CULTURA- Pagina 154

Fontana dei Mesi: marzo e aprile e… il Barocco

Marzo leva la mano sinistra: accenna un gesto di saluto. Come la primavera, attesa da tutti a marzo, arriva, sicura di sé, tra persone che stanno aspettando il suo ritorno. Come sapete, per questa uscita sulla Fontana dei Mesi di Torino, la rubrica dedicata ad analizzare le dodici statue allegorie dei mesi a fattezze femminili che compongono la corona della Fontana al parco del Valentino, più belle che mai dopo la fine dei lavori di restauro del marzo scorso (2019), tratteremo del mese di marzo

Gli appassionati più fedeli sono informati già dalla scorsa uscita, dedicata all’Impressionismo e alla statua del mese di febbraio; questa volta, nel post edito da iltorinese.it sulla fine del secondo mese dell’anno (quest’anno bisestile), trattiamo di due statue. Si parla dunque della statua di marzo, dicevamo, una donna che ha una certa musica e che leva una mano in cenno di saluto, ma anche di quella di aprile che raffigura una giovane esuberante e sfrontata, atteggiamento una volta tipico -parlando allegoricamente- del mese di aprile nel corso della primavera.

Oggidì i cambiamenti climatici fanno saltare tutte le consuetudini a riguardo del cambio delle stagioni, tuttavia non è vano ricordare come stavano le cose prima, quando ancora si poteva fare affidamento sul tempo per programmare cose, siano esse semine, raccolti, vacanze, serate conviviali all’aperto, gite per mare o montagna e chi più ne ha più ne metta, se non altro per fare un paragone sia esso positivo o negativo. Ai lettori più curiosi non sarà sfuggito il fatto che per la rubrica di questo mese è annunciato il Barocco. La corrente artistica che lega le statue e l’arte ha una buona ragione per essere scelta tra le tante che la storiografia artistica annovera come strumenti possibili per interpretare l’arte nel coso dei secoli.

Come di solito, non è fatta alcuna pretesa di assolutezza, il legame tra le statue e le correnti artistiche è puramente finzionale e è da prendersi -su buona dritta- come una cosa del tutto speculativa e del tutto evanescente, si potrebbe dire di fantasia. Piuttosto è bene ricordare che la Fontana dei Mesi anche detta “di Ceppi” è stata inaugurata nel xix secolo per la precisione nel 1898, in occasione dell’Esposizione nazionale e che oltre alle dodici statue dell’arco discendente esterno, vi sono all’interno dei giochi d’acqua altre statue, allegorie dei fiumi del Piemonte, di cui si è avuto modo approfondire in precedenza. Detto questo vediamo perché si potrebbe associare il Barocco a questo tratto della fontana.

 

Il barocco inizia negli anni trenta del xvii secolo, come la primavera inizia nel mese di marzo, ma non proprio all’inizio, piuttosto il 21 del mese dato l’equinozio, e come per la corrente artistica i dipinti sono via via più riconoscibili come certamente appartenenti a quel periodo anche nelle statue della Ceppi si nota che le statue primaverili si discostano da quelle invernali sul piano espressivo, per arrivare al forte separazione che si ha tra la fulgida pienezza delle estive e la riservatezza delle invernali.

Descrivere una tendenza tra le statue dei mesi in rapporto alla stagione a cui appartengono è fattibile in modo -direi- evidente e così prendendo in considerazione la diade marzo-aprile, tenendo inoltre come pulce nell’orecchio il Barocco, corrente artistica caratterizzata da uno spazio plurale, in altri termine dal fatto che in uno stesso quadro i barocchi propongono più scene compresenti, iniziamo teoreticamente a collocare l’insieme delle statue nelle loro stagioni, creando quattro gruppi di statue dialogicamente connessi; in relazione tra loro grazie a quelle che rappresentano i mesi di equinozio e di solstizio (in questo caso marzo) e attraverso quelle subito seguenti (qui si ha aprile) per scoprire un tratto caratteristico della stagione che in questo frangente è la rinascita, il ritorno, il riconoscimento, la vita nell’al di qua. La primavera è alle porte, anche se qualcuno dice che quest’anno l’inverno non si è sentito affatto, in ogni caso sarà bene prepararsi e godersi consapevolmente il periodo.

Elettra Nicodemi

 

 

Riaprono i Musei Reali dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria

Riprende a vivere la maggior parte delle attività culturali in città. Il Museo Egizio apre con una non stop dalle 9 alle 17,30. Via libera anche a cinema e teatri

Dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria, i Musei Reali riaprono lunedì 2 marzo 2020 con un’offerta che conduce il pubblico attraverso i secoli, dal Rinascimento, al Barocco, alla modernità.

 

Ecco le modalità di visita che come ogni lunedì riguarda solo Palazzo Reale, l’Armeria Reale, la Cappella della Sindone e le mostre in corso:

– Palazzo Reale, Armeria Reale e Cappella della Sindone con orario dalle 10 alle 19 (chiusura della biglietteria alle 18)

– Mostra Konrad Mägi. La luce del nord alle Sale Chiablese con orario dalle 10 alle 19 (chiusura della biglietteria alle 18)

– Mostra Il tempo di Leonardo alla Biblioteca Reale con orario dalle 14 alle 18 (biglietteria dei Musei Reali fino alle 17)

 

L’affluenza verrà regolata seguendo le indicazioni delle autorità nazionali per evitare una eccessiva compresenza di visitatori nella sale. Non verranno distribuite le audioguide, ma i visitatori potranno usufruire dell’applicazione Musei Reali Torino disponibile per Android e iOS.

