CULTURA- Pagina 143

I Gozzano, genealogia di famiglia

Riletture / I Gozzano di Cereseto e la loro discendenza dai Gozani di Casale e di Luzzogno

 

Frutto di un eccellente lavoro di ricerca, è uscito tempo fa, con la bella prefazione di Carlo Alfonso Maria Burdet, il volume di Armano Luigi Gozzano che fiero del cognome che porta, ha ripercorso a partire dal XVI secolo la genealogia dei Gozzano in Piemonte, originari di Luzzogno in Val Strona. Una faticosa ma fruttuosa consultazione di archivi di Agliè, Alessandria e Casale con i comuni limitrofi e degli articoli de” Il Monferrato” hanno portato alla realizzazione di una documentazione storica di grande rilievo ma anche piacevole per la presenza di fotografie di antiche dimore nobiliari con relativi affreschi, in particolare quello settecentesco di Pier Francesco Guala che decora palazzo Gozzani Treville di Casale, oltre ad atti notarili di proprietà, testamenti e certificati di battesimo. Non mancano i vari bellissimi stemmi dei casati tra cui spicca quello originario dei Gozani di Luzzogno con la testa di giovane bianco col gozzo senza banda e fascia obliqua a scacchiera. A conclusione, nelle ultime pagine, molte fotografie di discendenti e, immancabile, l’immagine di Guido Gozzano, i cui genitori Fausto e Diodata erano originari di Agliè, massimo esponente intimista del crepuscolarismo post decadente italiano. L’opera quindi oltre a darci fondamentali notizie storiche diventa occasione di far tornare alla mente il fascino delle poesie del delicato cantore della semplicità degli affetti, degli umili oggetti fuori moda degli interni quotidiani di un piccolo mondo borghese scomparso, rievocato con sottile nostalgica elegia, velata di pudica ironia volutamente colloquiale ma con la raffinatezza di uomo di cultura che cerca rifugio nei ricordi d’infanzia.

Giuliana Romano Bussola

 

Superga, il comandante Meroni e quella Lambretta in via Carpi

Il 4 maggio del 1949 a Superga l’aereo del ‘Grande Torino’ si schiantò a Superga. Ma questo immenso dramma colpì non soltanto il mondo dello sport e la capitale del Piemonte, ma l’Italia ed il mondo intero per la sua dimensione, generò anche mille storie ‘collaterali’, altrettanto drammatiche e ricche di risvolti

Una di queste mi riguarda sia pure indirettamente. A guidare l’aereo che si schiantò a Superga era il comandante Pierluigi Meroni, 34 anni, pilota capace ed abile con un’esperienza maturata nei cieli della seconda guerra mondiale. Lui con la famiglia viveva in via Carpi a Milano.

E qui si intreccia la sua storia con il suo ricordo di Superga: a quell’epoca in via Carpi viveva la famiglia Gindari, il padre Francesco, la madre Tina e la figlia Marisa, che allora aveva diciotto anni. E, dopo la sciagura fu Francesco Gindari ad acquistare la lambretta dalla moglie del comandante che era deceduto in quel di Superga. Spiego subito il nesso: Marisa Gindari ha sposato nel 1972, Marco Iaretti, padre mio e di mio fratello Fabrizio, che era rimasto vedovo di Lucia (la nostra prima mamma, quella biologica che se n’era andata per un brutto male il 12 dicembre del 1969, perché Marisa, per tutto quello che ha fatto per noi è stata una Mamma con la M maiscola, e questa è un’altra storia). Mamma, in più di un’occasione mi ha raccontato di questo episodio e del collegamento tra il nonno Francesco (ma per tutti era Cecco) e  l’episodio della lambretta del comandante Meroni. Tant’è che quando in un giorno alla fine di settembre del 2011, andai a fare una gita a Superga e a rendere omaggio a quella grande squadra (pur da sempre juventino) chiamai mamma al telefono, non ricordando il nome del comandante dell’aereo, e lei mi disse solo ‘Meroni’ e trovai il suo nome sulla stele nel luogo del tragico impatto. Certo adesso, passati gli anni (Mamma Marisa ha terminato il suo cammino terreno pochi giorni dopo nell’ottobre di quel maledetto 2011), mi piacerebbe anche incontrare, parlare, con i figli o i nipoti del comandante Meroni, per saperne di più. Credo che sarebbe un momento ricco e carico di emozione, sia pure a distanza di tanti anni. Chissà.

Massimo Iaretti

(foto di Fabio Liguori)

 

Un’opera da un milione di euro per aiutare Torino

“THE END OF LOVE”: l’artista torinese Manuela Maroli vuole aiutare le persone in gravi difficoltà economiche

 

L’arte a servizio dell’emergenza Covid. Questo il significato del gesto compiuto dall’artista e performance torinese Manuela  Maroli, protagonista di un’iniziativa encomiabile di solidarietà a favore delle persone che, a causa di questa emergenza sanitaria, si sono trovate in ancora maggiori difficoltà economiche.

