ARTE- Pagina 157

Frida torna in mostra a Stupinigi

Dopo la chiusura obbligata, per disposizioni ministeriali, di tutti i musei piemontesi da lunedì 24 febbraio a domenica 1 marzo, riapre regolarmente al pubblico da lunedì 2 marzo la mostra “FRIDA KAHLO Through the lens of Nickolas Muray”, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi

 

Fino al 3 maggio 2020

PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI
Piazza Principe Amedeo 7 – Stupinigi (TO)

“Lo que no me mata me alimenta”
“ciò che non mi uccide, mi nutre, mi fortifica”

diceva Frida, nonostante la poliomelite, le conseguenze del gravissimo incidente, gli aborti, l’amputazione della gamba ed i dolori fisici atroci. Senza tralasciare i dispiaceri emotivi dovuti ai ripetuti tradimenti di Diego.

Eppure Frida non si lasciava vincere dalla paura, giocava con la sua “cara e dolce amica morte”, scherniva i dottori con frasi come “Dottore, se mi lascia bere questa tequila, prometto che al mio funerale non ne toccherò un goccio”,
riponeva tutta la sua speranza nel futuro nei colori squillanti del suo “Viva la vida”, un inno alla speranza, un monito eterno per tutti noi.

Siamo certi che in questa settimana di esilio forzato la sua anima si sia sufficientemente divertita, riguardando tutte le foto che le aveva scattato il suo amante/amico Muray e che l’hanno resa iconica per noi, commentando il documentario del suo rapporto con il suo “rospo” Diego, adagiandosi sul suo letto e provandosi i vestiti ispirati al suo stile, ricostruiti in mostra.

Ora è pronta a riabbracciare il pubblico con la sua carica emotiva nella sua casa torinese, TUTTI I GIORNI, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.30 e sabato e domenica dalle 10 alle 18.30 (ultimo ingresso consentito un’ora prima dell’orario di chiusura).

PROMEMORIA SULLA MOSTRA…VIAGGIA, VIVI, AMA.
La Mostra Evento per la prima volta in Europa!

Un viaggio emozionale nella vita dell’icona mondiale Frida Kahlo. Un percorso per conoscere la donna, viverla e comprendere la sua essenza, fatta di forza, coraggio, talento e un immenso amore.

Next Exhibition e ONO arte contemporanea, con il patrocinio dell’Ambasciata del Messico, del Consolato Onorario del Messico a Torino e di Torino Città Metropolitana, sono lieti di presentare “FRIDA KAHLO Through the lens of Nickolas Muray”, la mostra evento che offre uno sguardo intimo e privato sull’artista più prolifica, conosciuta ed amata del Messico.

Per la prima volta in Europa si svela al pubblico la collezione completa degli scatti su Frida di Nickolas Muray, suo amico di lunga data e amante. Su tutti “Frida Kahlo on White Bench”, la foto più iconica.
Le sessanta foto, scattate nei momenti più segreti della vita della Kahlo, riempiono gli occhi del pubblico con i colori, le espressioni, gli occhi, il sorriso di Frida. Un vero e proprio sguardo sulla Frida più segreta, un percorso organizzato dall’archivio Nickolas Muray attraverso GuestCurator Traveling Exhibition, LCC.

Il visitatore avrà la possibilità di immergersi nei sentimenti e nelle emozioni che hanno caratterizzato l’artista, partendo dalla suggestiva e toccante area introduttiva multimediale, in collaborazione con il Museo FRIDA KAHLO Riviera Maya (Messico), che simula rumori e colori dell’incidente che ha segnato la vita dell’artista. Le riproduzioni degli ambienti tanto cari a Frida, il famoso letto d’arte e di sofferenza, gli abiti messicani, faranno toccare lo spirito di una donna eccezionale.
La stanza dedicata al suo rapporto eterno con Diego Rivera, con il documentario “Artists in Love”, in collaborazione con SKY Arte; le lettere d’amore tra Frida e Nickolas; l’area interattiva che ospiterà numerosi approfondimenti su Frida e sulla cultura messicana.

CALENDARIO APPROFONDIMENTI ed EVENTI di MARZO

Sabato 7 marzo: LABORATORIO QUERCETTI
Il laboratorio, pensato per bambini che abbiamo compiuto i cinque anni di età, prevede un massimo di quindici partecipanti.
Verrà regalato ad ogni bimbo un ritratto di Frida che potrà personalizzare con degli origami coloratissimi, sotto la guida esperta di Carla Di Corato, creativa storica del brand Quercetti, nonché professoressa di origami.

A fine laboratorio ogni bimbo potrà portasi a casa la sua piccola opera d’arte.

Sabato 14 marzo: APPROFONDIMENTO SULL’ARTE DI FRIDA
Un’analisi approfondita dei quadri di Frida e degli eventi che hanno ispirato la sua pittura. A cura di Serena Fumero, Dottoressa in Storia dell’Arte

Sabato 28 marzo: IN VIAGGIO CON FRIDA
Un percorso di conoscenza dei luoghi cari a Frida nel suo amato Messico e delle città visitate, in compagnia di Diego, negli Stati Uniti. Un viaggio ricco di emozioni, a cura di Pianeta Gaia Viaggi e Alidays Travel Experiences.

Gli approfondimenti sono GRATUITI, inclusi nel prezzo del biglietto della mostra, acquistabile sia in prevendita con il circuito Ticket One, sia presso il botteghino della mostra.

Per maggiori informazioni sulla mostra: tel. 380/1028313
www.fridatorino.it – www.facebook.com/FridaKahloTorino

EVENTO SPECIALE 8 marzo FESTA DELLA DONNA

Festeggia l’8 marzo in compagnia di una donna unica: FRIDA.
Immergiti nella vita, gli amori e le passioni di un esempio femminile di incredibile coraggio e forza.

Un percorso speciale all’interno della mostra “FRIDA KAHLO Through the Lens of Nickolas Muray”, raccontato ed interpretato da tre talentuose attrici, a rappresentare le fasi principali della vita della pittrice.