Salvo diverse disposizioni delle Autorità competenti, da martedì 3 marzo apriranno anche le altre collezioni, normalmente chiuse di lunedì. Saranno dunque accessibili anche la Galleria Sabauda e il Museo di Antichità.

 

Tutte le collezioni dei Musei Reali sono visitabili con un unico biglietto; l’ingresso e la biglietteria si trovano in piazzetta Reale 1, all’ingresso di Palazzo Reale.

 

Eventuali aggiornamenti sul sito www.museireali.beniculturali.it e sui canali social dei Musei Reali.

Un lungo percorso attraverso il “Divisionismo”, tra le nevi di Segantini e le istanze sociali di Pellizza e Longoni

Sino al 5 aprile nelle sale del Castello Visconteo di Novara

Alla Triennale milanese del 1891 risale l’atto di nascita del Divisionismo, allorché vengono esposti Le due madri di Giovanni Segantini e Maternità di Gaetano Previati, una derivazione tecnica del neoimpressionismo e per molti versi consanguineo di quel pointillisme che accresceva da pochi anni il proprio successo Oltralpe con le opere di Georges Seurat (la Grande Jatte) e di Paul Signac (Le port de Saint-Tropez).

Il nostro non certo da ascrivere ad un vero e proprio movimento pittorico, non ne ha mai avuto l’aria, dal momento che nessuno tra i suoi rappresentanti ha mai sfoderato l’ardire di mettere su carta un manifesto artistico: per cui per lui si può siglare una definizione che suoni “fenomeno artistico”, con tutto quel che di ribelle si possa coccolare all’interno nei confronti di un passato più o meno recente (anche la Scapigliatura andava già messa in soffitta).

Tecnicamente, il Pointillisme dei cugini francesi trattava i colori complementari accostandoli sulla tela attraverso una serie di puntini e scartando le pennellate, una visuale che abbracciava non soltanto un intendimento pittorico ma altresì un interesse scientifico: considerando il raggiungimento della scomposizione del colore, nell’obbedienza delle ultime acquisizioni scientifiche, e il suo totale assorbimento a livello retinico. Dovrà in altre parole essere la retina dell’osservatore a riconsiderare la lettura di un oggetto, i suoi toni coloristici, quelle sfumature che derivano da un tale percorso “per punti”, che ci appariranno nettamente individuabili se quegli oggetti verranno osservati da vicino, mentre tenderanno all’uniformità se visti di lontano (di “…una funzione intellettiva sulle forme e i colori del vero” parlava Previati).

Il Divisionismo italiano – con la sua culla nel Nord d’Italia, grazie soprattutto al sostegno di Vittore Grubicy de Dragon, mercante d’arte, critico, pubblicista e ancora pittore, che con il fratello Alberto gestisce dal 1876 una galleria d’arte a Milano – scavalcherà i punti degli artisti francesi per rivolgersi al tratteggio, ad una serie di tratti allineati, di filamenti di colore ripiegati su se stessi, arabescati, spiralati, pronti in una calma posatura a seguire l’andamento circolare dell’oggetto. In tale andamento ondivago, a tratti sognante, dove gli artisti intravedono la vita, troveranno spazio non solo gli ariosi scenari colti tra pianure e montagne, tra casolari e distese innevate ma pure le componenti personali e no della religiosità come i momenti drammatici della vita quotidiana e le rivendicazioni sociali, quei fermenti di socialismo che sempre più andavano invadendo le necessità di una classe popolare in ristrettezze o povertà e che Pellizza da Volpedo o Plinio Nomellini o ancora Previati mettevano in primo piano come i personaggi principali e irrinunciabili di molte loro opere.

Come raccogliendo all’indietro un filo di nozioni e di ricordi, a questo e a molto altro ancora si pensava nei giorni addietro (non contaminati dal Coronavirus che chiude e serra anche mostre e musei) nell’attraversare quegli spazi chiari e pieni di luce del Castello Visconteo di Novara in cui sino al 5 aprile (una proroga?) è ospitata la mostra Divisionismo. La rivoluzione della luce, con tutto il suo prezioso carico di suggestioni, curata da Annie-Paule Quinsac, tra i primi storici dell’arte ad essersi dedicata al Divisionismo fin dal termine degli anni Sessanta, un passato e un presente carichi di esposizioni e fondamentali pubblicazioni, una mostra che vede la promozione del Comune di Novara e dell’Associazione METS Percorsi d’Arte con i patrocini della Commissione Europea e con il sostegno, tra gli altri, di Banco BPM quale main sponsor.

