ARTE- Pagina 22

“L’Artista come saltimbanco”. Nespolo alla galleria Malinpensa by La Telaccia

La  mostra personale  dal 3 ottobre 

Inaugura giovedi 3 ottobre, alle 18.30, presso la galleria d’arte Malinpensa by La Telaccia, alla presenza dell’artista, la personale dal titolo “L’artista come saltimbanco”, che la direttrice artistica Monia Malinpensa dedica al celebre Ugo Nespolo, artista di fama internazionale, dall’originale elaborazione e dall’intenso studio compositivo cromatico. Si esprime in una ricerca altamente ricca di simbolismo e profondità d’animo dove il desiderio di comunicare è per lui di primaria importanza. Egli realizza con rigoroso equilibrio opere che rappresentano il nostro tempo, il nostro immaginario e il nostro sentimento, facendolo sempre con una compiuta maturità artistica e una chiara sintesi figurale. “L’arte – per Ugo Nespolo – è vita e la vita per lui è arte”. È questo quello che si respira e si vive osservando le sue creazioni ed è anche la prerogativa essenziale e fondamentale del suo iter artistico.

La personale tecnica degli acrilici su legno, in cui lo stile è evidente, trasmette un linguaggio unico ed un’inventiva inarrestabile che porta l’artista a dei risultati immediati sia di lettura che di emozioni. La sua personalità forte e dirompente, e soprattutto inimitabile, da cui ne scaturisce ogni opera, ci regala effetti scenici, icone e metafore sorprendenti per una visione altamente espressiva ricca di sensibilità ed autonomia interpretativa. Nespolo conferisce al suo percorso i veri valori dal fare Arte: capacità di osservazione, studio impegnato nella ricerca e nella creazione, ricchezza di sintesi ed intensità emotiva. Attraverso un suggestivo istinto coloristico, una maestria esecutiva ed una spiccata originalità, i suoi “Puzzle ”, opere simboliche di intensa liricità, si inseriscono brillantemente in una molteplicità di sensazioni piacevoli; ed ecco allora che l’opera diventa un’allegoria vitale per lo spirito. Varie forme di legno sagomate, dipinte e poi incastrate una nell’altra si relazionano in un gioco cromatico divertente e sapientemente dosato.

 

L’intersecarsi di scene che si muovono all’interno dell’opera stessa, in tutte le loro meravigliose sfaccettature, ci raccontano una pittura che vive tra realtà ed irrealtà con un energia non comune e con un modulo interpretativo inconfondibile. Sono opere che, in un preciso impianto formale, si dedicano ad immagini intrise di ironia, di informazione, di protesta, di sogni e di vissuto, conducendo lo spettatore in una dimensione di assoluta estasi che è impossibile fermare, una dimensione in cui tutti possiamo riconoscerci. L’opera di Nespolo è dialogo continuo, è comunicazione, ma ancor prima rappresenta uno stato d’animo. La mostra rimarrà aperta fino al 26 ottobre prossimo.

Ugo Nespolo nasce a Mosso (BI), si diploma all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino e si Laurea in Lettere Moderne. Nei tardi Anni Sessanta fa parte della Galleria Schwarz di Milano che conta tra i suoi artisti Duchamp, Picabia, Schwitters, Arman. La sua prima mostra milanese, presentata da Pierre Restany, dal titolo “Macchine e Oggetti Condizionali” – in qualche modo – rappresenta il clima e le innovazioni del gruppo che Germano Celant chiamerà “Arte Povera”. Negli Anni Sessanta si trasferisce a New York dove si lascia travolgere dalla vita cosmopolita della metropoli e subisce il fascino della nascente Pop Art, mentre negli Anni Settanta milita negli ambienti concettuali e poveristi.

Nel 1967 è pioniere del Cinema Sperimentale Italiano a seguito dell’incontro con Jonas Mekas, P. Adams Sitney, Andy Warhol, Yōko Ono, sulla scia del New American Cinema. Assieme a Mario Schifano, Nespolo si dedica al Cinema d’Avanguardia e, tra il 1967 e 1968, realizza numerosi film che hanno come protagonisti gli amici e colleghi Enrico Baj, Michelangelo Pistoletto e Lucio Fontana. A Parigi Man Ray gli dona un testo per un film che Nespolo realizzerà col titolo “Revolving Doors”. I suoi film sono stati proiettati e discussi in importanti musei tra i quali il Centre Pompidou a Parigi, la Tate Modern a Londra e la Biennale di Venezia.

Assieme a Enrico Baj Nespolo fonda L’Istituto Patafisico Ticinese ed è, ad oggi, riconosciuto come una delle più alte autorità nel campo. Nei tardi Anni Sessanta con Ben Vautier dà il via ad una serie di Concerti Fluxus, tra questi il primo concerto italiano dal titolo “Les Mots et les Choses”. Nonostante le contaminazioni americane non dimentica gli insegnamenti delle Avanguardie europee; è infatti molto marcata l’influenza di Fortunato Depero dal quale Nespolo trae il concetto di un’arte ludica che pervade ogni aspetto della vita quotidiana. Il concetto di “arte e vita” (che è anche il titolo di un libro pubblicato dall’artista nel 1998) sta alla base dell’espressività di Nespolo ed è eredità del Movimento Futurista: “Manifesto per la Ricostruzione Futurista dell’Universo” (1915).

