ARTE- Pagina 144

Il MAO incontra la “street art”

“MAO meets URBAN ART”. Dal 28 ottobre al 31 gennaio 2021

“Museofobi” o “Museofili”? Il dilemma è ancora forte. E ciò nonostante  larte urbana” o “street art” (da non confondersi, come sottolineava l’americano John Fekner, fra i pionieri di quest’arte, con il “graffitismo” o “writing”) sia ormai da circa cinquant’anni un fenomeno artistico ampiamente consolidato e altrettanto ampiamente apprezzato.

Giusto o no aprire le porte di un museo agli “street artists”? Questo il dilemma. Porte aperte o no? Fra i “museofobi” (il più agguerrito in Italiaè il famoso Blu, segnalato dal “Guardian” come uno dei dieci migliori “artisti urbani” in circolazione) e i “museofili” – categorie così battezzate da Francesca Iannelli, docente all’Università di Roma Tre – il MAO-Museo d’Arte Orientale di Torino è sicuramente schierato nel gruppone dei secondi. Ne è chiara prova il fatto che, in occasione della mostra “China Goes Urban” attualmente in corso (che intende approfondire e interrogarsi sulle sfide lanciate dalle “new town” cinesi, e non solo, a seguito dei loro frenetici processi di espansione urbana), ha  avuto la bella idea di chiedere a quattro artisti di strada torinesi di proporre dei “murales” ispirati a opere, temi e soggetti presenti nelle collezioni permanenti del Museo di via San Domenico. Promotore e curatore del progetto, “MAO meets URBAN ART”, il fotografo Roberto Cortese dell’Archivio Storico della Città di Torino e quattro gli artisti che hanno risposto all’invito e che si susseguiranno nella sala polifunzionale del Museo per lavorare e “popolare gradualmente le pareti” con segni e colori di artistica contemporaneità,alla presenza del pubblico. Ad aprire la manifestazione, il 28 e il 29 ottobre scorsi, è stato Karim, classe ’84, “street artist” dalla fine degli anni Novanta quando inizia a collaborare con il progetto “Murarte” di Torino e  oggi presidente dell’associazione culturale “Artefatti”; sua la copia perfetta di ampio gesto segnico e vigore cromatico di “Jizo” o meglio “Jizo Bosatsu”, popolare divinità del Buddhismo giapponese, cui si affidava la protezione dei viaggiatori e dei bambini non nati.

Dopo di lui, il 12 e il 13 novembre sarà la volta di Nice and the Fox (al secolo Francesca Nigra, rivolese, classe ’86,specializzata nell’arte del ritratto “utilizzato come espediente comunicativo per esprimere idee, sensazioni e atmosfere”) seguita il 26 e il 27 novembre da ENCS 18, classe ’79, attivo sui muri di numerose città italiane e straniere, con figure umane o di animali, spesso unite a paesaggi di sfondo in un intreccio compositivo di particolare carica emozionale. A chiudere, il 10 e 11 dicembre, WASP, acronimo di “Writing And Sketching Projects”, crew nata nel 2007, attualmente formata da Edoardo Kucich, alias EddyOne, e Gabriele Guareschi, alias Ride, entrambi con esperienze precedenti nella scena graffiti-writing italiana e dal 2015 curiosi sperimentatori di tecniche e stili diversi dal tipico binomio puppet/lettering, alla ricerca di un linguaggionuovo e decisamente più personale. I visitatori potrannogratuitamente osservare gli artisti al lavoro (per  un massimo di dieci persone contemporaneamente e con una permanenza di 15 minuti) e ammirare  la nascita delle opere che, pennellata dopo pennellata, arriveranno a coprire l’intera superficie delle tele. Scrive Roberto Cortese: Negli ultimi decenni il fenomeno dell’arte urbana ha catturato l’attenzione non soltanto degli addetti ai lavori, degli appassionati o dei media, ma anche delle grandi imprese, interessate per lo più a inglobare all’interno del ‘mainstream’ (di conseguenza sterilizzandone il principio), ogni forma di comunicazione a proprio uso e consumo.