Circa settanta opere suddivise in otto sezioni, ad introdurre il vasto percorso, a pian terreno del palazzo, quel capolavoro che è Maternità (1890-91) di Previati, i sei angeli a fare da languido riparo alla Vergine che allatta, mentre un reticolo di fili sottili di colori s’inerpica lungo l’altezza della tela (l’opera fu la “più controversa e derisa” della Prima Triennale di Brera dove la critica non era ancora pronta ad accettare un misticismo veicolato dalla nuova tecnica), esempio di una certa solitudine pittorica dell’artista, “irriducibilmente antirealista sin dagli esordi”, che fa sua una visione simbolista scaturita “dal mito, da un’interpretazione visionaria della storia o dall’iconografia cristiana”, ben lontana dalla visione di Segantini che amò al contrario percepire una ben più precisa radice naturalistica, dichiaratamente panica.

Un prologo, un’isola a sé che apre a nuovi orizzonti, può essere considerata la Pensierosa di Tranquillo Cremona (1872-73), ma accanto trovano immediatamente posto titoli del decennio successivo, La partita alle bocce (1885) di Angelo Morbelli – la bellezza dello slancio del giocatore, il secondo piano del paesaggio affondato tra le colline dell’alessandrino, gli amici e gli spettatori al riparo ombroso, il tessuto filamentoso che s’impone in tutta la sua stesura -, il ricamo prepotente del ramo di pesco che avanza sulle due monache nelle Capinere (1883) di Emilio Longoni e soprattutto la crudele istantanea, fermata in pieno abbandono, delle Fumatrici di hashish (1887) di Previati (suo anche, in una sala successiva, stupefacente e nuovo nell’impostazione, Le tre Marie ai piedi della Croce del 1888). Come una moderna istantanea, potente nel proprio taglio fotografico, finisce con l’essere la ribellione sociale dell’operaio nell’Oratore dello sciopero (1891) di Longoni, autore ancora capace di mettere in primo piano le nuove istanze con una personale visione, semplice e immediata al tempo stesso, della differenza di classi, con Riflessioni di un affamato, un ragazzo che, in un finissimo gioco di luci del giorno, cattura attraverso la vetrina opaca di un caffè la ricchezza di una coppia benestante.

La mostra è un omaggio altresì a Pellizza da Volpedo, una sala ne raccoglie cinque opere fondamentali nel suo percorso d’artista, per tutte La processione (1893-95) e Sul fienile pensato nell’estate del 1892, uno stacco netto tra luce e ombra, una meditazione sulla morte che accompagna gli ultimi istanti di un uomo su di un semplice giaciglio di paglia, ancora i filamenti di colori complementari che occupano lo spazio in controluce, alle spalle nel bagliore quasi accecante la continuità della vita, tra la vegetazione e la geometria delle case assolate. Come è un omaggio ai paesaggi innevati di Giacomo Segantini – ma con lui hanno anche indagato intorno ai chiarori delle bianche e vaste distese Cesare Maggi e Matteo Olivero, Morbelli e Pellizza e Tominetti -, sarebbe sufficiente il celebre Savognino sotto la neve (1890) con la sua lunga distesa di case ariose contro la montagna e quel mantello candido che lascia trasparire tutta le tecnica del Divisionismo, su cui s’imprimono le ali nere che rimandano a van Gogh, unione simbolica di vitalismo e di presagi di morte.

Tappe di armonie, di chiaroscuri, di voci diverse, di colori che s’allineano e che portano ai primi decenni del nuovo secolo, il Novecento, il secolo dei grandi conflitti: un quadro di Plinio Nomellini, sullo sfondo, quasi al termine dell’esposizione, quel Baci di sole che “è un inno alla gioia di vivere”, un inno alla calura estiva e al rigoglio della vegetazione al cui interno l’autore immerge la moglie ed il figlio Vittorio, tra lo scorrere dell’acqua e la riva, tra studiati giochi di luci che si liberano in chiazze dal folto delle piante, in un alternarsi continuo e frenetico di luci e di ombre, occasione per Nomellini per allontanarsi dai suoi compagni di viaggio e tornare per citazioni al Renoir del Déjeuner des Canotiers o al Monet che ritrae i giardini di Giverny: “è una pittura che si affida al colore come cromatismo, luce e trascrizione dei piani, anche se lo scopo è di esprimere un senso panico della natura nella più pura valenza dannunziana”.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini

Gaetano Previati, “Maternità” 1890 – 1891, olio su tela, 175,5 x 412 cm, firmato in basso a destra, Banco BPM

Emilio Longoni, “Riflessioni di un affamato. Contrasti sociali” 1894, olio su tela, 190 x 155 cm, firmato in basso a destra, Museo del Territorio Biellese, Biella

Giovanni Segantini, “Savognino sotto la neve”, non datato (1890), olio su tela, 35 x 50 cm, firmato e dedicato “All’intelligente in arte Luigi Dell’Acqua”, coll. privata

Plinio Nomellini, “Baci di sole” 1908, olio su tela, 93 x 119 cm, Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, Novara

 

Parma e Saluzzo insieme nel segno di Bodoni

Saluzzo e le Terre del Monviso insieme alla Capitale italiana della cultura 2020 nel segno del grande tipografo di cui il 26 febbraio ricorrono 280 anni dalla nascita. Primo appuntamento con la mostra “Bodoni à rebours – The dazzling beauty” del fotografo parmigiano Lucio Rossi

 

Prende il via sotto il segno di Giambattista Bodoni nel giorno dei sui 280 anni la collaborazione tra le città di Saluzzo e di Parma siglato nel 2019 da un protocollo di che guarda agli eventi dell’anno in cui la città emiliana è Capitale italiana della cultura.