Mara Martellotta

Galleria Malinpensa by La Telaccia, corso Inghilterra 51, Torino

Contatti: 011 5628220

“Portraits. 10 volti e storie di crescita”. In mostra a spazio “Open” di “Fondazione Time2”

La rassegna fotografica di Daniela Foresto, fra i più interessanti “ritrattisti” torinesi

Dal 3 al 24 ottobre

Molti la conoscono come la “fotografa dei vip”. Nella sua Galleria torinese alla “Gran Madre” sono passati infatti personaggi celebri del calibro di Ennio Morricone, Giorgetto Giugiaro, Arturo Brachetti, Massimo Boldi, Gaia De Laurentis e tanti ancora che di fama ne macinano o ne hanno sicuramente macinato in larga misura. Ma in quello studio è passata anche tanta gente comune, uomini e donne della porta accanto, coppie di sposi e famiglie intere con figli e (perché no?) animali domestici a seguito. Per tutti, un ritratto. Sempre in bianco e nero, per cogliere “l’essenza, quella verità che un fotografo deve saper cogliere, se vuole leggere una vita e raccontarla in uno scatto”. Ritratti che raccontano di corpi, volti e anime. Daniela Foresto si colloca, senz’ombra di dubbio, fra i più apprezzati fotografi ritrattisti torinesi. Mestiere che la impegna, con una passione che si tocca con occhi e con cuore in ogni suo scatto, da una decina d’anni, raccontati in un suo libro intitolato proprio “Dieci”“dove – scrive Daniela – narro di quanta vita, quanta umanità e quante storie ho immortalato attraverso il mio obiettivo”. Ebbene di Daniela Foresto sarà possibile visitare una mini (10 Ritratti) ma estremamente significativa – per i soggetti e per la location ospitante – rassegna presso “Open” lo “spazio aperto di diversità” di “Fondazione Time2”, nata a Torino, in corso Stati Uniti 62/B, su iniziativa di Antonella Manuela Lavazza, come luogo “che riconosca il valore delle diversità e la centralità di ogni persona con o senza disabilità”. La mostra (accompagnata da audio descrizioni ed un video sottotitolato, con disponibilità di cuffie per l’ascolto) si inaugurerà giovedì 3 ottobre (ore 19) per protrarsi fino a giovedì 24 ottobre. Tema centrale: la “crescita verso l’età adulta”. Di qui il titolo “Portraits. 10 volti e storie di crescita”.

Dicono gli organizzatori: “La mostra vuole esplorare le diverse forme che il percorso di crescita può assumere all’interno della comunità di ‘Fondazione Time2’, che ogni giorno si impegna per il cambiamento verso una società più aperta, che riconosca il valore della diversità e garantisca il diritto di ogni persona, con e senza disabilità, a vivere una vita piena e indipendente”. Un iter su cui Daniela Foresto ha davvero messo tanto di suo, della sua straordinaria empatia verso quanti si pongono davanti al suo obiettivo aprendosi ad una totale disponibilità nel raccontarsi, nello srotolare vite fatte di mille sfide e poche, forse, ma, piovute come manna dal cielo, opportunità.

Ad accompagnare i “10 volti”, saranno le “interviste ai protagonisti” realizzate da Max Judica Cordiglia  – esperto di visual storytelling, che da oltre trent’anni lavora nel campo della narrazione visiva, traducendo idee e concetti in immagini in movimento – che arricchiscono il progetto, dando voce alle storie delle persone ritratte e completando così il percorso espositivo.

La mostra e tutte le iniziative complementari (ma non secondarie, per importanza) messe in campo dalla “Fondazione” (all’inaugurazione sarà presente anche il segretario generale Samuele Pigoni) faranno da “riflettori” puntati su “spazi teatrali” come “spazi di vita vera” che, al centro, vedranno persone che fanno volontariato e, con loro, i ragazzi che partecipano alle attività sperimentando quel lavoro sul campo teso a creare “opportunità là dove il pregiudizio crea invece limiti e discriminazioni”. Storie. Squarci nel fitto bosco della “vita reale”. E Daniela Foresto ne è magnifica regina nel racconto e nell’immagine. Storie come quella di Isabella a cui il “volontariato” ha dato emozioni indescrivibili o di Joy che non è ancora a suo agio nel parlare in italiano sul lavoro, ma ha un collega, Jacopo,  che l’aiuta “con le parole”.

E ancora, la storia di Keivan che racconta come ha imparato ad “essere responsabile” e a superare le sue paure o, infine, quella di Laura che denuncia come in Italia, purtroppo, si parli ancora pochissimo degli “inserimenti lavorativi” delle persone con disabilità. Storie vere. Su cui riflettere. Che ci raccontano del loro essere parte di una quotidianità ben viva e presente, che ci portiamo accanto e, spesso, ignoriamo. Pagine da portarci addosso. E per cui metterci anche noi del nostro. Nessuno ci obbliga, ma quanto bene ne trarremmo!