La Frida ragazza, vestita da uomo, che lotta per i suoi ideali, ha voglia di emergere e di conquistare il mondo con la sua arte.
La Frida donna che, dopo l’incidente, veste con abiti ampi e lunghi, a nascondere le sue cicatrici. Devastata nel fisico e nel cuore, racconta il suo amore tormentato per Diego Rivera.
La Frida più matura, avvolta in enormi scialli coloratissimi, che fa pace col suo dolore perenne e con la vita, nel suo apice di rinascita interiore.

Un momento intimo, a tu per tu con Frida, con un delicato sottofondo musicale fatto di violino e chitarra, in perfetto stile messicano.

Primo ingresso all’evento alle ore 19.30; secondo ingresso alle ore 20.30.
Info e biglietti in vendita con il circuito Ticket One. Per info: 380/1028313.

 

© Nickolas Muray Photo Archives

Fontana dei Mesi: marzo e aprile e… il Barocco

Marzo leva la mano sinistra: accenna un gesto di saluto. Come la primavera, attesa da tutti a marzo, arriva, sicura di sé, tra persone che stanno aspettando il suo ritorno. Come sapete, per questa uscita sulla Fontana dei Mesi di Torino, la rubrica dedicata ad analizzare le dodici statue allegorie dei mesi a fattezze femminili che compongono la corona della Fontana al parco del Valentino, più belle che mai dopo la fine dei lavori di restauro del marzo scorso (2019), tratteremo del mese di marzo

Gli appassionati più fedeli sono informati già dalla scorsa uscita, dedicata all’Impressionismo e alla statua del mese di febbraio; questa volta, nel post edito da iltorinese.it sulla fine del secondo mese dell’anno (quest’anno bisestile), trattiamo di due statue. Si parla dunque della statua di marzo, dicevamo, una donna che ha una certa musica e che leva una mano in cenno di saluto, ma anche di quella di aprile che raffigura una giovane esuberante e sfrontata, atteggiamento una volta tipico -parlando allegoricamente- del mese di aprile nel corso della primavera.

Oggidì i cambiamenti climatici fanno saltare tutte le consuetudini a riguardo del cambio delle stagioni, tuttavia non è vano ricordare come stavano le cose prima, quando ancora si poteva fare affidamento sul tempo per programmare cose, siano esse semine, raccolti, vacanze, serate conviviali all’aperto, gite per mare o montagna e chi più ne ha più ne metta, se non altro per fare un paragone sia esso positivo o negativo. Ai lettori più curiosi non sarà sfuggito il fatto che per la rubrica di questo mese è annunciato il Barocco. La corrente artistica che lega le statue e l’arte ha una buona ragione per essere scelta tra le tante che la storiografia artistica annovera come strumenti possibili per interpretare l’arte nel coso dei secoli.

Come di solito, non è fatta alcuna pretesa di assolutezza, il legame tra le statue e le correnti artistiche è puramente finzionale e è da prendersi -su buona dritta- come una cosa del tutto speculativa e del tutto evanescente, si potrebbe dire di fantasia. Piuttosto è bene ricordare che la Fontana dei Mesi anche detta “di Ceppi” è stata inaugurata nel xix secolo per la precisione nel 1898, in occasione dell’Esposizione nazionale e che oltre alle dodici statue dell’arco discendente esterno, vi sono all’interno dei giochi d’acqua altre statue, allegorie dei fiumi del Piemonte, di cui si è avuto modo approfondire in precedenza. Detto questo vediamo perché si potrebbe associare il Barocco a questo tratto della fontana.

 

Il barocco inizia negli anni trenta del xvii secolo, come la primavera inizia nel mese di marzo, ma non proprio all’inizio, piuttosto il 21 del mese dato l’equinozio, e come per la corrente artistica i dipinti sono via via più riconoscibili come certamente appartenenti a quel periodo anche nelle statue della Ceppi si nota che le statue primaverili si discostano da quelle invernali sul piano espressivo, per arrivare al forte separazione che si ha tra la fulgida pienezza delle estive e la riservatezza delle invernali.

Descrivere una tendenza tra le statue dei mesi in rapporto alla stagione a cui appartengono è fattibile in modo -direi- evidente e così prendendo in considerazione la diade marzo-aprile, tenendo inoltre come pulce nell’orecchio il Barocco, corrente artistica caratterizzata da uno spazio plurale, in altri termine dal fatto che in uno stesso quadro i barocchi propongono più scene compresenti, iniziamo teoreticamente a collocare l’insieme delle statue nelle loro stagioni, creando quattro gruppi di statue dialogicamente connessi; in relazione tra loro grazie a quelle che rappresentano i mesi di equinozio e di solstizio (in questo caso marzo) e attraverso quelle subito seguenti (qui si ha aprile) per scoprire un tratto caratteristico della stagione che in questo frangente è la rinascita, il ritorno, il riconoscimento, la vita nell’al di qua. La primavera è alle porte, anche se qualcuno dice che quest’anno l’inverno non si è sentito affatto, in ogni caso sarà bene prepararsi e godersi consapevolmente il periodo.

Elettra Nicodemi

 

 

Un lungo percorso attraverso il “Divisionismo”, tra le nevi di Segantini e le istanze sociali di Pellizza e Longoni

Sino al 5 aprile nelle sale del Castello Visconteo di Novara

Alla Triennale milanese del 1891 risale l’atto di nascita del Divisionismo, allorché vengono esposti Le due madri di Giovanni Segantini e Maternità di Gaetano Previati, una derivazione tecnica del neoimpressionismo e per molti versi consanguineo di quel pointillisme che accresceva da pochi anni il proprio successo Oltralpe con le opere di Georges Seurat (la Grande Jatte) e di Paul Signac (Le port de Saint-Tropez).

Il nostro non certo da ascrivere ad un vero e proprio movimento pittorico, non ne ha mai avuto l’aria, dal momento che nessuno tra i suoi rappresentanti ha mai sfoderato l’ardire di mettere su carta un manifesto artistico: per cui per lui si può siglare una definizione che suoni “fenomeno artistico”, con tutto quel che di ribelle si possa coccolare all’interno nei confronti di un passato più o meno recente (anche la Scapigliatura andava già messa in soffitta).