L’idea di fondo di questo progetto, che vede quattro artisti puri della strada, è nata proprio per dissociarsi da questo pensiero: un ritorno alle origini, un ritorno all’arte più antica, nello specifico all’antica arte orientale che incontra l’arte urbana
. Una volta concluse, le quattro opere rimarranno esposte al MAO fino a domenica 31 gennaio 2021.

Gianni Milani

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“MAO meets URBAN ART”

Mao-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; www.maotorino.it

Dal 28 ottobre al 31 gennaio 2021

Orari: giov. e ven. 12/19, sab. e dom. 10/19

 

Foto di Francesco Locuratolo

– Karim: “Jizo”
– Gli artisti partecipanti al progetto
– Karim al lavoro

Il diritto dell’arte e il collezionismo ai tempi del Coronavirus

“Art and Law Conversation” è giunta quest’anno alla sua settima edizione, con un appuntamento in via telematica il 5 novembre prossimo sul tema “Il diritto dell’arte e il collezionismo ai tempi del Coronavirus “

L’arte nel più ampio scenario dei diritti che dominano in questo ambito e del collezionismo al tempo del Covid 19. Questo sarà il tema conduttore dell’appuntamento di quest’anno di “Art and  Law Conversation”, giunto con successo alla sua settima edizione.

Come ogni anno, nel mese di novembre l’associazione BusinessJus, la prima in Italia ad aver creato, nel lontano 2009, una specifica Commissione scientifica al Diritto dell’arte, riunisce tale Commissione presso la Casa d’Aste e Galleria d’Arte torinese Sant’Agostino, giovedì 5 novembre prossimo dalle 16 alle 18.

Consapevoli delle recenti norme imposte dal Dpcm e dalla situazione di emergenza Covid, è stato scelto di proseguire la tradizione di questo appuntamento annuale, proponendolo, però, invia telematica. Ogni interessato potrà collegarsi alla diretta You Tube al link seguente: www.santagostinoaste.it/art-and-law-conversation-7.asp .

BusinessJus è affiancata, oltre che dalla Casa d’Aste Sant’Agostino, da ArtLawyers.legal (www.artlawyers.legal ), un network di avvocati specialisti in diritto dell’arte fondato dagli avvocati Simone Morabito e Francesco Fabris, attivi a Torino, Milano e Venezia; da Yes4to (www.yes4to.it ) e NexTo (www.nex.to.it ), due associazioni torinesi che costituiscono un pilastro fondante nell’elaborazione di proposte unitarie per il futuro della città e la formazione della classe dirigente cittadina; da KathARTis, neo associazione di collezionisti e amanti dell’arte contemporanea,  fondata e coordinata dal dottor Antonio Martino (https://www.facebook.com/groups/collezionistidiartecontemporanea ).

La conversazione, coordinata dalla responsabile della Casa d’Aste Sant’Agostino Vanessa Carioggia, sarà articolata in un susseguirsi di interventi che confermano il carattere variegato della tematica affrontata, dal titolo “Il diritto dell’arte e il collezionismo ai tempi del Coronavirus”. L’ideatore, l’avvocato Simone Morabito, presidente di BusinessJus e co-fondatore di ArtLawyers.legal dello Studio legale Tributario Morabito, interverrà sul tema “I profili giuridici della Street Art e i suoi utilizzi ai tempi del Covid 19”. L’avvocato Francesco Fabris parlerà sul tema “Il gesto del collezionista: riflessi antropologici, artistici e giuridici”. Il professor Paolo Turati, economista, esperto di arte e di mercati finanziari, interverrà sul tema “A.C/D.C: il cambiamento epocale del mercato globale dell’arte dall’Ante Coronavirus al Post Coronavirus”. Sul tema dell’approvazione della soglia di valore nelle esportazioni e sulla speranza di rilancio  del mercato ai tempi del Covid 19 parlerà  l’avvocato Virginia Elisa Montani Tesi, dello Studio Legale Montani Law e Studio Legale Tributario Morabito; l’avvocato Angela Saltarelli dello studio legale Chiomenti interverrà  trattando la tematica del collezionismo e mercato dell’arte ai tempi della pandemia, con alcune considerazioni legali, mentre  l’intervento conclusivo sarà affidato al dottor Antonio Martino, che parlerà del cambiamento subito dal collezionismo,  a partire dal momento della comparsa del Coronavirus e di quali strategie potrebbero migliorare il sistema dell’arte contemporanea.