Gianni Milani

“Portraits. 10 volti e storie di crescita”

“Fondazione Time2”, corso Stati Uniti 62/B, Torino; tel.011/786545 o www.fondazionetime2.it

Dal 3 al 24 ottobre

Orari: lun. e mart. 9/18; dal merc. al ven. 9/20

 

Nelle foto:

–       Daniela Foresto

–       Daniela Foresto: “Portraits. Time2”

–       Max Judica Cordiglia (ph. Daniela Foresto)

–       “Portraits. Time2 – Gianni Vascellari”

Una monumentale Colomba della Pace sorvola le montagne

E’ atterrata nei giorni scorsi al centro della Piazza d’Armi del “Forte di Bard” la grande opera, inno alla Pace, dello scultore biellese Paolo Barichello

In esposizione fino al 24 novembre

Bard (Aosta)

Si intitola “Dx Peace Sx” la nuova monumentale opera realizzata dall’artista biellese Paolo Barichello, dedicata al tema (oggi di grande e dolorosa attualità) della “Pace” e, da giorni, esposta al valdostano “Forte di Bard”, dove resterà in visione fino a domenica 24 novembre. Si tratta di una gigantesca “Colomba”, simbolo per antonomasia di “Pace” e “Riconciliazione”, con le ali spiegate e raffigurante le sagome dei continenti, in un dialogo di forme geometricamente astratte ed incastri metallici “dove l’uomo è il saldante indissolubile che unisce i popoli in un messaggio inequivocabile di speranza e fratellanza”.

Interamente realizzata in acciaio (materiale che vanta, in campo artistico, una lunga storia che parte dal Medioevo, per arrivare alla modernità dei grandi: dalle sottili figure umane di Giacometti alla plastica genialità di Umberto Mastroianni fino alla monumentalità di Henry Moore e alla geometrica luminosa visionarietà del danese Olafur Eliasson, solo per fare alcuni pochi nomi), l’opera, dal peso di 550 chilogrammi, è alta 4,80 metri e larga 2,80. Firmata a Biella da centinaia di persone, ha sorvolato il Monte Biancoil Cervino ed il Rosa,  per raggiungere, infine, il“Forte” sabaudo di Bard dove, domenica 22 settembre è stata presentata al pubblico nella centrale “Piazza d’Armi” in anteprima assoluta, inserita nella sommità superiore di un missile a simboleggiarne l’impossibilita del lancio.

Il risultato finale è un’installazione alta complessivamente 7,80 metri con una base di circa sette metri, del peso totale di due tonnellate, corredata di illuminazione alimentata da “pannelli solari” e oggi affiancata da una serie di quadri dipinti su metallo e sculture dello stesso artista, che nel tempo ha saputo perfettamente coniugare le artigianali conoscenze sui “materiali” ad un’originale e suggestiva produzione artistica. Opere riferite alla “pace possibile” – alcune vogliono evidenziare la grave e disumana situazione che direttamente e indirettamente stiamo oggi vivendo- le troviamo esposte nelle “Sale del Corpo di Guardia” della Fortezza, dove saranno anche trasmesse immagini e video del volo e delle fasi di lavorazione, atte a dimostrare come la forza e la durevolezza di un materiale come l’acciaio possano tradursi, nel gioco sapiente di mani e anima, in forme di pura “bellezza ed emozione”.

In “Dx Peace Sx”, l’artista “si ispira – sottolinea la presidente del ‘Forte’, Ornella Badery – alla visione del planisfero, simbolo di ordine e precisione, ma trasforma questa immagine in qualcosa di più: un’opportunità per ridisegnare la mappa del mondo e immaginare un futuro di pace possibile. Attraverso le sue opere, Barichello esprime la convinzione che solo attraverso l’incontro e la collaborazione tra diverse culture e popoli si possa raggiungere la pace”. E conclude: “I confini tra i continenti vengono simbolicamente eliminati e si riuniscono in un dialogo di forme e materiali, guidati dall’umanità come collante indissolubile”. Pensiero forse  utopico, alla luce degli ultimi incessanti eventi bellici, su cui tuttavia è, più che mai, lecito mantenere vive le speranze.

Gianni Milani

“Dx Peace Sx”

“Forte di Bard”, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel.0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 24 novembre

Orari: dal mart. al ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

 

Nelle foto:

–       Paolo Barichello: “Dx Peace Sx”, esposta nella “Piazza d’Armi” del Forte

–       La scultura “in volo”

–       Ornella Badery e Paolo Barichello alla presentazione dell’opera

“The Square/Rutan”, la Mole ospita l’installazione del regista svedese Ruben Ostlund

 

S’intitola “The Square/Rutan” l’installazione artistica ideata dal regista svedese Ruben Ostlund, autore dell’omonimo film, che, per la prima volta, viene esposta fuori della Scandinavia, al piano di accoglienza della Mole Antonelliana a Torino, con ingresso libero dal 27 settembre al 4 ottobre.

“Sono felice e onorato di ricevere il Premio Stella della Mole e molto entusiasta della collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino – ha dichiarato Ruben Ostlund.

La storia di Torino è la storia di una grande città e anche di questo grande museo, di cui ho molto sentito parlare, e che mi hanno spinto a venire in Italia a settembre. In questo momento storico è più che mai attuale parlare delle idee che l’installazione rappresenta, della nostra società, di cosa dovremmo fare e quale ruolo ha il cinema in tutto questo. Infine, ma non meno importante, non perdetevi l’inaugurazione dell’installazione e aspettatevi una sorpresa”.