Ci sono infatti molteplici ragioni per instaurare un duraturo dialogo tra i due territori. Li uniscono infatti i nomi non solo di Giambattista Bodoni, ma anche di Carlo Alberto dalla Chiesa e di Magda Olivero. Li lega un peculiare vincolo culturale di stampo e lingua francese.

Il primo tassello è la mostra fotografica Bodoni à rebours – The dazzling beauty che racconta le terre di Bodoni, incisore, tipografo, editore nato a Saluzzo il 26 febbraio 1740 e morto a Parma nel 1813. Apprese l’arte tipografica nella piccola officina del padre, poi si recò a Roma come compositore nella stamperia di Propaganda Fide, quindi passò a Parma, invitato dal duca a fondare e a dirigere la Stamperia Reale. A Parma restò sino alla morte, divenendo celebre per l’incisione di nuovi caratteri e per le molte splendide edizioni che pubblicò. Dapprima stampò coi caratteri di P.-S. Fournier, ma nel 1771 diede un primo saggio di caratteri suoi, che a poco a poco perfezionò fino a giungere al famoso Manuale tipografico (post. 1818).

Saluzzo, l’Antica Capitale del Marchesato, e il suo territorio, sono ancora oggi scrigno dell’eredità culturale di Bodoni, come della manualità e artigianalità che vi stanno dietro. A Saluzzo vi sono la Biblioteca Storica che ha saputo gestire al meglio il materiale antico preservato e manifestazioni che annualmente raccontano Antiquariato e Artigianato, proponendo un continuo confronto tra passato e futuro.

A narrare questa storia sarà l’immagine: il fotografo parmigiano Lucio Rossi ha raccontato le Terre del Monviso attraverso migliaia di scatti; 250 di questi divengono una mostra che a partire dall’8 maggio a Saluzzo aprirà le sue porte per narrare un territorio attraverso i volti, le emergenze architettoniche e paesaggistiche, le strade e i passi alpini.

 

La mostra fotografica rappresenterà un saggio di un reportage fotografico di enormi proporzioni che Lucio Rossi ha realizzato, nel territorio intorno al Monviso, durante l’estate del 2019. Quattro categorie di immagini restituiranno l’ambiente in cui Bodoni vide la luce (con particolare riguardo alle montagne), i volti della gente, la storia artistica ed architettonica del Marchesato di Saluzzo con cui egli potè venire in contatto e che, possiamo presumere, ne influenzò il gusto. In particolare, sarà la verticalità degli orizzonti al centro delle scelte, poiché proprio la verticalità dei tipi bodoniani ne rappresenta un elemento fortemente distintivo, oltre che l’origine del dazzling effect che a tale peculiare, elegantissimo stile si associa. La quarta sezione si chiamerà bodoniana e rappresenterà gli elementi che più da vicino raccontano il legame del nostro illustre, comune concittadino con la sua petite patrie: le immagini della casa natale, del convento dei gesuiti dove studiò (oggi casa comunale), dei monumenti medievali e rinascimentali che poterono impressionare la sua estetica, si alterneranno in uno zibaldone di rimandi che affondano le radici nella storia tra Italia e Francia di questo rapporto.

 

La mostra fa parte di Start/storia e arte Saluzzo, un mese di appuntamenti in cui la città diventa capitale dell’Arte di ogni tempo: Arte contemporanea, Artigianato e Antiquariato (dal 24 aprile al 31 maggio 2020).

La mostra Bodoni à rebours – The dazzling beauty con le immagini di Lucio Rossi in autunno si sposterà a Parma, all’interno delle iniziative per la Capitale italiana della cultura 2020.

 

La collaborazione prosegue poi con la musica: in occasione della Festa della Musica (21 giugno), dalle Terres Monviso giungerà la musica occitana per lanciare Occit’amo Festival 2020.

Inoltre in programma appuntamenti di carattere enogastronomico, con l’incontro di produzioni che nel Parmense come nel Saluzzese (sempre rappresentato da TERRES MONVISO) presentano motivi di interesse: erbe e miele, arte casearia, norcineria e vini.

“Helmut Newton. Works”: una grande retrospettiva

La GAM di Torino dedica la mostra all’“enfant terrible” della Fotografia del secondo Novecento

Fino al 3 maggio

La fama da “cattivo ragazzo” della Fotografia se l’è coccolata negli anni come vera manna, non casuale, piovuta dal cielo. Sempre.

E sempre l’ha accudita – e impreziosita attraverso una tecnica di assoluta eccellenza – con compiacente, narcisistica generosità. Del resto “bisogna sempre essere all’altezza – era lui stesso a dichiararlo – della propria cattiva reputazione”. Un principio, almeno sul piano professionale, cui Helmut Neustadter, in arte Helmut Newton (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) fu sempre fedele, seguendo – senza mai perdere in stile ed eleganza ed ironia – il gusto della deliberata provocazione e dell’irriverente sfida alle convenzioni, attraverso cui disorientare l’osservatore, diviso fra compiacimento alle stelle e biasimo beghino, ma pur sempre attratto da immagini iconiche, bellissime nella costante armonia di luci e composizione, diventate “storia” della grande Fotografia del secondo Novecento.

