ARTE- Pagina 158

L’Oriente pittorico di Arnold Henry Savage Landor

“Dipingere l’Asia dal vero”. Fino al 14 giugno in mostra al MAO / Famoso in vita. Inspiegabilmente ed ingiustamente dimenticato dopo la morte

Strano destino (non di rado per gli artisti accade esattamente il contrario) quello occorso ad Arnold Henry Savage Landor (Firenze, 1865 – 1924), ricordato con la suggestiva mostra monografica “Dipingere l’Asia dal vero”, curata da Francesco Morena e ospitata negli spazi del MAO- Museo d’Arte Orientale di via San Domenico 11 a Torino, fino al 14 giugno prossimo.

Figura perfino esageratamente poliedrica, ma estremamente interessante. Artista, antropologo, esploratore, avventuriero, scrittore, fotografo, giornalista e pur anche inventore: Savage Landor fu tutto questo. Troppo, forse, per poterne ritagliare un profilo ben definito e chiaro da trasmettere con successo ai posteri. Nato a Firenze, in un ambiente colto e raffinato, da padre inglese e madre italiana (nonno, lo scrittore Walter Savage Landor, da cui probabilmente ereditò il focoso temperamento rivoluzionario che portò l’avo paterno a partecipare alla guerra d’indipendenza spagnola contro Napoleone Bonaparte), ancora adolescente, s’invaghì della pittura e segui, in particolare, gli insegnamenti del celebre Stefano Ussi, docente all’Accademia di Belle Arti di Firenze e allora fra i maggiori esponenti della pittura orientalista in Italia. Ma alla passione per l’arte s’affiancò ben presto la smania del viaggio e dell’esplorazione, ovunque e comunque, alimentata forse dall’intensa attrazione per i romanzi di Jules Verne. Ancora giovanissimo – per bagaglio, scrisse lui stesso, solo pennelli, colori, taccuini vari e una pistola – gira il mondo in lungo e in largo, visitando prima alcuni paesi dell’Africa settentrionale e dell’America, per poi muoversi verso l’Asia: Cina, Giappone (nell’isola di Hokkaido, fu il primo occidentale ad entrare in contatto con il popolo allora del tutto sconosciuto degli Ainu), Corea, Tibet e Nepal. Ovunque dipinge. Annota. Documenta. Con uno sguardo da eccentrico “colonialista” come lo definisce il curatore della mostra. In quei luoghi misteriosi e, ai più, privi di connotazioni geografiche e culturali, dipinge con buona tecnica centinaia di opere “dal vero” in uno stile rapido, immediato e piacevolmente materico d’impronta decisamente impressionistico-macchiaiola. Le sue avventure, non poche e non da poco (in Tibet fu catturato e torturato a lungo, in Brasile si trovò faccia a faccia con un boa constrictor e sopravvisse a 16 giorni di assoluto digiuno) gli fornirono anche materiale di prima mano per i suoi 11 libri, tutti di gran successo e illustrati con le riproduzioni dei quadri dipinti in viaggio o con le fotografie da lui stesso scattate.   L’esposizione al MAO (che segue quella realizzata sei anni fa alla Galleria d’Arte Moderna di Firenze) raduna il corpus più consistente e a noi noto della sua produzione artistica: circa 130 dipinti ad olio, 10 acquerelli e 5 disegni. Il tutto proveniente da più collezioni private e capace di rendere la meritata gloria a un pittore ancora tutto da rivalutare dopo decenni d’immeritato oblio, a un artista decisamente “moderno” con i suoi soggetti “en plein air”, ben lontani “dallo stile minuziosamente classico della pittura di genere orientalista allora in voga”. Dalla realistica “Ragazza Ainu con bambino sulle spalle” alle poetiche “Figure sotto i ciliegi in fiore” fino alla coreografica “Danza delle donne Ainu”, ma anche nei soggetti paesistici come lo “Scorcio con il portale principale del Palazzo Reale a Seoul”, appare del tutto evidente la singolarità documentaristica di una pittura capace di “fotografare” con immediatezza “luoghi e persone che di lì a qualche decennio sarebbero completamente cambiati per effetto dell’incipiente globalizzazione”.   Oltre ai dipinti realizzati in Asia, in mostra sono presenti anche alcune opere eseguite da Savage Landor durante l’adolescenza a Firenze, nel corso dei suoi viaggi in Europa e nella sua prima esperienza oltre confine, in Egitto, oltreché tutti i volumi da lui stesso pubblicati. Per l’occasione è stato anche realizzato un catalogo bilingue italiano/inglese, edito da SAGEP, con saggi di Francesco Morena e Silvestra Bietoletti.