 

Mara Martellotta

“Bar Stories On Camera”, 70 anni di storia in 50 scatti: ultimi giorni

La vita più o meno glamour, del “mondo dei bar”

Fino al 6 ottobre

Non ci si fa caso. Ma sono ormai luoghi iconici, direi quasi “sacrali” della nostra più banale quotidianità. Si entra, si beve il caffè o un aperitivo, si sbocconcella un morbido croissant e si fanno due chiacchiere. Le famose “chiacchiere da bar”! Semplici spetteguless o chiacchiere ben più importanti. La durata di un caffè. E già basta per celebrare il rito quotidiano del bar. Del nostro bar “amico” sotto casa o di quell’altro con dehors un po’ più in là o quello più impegnativo (e più caro!) del Centro. La scelta è libera e varia. Nei bar si entra e non si pensa (quando mai? ma provate a farlo, sarà coinvolgente!) a tutte le storie, alle vicende umane, agli amori, alle amicizie, agli affetti e alle solitudini che si sono rincorse in anni e anni di storia all’interno di quei muri, seduti ai tavolini o anche in piedi al bancone, davanti a quella specie di catena di montaggio che in certe ore paiono diventare le “macchine da caffè” professionali, un tutt’uno con il povero barista che spesso viaggia in automatico, alla maniera del grande Charlot di “Tempi Moderni”. Il bar (il primo pare sia stato aperto addirittura nel 1475, a Istanbul per bere il caffè “alla turca”) è oggi – e di anni ne sono passati – “cultura di convivialità”. A ricordarcelo é la mostra fotografica ospitata, fino a domenica 6 ottobre, negli spazi della “Project Room” di “CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia”, in via delle Rosine, a Torino, terza tappa della rassegna “Bar Stories on Camera”, realizzata in collaborazione con “Galleria Campari” e “Magnum Photos”Cinquanta gli scatti esposti a raccontare, per immagini, il “mondo dei bar”dagli Anni Trenta agli inizi del Terzo Millennio. Concepita appositamente per “CAMERA” (con 22 scatti provenienti dall’Archivio Storico della “Campari” e 28 a firma di illustri nomi della “Magnum”, da Robert Capa a Elliott Erwitt, da Martin Parr a Ferdinando Scianna) l’edizione torinese segue le esposizioni che già si sono tenute alla “Galleria Campari” di Sesto San Giovanni (ottobre 2023) e alla “Davide Campari Lounge” di “Art Basel” a Basilea, nel giugno scorso.

Tre le sezioni in cui s’è pensato di articolare la rassegna. In “Sharing Moments” si gira il mondo lungo itinerari “da bar”, dove baristi, bartender, musicisti e avventori sono i protagonisti di situazioni di svago e momenti di condivisione, immortalati abilmente dagli scatti di celebri maestri quali Inge MorathElliott Erwitt (curiosa la foto delle due signore sedute al bancone di un bar di New York, capelli ricci entrambe, stesso vestito, stessa retro scollatura con stesso grande fiore bianco), o Martin Parr o Ferdinando Scianna (primo fotoreporter italiano ad entrare in “Magnum” e autore di quella bellissima immagine a colori ripresa dall’alto di un dehors a Capri, dove sedie e tavolini paiono ricreare un suggestivo intreccio a tema floreale, quasi liberty).

USA. New York City. 1955.

“Bar Campari”, invece,  narra per storiche immagini la vita dell’azienda fondata a Sesto San Giovanni (Milano), da Davide Campari nella seconda metà dell’Ottocento. Ecco allora le insegne e le vetrine “brandizzate”, riflesso di un’Italia del Dopoguerra che riparte, vivace e desiderosa di ricominciare a vivere. Immagini di un passato che si riflette negli stessi valori di oggi, mai tralasciati o dimenticati.

Nell’ultima sezione, “The Icons”, troviamo le star del cinema, artisti e scrittori colti in “pausa da bar”: Marilyn Monroe accanto a Laurence Olivier al “Walford Astoria” di New York (1956, scatto di Eve Arnold, in occasione del lancio de “Il principe e la ballerina”), Ernest Hemingway seduto al bancone di un bar in Idhao, Maria Callas a Palma de Mallorca tavolo condiviso con la giornalista Elsa Maxwell. Personaggi catturati in un momento di relax nell’atmosfera chiassosa e glamour dell’aperitivo italiano.

Iconici anche gli arredi in stile liberty del “Caffè Camparino”  in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, ritratto da Bruno Barbey a metà anni Sessanta, vera e propria eco di uno stile di vita e di un’epoca che riaffiora anche dagli oggetti: in particolare, attraverso i bozzetti dei menù realizzati per Campari dal futurista Fortunato Depero. I famosi “Caffè Storici”. Molti anche in Italia, ritrovo di artisti, scrittori, attori, politici e di quei raffinati intellettuali che “sono – scriveva con il consueto humorEnnio Flaiano – la rovina dei quartieri perbene. Si insediano in un posto e questo dopo pochi anni diventa alla moda … e quando la vita diventa impossibile ecco gli intellettuali che trasmigrano verso un altro punto della città per rovinarlo”.