L’artista, che ha creato in passato un interessante collettivo di artisti dal nome “Svergin_Arte”, ha deciso di mettere in vendita la sua opera intitolata “THE END OF LOVE” al prezzo di  un milione di euro, di cui novecentomila andranno in beneficenza a favore delle persone che si trovano in gravi difficoltà economiche e vivono nella sua città, Torino. Trentamila euro andranno alla galleria e /o all’art dealer e settantamila euro all’artista stessa come compenso per la sua opera.

“Non si tratta di una provocazione – spiega Manuela Maroli –  né, tantomeno, di un tentativo per ottenere visibilità, ma di un vero e proprio “atto poetico” che mi sento di dover tributare alla mia città ed alle persone maggiormente in difficoltà. L’arte rappresenta, infatti, l’ombra enigmatica dell’amore ed è destinata a vivere in eterno”.

L’opera “THE END OF LOVE”, da lei realizzata in occasione di San Valentino, è un’installazione costituita da un rotolo di carta igienica contenente cuoricini rossi, un pezzo unico che ha voluto esprimere, nella volontà dell’artista, la sua riflessione sul sentimento amoroso, proprio in occasione della festa dedicata al patrono degli innamorati, improntata spesso, però, nella società contemporanea ad una sempre più spinta commercializzazione.

Artista dalle mille sfaccettature, Manuela Maroli ha abbracciato nella sua produzione artistica anche la “body art”, convinta che l’arte possa e debba passare attraverso l’utilizzo ed il linguaggio del corpo, che è incapace di mentire, alla stregua di “una lavagna”, alla ricerca del lato oscuro presente in ciascun essere umano. Un messaggio oggi più che mai attuale, in un momento di emergenza da Covid 19, come quello che stiamo ancora vivendo, in cui l’isolamento forzato e necessario, al quale sono state chiamate le persone, ha posto gli esseri umani nudi di fronte alla propria anima. E spesso una simile circostanza può, in molti casi, aver generato paura. In questo caso l’arte, come quella di Manuela Maroli, ha sicuramente avuto ed avrà in futuro un ruolo salvifico.

Mara Martellotta

L’isola del libro

Rubrica settimanale sulle novità in libreria. A cura di Laura Goria

Rowan Hisayo Buchanan  “Innocua come te”   -Codice Edizioni-  euro 19,00

E’ scritto magnificamente questo romanzo di esordio della scrittrice e saggista 30enne dalla genealogia cosmopolita (padre inglese, madre americana per metà giapponese e metà cinese) nata in America e cresciuta tra Londra e New York, dove si è laureata alla Columbia University. Un Dna decisamente interessante che traspare nel libro, che però non è autobiografico.

New York alla fine degli anni 60, protagonista è la giovanissima Yukiko (Yuki), figlia di una coppia di giapponesi (per i quali l’America è una trappola) che decidono di tornare a Tokyo, alle loro radici. Ma Yuki ha appena conosciuto la splendente e spregiudicata Odile e non vuole partire; ottiene di restare promettendo di proseguire gli studi e si trasferisce a casa dell’amica e della madre. Sono gli anni in cui la modella Twiggy impera, la Guerra del Vietnam divampa, e il mondo sta cambiando. Odile sogna una carriera come quella della top model “grissino” e va decisa in quella direzione; Yuki invece ha velleità artistiche e sperimenta -senza particolare successo- pittura e fotografia. Poi la vita accelera e Yuki passa da una relazione squilibrata e umiliante a un matrimonio sonnolento con il rassicurante Edison. Si trasferiscono in Connecticut e mettono al mondo un figlio; ma la vita da casalinga a Yuki va stretta, così li abbandona per seguire i suoi sogni.

Questo è solo uno dei due livelli della narrazione e si interseca con quello della vita del figlio Jay, andando avanti e indietro negli anni. E’ stato cresciuto dal padre amorevole che ha sopperito in parte alla lacuna della figura materna. Lo ritroviamo 35enne gallerista affermato, innamorato della moglie, ma anche padre spaesato “di una piccola sanguisuga”. Alla morte di Edison scopre che ha lasciato la casa del Connectitut a Yuki ed è così che attraversa l’oceano per cercare la madre. Il resto è la storia del tentativo di riallacciare un rapporto, suturare ferite e capire cosa conta nella vita, passando per illusioni e smentite, affetti profondi e senso di responsabilità…

 

Maxim Biller “Sei valigie”  -Sellerio –  euro 15,00

Quella che il critico letterario e scrittore tedesco Max Billier ci racconta è la tragica storia della sua famiglia di ebrei russi scappati dall’Est all’Ovest, e del mistero che aleggia intorno alla morte del nonno. Ripercorre piccoli e grandi odi, dissapori familiari vari e assortiti, e le sei valigie del titolo corrispondono ad altrettante versioni della storia.