Tecnicamente, il Pointillisme dei cugini francesi trattava i colori complementari accostandoli sulla tela attraverso una serie di puntini e scartando le pennellate, una visuale che abbracciava non soltanto un intendimento pittorico ma altresì un interesse scientifico: considerando il raggiungimento della scomposizione del colore, nell’obbedienza delle ultime acquisizioni scientifiche, e il suo totale assorbimento a livello retinico. Dovrà in altre parole essere la retina dell’osservatore a riconsiderare la lettura di un oggetto, i suoi toni coloristici, quelle sfumature che derivano da un tale percorso “per punti”, che ci appariranno nettamente individuabili se quegli oggetti verranno osservati da vicino, mentre tenderanno all’uniformità se visti di lontano (di “…una funzione intellettiva sulle forme e i colori del vero” parlava Previati).

Il Divisionismo italiano – con la sua culla nel Nord d’Italia, grazie soprattutto al sostegno di Vittore Grubicy de Dragon, mercante d’arte, critico, pubblicista e ancora pittore, che con il fratello Alberto gestisce dal 1876 una galleria d’arte a Milano – scavalcherà i punti degli artisti francesi per rivolgersi al tratteggio, ad una serie di tratti allineati, di filamenti di colore ripiegati su se stessi, arabescati, spiralati, pronti in una calma posatura a seguire l’andamento circolare dell’oggetto. In tale andamento ondivago, a tratti sognante, dove gli artisti intravedono la vita, troveranno spazio non solo gli ariosi scenari colti tra pianure e montagne, tra casolari e distese innevate ma pure le componenti personali e no della religiosità come i momenti drammatici della vita quotidiana e le rivendicazioni sociali, quei fermenti di socialismo che sempre più andavano invadendo le necessità di una classe popolare in ristrettezze o povertà e che Pellizza da Volpedo o Plinio Nomellini o ancora Previati mettevano in primo piano come i personaggi principali e irrinunciabili di molte loro opere.

Come raccogliendo all’indietro un filo di nozioni e di ricordi, a questo e a molto altro ancora si pensava nei giorni addietro (non contaminati dal Coronavirus che chiude e serra anche mostre e musei) nell’attraversare quegli spazi chiari e pieni di luce del Castello Visconteo di Novara in cui sino al 5 aprile (una proroga?) è ospitata la mostra Divisionismo. La rivoluzione della luce, con tutto il suo prezioso carico di suggestioni, curata da Annie-Paule Quinsac, tra i primi storici dell’arte ad essersi dedicata al Divisionismo fin dal termine degli anni Sessanta, un passato e un presente carichi di esposizioni e fondamentali pubblicazioni, una mostra che vede la promozione del Comune di Novara e dell’Associazione METS Percorsi d’Arte con i patrocini della Commissione Europea e con il sostegno, tra gli altri, di Banco BPM quale main sponsor.

Circa settanta opere suddivise in otto sezioni, ad introdurre il vasto percorso, a pian terreno del palazzo, quel capolavoro che è Maternità (1890-91) di Previati, i sei angeli a fare da languido riparo alla Vergine che allatta, mentre un reticolo di fili sottili di colori s’inerpica lungo l’altezza della tela (l’opera fu la “più controversa e derisa” della Prima Triennale di Brera dove la critica non era ancora pronta ad accettare un misticismo veicolato dalla nuova tecnica), esempio di una certa solitudine pittorica dell’artista, “irriducibilmente antirealista sin dagli esordi”, che fa sua una visione simbolista scaturita “dal mito, da un’interpretazione visionaria della storia o dall’iconografia cristiana”, ben lontana dalla visione di Segantini che amò al contrario percepire una ben più precisa radice naturalistica, dichiaratamente panica.

Un prologo, un’isola a sé che apre a nuovi orizzonti, può essere considerata la Pensierosa di Tranquillo Cremona (1872-73), ma accanto trovano immediatamente posto titoli del decennio successivo, La partita alle bocce (1885) di Angelo Morbelli – la bellezza dello slancio del giocatore, il secondo piano del paesaggio affondato tra le colline dell’alessandrino, gli amici e gli spettatori al riparo ombroso, il tessuto filamentoso che s’impone in tutta la sua stesura -, il ricamo prepotente del ramo di pesco che avanza sulle due monache nelle Capinere (1883) di Emilio Longoni e soprattutto la crudele istantanea, fermata in pieno abbandono, delle Fumatrici di hashish (1887) di Previati (suo anche, in una sala successiva, stupefacente e nuovo nell’impostazione, Le tre Marie ai piedi della Croce del 1888). Come una moderna istantanea, potente nel proprio taglio fotografico, finisce con l’essere la ribellione sociale dell’operaio nell’Oratore dello sciopero (1891) di Longoni, autore ancora capace di mettere in primo piano le nuove istanze con una personale visione, semplice e immediata al tempo stesso, della differenza di classi, con Riflessioni di un affamato, un ragazzo che, in un finissimo gioco di luci del giorno, cattura attraverso la vetrina opaca di un caffè la ricchezza di una coppia benestante.

La mostra è un omaggio altresì a Pellizza da Volpedo, una sala ne raccoglie cinque opere fondamentali nel suo percorso d’artista, per tutte La processione (1893-95) e Sul fienile pensato nell’estate del 1892, uno stacco netto tra luce e ombra, una meditazione sulla morte che accompagna gli ultimi istanti di un uomo su di un semplice giaciglio di paglia, ancora i filamenti di colori complementari che occupano lo spazio in controluce, alle spalle nel bagliore quasi accecante la continuità della vita, tra la vegetazione e la geometria delle case assolate. Come è un omaggio ai paesaggi innevati di Giacomo Segantini – ma con lui hanno anche indagato intorno ai chiarori delle bianche e vaste distese Cesare Maggi e Matteo Olivero, Morbelli e Pellizza e Tominetti -, sarebbe sufficiente il celebre Savognino sotto la neve (1890) con la sua lunga distesa di case ariose contro la montagna e quel mantello candido che lascia trasparire tutta le tecnica del Divisionismo, su cui s’imprimono le ali nere che rimandano a van Gogh, unione simbolica di vitalismo e di presagi di morte.