Gianni Milani

“Dipingere l’Asia dal vero”

MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 14 giugno

Orari: dal mart. alla dom. 10/18; lun. chiuso

 

Nelle foto

– “La danza delle donne Ainu”, olio su tavola, 1890
– “Ragazza Ainu con bambino sulle spalle”, olio su tavola, 1890
– “La Piattaforma delle Nuvole a Juyongguan”, olio su tavola, 1891
– “Figure sotto i ciliegi in fiore”, olio su tavola, 1889 – ’90
– “Scorcio con il portale principale del Palazzo Reale a Seoul”, olio su tavola, 1891

Nuova veste per il camino di Bernardino Quadri

L’intervento del gruppo Palazzetti. Nel Salone delle Guardie Svizzere a Palazzo Reale

Si erano già incontrati, poco più di una decina di anni fa, di fronte al restauro di quattro piccoli camini all’interno di Palazzo Ducale a Venezia e la perfezione del risultato li aveva spinti alla promessa di una nuova collaborazione: Fondaco Italia, che ama collegare le realtà museali al mondo dell’imprenditoria, e il gruppo Palazzetti di Pordenone, un lungo quanto efficiente percorso nella produzione di stufe e camini.

La nuova, recente collaborazione – unita all’apporto dei Musei Reali torinesi -, “una scommessa cui non si poteva dire di no”, è il restauro del Camino della Sala delle Guardie Svizzere, punto d’ingresso obbligatorio di Palazzo Reale, accesso per secoli di re e ambasciatori, possibile ancor oggi ad immaginarsi come inaccessibile corpo di guardia, il vociare dei soldati, i giacigli agli angoli del grande spazio, il fuoco costantemente acceso. Dal 1661, anno in cui l’architetto Bernardino Quadri (del Canton Ticino, attivo anche nella Basilica di San Pietro a fianco di Bernini e Borromini, le cronache ci dicono che gli screzi continui con quest’ultimo lo avrebbero spinto a raggiungere la nuova corte) lo posizionò, il camino campeggia sulla lunga parete a fronte della importante tela di Jacopo Palma il Giovane, lì a rappresentare la battaglia di San Quintino come il successivo trasporto della capitale sabauda a Torino, posizionato a ridosso dell’alta fascia di marmo verde ottocentesca dovuta a Palagio Palagi (1843) e sottostante le barocche Glorie Sassoni di due secoli prima.

“Restituito alla sua dignità originaria”, ha sottolineato la direttrice dei Musei Enrica Pagella, presentandolo alla stampa nei giorni scorsi e offrendolo al pubblico che lo incrocerà nel percorso attraverso le sale del palazzo. Una dignità che, finalmente, torna a parlarci del nostro territorio e della sua ricchezza, rimettendo a vista, dopo un restauro durato tre mesi e per cui sono occorse 774 ore di lavoro, la bellezza dei marmi usati (di “musicalità di colori” parla ancora Pagella), taluni oggi scomparsi. Dieci persone all’opera, sotto la guida di Annarosa Nicola, le radici ad Aramengo, la competenza e la passione riunite in una sola famiglia ed in un gruppo vincente, un accanito lavoro di pulizia, una webcam a riprendere giorno dopo giorno le tante tappe dei risultati raggiunti, la salvaguardia di questo piccolo gioiello ma imponente e prezioso, l’alternarsi di marmi policromi e di pietre dure, una struttura nobilitata da colonne binate, dai putti di Quadri (forse un riciclo di epoca più antica) e dai busti antichi di imperatori romani (Giulio Cesare al centro, di sapore ellenistico quello a destra di chi guarda), in marmo bianco di Carrara, l’eleganza e il gusto modernamente legati alla corte da Carlo Emanuele II, sovrano mecenate pronto a riunire a Torino quelle opere antiche che andava acquistando durante i suoi viaggi a Roma.

