente l’influenza di Pitigrilli, (pseudonimo di Dino Segre), ma la pubblicazione le procura problemi giudiziari. I guai per la poetessa si intensificano con l’interruzione della relazione con Pitigrilli che finisce malamente con denunce, calunnie e querele; il tutto termina con una condanna di quattro mesi di reclusione per Amalia stessa, che pare avesse falsificato alcune lettere nel tentativo di far passare Pitigrilli come antifascista. La donna viene anche processata per oltraggio al pudore nel 1935, a motivo di un articolo sulla rivista “Cinema illustrazione”. La vicenda tormentata della Guglielminetti non trova pace nemmeno alla fine della sua vita. Muore il 4 dicembre 1941 per setticemia, provocata da una ferita che si era causata qualche giorno prima, cadendo da una scalinata per raggiungere il rifugio anti-aereo, in seguito all’allarme per il bombardamento che stava per incombere su Torino. Aveva lasciato poco tempo prima le sue volontà relative alle modalità di sepoltura: una tomba a piramide con l’iscrizione “Essa è pur sempre quella che va sola” e l’istituzione di un premio letterario a suo nome. Entrambe le richieste non saranno realizzate. E’ sepolta al Cimitero Monumentale di Torino e il suo valore di poetessa è oggi, purtroppo, quasi completamente dimenticato e ignorato.

 

Alessia Cagnotto