Per alcuni un genio inarrivabile che ha saputo elevare il nudo fotografico a forma d’arte assolutamente indiscutibile, per altri un “misogino” i cui scatti hanno spesso superato i confini dell’accettabilità introducendo nella fotografia di moda “elementi di sado-masochismo, voyeurismo e omosessualità”, a Newton (“oriundo tedesco, con passaporto australiano e residenza a Monte Carlo”) la GAM di Torino dedica l’apertura della stagione espositiva 2020 con una retrospettiva di forte impatto suggestivo, promossa da “Fondazione Torino Musei” e prodotta da “Civita Mostre e Musei” con la collaborazione della “Helmut Newton Foundation” di Berlino. 68 sono le opere esposte a documentazione della lunga carriera dell’artista, secondo un progetto saggiamente esaustivo curato da Matthias Harder, direttore della Fondazione a Newton dedicata e aperta a Berlino nel 2004, poco dopo l’improvvisa morte dello stesso fotografo.

In parete troviamo immagini che “sfuggono – afferma lo stesso Harder – a qualsiasi classificazione… apportando eleganza, stile e voyeurismo nella fotografia di moda, esprimendo bellezza e glamour e realizzando un corpus fotografico che continua a essere inimitabile e ineguagliabile”. Si va dagli anni Settanta con le numerose copertine per “Vogue” (“La moda è stata – diceva Newton – il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue”), fino all’opera più tarda con il ritratto per “Vanity Fair” di Leni Riefenstahl, fotografa attrice e regista di Hitler, ritratta nel 2000 – alla soglia dei cent’anni – e fermata nella stupefacente grandiosità di un’immagine che cattura i segni ancora percettibili di una remota bellezza, impietosamente tormentata dagli sberleffi del tempo.

Accanto, altri numerosi ritratti a personaggi famosi, miti del Novecento, fra i quali un Andy Warhol colto in un attimo di inquietante relax (omaggio al “Cristo” del Mantegna?) e pubblicato nel 1974 su “Vogue Uomo”, Gianni Agnelli (1997) fermato in una geniale inquadratura di profilo dal basso verso l’alto e un’Alba Parietti tutta riccia e tutta nuda colta di spalle in un giardino della precollina subalpina (gli unici due e così diversi torinesi presenti in mostra); per proseguire con Paloma Picasso munita di “sinistro” monocolo e con l’ambigua e misteriosa Debra Winger (1983), fino a Claudia Schiffer (1992) fasciata in abito rosso che pare cucito a pelle, appoggiata provocante al muro di una stradina di Mentone e alla nuvola bianca di fumo “che si fa sipario” all’immagine fascinosa e maliarda (non c’è data) di Marlene Dietrich, accanto alla quale Newton riposa nell’area ebraica del Cimitero di Friedenau a Berlino.

Delle importanti campagne fotografiche di moda, troviamo invece esposti alla GAM alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di fotografie, ormai iconiche, per le più note riviste di moda internazionali, pensate studiate e scattate nei luoghi più impensati e improbabili: dalla suite di un hotel super lusso, a banali minimaliste perfino ansiogene periferie urbane fino al garage del condominio in cui viveva a Monte Carlo, con modelle e auto parcheggiate, disposte a formare un suo personalissimo “dialogo visivo”. Al centro di tutto le donne. Soprattutto le donne. I corpi statuari. Il trionfo della carne, dell’eros. La grande bellezza e la divertita ironia. In una percezione del tutto singolare e neanche poi tanto bizzarra. Lui stesso ricordava: “Per me il massimo è stata Margaret Thatcher: che cosa c’è di più sexy del potere?”.

Gianni Milani

 

“Helmut Newton. Works”

GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 3 maggio

Orari: dal mart. alla dom. 10/18, lun. chiuso

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Nelle foto
– “Rushmore”, Italian Vogue, 1982 /Caption Helmut Newton Estate
– “Andy Warhol”, Vogue Uomo, Paris 1974 / Caption Helmut Newton Estate
– Una sala espositiva. Ph. Giorgio Perottino
– “Debra Winger”, Los Angeles 1983 / Caption Helmut Newton Estate
– “Claudia Schiffer”,Vanity Fair, Menton 1992 /Caption Helmut Newton Estate
– “Marlene Dietrich”, Hollywood /Caption Helmut Newton Estate

La verità di Craxi in un romanzo più vero dei saggi

Parigi – Hammamet”, thriller sino ad oggi inedito, pubblicato recentissimamente da Mondadori, a cura della Fondazione Craxi, è un romanzo di finzione narrativa, ma che presenta per certi versi fatti veritieri o comunque verosimili…

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La verità di Craxi in un romanzo più “vero” dei saggi

Al via i lavori di costruzione a Omegna del museo dedicato a Gianni Rodari

Sono iniziati mercoledì 26 febbraio i lavori di sgombero dei locali situati in via Carrobbio a Omegna, destinati ad ospitare la sede del  primo Museo in Italia dedicato a Gianni Rodari, del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita

Così come annunciato dall’amministrazione del capoluogo del lago d’Orta e dallo studio di architettura  Bianchetti, che ha in carico il progetto “Omegna Città della Creatività” finanziato dalla Fondazione Cariplo, i lavori sono partiti come da cronoprogramma e termineranno in tempo per l’allestimento e l’inaugurazione della struttura, che avverrà il prossimo 23 ottobre, nel giorno esatto del compleanno di Gianni Rodari. Per Sara Rubinelli, assessore alla Cultura e all’Istruzione di Omegna “l’inizio di questi lavori segna un momento davvero importante per la città. Questo Museo, infatti, può rappresentare il primo passo perché da Omegna si dipani una “cultura” di rilevanza nazionale, non solo locale. Sono certa che gli omegnesi sapranno cogliere con orgoglio questo momento storico, reso possibile dal sostanziale apporto economico di Fondazione Cariplo e dal nostro impegno a favore di tutta la comunità”. 