Gianni Milani

“Bar Stories On Camera”

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 6 ottobre

Orari: lun. – dom. 11/19, giov. 11/21

Nelle foto: “Italy”, 1950, “Galleria Campari”; Eve Arnold / Magnum Photos “Marilyn Monroe e Laurence Olivier; Elliott Erwitt / Magnum Photos “New York City”, 1955; Ferdinando Scianna /Magnum Photos “Italy. Capri”, 1984

“Fotografia Alchemica”, nove artisti espongono opere realizzate con antiche tecniche di stampa fotografica

Nove artisti e tredici tecniche fotografiche differenti sono in mostra, a partire dal 28 settembre fino al 13 ottobre prossimi, all’interno dello Spazio Musa, in via della Consolata 11/E, a Torino, dove si svolge la mostra dal titolo “Fotografia Alchemica”. Si tratta di una collettiva a cura di Lucrezia Nardi con nove artisti che proporranno proprie opere realizzate con antiche tecniche di stampa fotografica. In questa occasione il visitatore avrà modo di conoscere e apprezzare, attraverso oltre 100 opere di artisti italiani, l’unicità dei risultati estetici che stanno alla base delle diverse tecniche di stampa, con un viaggio a ritroso nel tempo in cui le tecniche sono state ideate e studiate a partire dal 1847, anno in cui Louis Blanquart – Evrard ha elaborato la carta d’albume, al 1855, anno in cui Alphonse Poitevin descrisse la stampa all’olio, fino al 1864, quando Joseph Swan brevettò la tecnica di stampa al carbone, e ancora al 1873, che vide la nascita, grazie a William Willis, della tecnica di stampa con ai sali di platino e palladio, e così per molte altre tecniche utilizzate nelle opere esposte. Lo scopo principale dell’evento non vuole essere una semplice rassegna di carattere storico, ma illustrare come la fotografia digitale sia divenuta oggi un prezioso supporto, creando con queste tecniche un rapporto sinergico che ne facilità la realizzazione.

In mostra le opere di Massimo Badolato, nato a Torino, dove vive e lavora, che sin dagli anni 70 non ha mai abbandonato le luci della camera oscura, ma le ha coniugate con quelle della camera chiara. Dalla stampa argentica del primo periodo è passato negli ultimi anni a quella dei sali di platino e palladio. In epoca recente ha sperimentato la stampa al carbone in bianco e nero con pigmenti di varia natura. Un altro artista in mostra è Andrea Baldi, fotografo amatoriale con la passione per la fotografia in bianco e nero e i processi di stampa storici alternativi. Si è formato presso la scuola di fotografia Ettore Rolli, a Roma, e si è appassionato alla stampa a contatto, utilizzando negativi in vetro d’epoca provenienti da una collezione di famiglia ritrovata tra gli oggetti dei nonni. Ha esplorato la stampa analogica ai sali d’argento e si è poi cimentato con tecniche di stampa antica, come la cianotipia, il Van Dyke e il palladio.

Di recente si è avvicinato alle stampa a più negativi utilizzando passaggi multipli con meticolosa messa a registro, creando stampe a colori con la tecnica della gomma bicromata, e monocromatiche per migliorarne la gamma. Un’altra fotografa in mostra è Letizia Caddeo, di nascita romana, che ha dimostrato la capacità di immortalare un istante, la luce, un frammento di realtà a cui altri potrebbero essere indifferenti; la sua sensibilità si è evoluta attraverso l’arte fotografica. Frequentato un master di fotografia, e dopo varie esperienze professionali, ha deciso di esplorare la cianotipia come autodidatta, una tecnica di stampa fotografica antica che ha permesso di stampare le sue fotografie e di toccarle. Nei suoi scatti traspare una ricerca di pace e solitudine, paesaggi umani abbandonati insieme a dettagli intimi di persone ed oggetti che vengono riproposti nel suo piccolo microcosmo, questa volta in blu. Un altro artista che si è avvicinato alla fotografia negli anni 80, e ha cominciato a lavorare a progetti nel 1992, è Cesare Di Liborio.

La soglia per lui è un segno particolare, intesa come passaggio non solo materiale, anche mentale. Le sue “Colonne d’Ercole” rappresentano il nostro limite tra reale e irreale, tra conosciuto e sconosciuto, tra vita e morte. Negli anni seguenti il suo lavoro è stato improntato sull’idea del limite, del passaggio, dando vita ai lavori su “Labyrinthos I” e “Labyrinthos II”. Negli ultimi anni la sua ricerca si è concentrata oltre il limite che ha caratterizzato il suo cammino. Da questo impulso nascono “Ade” e “Wandering Souls”. Utilizza varie tecniche contaminandole tra loro aggiungendo anche fiori, tessuti e pigmenti ottenendo immagini uniche e irriproducibili. Molto interessante è il lavoro dell’architetto romano Alessandro Iazeolla, appartenente anche all’Ordine professionale e al ruolo dei periti e degli esperti in fotografia d’arte presso la C.C.I.A.A. di Roma. Si occupa di fotografia del 1973, operando con camera oscura e laboratorio per la sperimentazione di procedimenti storici quali cianotipia, Van Dyck, cliché verre e gomma bicromata. Collabora attivamente con le testate di arte e cultura contemporanea Artribune e Exibart.