Chi ha tradito nonno Schmil, denunciandolo al Kgb e decretandone la condanna a morte tramite impiccagione? Chi lo ha accusato di fare affari al mercato nero, alle spalle del regima sovietico? Ecco il grande segreto di questa famiglia in cui delatore potrebbe essere uno dei 4 figli di Schmil, separati dai caratteri e dalla storia: 2 all’Ovest, uno a Praga, e lo zio Dima rinchiuso per 5 anni in un carcere cecoslovacco. Oppure la spia è stata la nuora Natalia, moglie separata di Dima: bella e provocante in gioventù, ex regista, ex prigioniera in un campo di concentramento, poi donna sfiorita che va incontro a una fine che lascio a voi scoprire.

Ecco le linee della storia di Biller, nato nella Repubblica Ceca nel 1960 da genitori ebrei ucraini emigrati prima in Russia e poi a Praga, dalla quale scapparono dopo l’invasione sovietica. Una famiglia travagliata e un racconto intrigante che si interseca con la Storia, gli anni della cortina di ferro, il mito dell’Ovest e uno strisciante antisemitismo.

 

Angelo Longoni  “Modigliani il principe”  – Scrittori Giunti –  euro  19,00

Longoni -scrittore, drammaturgo e regista- in quasi 600 pagine racconta gli anni parigini del pittore livornese e imbastisce un romanzo basato su fatti e personaggi rigorosamente fedeli alla realtà. Un affresco in cui risaltano la complessità e il fascino di un artista immenso, che la vita non trattò troppo bene. Segnato a 11 anni dal primo episodio di tubercolosi, Modigliani bruciò la sua breve vita convinto di non avere abbastanza tempo per scoprire e manifestare il suo talento; e gli inizi come scultore aggravarono la sua salute con le polveri di gesso.

L’impatto con la Parigi dei primi anni del 900 è traumatico per “il principino”, così chiamato perché all’inizio (quando ancora aveva i soldi della famiglia) alloggiò in una pensione e visse come un benestante. Poi entra in contatto con altri artisti e assimila le regole che governavano l’arte parigina: libertà, bellezza, amore, scandalizzare il perbenismo borghese, avventure sessuali, droghe e alcol. Ed eccolo trasformato in bohemien, bello, talentuoso e maledetto.

Un cardine della sua esistenza furono le donne che lo amarono intensamente; a partire dalla madre, borghese colta che gli insegnò il francese e condizionò le sue scelte culturali.

Poi le amanti che furono fondamentali per comprendere la vita e sviluppare il suo gusto artistico inconfondibile. Le più importanti furono la Diva Kiki de Montparnasse; la poetessa russa Anna  Achmatova, la prima di cui Modigliani si innamorò veramente e con la quale imbastì una relazione mentre lei 19enne era a Parigi in viaggio di nozze.

Ma anche la scrittrice, poetessa e giornalista inglese Beatrice Hastings e la dolce, giovanissima Jeanne Hébuterne, ripudiata dalla famiglia, che con Amedeo dividerà miseria, stanze fredde, gli darà una figlia e alla morte di lui, di nuovo incinta, si suiciderà. Una vita da romanzo, che Longoni racconta con sensibilità e garbo, mettendo a fuoco anche l’originalità dei quadri di Modigliani, poco capiti dai suoi contemporanei. Restio ad aderire alle correnti dell’epoca, (a partire dal cubismo di Picasso, i Fauves e l’avanzare del Futurismo) non voleva essere etichettato se non  come “Modiglianista”, fedele solo a se stesso e…immortale.

Maggio e il Neoclassicismo per la Fontana dei Mesi di Torino

L’ultimo round è arrivato anche per la rubrica della Fontana dei Mesi. Penso questo, aprendo il computer per scrivere della statua del mese di maggio, in programma per la decima uscita, l’ultima della serie. Mi trovo all’ultimo gradino prima di mettere la parola “conclusa” sulla cartellina degli articoli. Uno step che non è più alto, né più basso degli altri, tuttavia questo è per me un momento che fa riflettere

Colgo l’occasione per ripensare alle precedenti uscite e anche alla scorsa rubrica, donne (in nero), apparsa su iltorinese.it l’anno scorso. Penso anche ai luoghi dove mi trovavo quando ho scritto la Fontana dei Mesi in passato e al fatto che sono ormai parecchi giorni che tutti noi non mettiamo naso fuori di casa, se non per le necessità. Ho un ultimo pezzo con voi e continuo doverosamente nello scrivere una rubrica che, a parte la correlazione tra “correnti artistiche” e “statue dei mesi”, porta avanti un messaggio: recatevi al Parco del Valentino a vedere la fontana del Ceppi.