M.Tr.

La “Biblioteca” di Mario Lattes

In mostra al Polo del ‘900 di Torino, gli acquerelli e i disegni realizzati da Lattes per la sua indimenticata Antologia scolastica

Fino a domenica 8 marzo / Fra i vecchi e impolverati armamentari scolastici che da anni custodisco su in soffitta, credo di averne ancora alcune copie. Parlo di “Biblioteca”, l’Antologia in tre volumi– utilizzata dal sottoscritto in anni, e per più anni, inesorabilmente (ahimè) trascorsi come docente di Materie Letterarie arruolato nella scuola media torinese – scritta dalle bravissime colleghe Rosanna Bissaca e Maria Paolella con fantasiose ma rigorose illustrazioni di Mario Lattes, raffinato pittore scrittore ed editore, pubblicata dal 1992 ( e in uso fino al 2010) dalla stessa casa editrice diretta da Lattes, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale e fondata dal nonno Simone nel 1893.

Oggi scopro che quelle tavole – per la maggior parte mai esposte prima – fresche, delicate, semplici ma legate a filo doppio all’esigenza d’essere filologicamente aderenti al brano letterario interpretato con segni e colori, la Fondazione Bottari Lattes (nata nel 2009 proprio per tenere viva la memoria dell’artista), in collaborazione con S. Lattes & C. Editori, sotto la curatela di Francesco Poli, ha ben pensato di metterle in mostra, fino a domenica 8 marzo, al Polo del ‘900, in Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, a Torino. Il che mi sembra assolutamente importante per cogliere i profondi legami che saldamente tenevano fermo Mario Lattes (Torino, 1923 – 2001) “fra l’anima letteraria e quella pittorica della sua ricerca creativa”.

Dal verde passo passo graduale de “L’infinito” leopardiano (riprodotto come “impresa sfrontata – scriveva lo stesso Lattes – da non aver quasi coraggio, poi, di metterci sotto il titolo di quei quindici versi”) all’inquietante (almeno un po’) nonsense di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol fino a Mark Twain con “Le avventure di Tom Sawyer”, impegnato con l’amico di sempre Huck a scoprire il tesoro nascosto all’interno di una labirintica caverna e “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust o agli “Scacchi” che sono a volte memoria perturbante di Primo Levi: numerosi sono gli argomenti e i testi dei grandi autori classici cui Lattes ha saputo imprimere, attraverso l’originalità di un linguaggio pittorico e grafico profondamente istintivo e singolare, “una forte e originale anima visiva”.

Complessivamente in rassegna troviamo esposte un centinaio di illustrazioni, cinque dipinti e alcuni taccuini di appunti. Sono essi il frutto di un’ampia selezione fra le tavole originali (oltre cinquecento disegni, acquerelli e tecniche miste su tutti gli argomenti del programma scolastico, dalla poesia all’epica, dalla fiaba ai romanzi) realizzate per “Biblioteca” in diversi anni di lavoro e conservate presso la Lattes & C. Editori e la collezione pittorica e incisoria della Fondazione Bottari Lattes.

Sono immagini libere per essenza evocativa e narrativa – testimonianti l’immensa cultura letteraria e iconografica di Lattes – pur se attente e rispettose ai principi peculiari del testo e alla stessa funzione didattica dell’opera. “La mostra – spiega Francesco Poli – si sviluppa attraverso una serie di sezioni legate alle tematiche che caratterizzano le varie parti dei volumi. Per ciascuna di esse sono esposti gruppi di immagini originali, messi in relazione ad altri disegni su taccuini, incisioni o dipinti di Mario Lattes che si collegano agli stessi soggetti e tecniche pittoriche”; una naturale (pur se faticosa e tribolante) evoluzione del continuo appuntarsi visivo, per mania passione istinto grafico-riproduttivo, dei soggetti che le sue numerose e diversificate letture gli sollecitavano.

 

Scriveva lo stesso Lattes: “Su un album da disegno, su fogli foglietti cartoncini grossi così, sono venuto segnandomi le immagini suscitate dalle letture. Fiabe, racconti, pagine di romanzo, poesie. Per dare una visione figurale al testo scritto, o almeno evocarlo”. Fra parola, realtà e fantasia. In scritti che nel disegno ritrovano verità, altre verità possibili. O improbabili. Sogni. Eventi immaginari. Quelli forse impossibili da intuire e descrivere a parole. Solo a parole. Così com’è nella pagina letteraria.