Molti gli interventi eseguiti, anche a cancellare d’obbligo quelli maldestri eseguiti in passato e necessari di una completa revisione. Si è quindi proceduto alla verifica e in taluni casi al preconsolidamento degli elementi lapidei, al riposizionamento e fissaggio delle parti distaccate e instabili, alla cancellazione generale di quanto potesse essere polvere ossidazione e invecchiamento, alla pulitura dei depositi superficiali, vale a dire stuccature vecchie, strati di mastice e cera debordanti, colature corrosive, sporcizia penetrata nelle imperfezioni della pietra, alla rimozione delle ridipinture localizzate ad imitazione del marmo in corrispondenza di rifacimenti e alla reintegrazione pittorica ed all’adeguamento cromatico di eventuali aloni residui. Un lavoro che offre nuovamente al pubblico un piccolo capolavoro, nella sua piena ricercatezza di elementi. Durante i lavori, è stata pure riscoperta e restaurata la piastra all’interno del camino: si può nuovamente rileggere il nome dei fabbricatori, sono i fratelli Colla, torinesi, la data è quella del 1884.

Elio Rabbione

ARTiglieria, il Con-temporary Art Center 

Il nuovo incubatore di progetti culturali per la valorizzazione dello spazio dismesso dell’ex Accademia Artiglieria di Torino

Si ispira a Les Grand Voisins di Parigi e a La Casa Encendida di Madrid il progetto “ARTiglieria – Con-temporary Art Center” nell’ex Accademia Artiglieria di Torino: un incubatore di arte e creatività emergente che aspira a diventare un punto di riferimento nazionale e internazionale, al pari di progetti analoghi riconosciuti nel mondo.

Dopo la sottoscrizione di una convenzione con la Città di Torino, lo spazio è stato dato in concessione fino al 31.12.2020 a PRS Srl Impresa Sociale ente no profit, da CDP Investimenti SGR, società del Gruppo Cassa depositi e prestiti. Si tratta di una delle prime esperienze in Italia di affidamento temporaneo di uno spazio pubblico per la riqualificazione del patrimonio immobiliare inutilizzato.

Nata nel 1679 come “Reale Accademia”, scuola di formazione per nobili e giovani gentiluomini alla vita di corte, l’Accademia Artiglieria fu in seguito trasformata in accademia militare e sede dell’esercito, sino ad essere abbandonata al degrado. Dopo l’apertura per la prima volta al pubblico in occasione di Paratissima lo scorso mese di novembre, l’ex Accademia Artiglieria è stata ribattezzata “ARTiglieria – Con-temporary Art Center” ed è pronta a condividere i propri spazi con la cittadinanza. L’obiettivo è incubare e rendere autonomi e sostenibili progetti culturali di realtà pubbliche e private che vorranno partecipare alla “chiamata alle armi” di PRS. Al piano terra del complesso saranno concentrate le attività ordinarie di PRS, mentre i piani superiori saranno utilizzati in occasione di appuntamenti ed eventi temporanei o per ospitare gli studi degli artisti “in residenza”, ovvero artisti stranieri e/o ospiti che necessitano di un laboratorio per realizzare o produrre la propria opera (non è però prevista attività ricettiva notturna all’interno del complesso). Lo spazio delle ex scuderie ospiterà mostre temporanee di arte e design. L’ex mensa ufficiali una zona lounge per presentazioni, incontri, reading e live performance.

Si prevedono attività laboratoriali per gli Istituti scolastici la mattina dal lunedì al venerdì e per le famiglie nei pomeriggi e nel weekend; attività formative come il corso N.I.C.E., alla settima edizione, destinato ai giovani curatori, ma anche incontri di formazione e workshop destinati ai professionisti, agli artisti e agli appassionati di arte e design. Il primo appuntamento è in programma nel mese di marzo: Paratissima Talents, il progetto espositivo curato dalla direzione artistica di Paratissima che raccoglie le migliori proposte presentate alla 15esima edizione della fiera internazionale degli artisti indipendenti e l’apertura dell’ArtShop, lo spazio dove vedere e acquistare a prezzi accessibili opere d’arte selezionate e realizzate in edizioni a tiratura limitata. A seguire, a maggio, Paratissima PhotoView, in concomitanza con Fo.To Fotografi a Torino.