Dei Paesi Bassi è la fotografa Margrieta Jeltelma. I suoi lavori comprendono poesia e scultura, ma il suo mezzo principale d’espressione è la fotografia, una passione trasmessa dal padre che, per primo, le insegnò a usare la macchina fotografica e la camera oscura. I suoi lavori hanno ricevuto molti premi e sono stati esposti in mostre internazionali. Roberto Lavini, fotografo professionista, studia storia e tecnica della fotografia. Ama sperimentare antichi processi fotografici approfondendo la loro storia e la loro evoluzione. È fondatore, insieme a Maria Rosaria Urano, del Centro di Ricerca Fotografica chiamata “CameraCreativa.it”.

Luigi Menozzi ha focalizzato la sua attenzione sulla natura e l’ambiente naturale, dapprima soffermandosi sul paesaggio, in seguito con ricerche e progetti più delineati e circoscritti. Ricerca e privilegia gli aspetti più artigianali della produzione fotografica e utilizza prevalentemente negativi analogici di grande formato. Stampa su carta baritata ai sali d’argento e con le tecniche del platino, palladio e del carbone.

Ultimo artista in mostra, ma non meno importante dei precedenti, è Michele Pero, ex fotografo di guerra e fotografo professionista dal 1992. Maestro di stampa analogica in bianco e nero muove i primi passi in camera oscura dal 1984, attraversando tutta l’epoca del computer e delle tecnologie digitali che usa per il suo lavoro. Michele Pero si ispira all’umanesimo francese, in particolare al movimento della Straight Photography.

Di recente ha fatto ritorno alla fotografia analogica con stampa su carta salata, la fotografia al collodio umido, rappresentata in mostra, e altre tecniche antiche di fotografia. Gestisce un blocco di tecniche fotografiche sia sul proprio sito che su quello della Scuola di Fotografia da lui fondata “The Darkroom Academy”.

 

Spazio Musa

Via della Consolata 11E, Torino

Orari dal martedì al venerdì 14.30-19.30; sabato e domenica dalle 16 alle 20.

 

Mara Martellotta

TAIT gallery, personale di Sabatino Cersosimo: “Zeitgiest”

La galleria d’arte TAIT Gallery, approdata a maggio sulle scene torinesi, inaugura una nuova mostra sabato 28 settembre in via San Quintino 1 bis. Protagonista è Sabatino Cersosimo con Zeitgiest. L’artista vive a Berlino ma è ritornato ad esporre dopo dodici anni. La mostra è curata dal giovane direttore artistico della galleria Matteo Scavetta, con la critica di Roberto Mastroianni.

A due passi dalla stazione di Porta Nuova, la TAIT Gallery si presenta nel panorama artistico nazionale e internazionale come luogo di scambio e di confronto. Tra i suoi obiettivi vi è la ricerca di dialogo e collaborazione con altri enti e gallerie per variare la proposta d’artisti.

Un progetto innovativo, basato sullo studio meticoloso del panorama artistico contemporaneo, ricercando non solo artisti mid career, ma soprattutto giovani emergenti talentuosi sia italiani sia stranieri. TAIT Gallery è sede della società TAIT Group, progetto voluto dai soci Lorenzo Palumbo e Simone Loiudice.

Sabatino Cersosimo è nato a Torino, dove si è laureato in Decorazione all’Accademia di Belle Arti. Zeigest sarà visitabile dal 28 settembre 2024 fino al 10 gennaio 2025.

Comprende venti opere a olio su acciaio con l’ausilio dell’ossidazione. È questa la tecnica artistica che contraddistingue il lavoro di Cersosimo. Le sue opere creano un parallelismo con la vita stessa, nasciamo, cresciamo e diventiamo maturi. L’arte è storicamente considerata eterna, ma i suoi dipinti sottolineano la natura metaforica. Mentre si osserva un’opera d’arte, in quello stesso istante essa si sviluppa, si stratifica e in alcuni casi muta in altre forme, proprio come gli elementi della natura sul pianeta. Le sue figure dipinte appaiono frammentate ed evanescenti, elaborano emozioni e dilemmi, rispecchiano costellazioni di umanità in piccole particelle. Presentano dunque molti punti in comune tra gli esseri umani, al di là della cultura, della lingua, del genere e della razza. Nei quadri di Cersosimo i corpi si amalgamano alla ruggine, certi elementi risultano mancanti come negli antichi affreschi ma, a differenza di questi, dove il tempo ha cancellato delle parti, ciò che non è completo non è mai stato presente, in un contesto in cui l’illusione dialoga con la fisicità della pittura e del metallo.

Il titolo della mostra ‘Zeitgiest’ è parola tedesca, ma anche universalmente conosciuta in ambito filosofico e, di rimando, artistico e sociologico, è stata pensata dall’artista in quanto “spirito del tempo”, la sua traduzione in italiano per la sua influenza sui nostri comportamenti e decisioni nelle epoche che occupiamo ( in quanto artisti, ma sia e soprattutto uomini), per la sua permanenza e il suo passaggio, il suo passare e scorrere, il tentativo illusorio di fermarlo in un istante, che rappresenta l’eternità dell’arte.

“Il suo soffio sugli affreschi, sui muri delle chiese e il suo peso sull’azione esercitata dalla natura sul mio acciaio ossidato e dipinto – spiega l’artista Sabatino Cersosimo – Mi piace definire i miei dipinti su acciaio degli affreschi al contrario, poiché, se nelle chiese il tempo ha cancellato delle parti di pitture murali, nei miei dipinti frammentati le parti mancanti non ci sono mai state, creando una forma di illusione. Il tornare ad esporre a Torino dopo dodici anni mi fa pensare di nuovo”.