Tappe di armonie, di chiaroscuri, di voci diverse, di colori che s’allineano e che portano ai primi decenni del nuovo secolo, il Novecento, il secolo dei grandi conflitti: un quadro di Plinio Nomellini, sullo sfondo, quasi al termine dell’esposizione, quel Baci di sole che “è un inno alla gioia di vivere”, un inno alla calura estiva e al rigoglio della vegetazione al cui interno l’autore immerge la moglie ed il figlio Vittorio, tra lo scorrere dell’acqua e la riva, tra studiati giochi di luci che si liberano in chiazze dal folto delle piante, in un alternarsi continuo e frenetico di luci e di ombre, occasione per Nomellini per allontanarsi dai suoi compagni di viaggio e tornare per citazioni al Renoir del Déjeuner des Canotiers o al Monet che ritrae i giardini di Giverny: “è una pittura che si affida al colore come cromatismo, luce e trascrizione dei piani, anche se lo scopo è di esprimere un senso panico della natura nella più pura valenza dannunziana”.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini

Gaetano Previati, “Maternità” 1890 – 1891, olio su tela, 175,5 x 412 cm, firmato in basso a destra, Banco BPM

Emilio Longoni, “Riflessioni di un affamato. Contrasti sociali” 1894, olio su tela, 190 x 155 cm, firmato in basso a destra, Museo del Territorio Biellese, Biella

Giovanni Segantini, “Savognino sotto la neve”, non datato (1890), olio su tela, 35 x 50 cm, firmato e dedicato “All’intelligente in arte Luigi Dell’Acqua”, coll. privata

Plinio Nomellini, “Baci di sole” 1908, olio su tela, 93 x 119 cm, Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, Novara

 

Parma e Saluzzo insieme nel segno di Bodoni

Saluzzo e le Terre del Monviso insieme alla Capitale italiana della cultura 2020 nel segno del grande tipografo di cui il 26 febbraio ricorrono 280 anni dalla nascita. Primo appuntamento con la mostra “Bodoni à rebours – The dazzling beauty” del fotografo parmigiano Lucio Rossi

 

Prende il via sotto il segno di Giambattista Bodoni nel giorno dei sui 280 anni la collaborazione tra le città di Saluzzo e di Parma siglato nel 2019 da un protocollo di che guarda agli eventi dell’anno in cui la città emiliana è Capitale italiana della cultura.

Ci sono infatti molteplici ragioni per instaurare un duraturo dialogo tra i due territori. Li uniscono infatti i nomi non solo di Giambattista Bodoni, ma anche di Carlo Alberto dalla Chiesa e di Magda Olivero. Li lega un peculiare vincolo culturale di stampo e lingua francese.

Il primo tassello è la mostra fotografica Bodoni à rebours – The dazzling beauty che racconta le terre di Bodoni, incisore, tipografo, editore nato a Saluzzo il 26 febbraio 1740 e morto a Parma nel 1813. Apprese l’arte tipografica nella piccola officina del padre, poi si recò a Roma come compositore nella stamperia di Propaganda Fide, quindi passò a Parma, invitato dal duca a fondare e a dirigere la Stamperia Reale. A Parma restò sino alla morte, divenendo celebre per l’incisione di nuovi caratteri e per le molte splendide edizioni che pubblicò. Dapprima stampò coi caratteri di P.-S. Fournier, ma nel 1771 diede un primo saggio di caratteri suoi, che a poco a poco perfezionò fino a giungere al famoso Manuale tipografico (post. 1818).

Saluzzo, l’Antica Capitale del Marchesato, e il suo territorio, sono ancora oggi scrigno dell’eredità culturale di Bodoni, come della manualità e artigianalità che vi stanno dietro. A Saluzzo vi sono la Biblioteca Storica che ha saputo gestire al meglio il materiale antico preservato e manifestazioni che annualmente raccontano Antiquariato e Artigianato, proponendo un continuo confronto tra passato e futuro.

A narrare questa storia sarà l’immagine: il fotografo parmigiano Lucio Rossi ha raccontato le Terre del Monviso attraverso migliaia di scatti; 250 di questi divengono una mostra che a partire dall’8 maggio a Saluzzo aprirà le sue porte per narrare un territorio attraverso i volti, le emergenze architettoniche e paesaggistiche, le strade e i passi alpini.

 

La mostra fotografica rappresenterà un saggio di un reportage fotografico di enormi proporzioni che Lucio Rossi ha realizzato, nel territorio intorno al Monviso, durante l’estate del 2019. Quattro categorie di immagini restituiranno l’ambiente in cui Bodoni vide la luce (con particolare riguardo alle montagne), i volti della gente, la storia artistica ed architettonica del Marchesato di Saluzzo con cui egli potè venire in contatto e che, possiamo presumere, ne influenzò il gusto. In particolare, sarà la verticalità degli orizzonti al centro delle scelte, poiché proprio la verticalità dei tipi bodoniani ne rappresenta un elemento fortemente distintivo, oltre che l’origine del dazzling effect che a tale peculiare, elegantissimo stile si associa. La quarta sezione si chiamerà bodoniana e rappresenterà gli elementi che più da vicino raccontano il legame del nostro illustre, comune concittadino con la sua petite patrie: le immagini della casa natale, del convento dei gesuiti dove studiò (oggi casa comunale), dei monumenti medievali e rinascimentali che poterono impressionare la sua estetica, si alterneranno in uno zibaldone di rimandi che affondano le radici nella storia tra Italia e Francia di questo rapporto.

 

La mostra fa parte di Start/storia e arte Saluzzo, un mese di appuntamenti in cui la città diventa capitale dell’Arte di ogni tempo: Arte contemporanea, Artigianato e Antiquariato (dal 24 aprile al 31 maggio 2020).

La mostra Bodoni à rebours – The dazzling beauty con le immagini di Lucio Rossi in autunno si sposterà a Parma, all’interno delle iniziative per la Capitale italiana della cultura 2020.

 

La collaborazione prosegue poi con la musica: in occasione della Festa della Musica (21 giugno), dalle Terres Monviso giungerà la musica occitana per lanciare Occit’amo Festival 2020.

Inoltre in programma appuntamenti di carattere enogastronomico, con l’incontro di produzioni che nel Parmense come nel Saluzzese (sempre rappresentato da TERRES MONVISO) presentano motivi di interesse: erbe e miele, arte casearia, norcineria e vini.