Lo spazio dell’ex Accademia Artiglieria sarà gestito e presidiato da PRS – Paratissima Produzioni e Servizi Srl, l’impresa sociale nata nell’ottobre del 2017 con il compito di gestire e sviluppare le attività di Paratissima, subentrando nella gestione a YLDA Associazione Culturale no profit. La compagine societaria di PRS vede la partecipazione dei soci storici di Paratissima e di un pool di investitori torinesi che hanno creduto nell’ambizioso progetto di crescita e diffusione del marchio Paratissima sul territorio nazionale e internazionale. Fondamentale anche il percorso di accelerazione e il grant ricevuto da Socialfare, il centro torinese per l’innovazione sociale, nel novembre 2017, che hanno permesso al team di PRS di focalizzare l’attenzione sul percorso di crescita e sviluppo dei diversi ambiti di progetto dal 2018 al 2020.

L’operazione di concessione temporanea di un bene così prestigioso situato nel cuore della città a favore di una realtà radicata ed affermata sul territorio che opera a livello nazionale da 15 anni nel campo dell’arte contemporanea e creatività emergente, rappresenta un’opportunità di costruzione e sperimentazione di un modello gestionale che può essere scalato e replicato su tutto il territorio nazionale. PRS, attraverso la sua attività, funge sia da presidio per la conservazione del bene e sia da soggetto in grado di valorizzare il complesso nell’ottica di una futura destinazione d’uso definitiva.

L’opera di Botto&Bruno entra nelle collezioni dei Musei Reali

“The ballad of forgotten places” Inaugurazione: giovedì 20 febbraio alle 17

In arte Botto&Bruno. Entrambi torinesi di Mirafiori Sud, Gianfranco Botto e Roberta Bruno hanno frequentato insieme l’Accademia e ormai da anni lavorano in coppia incentrando la loro poliedrica ricerca artistica sull’immagine dello spazio urbano. Su porzioni di città in crisi d’identità. Spazi rubati alla memoria e di memoria.

Consegnati, in modo scriteriato, a solitudine e disagio. Proprio come, per molti aspetti, è capitato e capita al periferico quartiere torinese in cui i due vivono. Di questo parla e lancia segnali importanti l’ultima loro opera “The ballad of forgotten places” (“La ballata dei posti dimenticati”) che, da giovedì 20 febbraio (inaugurazione ore 17), farà parte delle collezioni dei Musei Reali in piazzetta Reale 1, a Torino. Allestita al primo piano della Galleria Sabauda, in quella preziosa Sala degli Stucchi dall’esuberanza decorativa neobarocca, “La ballata” di Botto&Bruno va a collocarsi, in un contrasto artistico-ambientale di fortissimo impatto, come acuta riflessione, come dito puntato e spietato contro l’incuria riservata spesso ai “luoghi marginali” delle città; quelli che invece “hanno bisogno di essere protetti e curati e soprattutto di persone che si attivino a conservarne la memoria”. Il progetto dei due artisti – promosso dalla Fondazione Merz – è il vincitore della terza edizione del Concorso “Italian Council (2018)”, ideato dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, al fine di promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo, ed è materialmente concepito come una struttura praticabile di grandi dimensioni al cui interno, dalle pareti al pavimento, si dispiega l’immagine sfatta e trascurata di un paesaggio suburbano denso di ossidazioni, macchie e reperti, “trasformato in una sorta di dagherrotipo dall’azione del tempo”. Al centro dello spazio, sopra un basamento, si vede un libro d’artista di trecento pagine che raccoglie una serie di fotografie scattate dalla coppia in vent’anni di lavoro e modificate pittoricamente con la stessa tecnica delle immagini a parete, che testimoniano luoghi scomparsi, alterati e dimenticati.

“L’idea di una casa che seppur fragile, diroccata, scelga di proteggere la memoria di questi luoghi perduti – spiegano Botto&Bruno – ci sembra l’unica via per poter costruire le basi per un nuovo e più costruttivo approccio per affrontare le problematiche sull’ambiente”. Rovine. Una casa che una volta c’era e ora è presente con i resti pericolanti che di essa tristemente raccontano la storia. Storia antica, rimossa dalla memoria collettiva, che come in un gioco di “scatole cinesi”, il Museo ha oggi il compito di proteggere in una sorta di abbraccio benevolo in grado di riattivare, conservare e trasmettere, attraverso essa, la memoria dei tanti luoghi fragili e dimenticati.

La collocazione di “The ballad of forgotten places” ai Musei Reali rappresenta la tappa conclusiva di un viaggio che, prima di approdare a Torino, ha già raggiunto Atene (National Museum of Contemporary Art), per poi spostarsi a Lisbona (Carpintarias de São Lázaro) e a Nizza (Le109: Pôle De Cultures Contemporaine).