L’ultima esposizione a Torino è stata alla galleria Raffaella De Chirico nel 2012 e poi nel 2013 al Circolo degli Imbianchini dietro la Gran Madre, luogo storico di pranzi sotto il pergolato e piccole mostre al piano superiore.

Sabatino Certosimo è nato il 18 novembre 1974 a Torino e vive e lavora a Berlino. Conseguiti il diploma in grafica pubblicitaria prosegue con l’Accademia di Belle Arti di Torino dove si laurea nel 1999 nel corso di decorazione. Dopo alcuni anni in cui si dedica principalmente alla critica d’arte, ai laboratori didattici museali, al restauro di libri e all’illustrazione per l’infanzia, dalla fine del 2006 riprende l’attività pittorica in maniera costante, realizzando, nell’autunno del 2007, due dipinti per il film “Senza fine” del giovane regista Roberto Cuzzillo.

Dopo gli anni romantici e surrealmetafisici dell’Accademia di Belle Arti e dell’elogio della natura come rappresentazione del sublime, la sua ricerca si è rivolta alla figura umana, dapprima in maniera quasi esclusiva al volto, in quanto maschera o reale espressione di stati d’animo. Le sue opere, oli su tavola, sono cariche di una certa dose di ironia, ricorrendo all’uso di espressioni facciali esagerate, grottesche o più sobrie. Un’esasperazione di una condizione personale e generale. Nelle sue ultime opere la focale è allontanata, prendendo il corpo intero come oggetto di studio e di riflessione e inserendolo nella gestualità del quotidiano, che vela una sensazione di inquietudine. La pittura è quella di pennellate sciolte e irriverenti, attente al disegno dei corpi, che non hanno nulla a che vedere con il concetto di ritratto.

Inaugurazione sabato 28 settembre ore 18

Orari galleria Lunedì-Venerdì 10.30-13.30/ 14.30-19

Sabato e domenica su appuntamento

Cell 34200116092

 

Mara Martellotta

 

Flashback Art Fair, una rassegna colta e divertente

Giunge alla sua XII edizione la fiera torinese Flashback Art Fair, in programma dal 31 ottobre al 3 novembre prossimo. Quest’anno è dedicata al tema dell’equilibrio grazie al contributo di molte gallerie nazionali e internazionali. Si tratterà di una rassegna colta e divertente, dove all’arte contemporanea si affiancheranno opere di Bruegel, Grimmer, Giaquinto, Hayez, fino a giungere a Balla, Fontana, Guttuso, Schifano e Vedova, Paolini e Christo, Maria Lai e Sassolino.

Negli affascinanti spazi di Flashback Habitat, a pochi minuti dal centro di Torino, Flashback Art Fair si interroga attraverso opere, performance, talk, musica e laboratori su molte sfaccettature di un tema complesso: l’equilibrio è equo, giusto e etico ?

L’immagine guida di Sandro Mele, “Equilibrium ?”, indica “Italians no longer have work”. Il nuovo centro artistico indipendente di 20.000 mq, situato a pochi passi dal centro di Torino, si rivela come un’entusiasmante sorpresa per chi non c’è mai stato e una conferma per coloro che frequentano con costanza gli spazi che, grazie alla direzione dell’artista Alessandro Bulgini, dal 2022 si sono trasformati rendendo l’ex brefotrofio un luogo di ricerca e sperimentazione artistica. Fra i padiglioni immersi nel verde, Flashback Art Fair propone anche in questa edizione la sua visione della storia dell’arte in un progetto che, rinnovandole ogni anno, non solo connette moderno e contemporaneo, ma offre una visione sorprendente sulla storia dell’arte e quella di oggi.

“Questa edizione si interroga sul significato profondo dell’equilibrio – dichiarano le direttrici Ginevra Pucci e Stefania Poddighe – uno stato di quiete che emerge dal bilanciamento delle forze, un concetto che attraversa numerosi ambiti, dalla scienza all’economia, dalla politica alla biologia, fino alla sfera sociale e psicologica, è inevitabilmente anche l’arte, ma il raggiungimento di tale equilibrio è davvero sinonimo di giustizia e correttezza ? In un’epoca in cui l’equilibrio è soltanto evocato o messo in discussione, questa dodicesima edizione non vuole dare risposte, ma sollevare domande attraverso incontri di vario genere”.

L’idea di equilibrio è comunemente associata a uno stato di armonia e stabilità. Questa edizione si interroga su tale concezione, chiedendosi se l’equilibrio sia davvero desiderabile o nasconda, in modo quasi controintuitivo, forme di ingiustizia e ineguaglianza. L’immagine guida di quest’anno, a opera dell’artista Sandro Mele, ci invita a confrontarsi sulla diseguaglianza e il precariato nel mondo lavorativo. L’uomo, dignitosamente vestito, cammina in punta di piedi su una fune ricercando l’equilibrio. Riuscirà a raggiungere il suo traguardo ? Equità, pari dignità sociale sono punti di partenza di una meditazione umana profonda che esamina il disequilibrio della nostra società.