“Helmut Newton. Works”: una grande retrospettiva

La GAM di Torino dedica la mostra all’“enfant terrible” della Fotografia del secondo Novecento

Fino al 3 maggio

La fama da “cattivo ragazzo” della Fotografia se l’è coccolata negli anni come vera manna, non casuale, piovuta dal cielo. Sempre.

E sempre l’ha accudita – e impreziosita attraverso una tecnica di assoluta eccellenza – con compiacente, narcisistica generosità. Del resto “bisogna sempre essere all’altezza – era lui stesso a dichiararlo – della propria cattiva reputazione”. Un principio, almeno sul piano professionale, cui Helmut Neustadter, in arte Helmut Newton (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004) fu sempre fedele, seguendo – senza mai perdere in stile ed eleganza ed ironia – il gusto della deliberata provocazione e dell’irriverente sfida alle convenzioni, attraverso cui disorientare l’osservatore, diviso fra compiacimento alle stelle e biasimo beghino, ma pur sempre attratto da immagini iconiche, bellissime nella costante armonia di luci e composizione, diventate “storia” della grande Fotografia del secondo Novecento.

Per alcuni un genio inarrivabile che ha saputo elevare il nudo fotografico a forma d’arte assolutamente indiscutibile, per altri un “misogino” i cui scatti hanno spesso superato i confini dell’accettabilità introducendo nella fotografia di moda “elementi di sado-masochismo, voyeurismo e omosessualità”, a Newton (“oriundo tedesco, con passaporto australiano e residenza a Monte Carlo”) la GAM di Torino dedica l’apertura della stagione espositiva 2020 con una retrospettiva di forte impatto suggestivo, promossa da “Fondazione Torino Musei” e prodotta da “Civita Mostre e Musei” con la collaborazione della “Helmut Newton Foundation” di Berlino. 68 sono le opere esposte a documentazione della lunga carriera dell’artista, secondo un progetto saggiamente esaustivo curato da Matthias Harder, direttore della Fondazione a Newton dedicata e aperta a Berlino nel 2004, poco dopo l’improvvisa morte dello stesso fotografo.

In parete troviamo immagini che “sfuggono – afferma lo stesso Harder – a qualsiasi classificazione… apportando eleganza, stile e voyeurismo nella fotografia di moda, esprimendo bellezza e glamour e realizzando un corpus fotografico che continua a essere inimitabile e ineguagliabile”. Si va dagli anni Settanta con le numerose copertine per “Vogue” (“La moda è stata – diceva Newton – il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue”), fino all’opera più tarda con il ritratto per “Vanity Fair” di Leni Riefenstahl, fotografa attrice e regista di Hitler, ritratta nel 2000 – alla soglia dei cent’anni – e fermata nella stupefacente grandiosità di un’immagine che cattura i segni ancora percettibili di una remota bellezza, impietosamente tormentata dagli sberleffi del tempo.

Accanto, altri numerosi ritratti a personaggi famosi, miti del Novecento, fra i quali un Andy Warhol colto in un attimo di inquietante relax (omaggio al “Cristo” del Mantegna?) e pubblicato nel 1974 su “Vogue Uomo”, Gianni Agnelli (1997) fermato in una geniale inquadratura di profilo dal basso verso l’alto e un’Alba Parietti tutta riccia e tutta nuda colta di spalle in un giardino della precollina subalpina (gli unici due e così diversi torinesi presenti in mostra); per proseguire con Paloma Picasso munita di “sinistro” monocolo e con l’ambigua e misteriosa Debra Winger (1983), fino a Claudia Schiffer (1992) fasciata in abito rosso che pare cucito a pelle, appoggiata provocante al muro di una stradina di Mentone e alla nuvola bianca di fumo “che si fa sipario” all’immagine fascinosa e maliarda (non c’è data) di Marlene Dietrich, accanto alla quale Newton riposa nell’area ebraica del Cimitero di Friedenau a Berlino.

Delle importanti campagne fotografiche di moda, troviamo invece esposti alla GAM alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di fotografie, ormai iconiche, per le più note riviste di moda internazionali, pensate studiate e scattate nei luoghi più impensati e improbabili: dalla suite di un hotel super lusso, a banali minimaliste perfino ansiogene periferie urbane fino al garage del condominio in cui viveva a Monte Carlo, con modelle e auto parcheggiate, disposte a formare un suo personalissimo “dialogo visivo”. Al centro di tutto le donne. Soprattutto le donne. I corpi statuari. Il trionfo della carne, dell’eros. La grande bellezza e la divertita ironia. In una percezione del tutto singolare e neanche poi tanto bizzarra. Lui stesso ricordava: “Per me il massimo è stata Margaret Thatcher: che cosa c’è di più sexy del potere?”.

Gianni Milani

 

“Helmut Newton. Works”

GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 3 maggio

Orari: dal mart. alla dom. 10/18, lun. chiuso

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Nelle foto
– “Rushmore”, Italian Vogue, 1982 /Caption Helmut Newton Estate
– “Andy Warhol”, Vogue Uomo, Paris 1974 / Caption Helmut Newton Estate
– Una sala espositiva. Ph. Giorgio Perottino
– “Debra Winger”, Los Angeles 1983 / Caption Helmut Newton Estate
– “Claudia Schiffer”,Vanity Fair, Menton 1992 /Caption Helmut Newton Estate
– “Marlene Dietrich”, Hollywood /Caption Helmut Newton Estate

La “Biblioteca” di Mario Lattes

In mostra al Polo del ‘900 di Torino, gli acquerelli e i disegni realizzati da Lattes per la sua indimenticata Antologia scolastica

Fino a domenica 8 marzo / Fra i vecchi e impolverati armamentari scolastici che da anni custodisco su in soffitta, credo di averne ancora alcune copie. Parlo di “Biblioteca”, l’Antologia in tre volumi– utilizzata dal sottoscritto in anni, e per più anni, inesorabilmente (ahimè) trascorsi come docente di Materie Letterarie arruolato nella scuola media torinese – scritta dalle bravissime colleghe Rosanna Bissaca e Maria Paolella con fantasiose ma rigorose illustrazioni di Mario Lattes, raffinato pittore scrittore ed editore, pubblicata dal 1992 ( e in uso fino al 2010) dalla stessa casa editrice diretta da Lattes, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale e fondata dal nonno Simone nel 1893.