Insomma mi trovo a combinare questo pezzo in un momento particolarmente caldo per tutti noi, in un momento in cui uscire di casa per una passeggiata al parco è proibito e per questo mi scuserete se per questa volta, vi chiederò invece di stare a casa, di non andare al parco, ma piuttosto di riprodurre ad esempio su carta la statua di maggio, la fontana intera oppure la vostra statua preferita e poi di attaccare il foglio sulla porta di casa con la promessa di arrivare fino alla vostra fontana di Torino e godervi il giro, non appena sarà possibile.  Iconiche per maggio le spalle. Poi le braccia; forti tengono accostati al petto quantità di fiori il cui aspetto è quello del culmine del loro splendore, in altre parole non si tratta di boccioli, ma di fiori carnosi.

Tutti sanno che c’è un momento in cui i fiori, così come i frutti, sono così carichi da far desiderare di coglierli. Una spinta che porta con sé un duplice motivo, il desiderio di salvarli, dallo sfiorire o, nel caso dei frutti, dalla via della marcescenza. E la volontà di goderne la compagnia in una sala da pranzo oppure di banchettarne è la seconda ragione che spinge al gesto del cogliere. La nostra statua ne ha con sé sotto le braccia, li porta con sé in quanto allegoria di maggio, il mese in cui la primavera è matura e i fiori sono da cogliere, perché sono nel tripudio della loro breve vita e se ne può sentire l’odore gradevole invitare ad avvicinarci. Ho pensato dunque di parlarvi del Neoclassicimo. Una corrente artistica che deriva dalle riflessioni estetiche del suo tempo, il Settecento, e che è il culmine del periodo precedente, quello Barocco, da cui si stacca nettamente per alcune caratteristiche abbastanza notevoli da permettere la strutturazione di una corrente artistica per così dire a sé stante. I neoclassici si sono liberati dalle ombre del periodo barocco cogliendo la parte matura del periodo precedente, dipingono perciò finalmente senza i forti vincoli prospettici a cui il barocco chiamava. E lo fanno senza nulla togliere all’ambientazione. I soggetti dei neoclassici sono i miti, come ad esempio Giovan Battista Tiepolo dipinge Apollo e Daphne, Briseide e Agamennone e molti altri, ma questa corrente artistica, si potrebbe studiare anche attraverso una selezione delle allegorie che fioriscono in quel periodo. In generale i racconti della mitologia greca e latina, così come i fatti storici, come ad esempio l’incontro tra Antonio e Cleopatra, sono rispolverati, dipinti e scolpiti sull’onda lunga del Barocco, si potrebbe dire del leit motiv barocco, quello di “mettere in scena i personaggi” siano essi dipinti oppure scolpiti.  Poi mi pare che la statua di maggio alla Fontana dei Mesi di Torino sia un po’ come il Neoclassicimo, perché mi dà l’impressione di una donna che si è lasciata indietro le ombre della primavera, in attesa di una prossima estate.  Sono contenta, di riuscire a essere con voi, per un momento, anche in questo difficile periodo.

Elettra Nicodemi

Sul Neoclassicismo Elettra Nicodemi ha scritto anche: Neoclassicismo, dipingere senza le ombre di inizio secolo [https://insidethestaircase.com/2017/05/01/neoclassicismo/] edito Inside The Staircase

Non era una stecca ma nemmeno un filotto

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PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Non ricordo di essere mai ritornato su una “puntata” di Parole Rosse ma questa volta non potevo proprio esimermi. Perché l’avevo promesso a diversi lavoratori del Teatro Regio che non hanno condiviso quanto raccontato in “La stecca” dello scorso 6 aprile. Hanno scritto, sul mio profilo Facebook, alcuni molto gentilmente, avendo un rapporto di stima e cordialità, altri in maniera molto risentita ma comunque civile. Ci ritorno, perché non mi sottraggo mai ad un confronto, per precisare alcune cose e per allargare la questione a tutto il settore della cultura di Torino ed in parte dell’intera regione.

 

Approfondendo l’argomento sono venute fuori cose interessanti, altre curiose ed una sensazione che ho evidenziato in quanto ho già scritto. Andando con ordine, non è vero che i lavoratori hanno rifiutato la cassa integrazione, mi scuso per l’imprecisione, quando l’ho scritto lo erano già. Non lo sapevo né lo sapevano le persone con le quali mi ero confrontato in quanto il provvedimento, le disposizioni lo permettono, è stato retroattivo dal mese di marzo.