Gianni Milani

“Biblioteca” di Mario Lattes
Polo del ‘900 – Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, Torino. Info: tel. 011/19771755 o www.fondazionebottarilattes.it; le scuole potranno effettuare visite guidate gratuite su prenotazione a segreteria@spaziodonchisciotte.it
Fino a domenica 8 marzo
Orari: dal lun. alla dom. 10/19,30

 

Nelle foto

– “Alice nel paese delle meraviglie”
– “L’infinito”
– “Tom Sawyer e il tesoro nascosto”
– “Alla ricerca del tempo perduto”
– “Scacchi” da Primo Levi
– “Immagini fantastiche”

Un anno di grande cronaca nelle foto dell’Ansa

“PhotoAnsa 2019” Fino al 7 giugno. Bard (Aosta) Dalla tragedia finale del Ponte Morandi alle lotte ambientali di Greta: c’è tutto un anno di “grande cronaca” internazionale nelle foto esposte al Forte di Bard

 

Venerdì 28 giugno 2019, ore 9,37: dopo il suono, ripetuto tre volte, della sirena, bastano 6 secondi per portare a termine l’esplosione delle pile 10 e 11, quanto ancora resta del Ponte Morandi di Genova, tragicamente crollato la vigilia del Ferragosto di un anno prima, portandosi dietro quarantatre vite.

Architettura e presenza simbolo per i genovesi, l’immagine intensa e potente della sua definitiva demolizione, scattata con precisa sapienza tecnica e forte intensità emozionale – nell’accoppiata di occhio e cuore – dal fotoreporter genovese Luca Zennaro (lo stesso che qualche mese prima aveva donato a Papa Francesco, durante il viaggio aereo ad Abu Dhabi, la maglietta con il logo “Genova nel cuore”, insieme alla bandiera con la croce di San Giorgio e ad una lettera firmata dal sindaco di Genova, Bucci) è parte degli oltre cento scatti tratti dalla 15esima edizione del volume fotografico “PhotoAnsa” – che raccoglie 360 immagini, legate ai grandi fatti di attualità in Italia e nel mondo realizzate nel 2019 dai fotografi dell’Agenzia – ed esposte fino al 7 giugno al Forte di Bard, in Valle d’Aosta. La rassegna, proposta al pubblico in anteprima italiana e ideata e prodotta dall’Associazione Forte di Bard in sinergia con ANSA (la più prestigiosa Agenzia di Informazione del nostro Paese) “testimonia – afferma con giusto orgoglio Ornella Badery, presidente dell’ormai più importante polo culturale della Vallée e delle Alpi occidentali – l’autorevolezza che il Forte ha assunto in questi anni nel campo della Fotografia, in particolare nell’ambito del Fotogiornalismo”. Dodici le sezioni, corrispondenti alle tematiche trattate nel volume – presentato nel dicembre scorso al “Maxxi” di Roma – in cui si articola l’allestimento espositivo. Gli scatti spaziano e cavalcano gli eventi di cronaca più eterogenei, quelli che hanno indelebilmente segnato, nel bene e nel male, l’anno da poco trascorso.

Si va dalle elezioni europee che, per la prima volta, vedono una donna, Ursula von der Leyen, alla guida a Bruxelles della Commissione Ue all’ultimo atto del Ponte Morandi (di cui s’è detto), con tutto il carico di angoscia delle famiglie sfollate e della disperazione dei parenti delle vittime, fino a toccare l’orribile tragicità di quello scatto che vede padre e figlia morti abbracciati sul greto di un torrente al confine fra Messico e Stati Uniti nel tentativo di aggirare il muro fatto consolidare dal presidente americano Trump. Tragedia di migranti capace pur anche e per fortuna di trasformarsi nell’immagine giocosa e ironica, scattata il 28 luglio a Ciudad Juarez, da Luis Torres e raffigurante bambini che giocano sulle altalene installate dal designer californiano Ronald Rael proprio fra le sbarre del famigerato muro di Trump. E il racconto prosegue mirando all’Italia, dove dalla romagnola “Papeete Beach” ai palazzi della politica nella Capitale si consuma l’ingloriosa fine del governo giallo-verde e si assiste alla nascita della nuova coalizione Pd-5 Stelle, per poi virare oltralpe fino a una Parigi colpita al cuore in pochi mesi dalle violente manifestazioni dei Gilet gialli e dal terribile incendio della Cattedrale di Notre-Dame. Ma non c’è ombra di dubbio: il volto dominante dell’anno è quello della sedicenne svedese Greta Thunberg, capace di trascinare – con una forza che non capisci dove possa andarla a pescare – folle oceaniche di giovani (e non solo) radunati nelle piazze del mondo a manifestare contro l’immane distruzione perpetrata dall’uomo, dal tempo dei tempi, ai danni dell’ambiente. Di particolare interesse anche la sezione dedicata allo sport, con l’assegnazione a Milano – Cortina dei Giochi Invernali del 2026 e con l’esultanza della squadra di calcio femminile che, pur eliminata ai quarti di finale, vive e fa vivere a tutta l’Italia la sua esperienza ai Mondiali di Francia (7 giugno – 7 luglio) come una vittoria, in uno sport da sempre ritenuto territorio esclusivo dei maschi. Fino alla strepitosa Federica Pellegrini che, il 24 luglio, a quasi 31 anni, strappa la sua ottava medaglia d’oro nei 200 stile libero ai Mondiali di Nuoto di Gwangju in Corea del Sud. E l’Italia torna ad esultare.