Oggi scopro che quelle tavole – per la maggior parte mai esposte prima – fresche, delicate, semplici ma legate a filo doppio all’esigenza d’essere filologicamente aderenti al brano letterario interpretato con segni e colori, la Fondazione Bottari Lattes (nata nel 2009 proprio per tenere viva la memoria dell’artista), in collaborazione con S. Lattes & C. Editori, sotto la curatela di Francesco Poli, ha ben pensato di metterle in mostra, fino a domenica 8 marzo, al Polo del ‘900, in Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, a Torino. Il che mi sembra assolutamente importante per cogliere i profondi legami che saldamente tenevano fermo Mario Lattes (Torino, 1923 – 2001) “fra l’anima letteraria e quella pittorica della sua ricerca creativa”.

Dal verde passo passo graduale de “L’infinito” leopardiano (riprodotto come “impresa sfrontata – scriveva lo stesso Lattes – da non aver quasi coraggio, poi, di metterci sotto il titolo di quei quindici versi”) all’inquietante (almeno un po’) nonsense di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol fino a Mark Twain con “Le avventure di Tom Sawyer”, impegnato con l’amico di sempre Huck a scoprire il tesoro nascosto all’interno di una labirintica caverna e “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust o agli “Scacchi” che sono a volte memoria perturbante di Primo Levi: numerosi sono gli argomenti e i testi dei grandi autori classici cui Lattes ha saputo imprimere, attraverso l’originalità di un linguaggio pittorico e grafico profondamente istintivo e singolare, “una forte e originale anima visiva”.

Complessivamente in rassegna troviamo esposte un centinaio di illustrazioni, cinque dipinti e alcuni taccuini di appunti. Sono essi il frutto di un’ampia selezione fra le tavole originali (oltre cinquecento disegni, acquerelli e tecniche miste su tutti gli argomenti del programma scolastico, dalla poesia all’epica, dalla fiaba ai romanzi) realizzate per “Biblioteca” in diversi anni di lavoro e conservate presso la Lattes & C. Editori e la collezione pittorica e incisoria della Fondazione Bottari Lattes.

Sono immagini libere per essenza evocativa e narrativa – testimonianti l’immensa cultura letteraria e iconografica di Lattes – pur se attente e rispettose ai principi peculiari del testo e alla stessa funzione didattica dell’opera. “La mostra – spiega Francesco Poli – si sviluppa attraverso una serie di sezioni legate alle tematiche che caratterizzano le varie parti dei volumi. Per ciascuna di esse sono esposti gruppi di immagini originali, messi in relazione ad altri disegni su taccuini, incisioni o dipinti di Mario Lattes che si collegano agli stessi soggetti e tecniche pittoriche”; una naturale (pur se faticosa e tribolante) evoluzione del continuo appuntarsi visivo, per mania passione istinto grafico-riproduttivo, dei soggetti che le sue numerose e diversificate letture gli sollecitavano.

 

Scriveva lo stesso Lattes: “Su un album da disegno, su fogli foglietti cartoncini grossi così, sono venuto segnandomi le immagini suscitate dalle letture. Fiabe, racconti, pagine di romanzo, poesie. Per dare una visione figurale al testo scritto, o almeno evocarlo”. Fra parola, realtà e fantasia. In scritti che nel disegno ritrovano verità, altre verità possibili. O improbabili. Sogni. Eventi immaginari. Quelli forse impossibili da intuire e descrivere a parole. Solo a parole. Così com’è nella pagina letteraria.

Gianni Milani

“Biblioteca” di Mario Lattes
Polo del ‘900 – Palazzo San Daniele, via del Carmine 14, Torino. Info: tel. 011/19771755 o www.fondazionebottarilattes.it; le scuole potranno effettuare visite guidate gratuite su prenotazione a segreteria@spaziodonchisciotte.it
Fino a domenica 8 marzo
Orari: dal lun. alla dom. 10/19,30

 

Nelle foto

– “Alice nel paese delle meraviglie”
– “L’infinito”
– “Tom Sawyer e il tesoro nascosto”
– “Alla ricerca del tempo perduto”
– “Scacchi” da Primo Levi
– “Immagini fantastiche”

Leonardo pittore: tutto in un corso

Il corso “LEONARDO DA VINCI. PITTORE”  si terrà presso il Polo Culturale Lombroso16 a Torino nei giorni di Mercoledì 26 febbraio, 4 e 11 marzo, dalle ore 19.00 alle 20.30

La natura, la scienza, il moto, il fiato. Tre incontri interattivi alla scoperta dell’anima e dell’opera del geniale studioso e artista formatosi a Firenze, ma che Milano rese famoso.

Il corso, organizzato dall’Associazione di Promozione Sociale WhatsArt?, si articolerà in tre serate interattive e tratterà i seguenti argomenti

Mercoledì 26 febbraioLo studio della natura
L’adorazione dei magi, il cartone della Sant’Anna

Mercoledì 4 marzo : I ritratti
La dama con l’ermellino, la Gioconda

Mercoledì 11 marzoLeonardo a Milano
La Vergine delle rocce, il Cenacolo

Una visita al Cenacolo a Milano potrà essere organizzata con i partecipanti.
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WhatsArt? con le sue proposte formative e laboratoriali si mette in prima linea nel donare e diffondere strumenti utili perché l’arte sia inserita in una interdisciplinarietà che va dal mondo della scuola e dell’educazione a quello del lavoro, dove il capitale umano rimane sempre il maggior investimento.
La Metodologia utilizzata riprende le Strategie di Pensiero Visivo (VTS) e usa il potere di sensi che deriva dalle arti, secondo la Teoria delle Intelligenze multiple.