Fatta la precisazione vengo agli altri aspetti, più che rifiutare la cassa integrazione, cosa che non è possibile da parte dei lavoratori, dopo ferie ed eventuali permessi, ed in particolare la richiesta, legittima per carità ma che non tiene conto, a mio parere, dei conti del Regio e della situazione straordinaria che stiamo vivendo e cioè di mantenere, nella sostanza, l’intero stipendio attraverso il cosiddetto “smart working”. Richiesta non accolta dal sovrintendente Sebastian Schwarz e che ha fatto risentire alcuni membri delle fondazioni bancarie, ma sulle fondazioni ci torno dopo. Altri enti lirici l’hanno fatto, come La Scala di Milano o come l’ente cagliaritano che si è inventato un corso di inglese, a casa, per gli orchestrali. Capisco che ridurre lo stipendio è sempre un problema e che per alcuni, con impegni, mutui e affitti, rischia di diventare un dramma ma , lo ripeto, non siamo in una situazione normale.

Pretendere o lamentare, in altri settori, che non si può usare la mensa e che bisogna portarsi il mangiare da casa è lo stesso atteggiamento. I lavoratori hanno lottato, per la mensa, per i diritti, per i contratti, per le garanzie ma oggi il problema è difendere il posto di lavoro, superare la drammatica situazione e proporre, con un grande sforzo collettivo, una progettualità e un’innovazione indispensabili alle quali devono dare il contributo anche i lavoratori. In discussione non c’è solo il Regio ma la sopravvivenza dell’intero settore culturale. La stragrande maggioranza delle realtà vive di entrate dagli spettacoli, che al momento si sono azzerate e di, sempre più esigui, contributi pubblici. Un settore esiste se sono presenti dalle più piccole associazioni alle medie fino alle grandi Fondazioni culturali come Regio, Cinema, Stabile. Non può esistere se rimangono in vita solo le più importanti. Allora è necessario uno sforzo collettivo, altri ne hanno già scritto e parlato, di idee, progettualità, capacità di affrontare questa grande e problematica situazione. Bisogna mettere intorno ad un tavolo, evito volutamente i termini Task Force, Cabina di Regia, Comitato di esperti vari, tuti i soggetti, istituzioni, fondazioni, e gli esponenti del mondo della cultura, per affrontare e superare la situazione.

E’ necessaria una grande visione solidaristica che riguardi non solo chi è garantito da un contratto di lavoro con o senza cassa integrazione. Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non uno per uno (cit.). Chiudo, come ho iniziato, con il Teatro Regio. Dopo scambi di commenti, opinioni e lunghe telefonate con alcuni lavoratori ed i loro rappresentanti, i sindacati mi hanno fatto pervenire, li ringrazio, un documento che hanno naturalmente inviato ai vertici della Fondazione Teatro Regio. Documento condivisibile in larghissima parte ma dal quale traspare chiaramente l’assenza di dialogo tra il sovrintendente e le stesse organizzazioni sindacali e questo non va assolutamente bene. Con i lavoratori ci si confronta e ci si scontra ma non si può pensare che gli si comunica solo le intenzioni e decisioni. La situazioni del Regio era già “pandemica” ed atteggiamenti non adeguati alla situazione, da parte di tutti, possono risultare esiziale. Nelle Fondazioni bancarie molti pensano che le risorse vadano destinate per la sanità e per chi fa fatica a sopravvivere e non per quelli che loro considerano “privilegiati”.

Ecco perché bisogna lanciare dei messaggi di chiarezza, comprensione, disponibilità, pur nel sacrificio, atti a superare questo momento. Bisogna aiutare i pochi “amici” veri della cultura presenti nelle Fondazioni bancarie. Così come mi auguro e spero che i vertici del Teatro Regio, a cominciare dal Presidente del Consiglio d’Indirizzo, il Sindaco Chiara Appendino, il Sovrintendente Sebastian Schwarz abbiano presentato alle stesse, al ministero le richieste dei contributi necessari per affrontare i problemi passati e quelli più recenti. Il mondo della Cultura può dimostrare, facendo diventare questo cataclisma un’opportunità, di chiedere non solo contributi, con un atteggiamento, da parte di alcuni, questuante, ma di proporre una grande progettualità innovativa per affrontare le grandi problematiche e cambiamenti che il Covid 19 ha generato. Le associazioni si trovano di fronte al “progetto della vita” nel senso che da esso può dipendere la loro sopravvivenza.

A scuola (online) con il Salone Internazionale del Libro

Una nuova sezione ad hoc sul sito del Salone: consigli, contenuti originali, pillole video, progetti e grandi classici fruibili gratuitamente per aiutare studenti e docenti

 

SalTo per la Scuola è un progetto con cui il Salone Internazionale del Libro di Torino vuole provare a stare vicino agli insegnanti e agli studenti in questo periodo difficile. Lo fa mettendo in campo alcuni contenuti utili da affiancare alla didattica e costruendo una rete con i progetti e le realtà con cui da anni lavora per promuovere i libri, la lettura e la cultura.

