COSA SUCCESSE IN CITTA'

Madonna del Pilone, 25 Aprile 1945

“A jé i partigia-n ch’a rivo”

La sera del 24 aprile 1945 si udì distintamente una raffica di mitra e tutti a Madonna del Pilone capirono che erano arrivati i partigiani. La gente che si trovava fuori casa a far due chiacchiere, approfittando dei primi tepori primaverili, preferì rientrare senza attendere il coprifuoco. Non si trattava della solita incursione notturna, i tempi apparivano maturi per un’azione armata più decisa. Alcuni giorni prima aveva transitato lungo il Po la guarnigione repubblichina. Si stava ritirando, facendo un gran polverone, lasciandosi dietro un silenzio pieno di sollievo. Il presagio della fine.

 

Da Borgata Rosa, fino all’inizio della strada per Superga, era tutto un susseguirsi di prati e campi. I binari del tram passavano al centro di Corso Casale e proseguivano tra curve e saliscendi sino a Gassino. La Madonna del Pilone possedeva ancora le sue piole e qualche locale di lusso: il Muletto, Goffi, Cucco. In fondo a Strada Valpiana si trovavano posizionati i cannoni della contraerea. Nel Velodromo avevano stazionato per un po’ i tedeschi, nessuno aveva capito bene cosa ci facessero. Il parroco era don Luigi Corgiatti, detto Barba Vigio, antifascista tosto, uno che diceva pane al pane e vino al vino. Ma nel quartiere si agitavano da tempo fermenti di libertà, con quegli operai, quelle tessitrici, i tranvieri, gli studenti. C’erano socialisti, anarchici, liberi pensatori, qualche sindacalista cattolico. Clandestinamente operava anche un CLN che si riuniva nella società di mutuo soccorso De Amicis.

 

Il 25 mattina si respirava un’aria insolita. I volti della gente apparivano stupefatti, increduli. A jé i partigia-n ch’a rivo. Il comandante Alì, Bill, Pieri-n, Ceco ‘l Matt, Gigi, Tom. Qualcuno di loro aveva un atteggiamento sbruffone, altri ostentavano sorrisi temerari. Erano giovani e forti, audaci e imprudenti. Portavano capelli incolti, barba lunga, probabilmente non mandavano un buon odore. Quasi nessuno indossava una divisa riconoscibile ma tutti imbracciavano un’arma. Del loro coraggio arrivava voce da sopra le colline. Cinzano, Sciolze, Bardassano, nei boschi fino a Pino Torinese: stavano combattendo l’ultima battaglia e, pareva impossibile, la vincevano. Tirandosi su le brache di tela, i bambini li guardavano con invidia. Le donne portavano la mano a visiera sulla fronte e avevano lo sguardo preoccupato. Quanti morti ancora?

 

Ad attendere i partigiani c’erano le macerie del bombardamento a tappeto avvenuto nella notte del 13 luglio ’43. Una striscia di distruzione tagliava il quartiere da Sassi alla barriera di Casale, lungo corso Quintino Sella, il monte dei Cappuccini fin verso Cavoretto. Un solco di morte che il 26 aprile la Brigata Monferrato percorse con il suo carro armato catturato ai repubblichini, per liberare questa parte di città che sembrava campagna. Non fu subito festa, non era ancora giunto il tempo dei fiori sui balconi e delle piazze imbandierate. Si sparava ancora, i cecchini stavano in agguato sui tetti, la gente aveva paura e non usciva di casa. Solo il 6 maggio Torino sarebbe stata finalmente libera.

 

Partigiani. A più di settant’anni non rimane che una parola a definire l’epopea di quel movimento di resistenza popolare che si oppose al nazifascismo. Molti nomi sono stati incisi sulle lapidi in quei giorni, altri di loro se ne sono andati nei decenni successivi. Quei pochi che sono rimasti, però, raccontano i combattenti che erano con un filo di voce e immutato orgoglio. A dispetto di quanti sminuiscono o negano per ignoranza o malafede, i loro ideali non si riferiscono a una stagione ormai conclusa ma ci riguardano ancora oggi. I partigiani non erano ideologi né rivoluzionari, avevano idee semplici e ben chiare: aspiravano alla libertà, ne conoscevano il prezzo e seppero conquistarla con le proprie forze. Spetta a noi difenderla con la consapevolezza che non è stata acquisita una volta per tutte, come un bene ricevuto in eredità, ma va costruita quotidianamente e senza sosta.