Gianni Milani

“PhotoAnsa 2019”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II 85, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 7 giugno

Orari: giorni feriali 10/17 – sab. dom. e festivi 10/18; lun. chiuso. Dal 2 marzo l’apertura è prolungata di un’ora

Nelle foto
– Luca Zennaro, 28 giugno, Genova, demolizione controllata del Ponte Morandi
– Luis Torres, 28 luglio, Ciudad Juarez, bambini che giocano sulle altalene installate fra le sbarre del muro che divide Usa e Messico
– Zakaria Abdelkafi, 9 febbraio, Parigi, manifestazione dei Gilet gialli davanti alla Tour Eiffel
– Ian Langdson, 15 aprile, Parigi, la guglia di Notre-Dame crolla avvolta dalle fiamme

A.A.A. Nuovi Artisti Cercansi

Fondazione Bottari Lattes con Progetto Europeo ETI per immaginare nuovi pubblici e nuovi modi di fare cultura

Monforte d’Alba (Cuneo)  – L’obiettivo, o meglio gli obiettivi, sono importanti e decisamente ambiziosi: aprire le porte a nuovi pubblici, favorire maggiori e diversificate relazioni con i visitatori, sviluppare nelle comunità un maggiore senso di appartenenza e partecipazione, coinvolgere la gente nella creazione di contenuti espressivi e creativi che possano dirsi in linea con le nuove sfide del XXI secolo.

Ce n’è che tanto basta. Per questo la Fondazione Bottari Lattes, con sede a Monforte d’Alba e presieduta da Caterina Bottari Lattes, chiama a raccolta artisti che con la freschezza delle proprie idee sappiano indicare la strada verso nuovo modi di fruire l’arte e la cultura e attirare l’attenzione di nuovi spettatori, visitatori, lettori”.

La Fondazione di Monforte partecipa, infatti, al nuovo Progetto Europeo ETI  (Expérimenter une Transformation Institutionnelle – Sperimentare una Trasformazione Istituzionale), da cui parte la sfida “non procrastinabile” per fare cultura nel nuovo Millennio, seguendo le linee dell’audience engagement, con l’intento molto concreto, per dirla in soldoni, di avvicinare all’arte, alla letteratura, alla musica e ad ogni esperienza culturale anche il pubblico finora meno interessato.

Oltre alla Fondazione Bottari Lattes, unico partner italiano inserito nel progetto ETI, le altre tre realtà europee sono: l’ente ideatore e capofila Ecole Nationale d’Art di Parigi,  Idensitat di Barcellona e Minitremu di Târgu Mureș in Romania. Il bando del Progetto ETI si rivolge ad artisti di ogni forma espressiva (arte figurativa, musica, scrittura, video arte…), a cui si chiede di proporre un progetto di riformulazione istituzionale che “sperimenti l’accesso alla Fondazione Bottari Lattes da parte di nuovi pubblici”.

Il carattere innovativo risiede soprattutto nella richiesta di coinvolgimento di privati e imprese.  Per esprimere la propria candidatura l’artista, infatti, deve affiancarsi a un partner privato (persona fisica o giuridica) che sia espressione di competenze specifiche, radicato in un territorio, impegnato nello sviluppo economico e sociale. Dalla viticoltura al tessile, dall’agroalimentare all’artigianato, dall’ecologia al digitale,  l’artista potrà scegliere tra diversi comparti, facendo perno sulle specificità del settore economico preso in considerazione. Non dovrà creare un’opera unica dalla classica fruizione attraverso il modello della mostra, ma dovrà ideare progetti, metodi, attività innovative che possano essere mobilitati o riutilizzati sulla stregua di un format culturale. Questa sperimentazione permetterà di combinare i modelli tradizionali con modelli operativi, economici, di visibilità e di accessibilità, favorendo così nuove vie di sviluppo dei pubblici di riferimento.

Le candidature dovranno pervenire entro il 5 aprile 2020, compilando il form onlinehttp://eti-europe.eu/it/candidatura.

La selezione sarà effettuata dai quattro enti partner del Progetto ETI.

Per l’artista vincitore sono previsti un contributo alla realizzazione del progetto per un massimo di 2mila euro e la copertura delle spese di viaggio e di ospitalità. L’artista potrà sentirsi libero di ricercare in proprio cofinanziamenti per la realizzazione del suo progetto.

Gli artisti selezionati parteciperanno a un insieme di azioni per una durata di due anni con un primo incontro a maggio 2020 (data da confermare) e una programmazione locale (date in funzione del Paese). Il progetto ETI si concluderà con un Forum organizzato a Parigi a settembre 2021, in cui saranno presentate le sperimentazioni condotte nel corso del biennio. “Sarà l’occasione di proporre a livello europeo un’istanza di consultazione comune, che consenta di accompagnare le istituzioni dell’arte e della cultura nel lavoro di trasformazione dei loro modelli”.

 

Info: 0173.789282 e 011.19771755 – segreteria@fondazionebottarilattes.it

WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes

g. m.

Nelle foto
– La sede di Monforte d’Alba
– Logo Fondazione Bottari Lattes
– Caterina Bottari Lattes