 

In questi giorni complessi, durante i quali la scuola è chiamata a nuove sfide a distanza, l’universo di SalTo Diventi – lo spazio dedicato alla scuola e alle nuove generazioni sostenuto da Fondazione Compagnia di San Paolo – incontra quindi il mondo di Adotta uno scrittore – il progetto con cui Salone, grazie al contributo dell’Associazione delle Fondazioni di Origine Bancaria del Piemonte con la Fondazione con il Sud, porta gli autori italiani contemporanei nelle scuole e nelle carceri italiane – e la rete di autori della Scuola Holden. L’obiettivo è comune e importantissimo: continuare a coltivare la relazione e lo scambio, preservare quelle piccole comunità che sono le classi. Per riuscirci, occorre mettere in campo tutti gli strumenti possibili.

 

SalTo per la Scuola è dunque una sezione del sito del Salone in cui, a partire da oggi e poi nelle prossime settimane, confluiranno materiali diversi: lezioni, approfondimenti e link utili per i docenti. I materiali sono divisi in tre aree specifiche e una pagina che raccoglie progetti e attività dei partner del Salone.

 

1. Le lezioni del Salone

Si inizia oggi, giovedì 30 aprile, con una lezione di Alessandro Barbero sul senso della storia e sul perché è importante studiarla. Partendo da Sofocle e Tucidide fino ad arrivare ai giorni nostri. Poi, una lettura di Isabella Ragonese delle poesie di Guido Gozzano, intervallate da alcuni interventi critici dell’italianista Chiara Fenoglio. Per i più piccoli, poi – e in omaggio al grande scrittore, amico del Salone e dal Salone profondamente amato, recentemente scomparso – verrà riproposto l’incontro con Luis Sepúlveda dedicato alla Gabbianella e il gatto e ad altri racconti per ragazzi.

 

2. Adotta uno scrittore a distanza

Adotta uno scrittore prosegue a distanza. Diversi autori continuano a tenersi in relazione con i ragazzi delle scuole, incontrandoli via web in diretta o mandando video-lezioni. Tutti i video delle adozioni saranno resi disponibili anche alle classi che non partecipano al progetto.

 

3. Maestri di classici: Holden Classics si trasferisce online

Proseguono anche gli incontri del progetto Holden Classics, rivolto alle scuole superiori e a cura della Scuola Holden. In collaborazione con il Salone, dalla metà di aprile le lezioni saranno online e a disposizione di tutti: l’obiettivo è riuscire ad “addomesticare” alcuni mostri sacri della letteratura con l’aiuto di autori e insegnanti della Holden. Ognuno di loro sceglie un grande classico che ama e, in una video-lezione, racconta agli studenti tutto quel che sa di quel libro, cosa ha trovato di magico e potente in quelle pagine e perché valga la pena leggerlo.

 

Le nostre segnalazioni

Molti dei partner con cui ogni anno il Salone Internazionale del Libro di Torino costruisce il suo programma stanno lavorando per aiutare i docenti. Su una pagina dedicata del sito verranno quindi raccolti alcuni progetti utili e interessanti. Dai webinar rivolti ai docenti che la Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo organizza con il progetto Riconnessioni dall’inizio dell’emergenza alle lezioni che i Piccoli Maestri stanno organizzando per aiutare i docenti col programma di letteratura italiana così come giochi di ludolinguistica sul web promossi dai Comix Games. Per i ragazzi delle scuole medie ed elementari, ancora, il Crucivirus, curato da Xkè? Il laboratorio della curiosità.

 

Un invito alle scuole primarie a partecipare alla giuria del Silent Book Contest Junior

Il premio Silent Book Contest 2020 – Gianni De Conno Award, il primo concorso internazionale dedicato ai libri senza parole apre una nuova sezione Junior. Accanto alla Giuria Internazionale ci sarà infatti una giuria di bambini. Il Salone invita le classi terze e quarte della scuola primaria a candidarsi come giurati.

Il 4 maggio inaugurerà inoltre la Mostra Virtuale dei 12 finalisti SBC 2020 visibile anche sul sito del Salone Internazionale del Libro di Torino e su quello della Bologna Childrenʼs Book Fair – Special Edition che si apre proprio il 4 maggio.

 

Contenuti in continuo aggiornamento

Le varie sezioni di SalTo per la Scuola saranno aggiornate ogni settimana, con nuovi contenuti e rinnovati progetti, per rimanere costantemente in contatto con studenti, docenti e il suo pubblico in generale.

 

Nel presskit digitale è disponibile il comunicato stampa completo di ulteriori dettagli e l’indicazione precisa dei contenuti disponibili da oggi e nelle prossime settimane, nonché l’immagine guida dell’iniziativa.