 Paolo Maria Iraldi

 

Quel giorno di luglio l'olmo secolare si abbatté sul piccolo Giuseppe

gazzetta pubblicitaACCADDE A LUGLIO / Secondo una ricerca condotta presso l’ University College di Londra dalla neuroscienziata Eleanor Maguire, il passato è strettamente connesso al futuro, tanto che chi soffre di amnesia e quindi dimentica il passato, non riesce più nemmeno ad immaginare e a prospettarsi un futuro. Ebbene, forse per attenerci un po’ alle recenti scoperte, o forse perché in fondo il mondo e nello specifico la città in cui viviamo è fatta di storia e di aneddoti passati, dedichiamo una “rubrica” a Torino e agli avvenimenti più curiosi e che più l’hanno segnata nel corso degli anni, se non addirittura dei secoli precedenti

 

 

stampa vecchiaErano le ore 18e30 del 22 luglio 1948 quando una densa e minacciosa colonna di fumo si sprigionò dai tetti dell’ Istituto Internazionale Don Bosco, in via Caboto 27. Le fiamme, partite dal palcoscenico a causa di un corto circuito generato dalla macchina cinematografica, divampò rapidamente dando all’incendio dimensioni molto allarmanti, data anche la presenza di condomini vicinissimi allo stabile. Quattro squadre di vigili del fuoco (comprendenti 28 uomini, due autopompe e due autoscale) si misero subito a lavoro e dopo quasi due ore, riuscirono finalmente a placare l’incendio e ad evitare maggiori danni. Non ci furono fortunatamente vittime o feriti, poiché al momento del divampare delle fiamme la sala era completamente vuota, ma purtroppo il teatro dell’Istituto venne completamente distrutto e si contarono danni per oltre 10 milioni di lire.

[La Stampa]

 

La sera del 7 luglio del 1951 una pattuglia della polizia venne chiamata in C.so Moncalieri da alcuni passanti. Essi si erano imbattuti in Giuseppe Cosazza, un signore di 74 anni che, appoggiato al muro di uno stabile, si lamentava e dichiarava di essere stato percosso e aggredito da tre ragazzi. I poliziotti accompagnarono immediatamente l’anziano signore in ospedale, dove i medici (riscontrando le percosse subite), lo ricoverarono giudicandolo guaribile in pochi giorni. Data l’ora tarda e la stanchezza fisica e psicologica dell’uomo, gli agenti rimandarono l’interrogatorio e la possibile denuncia al giorno dopo, ma quando la mattina successiva i funzionari giunsero in ospedale per raccogliere la testimonianza, Cosazza dichiarò che ad aggredirlo non erano stati tre ragazzi ma bensì uno scheletro umano che l’aveva picchiato con una candela, poichè lui si era rifiutato di consegnargli il portafoglio. I funzionari fecero subito visitare l’anziano signore da uno psichiatra che però lo dichiarò “sano di mente” e lo rimandò a casa consegnandolo alle cure della famiglia ancora sconvolta per l’accaduto. Ovviamente la denuncia non venne mai fatta.

[La Stampa]

 

gazzettaIl 24 luglio sempre del 1951 con gran fragore e stupore dell’intera città, lo stabile contrassegnato col numero di 17 di via Fratelli Calandra, crollò improvvisamente. La casa, di cinque piani, si presentava già gravemente lesionata ed inabitata se non per un’ala situata all’interno verso il cortile, l’unica parte “aggiustata” nel 1945 dopo i bombardamenti del 1943. Nonostante le condizioni poco rassicuranti della palazzina, essa era abitata da ben quattro nuclei familiari. Verso le 11e30 della mattina, dopo diversi minuti di sinistri scricchiolii, lo stabile cominciò a tremare e subito dopo cominciarono a cadere grossi frammenti di mattoni e tegole dal tetto.La signora Clementina Costa, abitante al primo piano, al momento del crollo stava stendendo dei panni sul balcone e avvertendo il tremare della palazzina, rimase immobile dalla paura: rimanere sul balcone fu per lei la salvezza, dato che pochi secondi dopo enormi pezzi di macerie le sfondarono il soffitto dell’appartamento distruggendo interamente il suo alloggio. I pompieri e le ambulanze accorsero immediatamente provvedendo a salvare subito la signora Costa e a mettere al sicuro tutti gli altri condomini, usciti per miracolo lievemente feriti dal crollo. La via venne inibita al traffico per diversi giorni fino allo smantellamento delle macerie.