 

g. m.

 

 

 

 

Frida, scatti fotografici come grandiosi atti d’amore

Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. “Frida Kahlo: through the lens of Nickolas Muray”. Fino al 3 maggio

E’ proprio vero. Le prime immagini che ci vengono in mente – quelle iconiche da sempre registrate nell’immaginario collettivo – quando si pensa a Frida Kahlo (Coyoacàn, 1907 – 1954) sono quelle nate dagli scatti realizzati per colei ché stata la più celebre pittrice messicana del secolo scorso, dal fotografo ungherese, naturalizzato americano, Nickolas Muray.

Ed eccola Frida, in “Frida Kahlo on white bench”, “Frida Kahlo sul bancone bianco”: sfondo verde con fiori bianchi, occhi neri e labbra rosse e carnose, sguardo fiero e sopracciglia così folte da sembrare disegnate apposta per il suo volto, una coroncina di fiori sui capelli raccolti da una treccia e un’ampia gonna (com’era solita portare, ispirata al costume delle donne “matriarche” di Tehuantepec) con scialle nero a coprirle le spalle. E’ questa l’immagine per eccellenza, datata 1939, e immagine – guida della rassegna (mostra-evento, portata per la prima volta in Europa) con cui Next Exhibition e ONO Arte Contemporanea presentano, fino al prossimo 3 maggio, negli spazi della Palazzina di Caccia di Stupinigi, la collezione completa degli scatti più segreti – sessanta complessivamente – realizzati su Frida dall’amico e amante Nickolas Muray (Seghedino, 1892– New York, 1965), fotografo delle dive hollywoodiane – da Greta Garbo a Liz Taylor a Esther Williams e a Marilyn Monroe – nonché pioniere nel campo della fotografia pubblicitaria a colori fin dai primi anni della sua carriera. L’incontro fra i due avviene in Messico, nel’31, attraverso il comune amico e artista Miguel Covarrubias. Lei è maritata al famoso pittore e suo maestro Diego Rivera. Ma il loro è un matrimonio “ballerino”, traballante anziché no, molto “libero” come si direbbe oggi. Lei, anticonformista, nemica di pregiudizi e comuni convenzioni, carismatica, indipendente e determinata, artista dai tratti naif impreziositi da giocose cifre surrealistiche mai prese (checché ne dicesse André Breton) in totalizzante considerazione, resta subito affascinata da quel fotografo di bell’aspetto e gran bravura, neppur quarantenne e già famoso nel mondo stellare d’oltre Oceano, self made man emigrato negli States a 21 anni “con 25 dollari e 50 parole di inglese in tasca”.

Fra i due è subito colpo di fulmine. Immediato ed esclusivo. “Nick, ti amo come si ama un angelo”, gli scrive lei, subito dopo il primo incontro, in una lettera che si chiude con l’impronta di un bacio stampato con squillante rossetto rosso. La loro storia d’amore continuerà per dieci anni, trasformandosi poi in una fortissima amicizia e complicità spirituale che dureranno fino alla morte di Frida, nel 1954. Bastava uno sguardo per intendersi al volo. E Nickolas riusciva a fermare quegli sguardi, quei gesti, quegli intrecci di corpo mani e anima in immagini per altri assolutamente impensabili. E per lui autentici immediati atti d’amore. Oltreché opere di eccelsa levatura tecnica e stilistica. Foto realizzate dal 1937 a Tizapan, in Messico, fino a quelle del 1948 scattate a Pedregal e a Coyoacan piuttosto che a New York: in studio (suggestiva quella in cui Frida siede a fianco di un suo celebre dipinto del ‘41, autoritratto a mani incrociate con quattro dei suoi emblematici pappagalli, osservata da Nickolas con silenziosa attenzione, attento a non turbare l’incanto del momento) o in posa “con la blusa di satin blu” o sui tetti dei grattacieli di New York. Sigaretta in mano. Forte. Aria di sfida. Altera come gli enormi palazzoni che le stanno alle spalle.