 

La sezione SalTo per la Scuola è disponibile da oggi, giovedì 30 aprile, al link:

www.salonelibro.it/ita/news/salto-per-la-scuola.html

“Il Piave mormorava…”

Tutto ebbe inizio nel mese di maggio /  Soldati di Terra e di Mare. L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.

Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo. Soldati a voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri“. Così parlò dal Gran Quartier Generale il Re d’Italia,Vittorio Emanuele III, con un discorso gonfio di retorica. Era il 24 maggio 2015, un lunedì, giorno dedicato alla Beata Vergine Maria Ausiliatrice. Erano passati dieci mesi dall’agosto del 1914 che aveva segnato l’inizio del conflitto. Il ”maggio radioso”, come viene spesso chiamato il periodo che prelude all’entrata in guerra dell’Italia, fu un mese di fermento diplomatico e di forte tensione politica. Il fervore interventista si concretizzò in manifestazioni di tutte le piazze della penisola e D’Annunzio arringava la folla e la incitava contro Giolitti, fautore della linea della neutralità. L’Italia era ormai prossima a rompere l’antico patto con Austria e Germania e a entrare in guerra a fianco dell’Intesa, secondo i piani segreti firmati a Londra il 26 aprile del 1915.

I primi fanti marciarono contro l’Austria proprio quel giorno, oltrepassando il confine, “per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera“.Iniziava così, anche per l’Italia, la “Grande guerra”. L’Italia, incurante del patto sottoscritto fin dal 1882 (Triplice Alleanza) con l’Austria-Ungheria e la Germania, decise di entrare in guerra cambiando alleanza e schierandosi con la Triplice Intesa, formata da Francia, Inghilterra e Russia. La Triplice Alleanza era un trattato di carattere puramente difensivo, che prevedeva il reciproco aiuto in caso di invasione esterna. Questa clausola permise all’Italia, visto che l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia senza avvisarla, di rimanere neutrale allo scoppio del conflitto. Dopo essersi dichiarata tale l’Italia decise successivamente di schierarsi a fianco dell’Intesa contro gli Imperi centrali (Austria-Ungheria, Germania e Impero Ottomano). La vittoria, secondo l’accordo, avrebbe garantito all’Italia il Trentino e il Sud Tirolo, con il confine al Brennero; Trieste e l’Istria fino al Quarnaro, ma senza Fiume; la Dalmazia, una sorta di protettorato sull’Albania e compensi indefiniti in caso di disgregazione dell’Impero Ottomano e di guadagni coloniali da parte inglese e francese. Il comando supremo delle operazioni venne affidato al generale Luigi Cadorna.

Tre erano le zone del teatro di guerra italiano: Trentino, Cadore e  la valle dell’Isonzo, nella Carnia. Un compito piuttosto  difficile dal momento che il confine italiano era lungo oltre 600 chilometri ed era molto vulnerabile. Il confine col Trentino era decisamente montuoso, favorevole alle posizioni austriache, lì ben fortificate, come pure in Cadore e in Carnia, dove il fronte correva lungo la displuviale delle Alpi.Diversa era la situazione sull’Isonzo: da Tolmino al mare Adriatico, le Alpi presentavano una serie di bassi altopiani, che favorivano la difesa, ma consentivano anche di attaccare in forze, aprendo la via verso obiettivi strategici di grandissimo interesse: Trieste, la pianura di Lubiana e, infine, Vienna. Delle 35 divisioni a disposizione, Cadorna decise di destinarne sei alla I° armata che si trova verso il Trentino, cinque alla IV° armata in Cadore, due al corpo d’armata della Carnia e quindici alle armate II° e III° , destinate a sferrare l’attacco decisivo da Tolmino al mare (a cui se ne aggiunsero  altre sette). Il grosso delle forze era dunque concentrato sul fronte dell’Isonzo, che diventò presto un simbolo della difficile guerra di logoramento italiana. E che, successivamente venne impresso nel fuoco con un nome tragicamente noto: Caporetto! Fatto sta che quel giorno di centotre anni fa iniziava il conflitto che sarebbe costato al mondo milioni di morti in quella l’allora pontefice , Benedetto XV, in una lettera ai “capi dei popoli belligeranti” che porta la data del 1° agosto 1917 definì “l’inutile strage”. Un’espressione la cui carica profetica risuonerà per tutto il XX secolo e che anche oggi risulta drammaticamente attuale.

Marco Travaglini

 

I libri più letti e commentati nel mese di aprile

Torna, puntuale, l’appuntamento con i libri più letti e commentati nel gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri.