 [La Stampa]

 

Era invece il 10 luglio del 1968 quando, al Valentino, in una zona riservata ai giochi per bambini, crollò la parte superiore di un Olmo di due secoli. L’evento accadde alle ore 18.00 in Viale Mattioli, la strada che costeggia l’Orto botanico, di fianco alla facoltà di Architettura; qualche secondo prima del crollo, qualcuno dei presenti si accorse che uno dei rami di quell’imponente albero si stava incurvando e così diede l’allarme. Tutti cominciarono a correre verso il cortile della facoltà di Architettura per mettersi in salvo ma nel panico generale, Giuseppe Hinek di 7 anni, caddè a terra e non riuscendo più a scappare. In pochi secondi un ramo del peso di circa 5 quintali gli crollò addosso sommergendolo completamente. Una cinquantina di persone ancora scioccate, si precipitarono per cercare di salvare il bambino e con grande stupore e sollievo di tutti i presenti, si resero conto che fortunatamente il bambino era stato investito dalle fronde e non dal tronco. Vennero subito chiamati i soccorsi che trasportarono Giuseppe al Regina Margherita, dove venne ricoverato e tenuto sotto osservazione per le lesioni riportate e per lo schock subito.

 [La Stampa]

 

Torino vecchiaLa notte del 12 luglio 1977 tre giovani scesi da due auto (una “Mini Minor” rossa ed una “124” di colore azzurro) compirono un attentato contro due pullman articolati dell’Atm, posteggiati in prossimità del deposito in Piazza Carducci. Verso le ore 3e30 ci fu una violenta esplosione che svegliò gli inquilini degli stabili della Piazza; spaventati dal tremendo scoppio e dalle alte fiamme che avvolgevano i due pullman e che velocemente si propagavano verso le macchine parcheggiate e l’insegna di un bar, diedero immediatamente l’allarme. Dalle indagini svolte dai funzionari dell’ufficio politico della Questura, risultò che gli attentatori lanciarono alcune bombe Molotov contro due pullman della linea Torino-Rivalta e Torino- Trofarello che, in quel momento, si trovavano vicino al deposito dell’Azienda Tranvie municipali. Gli automezzi andarono quasi completamente distrutti mentre vennero danneggiate alcune macchine e l’insegna di un bar adiacente al deposito. Non ci furono vittime ma il danno complessivo fu di circa 200 milioni di lire.

[La Stampa]

 

La mattina del 7 luglio 1996, in una clinica di Torino, esalava il suo ultimo respiro lo storico settantaquattrenne Guido Quazza. Entrato giovanissimo nelle formazioni partigiani, Quazza ebbe una carriera incredibile: fu autore di numerosissime pubblicazioni e per ben 27 anni, dal 1967 al 1994 fu preside della Facoltà di Magistero, ora Scienze della Formazione.Il 26 giugno del 1995 gli venne dedicata una giornata di studio a Palazzo Nuovo proprio per raccontare come nel corso della sua vita, egli era riuscito a tramandare e ad unire gli ideali della Resistenza a quelli dei giovani, mantenendo comunque un’esemplare obiettività. Quella mattina Torino pianse uno straordinario insegnante.

 [La Stampa]

 

Nella notte del 1 luglio 2002, quattro donne ed un uomo vennero arrestati nel centro estetico “Viva Lain” situato in via Antinori 8, nel quartierestampa vecchia corriere Crocetta di Torino. Le indagini, sostenute dalla squadra mobile di Torino e dal pm Andrea Padalino, dimostrarono che all’interno del “Viva Lain”, ufficialmente riconosciuto come circolo privato senza fini di lucro (e che quindi godeva di benefici fiscali), in realtà si tenevano comportamenti attinenti all’ambito della prostituzione. All’interno del centro lavoravano, in orari diversi, circa 30 donne: la maggior parte di esse erano straniere, ma erano presenti anche studentesse universitarie e casalinghe.Il flusso di gente che frequentava il fantomatico circolo era notevole e tra le numerose persone, vi erano anche calciatori di Serie A, giornalisti, imprenditori e uomini di spettacolo; gli investigatori (che si avvalsero anche di telecamere nascoste all’interno dei locali), arrivarono addirittura a contare 90 clienti in un giorno. Gli inquirenti scoprirono che per la clientela “particolare”, come ad esempio calciatori, erano possibili anche appuntamenti a tarda sera, ma nessuna star del pallone venne, però, mai immortalata dalle telecamere.I responsabili del centro estetico furono arrestati mentre i nomi di alcuni calciatori del Toro e della Juventus comparirono solo in alcuni verbali delle ragazze ed in un paio di intercettazioni telefoniche; nessun “Vip” venne arrestato e processato, vennero semplicemente ascoltati dagli inquirenti come testimoni di tutta la vicenda.

 [Corriere della Sera]

 

Simona Pili Stella