Quest’era Frida Kahlo: prim’attrice di una vita profondamente travagliata, ma coraggiosa al di là d’ogni limite, testimoniata in mostra a Stupinigi anche da un’installazione multimediale simulante i rumori e i colori dell’incidente di cui rimase vittima a soli 18 anni sull’autobus che la riportava da scuola a casa e che la martoriò nel corpo (32 interventi chirurgici) per l’intera esistenza, fino all’amputazione della gamba destra nel 1953, un anno prima della scomparsa. E a raccontare visivamente l’artista sono ancora in rassegna, accanto alle foto di Muray, le riproduzioni degli ambienti a lei cari, come il celebre letto d’arte e di sofferenza (su cui, grazie ad uno specchio a soffitto compose i suoi primi terapeutici autoritratti), i gioielli e gli abiti larghi, ricamati e variopinti testimonianti la sua incrollabile adesione a un’identità messicana mai venuta meno nel tempo.

Gianni Milani

“Frida Kahlo: through the lens of Nickolas Muray”
Palazzina di Caccia di Stupinigi, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi (Torino); per info 380/1028313 o info@nextexhibition.it
Fino al 3 maggio
Orari: dal mart. al ven. 10/17,30 – sab. e dom. 10/18,30

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Nelle foto

– “Frida on White Bench”, Nickolas Muray Photo Archive
– “Frida Blue Dress hig rez”, Nickolas Muray Photo Archive
– Frida e  Nickolas in studio, Nickolas Muray Photo Archive
– “Frida NY roottop”, Nickolas Muray Photo Archive

“Andrea Mantegna. Rivivere l’antico, costruire il moderno”, boom di visite

La mostra, in corso a Palazzo Madama dal 12 dicembre 2019, ha già registrato 54.100 visitatori in 9 settimane di apertura

Organizzata e promossa da Fondazione Torino MuseiIntesa Sanpaolo e Civita Mostre e Musei, è a cura di Sandrina BanderaHoward Burns e Vincenzo Farinella. Oltre 130 opere, riunite grazie a prestigiosi prestiti internazionali da alcune delle più grandi collezioni del mondo, illustrano il percorso artistico di uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano.

Chi non avesse ancora avuto l’opportunità di visitare l’esposizione, ha tempo fino al 4 maggio 2020.

Si ricorda che la mostra il giovedì e il sabato è aperta fino alle ore 21.00 (ultimo ingresso alle ore 19.30). Inoltre, per evitare le code, è possibile prenotare e acquistare i biglietti on line su www.ticketone.it   o attraverso il call center al numero 0110881178 (da lunedì a venerdì 9.00 – 18.00 / sabato 9.00 – 13.00).

A San Valentino, un occhio di riguardo per tutte le coppie nei Musei torinesi

Venerdì 14 febbraio, si entra in due e ne paghi uno… di biglietto!

Nei Musei torinesi, sarà avanti tutta per le coppie, comunque esse siano formate, per il giorno dedicato alla Festa di San Valentino, venerdì 14 febbraio prossimo.

La formula si ripete a copione un po’ per tutti, ma non mancano iniziative tematiche particolari attentamente studiate per l’occasione. Intanto, per l’appunto, fil rouge comune: si entra in due con un biglietto solo. Così sarà per il Museo Nazionale del Risorgimento (via Accademia delle Scienze, 5) dove, con un unico biglietto valido per due persone, venerdì 14 febbraio si potrà accedere e visitare le meraviglie storiche ed artistiche custodite nel più antico e importante Museo dedicato al Risorgimento italiano, dalle 10 alle 18, ultimo ingresso alle 17. “Naturalmente – dicono al Museo – l’iniziativa non coinvolge solo gli innamorati, ma chiunque si recherà al Museo in coppia: fidanzati, amici, genitori e figli, nonni e nipoti…”. Alle ore 16.00 verrà inoltre organizzata la visita guidata tematica “Uomini e donne, amori e eroiche imprese” in cui la storia del Risorgimento sarà raccontata attraverso le passioni dei protagonisti che, uniti nella vita e nell’attività politica, hanno segnato le vicende storiche dell’Indipendenza e dell’Unificazione italiana. Il biglietto di ingresso costerà 10 euro ogni due persone. Quanti sceglieranno anche la visita guidata pagheranno 14 euro, sempre in due. Per info: tel. 011/5621147 o www.museorisorgimentotorino.it