Tra i titoli più discussi del mese troviamo, al primo posto, La sedia vuota di Jeffrey Deaver, che continua a  convincere i lettori per la forza delle descrizioni e il carattere avvincente della trama; secondo posto per Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, capolavoro del compianto Luis Sepulveda, autore molto amato e sempre presente nei post del gruppo; terzo posto per La città dei ragazzi, di Eraldo Affinati, lettura “di nicchia” ma che ha saputo incuriosire i membri del nostro gruppo con un interessante scambio di opinioni sui libri destinati ai lettori più giovani.

Torna la rubrica sui consigli delle librerie: questo mese a suggerire tre imperdibili letture, tocca alla Libreria Bianca & Volta di Riccione che propone La manutenzione dei sensi, di Franco Faggiani (Fazi editore), perché con delicatezza e sensibilità racconta come sia possibile affrontare le difficoltà più grandi, lasciandoci un senso di leggerezza e amore per la vita; La tigre, di Polly Clark (Atlantide edizioni), particolare, bellissimo e intenso; infine l’albo illustrato L’anima smarrita (Topipittori), scritto da Olga Tokarczuk, Nobel per la letteratura, che con poesia ci ricorda quali sono le cose davvero fondamentali della vita.

 

Per la serie: Time’s List of the 100 Best Novels, ovvero i cento romanzi più importanti del secolo XX, scritti in inglese e selezionati dai critici letterari per la rivista Times, questo mese abbiamo preso in esame tre romanzi ambientati nelle vecchie colonie: Una casa per Mr Biswas, di V.S. Naipaul, bizzarro e divertente romanzo di formazione “al contrario” ; il profondo  “prequel” di Jane Eyre Il Grande Mare dei Sargassi, di Jean Rhys il malinconico e struggente Il Nocciolo della Questione, di Graham Greene.

Per questo mese è tutto, ci rileggeremo il mese prossimo!

 

Podio del mese

La sedia vuota, Deaver (BUR) – Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, Sepulveda (Guanda) –  La città dei ragazzi, Affinati (Mondadori)

 

Time’s List of the 100 Best Novels:

Una casa per Mr Biswas, Naipaul (Adelphi) – Il grande mare dei Sargassi (Adelphi) – Il nocciolo della questione (Fanucci)

 

Consigli della libreria

Libreria Bianca & Volta di Riccione

La manutenzione dei sensi, Faggiani (Fazi editore), – La tigre, Clark (Atlantide edizioni), L’anima smarrita, Tokarczuk (Topipittori).

 

Testi di Valentina Leoni, grafica e impaginazione di Claudio Cantini redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Raccontami una storia

Racconti, memorie, storie e ricordi su Facebook. “All’inizio è stato quasi un gioco. Per ingannare un po’ questo tempo dilatato che ci ha stravolto la vita. Invece, mano a mano che leggevo le vostre storie, ho capito che questo è in realtà molto di più.

È come se fossimo tutti seduti intorno al fuoco a raccontare e ad ascoltare” racconta Chantal Balbo di Vinadio, torinese, erede di una nobile  famiglia piemontese, scrittrice e artefice di una  bella e appassionante iniziativa letteraria su Facebook,  Raccontami una Storia, che in poco tempo ha raggiunto più 750 iscritti che scrivono, condividono e leggono con “amore e semplicità”.

Su questa pagina di produzioni narrative in clausura troviamo racconti divertenti ed ironici ma anche toccanti e profondi come quelli di Giorgio Vitari, autore del fortunato libro  Il Vestito nuovo del procuratore, memorie legate all’infanzia in campagna “dove la vita scorreva lenta con i ritmi delle stagioni”, tautogrammi (componimenti linguistici dove ogni parola inizia con la medesima lettera) dedicati al Covid che tra le righe ci parlano dello sconforto, della confusione e delle difficoltà che questa sorta di prigionia ci sta arrecando. Poi ci sono le mini-storie in 15 righe, l’attualissima spesa on-line un po’ inefficiente, storie di chi ha vissuto in paesi difficili come il Congo, memorie storiche dolorose, autobiografie a puntate e davvero molto altro. Scorrendo la pagina  Raccontami una storia si entra in un mondo di esperienze, di emotività, di testimonianze che probabilmente non sarebbero state scritte se non ci fossimo trovati in questa situazione, non avrebbero avuto voce. Questo è uno degli aspetti positivi di questa avventura che stiamo vivendo tutti insieme,  una opportunità per fermarsi, per rispolverare ricordi, per riflettere e scrivere di noi, della nostra vita, di quello che ci ha segnato e che ci fa riflettere; condividere attraverso la scrittura dunque non solo per raccontare fatti o prodotti della nostra fantasia ma anche per sentirci vicini, per umana solidarietà. Un modo garbato di usare Facebook, una modalità gentile e originale di vivere uno spazio condiviso “non per gridare, non per insultarsi ma per riscoprire il valore dei sentimenti e della nostra forza”.

Maria La Barbera