A cura di:
Monica Fasan, Storico dell’Arte e Art Educator

INFO E ISCRIZIONI: 

E-mail: dialoghiconlarte@gmail.com

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Angelo Morbelli nella mostra del Divisionismo a Novara

La bella mostra “Divisionismo-Rivoluzione della luce” al Castello Visconteo di Novara, curata da Annie Paule Quinsac a cui si deve il grande merito di essersi per prima interessata al Neo Impressionismo scientifico, mette a confronto i vari esponenti di quello che fu denominato per comodità “Movimento” anche se al nascere non vi fu un manifesto degli artisti, concordi tutti nella tecnica del colore diviso ma non nello spirito

Per noi monferrini, che riteniamo “Nostro” Angelo Morbelli, che nei mesi estivi viveva alla Colma di Rosignano dove esistono ancora intatti l’ atelier di Villa Maria e il giardino tante volte ritratto, trovare esposti ben sette dipinti è un motivo in più per invogliare alla visita.

Decantate le mode, trascorso il tempo necessario per arrivare ad una definitiva valutazione, egli, oltre ad essere ritenuto il più osservante nell’applicazione alla pittura delle teorie dell’ottica, senza dubbio è riconosciuto grande artista dallo stile personalissimo dimenticando i giudizi penalizzanti di Grubicy che lo riteneva irritante per la troppa precisione e persino della stessa Quinsac che lo definiva scolaretto di modesto talento benché ne riconoscesse il ruolo di attento ricercatore e sperimentatore. Il confronto tra i vari artisti esposti evidenzia affinità e discordanze, il decorativismo onirico e allucinato di Gaetano Previati, il misticismo proletario e la coscienza politica di Giuseppe Pellizza, la visione panteistica di Giovanni Segantini, l’accanita denuncia sociale di Emilio Longoni, l’adesione al vero di Morbelli che lo avvicina ai modelli letterari di Verga e Capuana nel cogliere ciò che vede con un certo distacco e fatalismo.


Pur con interesse e commozione ai problemi sociali, nel clima del socialismo umanitario del suo tempo, Morbelli ha un atteggiamento tiepido, distante dalla adesione alle lotte progressiste di classe di un Longoni (In mostra “l’oratore dello sciopero”), di un Pellizza e di altri pittori divisionisti. Nella prima sala troviamo uno dei suoi temi preferiti riguardo la semplice quotidianità della vita agreste, espressa nella “Partita alle bocce” contrapposta a “Fumatrici di hashish” di Previati intriso di maledettismo baudelairiano, differenziandosi anche da “Dopo il temporale” di Segantini più inquietante e vibrante già improntato alla rivoluzione della luce.Il “Consiglio del nonno – parlatorio luogo del Pio Albergo Trivulzio”, facente parte della serie sulla poetica della vecchiaia, è trattato da Morbelli senza toni tragici, con la consapevolezza che essa è qualcosa di ineluttabile, tristezza, malinconia, rimpianto ma non dramma.

I suoi vecchi sono accuditi, puliti, vestiti dignitosamente, non descritti in scene strappalacrime; in questo caso il vecchio è non come al solito rassegnato e inattivo, anzi assume il ruolo gratificante di elargire saggezza alla nipote facendo tornare alla mente le “Vecchine curiose” vivaci e motivate nell’osservare un quadro dell’artista sul cavalletto.Nella terza sala il trittico “Sogno e realtà” diventa metafora del trascorrere del tempo, della dialettica vita – morte, giovinezza-vecchiaia, attraverso un simbolismo di facile comprensione avulso da oscuri intellettualismi mentre nella sala successiva “Neve”, realtà fotografica di purezza cristallina con sfoggio di padronanza tecnica, si differenzia dalle nevicate più liriche di Previati e di Pellizza oltre che dal simbolismo segantiniano che in “Savognino sotto la neve” allude al significato pregnante della coltre bianca come morte di tutte le cose.

L’ultima sala fa ritrovare il tema del paesaggio con “Alba domenicale” del 1915 che, come spesso usa Morbelli, ritorna su iconografie precedentemente trattate, in questo caso nel 1890 quando dipinse una stradina collinare che scende alla Cappelletta verso Terruggia, sullo sfondo, percorsa da alcuni devoti monferrini con il vestito della festa, mentre si recano alla Santa Messa domenicale.Infine la splendida “Meditazione” presenta uno dei più alti momenti della sua arte portando l’artista ad una dimensione di purezza assoluta nel ritrarre ragazze adolescenti, immobili, immerse in pensieri segreti, estraniate e inconsapevoli della presenza del pittore che non pretende di penetrare nel loro mondo interiore.

Ne esce un’atmosfera di silenzio, mistero e atemporalità quasi metafisica dove tutto si ferma, niente a che spartire con le figure femminili di Degas, spiate per cogliere voyeuristicamente la gestualità dei corpi nelle azioni quotidiane.Una mostra imperdibile che, come le precedenti alla Galleria Bottega Antica, alla GAM di Milano e al Museo Civico di Casale Monferrato, durante il 2019, contribuisce a celebrare il centenario della morte del nostro grande artista.

Giuliana Romano Bussola

Enrico Massimino, un simpatico monello per una nuova umanità

“Panni stesi al vento” nelle sale della Galleria “Arte per Voi” di Avigliana

 

Strano titolo – Panni stesi al vento, a cura di Luigi Castagna e Giuliana Cusinoquello scelto da Enrico Massimino, oggi sessantacinquenne, musicista e pittore che si divide tra la frenesia torinese e la calma di Coazze, che è innamorato del Novecento e dei suoi protagonisti Picasso Mirò e Chagall, che strizza l’occhio al pop e al mondo del fumetto (tantissimo), per la sua mostra ospitata sino al 15 marzo negli spazi della galleria “Arte per Voi” di Avigliana (piazza Conte Rosso 3). Strano già nell’allestimento, ovvero le opere appese alle pareti della galleria con fili per stendere e fissati da mollette: per cui quelle “carte da recupero” su cui Massimino ospita pennarelli e pastelli a cera ci vogliono ricordare – ma prepotente si fa largo la memoria dell’autore – quei bucati che “le nostre nonne stendevano all’ultimo piano delle loro case in città oppure nelle aie delle cascine delle nostre campagne e li lasciavano lì a purificarsi al sole ed al vento”, reclamando oggi al caldo immobilismo del sole un più ravvivante fluttuare del vento, in tutto il proprio dinamismo. Un’atmosfera di allegri ricordi che balza improvvisa e inaspettata alla dedica al popolo tibetano “che subisce con dignità ed in silenzio l’esilio e l’esproprio della propria cultura ed è un piccolo omaggio al coraggio di un resistere senza ricorrere alla violenza. Come le preghiere tibetane sventolanti al vento freddo delle alte montagne diffondono da sempre il loro carico di speranze così i miei umili disegni vogliono omaggiare il dignitoso dolore di chiunque lotti per la propria libertà e per quella dei suoi simili”. Voli pindarici con un pizzico d’azzardo, che non ti immagini, che prendono strade assurde e lontane. Strade troppo personali. Strade che cercano una scusa nell’esser lì, nel fare e forse persino nell’amare quel tipo di pittura, strade che sperimentano con ansia una propria direzione, qualunque essa sia.