“Reali Mon Amour” è invece lo slogan, per un San Valentino speciale all’insegna della cultura e del buon cibo, adottato dai Musei Reali, in Piazzetta Reale 1 a Torino. Intanto anche qui chi entrerà in coppia in uno dei prestigiosi siti inseriti nel Polo Museale costituitosi nel 2016 (Palazzo Reale, Giardini Reali, Biblioteca e Armeria Reale, Galleria Sabauda, Museo Archeologico, Palazzo Chiablese e Cappella della Sacra Sindone), per la giornata di San Valentino pagherà un solo ingresso anziché due. Ma non solo, alle 17 e alle 18, è anche in programma uno speciale percorso guidato agli Appartamenti Nuziali del secondo piano di Palazzo Reale, accompagnato ad uno sfizioso aperitivo, in Caffetteria, nella Corte d’Onore. Costo Euro 5, a persona; prenotazione al numero 011/19560449. E ancora, sempre al Caffè Reale, sarà possibile cenare le sere del 14 e 15 febbraio al prezzo di Euro 40 a coppia. Per chi si presenterà con il biglietto dei Musei Reali emesso in giornata, prezzo speciale scontato di Euro 32. Prenotazione al numero 335/8140537.

E infine “A San Valentino innamorati dell’Arte”: è questo l’invito lanciato anche quest’anno dalla Fondazione Torino Musei, che per il 14 febbraio s’allinea con le precedenti proposte, offrendo un biglietto per due per visitare le collezioni permanenti alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (via Magenta, 31; tel. 011/4429518), a Palazzo Madama (piazza Castello, tel. 0114433501) e al MAO-Museo d’Arte Orientale (via San Domenico, 11; tel. 011/4436932). Dall’offerta sono però escluse le mostre temporanee con biglietteria separata.

Da ricordare inoltre che fino al 16 febbraio sarà possibile fruire della “promozione speciale” di San Valentino acquistando due tessere relative all’Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta al costo di Euro 45 ciascuna invece di Euro 52. La carta permette di accedere gratuitamente e ogni volta che lo si desideri ad oltre 250 musei, residenze reali, castelli, giardini, fortezze, collezioni permanenti e mostre temporanee del Piemonte e della Valle d’Aosta aderenti al circuito (Info Piemonte – Abbonamento Musei, via Garibaldi 2, Torino; tel. 800329329).                            g.m.

 

Nelle foto
– Musei Reali Torino
– Museo Nazionale del Risorgimento Italiano
– Erulo Eroli: “Garibaldino ferito”, olio su tela, 1880 – Sala 22 Museo del Risorgimento
– Visita guidata in Palazzo Madama

 

Alla Gam: Giulio Paolini. Disegno geometrico, 1960

Martedì 11 febbraio alle 18 – Sala Uno GAM – Via Magenta, 31 Torino

GLI AMICI DELLA BIBLIOTECA D’ARTE
Per il ciclo Esercizi di lettura. Libri, album, cataloghi

 

Presentano il volume di Fabio Belloni
Giulio Paolini. Disegno geometrico, 1960
Corraini Edizioni-Fondazione Giulio e Anna Paolini, Mantova-Torino 2019

Intervengono
Fabio Belloni, 
Università di Torino
Flavio Fergonzi, 
Scuola Normale Superiore di Pisa
Elena Volpato, 
GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Nel 1960 il ventenne Giulio Paolini realizzò un’opera con l’aiuto di un manuale, un tiralinee e un compasso. Su una tela dipinta di bianco vergò a inchiostro la squadratura della superficie, intitolandola Disegno geometrico. Alcuni anni dopo egli riconobbe in quel quadro di modeste dimensioni il proprio battesimo d’artista: punto di inizio, ma anche di continuo ritorno – mentale quanto formale – di ogni sua prova. Per quale ragione un lavoro così precoce e dall’evidenza tanto essenziale è divenuto fondamento della poetica paoliniana? Fabio Belloni avanza per la prima volta un’approfondita lettura critica di Disegno geometrico. Ne indaga genesi e significati: anche il valore del formidabile ruolo, nelle vicende dell’autore come della contemporaneità artistica. Il volume costituisce la quinta uscita della serie “In collezione,” curata dalla Fondazione Giulio e Anna Paolini e dedicata ad approfondimenti monografici di alcune opere di Giulio Paolini.

