Ezio Gribaudo sarà in mostra al Museo di arte moderna e contemporanea di Bolzano nella esposizione dal titolo “The weight of the concrete”, a cura di Tom Engels e Lilou Vidal, in collaborazione con Leonie Radine, con la scenografia di Davide Stucchi.
La mostra si aprirà il 23 marzo per concludersi il 1 settembre 2024.
Museion, il Museo di arte moderna e contemporanea di Bolzano, si è dichiarato soddisfatto di esplorare l’eredità culturale dell’artista ed editore Ezio Gribaudo (1929-1922), in una mostra dal titolo “The Weight of the concrete”, che rende omaggio alla sua opera multidisciplinare all’intersezione tra immagine e linguaggio.
Alla luce di una scenografia contemporanea, la sua poetica della materia entra anche in dialogo con voci della poesia sperimentale.
La mostra è prodotta da Grazer Kunstverein in collaborazione con l’archivio Gribaudo di Torino e con Museion.
Il titolo della mostra è preso in prestito da “Il peso del concreto”, libro del 1968 che presenta i primi lavori grafici dell’artista, insieme a un’antologia di poesia concreta a cura del poeta Adriano Spatola.
Al centro di questa pubblicazione e dell’esposizione c’è l’emblematica serie di Logogrifi che l’artista ha sviluppato a partire dagli anni Sessanta, passando dai rilievi su carta assorbente a rilievi in legno e polistirolo. Nel corso della sua vita i Logogrifi hanno costituito un rapporto strettamente personale e intrecciato con l’attività di creatore di libri, nonché con la sua fascinazione per i nuovi processi di stampa industriale, i caratteri tipografici, i giochi linguistici e le matrici di rilievo.
Basati su enigmi linguistici o visivi, i Logogrifi sono simili a puzzle o rompicapo, che prevedono la formazione di nuove parole cambiando la lettera iniziale. Nell’interpretazione di Gribaudo un logogrifo oscilla tra leggibilità e astrazione, a volte tendendo verso forme leggibili e altre volte scalando il mondo enigmatico in cui immagine e linguaggio si fondono comprendendo elementi tipografici (testuali, figurativi e topografici). ‘The Weight of the concrete’ annuncia l’emergere di una nuova grammatica e, di conseguenza, di nuove forme di lettura. Partendo da rilievi acrobatici su carta assorbente, trasformandosi in rilievi in legno e polistirolo e culminando infine in pezzi cromatici con inchiostro tipografico, le opere in mostra interrogano i modi in cui forma, linguaggio e materia continuano a modellarsi e ridefinirsi a vicenda.
Gli esperimenti associativi di Gribaudo con le tecnologie di stampa sono nati dalla sua dedizione per la pubblicazione di monografie di artisti suoi contemporanei, come Francis bacon, Giorgio de Chirico, Jean Dubuffet, Marcel Duchamps e Lucio fontana, nonché dal suo interesse per la stampa popolare, verso giornali, dizionari, atlanti e libri per bambini.
Per evidenziare questa relazione tra la sua attività artistica e quella editoriale, la mostra presenta una selezione unica di pubblicazioni rare e materiali d’archivio di Gribaudo.
La scenografia della mostra è stata realizzata dall’artista italiano Davide Stucchi, che opera nel campo delle arti visive, del design, della moda e della scenografia. L’approccio artistico e gli
interventi di stucchi riecheggiano e amplificano quelli di Gribaudo, utilizzando oggetti ready made e materiali prodotti industrialmente. L’esposizione comprende anche un programma sonoro che si concentra sulla vocalizzazione della poesia sperimentale, per esplorare da una nuova prospettiva le combinazioni di arte visiva, poesia, stampa e design di Gribaudo.
Mara Martellotta






Linea decisamente riflessiva anche per Alessandro Gioia (2000) in “Censored” che traduce il tema del “dialogo” in un’esplorazione sulla censura e sulla società dell’immagine, dove i “pixel design” della censura “nascondono la facile reperibilità delle stesse immagini nel nostro tempo digitale”.
In chiusura, Claudia Vivalda (2002), con la video-proiezione “Connessioni – Small Talks” e (altra menzione speciale) Giovanni Migliorucci (2002) con la video installazione interattiva “Stage”, che unisce la tecnologia del “TouchDesigner” a una restituzione “tramite un tubo catodico, mostrando un ecosistema che si modifica attraverso l’interazione esterna”.
Due opere soltanto sarebbero sufficienti a definire la grande bellezza, i sentimenti di chi guarda, gli incanti, le presenze e le tante storie, i ritratti soprattutto con la loro perfezione, della mostra “Moroni (1521 – 1589). Il ritratto del tempo” ospitata sino al primo aprile (val bene un viaggio, per gli appassionati) nelle sale delle Gallerie d’Italia milanesi, di fronte alla Scala, un centinaio di dipinti esposti, accompagnati da armature, libri, medaglie, disegni, con i prestiti tra l’altro del Louvre e del Prado e della National Gallery londinese e con la cura di Arturo Galansino e Simone Facchinetti, i quali dopo i successi delle precedenti mostre sul ritrattista bergamasco cinquecentesco, l’uno nel 2014 a Londra e l’altro cinque anni dopo alla Frick Collection di New York, sono divenuti i campioni d’eccellenza in territorio moroniano. Senza tema di smentita, una delle più belle mostre viste in questi ultimi anni, importante e ampia, ricca di quei volti che ti catturano per l’energia ed il realismo, assolutamente lontani dall’idealizzazione, che sprigionano, per l’intensità, per l’immediatezza che scava nei caratteri e nei comportamenti, per l’esattezza di particolare che coltiva in sé come qualcosa di modernamente fotografico, e di quegli abiti che ti rimandano con intelligente e persuasiva dolcezza ad un’epoca, di quella ampia sala al cui interno gli abiti neri (il nero come colore della elegante nobiltà) delle tele sono una sequenza difficilmente dimenticabile, suggestiva altresì per quei precisi disegni che ti rimandano, e che puoi decifrare, alle opere definitive poste non lontano, per le grandi pale d’altare che ne sono una parte non indifferente, anche se non è quella la vetta dell’arte di Moroni, e per i rapporti che sono corsi tra l’artista e altri famosi suoi compagni di percorso e d’epoca.