E allora dove va Massimino? Può anche voler addentrarsi tra i capolavori del Quattrocento, magari chiedendo a prestito a Masaccio l’Adamo ed Eva della Cappella Brancacci del Carmine fiorentino (e non importa se il primo uomo ha la sua bella pelle scura!), i protagonisti al riparo di un albero e insidiati dal rosso serpente, tra un contorno di un sole e di piccole nuvole, di una gallinella e di un omino dalla sana espressione fanciullesca. Questo è Massimino, che “gioca” con i colori e con questi personaggini “bambinescamente” divertenti che riempiono giorno dopo giorno le sue opere. Provate a immaginare il Nudo rosa di Modigliani del 1917, certo liberato della comodità dei cuscini ma appieno circondato da barchette e campanili, nuvole e omini, trenini e comete, topi e ancora gallinelle e cani che abbaiano forse ferocemente, castelli e montagnole e fiori, serpenti e stelline e razzi in partenza verso altri mondi sconosciuti, pesci buttati alla rinfusa in acque o sulla superficie di piccole colline verdi, chi più ne ha più ne metta, l’importante è occupare l’intera superficie, con il terrore dell’horror vacui ma con divertimento, quello del fanciullino, quello della serenità ritrovata. O ancora “cinque poveri umani” multicolori – sono i protagonisti di una vicenda tutta da scrivere che per ora s’intitola Contaminazioni (2011), ancora i tratti di simpatica ingenuità, ancora il corredo di comprimari che ormai abbiamo imparato a conoscere e con qualche fatica ad accettare.

 

L’attesa infine (rivista sette anni fa ad Alba alla Fondazione Ferrero) che Carlo Carrà compose nel 1926 in Versilia, con un bellissimo quanto morbido paesaggio toscano che circonda il cane nero e l’uscio da cui compare la donna, entrambi immobili, nella ricerca sull’orizzonte di un accadimento o di una venuta, nelle mani spensierate di Massimino diventa un richiamo teatrale beckettiano, un Godot che s’aspetta (forse quel triangolo con tanto d’occhio al centro, immerso nel tappeto intensamente blu che è divenuto l’antico terreno, specifica con sicurezza la radice di quel nome su cui l’autore irlandese non volle mai pronunciarsi?), ancora immobili ma tra la calma e la rabbia, mantenendo ogni cosa al loro posto, nel ricordo ossequioso dell’originale, ma allo stesso tempo stravolgendo il percorso man mano che s’avanza, nei colori accecanti e in quegli elementi aggiunti, soprattutto, dall’omino in primo piano al calvario sullo sfondo alla strada bianca che piattamente sale alla casa sul colle. Questo è Massimino: e non sai se prenderlo come il portatore sano di uno sberleffo o un simpatico monello che si diverte a dipingere pro domo sua un’umanità e un futuro che lui ama e che ha una voglia matta e sacrosanta di far conoscere a chi avrà il piacere di guardarlo.

 

Elio Rabbione

 

“En attendant Godot”, 2018, pennarelli e pastelli a cera su carta di recupero, cm. 62 x 75

“Adamo ed Eva”, 2018, pennarelli e pastelli a cera su carta di recupero, cm 115 x 60

“Great italian nude (Nudo rosa di Amedeo Modigliani)”, 2018, pennarelli e pastelli a cera su carta di recupero, cm 76 x 137

 

Le Residenze sono (e resteranno) sabaude. La Regione e Curto lo hanno deciso

Il prof. Guido Curto, il cui pensiero era stato  sicuramente travisato da un’intervista non voluta  e non sollecitata, mi ha scritto una garbata  ed esaustiva lettera in cui mi annuncia che l’aggettivo Sabaude non verrà tolto dal logo  Residenze sabaude  riconosciute dall’ Unesco

Sicuramente non era intenzione di Curto scalpellare via il nome dei Savoia da una storia che  appartiene al Piemonte e che nessuno può disconoscere. Curto è  infatti uno studioso che perpetua la tradizione di suo padre,  nobilmente espressa al Museo Egizio, anch’esso voluto dai Savoia, e come tale si è comportato anche questa volta.
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Gianni Oliva e Lino Malara avevano aggiunto il loro autorevole dissenso alla cancellazione che noi, per primi, su questo giornale, avevamo annunciato, forse con  un eccesso di asprezza polemica  di cui chiediamo scusa. Toccare la nostra storia, per noi, resta una cosa molto grave e la sola idea di sminuirla suscita in noi un’ irritazione forse troppo forte, dopo anni di studiati silenzi e di meditati oblii che abbiamo subito, ma non abbiamo mai accettato ne’ tanto meno condiviso.
Sembra incredibile constatare come le diverse organizzazioni monarchiche si siano rivelate, ancora una volta, inadeguate e siano state mute quasi  come dei pesci in decomposizione. Loro si trastullano con il bicentenario di Vittorio Emanuele II, facendosi la guerra a colpi di messe e corone di alloro.
Chi ha sollevato il problema e ha difeso la storia sabauda  non sono state loro, ma questo giornale  che  ancora una volta, si è rivelato una voce libera ed estranea a pregiudizi di parte. Va ringraziato il prof. Curto per averci prontamente risposto e per aver rimesso in discussione se’ stesso. Questo è il modo di comportarsi dei veri studiosi, eredi del dubbio e non delle inossidabili certezze ,come ci insegnò suo tempo  Bobbio.
Pier Franco Quaglieni
Scrivere a quaglieni@gmail.com
(Foto M. Bursuc)