 

Ingresso libero fino a esaurimento posti.
L’accesso sarà consentito fino al raggiungimento della capienza massima della sala

 

Le foto di Cantamessa per i 50 anni della Regione

Nell’ambito delle celebrazioni per il 50° anniversario dell’istituzione della Regione Piemonte, il Consiglio regionale del Piemonte con l’associazione culturale In Arte, in collaborazione con l’Archivio Augusto Cantamessa, presenta la mostra fotografica “Augusto Cantamessa. Atmosfere piemontesi”

All’inaugurazione, giovedì 6 febbraio, il Consigliere Segretario Gianluca Gavazza ha portato il saluto istituzionale del Consiglio regionale:

“La mancanza di colori negli scatti di Cantamessa spinge l’osservatore a vedere oltre, così da riconoscere l’atmosfera che circonda la foto, restituendo profondità  emotiva alle forme e significato evocativo al ‘non colore’. Ospitare le fotografie di Augusto Cantamessa – conclude Gavazza – è una meravigliosa opportunità per compiere un viaggio nella nostra profondità. Il Consiglio regionale del Piemonte è onorato di ospitare questo evento prestigioso proprio in occasione del suo 50esimo anniversario”.

Sono intevenuti alla presentazione: Cinzia Tesio storica dell’arte, Bruna Genovesio e Patrik Losano curatori dell’Archivio Augusto Cantamessa.

La mostra presenta trentadue immagini formato 50×60 – esclusivamente in bianco e nero – realizzate dal fotografo piemontese Augusto Cantamessa (Torino 1927 – Bibiana 2018) tratte dall’immenso archivio fotografico dell’autore, che comprende diversi inediti. Le immagini ripercorrono la storia di oltre mezzo secolo della nostra regione, scoprendo luoghi e paesaggi che diventano istantanee di vita del Piemonte.

Inoltre sono esposti alcuni cataloghi delle mostre a cui Cantamessa ha partecipato in tutto il mondo in 70 anni di attività e la macchina fotografica che lo seguiva in tutti i suoi spostamenti. Un video introduce i visitatori alla mostra: si tratta di una intervista della durata di circa 20 minuti realizzata nel 2017 da Federico Cramer, in occasione del novantesimo compleanno del fotografo.

La selezione delle opere esposte rimanda ad alcune delle tematiche cardine della ricerca fotografica di Augusto Cantamessa: terra, paesaggi, ritratti. La mostra restituisce immagini colme della bellezza del territorio che nel tempo muta e si trasforma insieme ai suoi abitanti. Tanti sguardi su innumerevoli paesaggi, sulle campagne e sui paesi della provincia e anche su Torino con le sue prestigiose piazze, i suoi quartieri caratteristici, le luci dei Luna park, i giochi dei bambini sulla neve e le zone periferiche avvolte dalla nebbia.

Gli scatti di Cantamessa raccontano un universo di vita vissuta in Piemonte, dagli anni Cinquanta ad oggi, da cui si percepisce una forte appartenenza ai luoghi, attraverso la rappresentazione del paesaggio, di intensi ritratti di contadini, donne e bambini, di operai alle prese con l’edilizia popolare ma anche di persone che passeggiano per le strade della città.

La mostra “Augusto Cantamessa. Atmosfere piemontesi” rimarrà aperta al pubblico fino al 6 marzo, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17. Ingresso gratuito.

Venerdì 6 marzo 2020 – ultimo giorno di esposizione – si terrà un evento di chiusura in cui verrà presentato il catalogo della mostra. 

 

Per scoprire il FAI appuntamento all’Unitre

“Manta e Masino. Ultimi restauri e scoperte” Venerdì 7 febbraio alle ore 15.30  Sede FAI di Torino, Via Giolitti 19

ALLA SCOPERTA DEL FAI

Proseguono gli appuntamenti dell’Unitre Torino per conoscere da vicino il FAI, i luoghi che tutela e il grande patrimonio italiano in termini di “meraviglie”. Il 7 febbraio alle ore 15.30 si parlerà di “Manta e Masino. Ultimi restauri e scoperte”. I due castelli, accomunati dal piacere della vita di Corte – rispettivamente nel secondo Quattrocento e a partire da Benedetto Maurizio Duca del Chiablese – sono stati recentemente oggetto di nuove interessanti scoperte e di restauri. L’incontro, che si svolgerà presso le sede FAI di Torino in Via Giolitti 19, sarà condotto da Silvia Cavallero e Carlotta Margarone del FAI. Per partecipare è necessaria la prenotazione presso la segreteria dell’Unitre Torino in Corso Trento 13.