Le gallerie ospiti di Flashback Art Fair declinano il tema con una diversificata proposta, che conduce i visitatori in un viaggio emozionale tra i corridoi di Flashback Habitat. Nelle opere d’arte proposte, lo spettatore scopre mondi simili e altri in antinomia tra loro. Si imbatte in scene di vita e di morte, da un lato il caos danzante e gioioso di Peter Bruegel, testimonianza di vita e di fuoco, con l’opera “The wedding dance outside”, dall’altro “Il trionfo della morte” di Franco Gentilini (Aleandri Arte Moderna), personificata da uno scheletro che marcia scandendo il ritmo della festa. Sono tante le donne che si incontrano, molto diverse tra loro nella rappresentazione degli obiettivi e delle condizioni, a testimonianza dell’ancora precario equilibrio della condizione femminile. Si passa dalla magnificenza e sontuosità della “Maddalena in estasi” di Francesco Guerreri (Galleria Giamblanco) al sensuale erotico de “L’odalisca” di Hayez (Bottegantica), rappresentato da giovani schiave vergini custodite negli harem e destinate a diventare concubine e mogli dei sultani turchi. Nelle opere di Emilia Palomba e Maria Lai (Mancaspazio) le donne sono eleganti e essenziali, maestose e monumentali, pur immerse nella vita quotidiana dei vicoli sardi. Si incontra poi il gruppo scultoreo della “Madonna seduta in trono col bambino” di Fabio Pozzallo, una significativa novità per gli studi della scultura lignea abruzzese del Trecento. Il perfetto ovale del volto, la netta canna nasale e le ampie arcate sopraccigliari conferiscono a Maria maggiore serenità. Il collo snello e slanciato le dona un’eleganza regale. Infine la donna raffinata e altolocata della statua togata ci riporta all’arte antica e alla tradizione greco romana.

La galleria dello Scudo presenta invece un dialogo basato sul tema dell’equilibrio e della circolarità della forma: “I tondi e oltre” (1985-1987) di Emilio Vedova si ritrovano a confronto con un cemento di grande formato creato per la fiera da Arcangelo Sassolino, artista che sottende conflitti e equilibri e che, per la prima volta, si cimenta con la forma circolare. In mostra sono anche rappresentati tre disegni antinazisti di Guttuso, di cui due pubblicati sulla prima pagina de l’Unità, e un altro raffigurante i partigiani della Brigata Garibaldi di un giovanissimo Pietro Consagra. In questo lungo percorso artistico il visitatore è stimolato nel riflettere sul concetto di equilibrio, nell’emergere dalla visone bucolica del Rinascimento e la prospettiva dinamica frammentata del Futurismo. Per esempio, il dipinto futurista di Giacomo Balla, “Velocità terrestre- l’auto è passata”, della galleria Russo, esprime una visione dirompente del mondo contemporaneo. L’incontro tra apollineo e dionisiaco è evidente nel gusto per la geometria, l’ordine, la misura della ricerca di Giulio Paolini (galleria Inarco), che fa da contraltare all’ istinto e agli impulsi primordiali scolpiti nel marmo di Carrara del “Busto del fauno” di Giuseppe Pisani. Gli opposti si attraggono, e questo è dimostrato dall’iperalismo dalle tinte oniriche di “Armonica e Ocarina” di Alfredo Serri (galleria Open Art), che dialoga con l’astrattismo della natura morta di Lucio Fontana (NP Art Lab).

 

Mara Martellotta

“Vivere a colori” di Bruno Casetta al Con/Temporray Spaces

Inaugura martedì primo ottobre in via Santa Teresa

 

Inaugura martedì primo ottobre 2024, alle ore 18.30, presso Con/Temporary Spaces di via Santa Teresa ( ex teatro Macario) la mostra intitolata “Vivere a colori” di Bruno Casetta, curata da Ermanno Tedeschi, visitabile fino al 15 ottobre prossimo.

L’esposizione, composta da una ventina di opere, racconta il favoloso immaginario dell’artista che in ogni dipinto, tra colori sgargianti e ambientazioni iconiche, ha dato forma alla gioia di vivere e all’energia creativa che da sempre lo caratterizzano.

“Autenticità, semplicità, solarità e gentilezza sono le caratteristiche che contraddistinguono Bruno Casetta – spiega Ermanno Tedeschi, curatore della mostra – l’artista è protagonista di un’arte mai banale ed è un pittore sempre attento alla realtà che lo circonda”.

Si tratta di una pittura figurativa e immaginaria, che ritrae natura e luoghi familiari, quali il mercato di Porta Palazzo, i paesaggi torinesi, i tram, dettagli come i grappoli d’uva, fabbriche dismesse, elefanti e panorami marini, esprimendo emozioni di felicità e tristezza”.

Bruno Casetta nasce a Torino nel 1959, compie gli studi artistici da autodidatta e inizia nel 1979 a frequentare corsi per giovani pittori presso il Museo Jeau Des Pommes di Parigi e in seguito frequentando gli studi di amici pittori torinesi. Partito dagli impressionisti a Parigi, si è poi dedicato alla pittura espressionista e fauvista, studiando Delonnay e elaborando una pittura vorticistica che caratterizzerà le sue prime opere. È continua la sua ricerca sul colore, sul suo movimento e linguaggio, che lo hanno portato a elaborare una pittura figurativa molto personale.

 

Mara Martellotta