Mara Martellotta

Uomini d’arme e di lettere nelle opere esposte al MAO di Torino

“Samurai, poeti e uomini d’ingegno”    Fino al 21 febbraio 2021

Cambia look la “Galleria Giappone” del MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino. E lo fa, mandando a riposo, per alcuni mesi e per ragioni di tutela e conservazione, i delicatissimi “kakemono” e gli “ukiyo-e” (stampe su carta periodicamente sostituite con altre opere delle collezioni) offrendo così ai visitatori la possibilità di ammirare esposizioni costantemente rinnovate.

Fino al prossimo 21 febbraio, dunque, il Museo di via del Carmine proporrà un’interessante rassegna – “Samurai, poeti e uomini d’ingegno” – dedicata alla figura maschile in Giappone, quale emerge dai dipinti del “periodo Edo”, ovvero di quella fase della storia nipponica (1603 – 1868) in cui la famiglia Tokugawa detenne, attraverso il “bakufu” (letteralmente il “governo della tenda”, titolo ereditario conferito ai dittatori militari) il massimo potere politico e militare nel Paese.

 

Da un lato, ci si potrà quindi confrontare in mostra con l’ideale marziale dei “Bushi” o “Samurai” (nome con il quale si riconoscevano i membri della casta militare del Giappone feudale, il cui declino coincise proprio con il “periodo Edo” per arrivare al definitivo accantonamento durante il “Rinnovamento Meiji” nel XIX secolo, in favore di un esercito regolare di stampo europeo) e dall’altro, con l’ideale dell’ “uomo di lettere” che si ispira più o meno direttamente alle figure di poeti famosi e uomini d’ingegno dell tradizione cinese.

Al primo gruppo appartengono un dittico di Kanō Chikanobu (1660-1728), che raffigura due samurai a cavallo, e un ramo di ciliegio fiorito di Kawamura Bunpō (1779-1821). Le due opere si ispirano all’antico detto “Tra i fiori, il ciliegio. Tra gli uomini il samurai” facente riferimento alla bellezza e alla caducità della vita terrena: così come il ciliegio fiorisce e sfiorisce in brevissimo tempo, la vita del guerriero può rivelarsi intensa ma fugace.

Allo stesso tempo, una metafora della ferocia e della spietatezza del guerriero giapponese trova il suo compimento in uccelli rapaci come il falco o l’aquila di mare, oggetto quest’ultima di un potente dipinto di Yanagisawa Kien (1704-1758).

Sul versante dell’uomo intellettuale si presentano invece un dipinto di letterati abbigliati alla maniera cinese firmato da Kishi Ganku (1749 o 1756-1838) e un dittico raffigurante “Li Bai” e “Su Shi”, considerati in Giappone come i poeti più rappresentativi nella storia della Cina, appartenenti rispettivamente ai “Periodi Tang” (618-907) e “Song” (960-1279).

Contestualmente alla rotazione dei dipinti, nella sala principale al secondo piano, si può ammirare anche un altro ideale di personaggio maschile, risalente addietro nel tempo addirittura al “Periodo Heian” (794-1185), che si materializza nella prima metà della serie “Murasaki Shikibu Genji Karuta” (“Le carte di Genji di Murasaki Shikibu”), parodia ottocentesca del famoso romanzo “Genji Monogatari” risalente all’XI secolo, che narra la storia del “Principe Splendente” Genji: una sorta di Don Giovanni o Casanova giapponese ante litteram.

g. m.

“Samurai, poeti e uomini d’ingegno”
MAO-Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436919 o www.maotorino.it
Fino al 21 febbraio
Orario: giov. e ven. 12/19, sab. e dom. 10/19

 

 

Nelle foto
– Utagawa Kunisada: parte del trittico “Tre personaggi in giardino”, stampa, metà XIX secolo
– Kano Chikanobu: “Samurai a cavallo”, dipinto, fine XVII secolo
– Yanagisawa Kien: “Aquila di mare su scoglio con onde”, dipinto, metà XVIII secolo
– Kawamura Bunpo: “Albero di ciliegio fiorito”, dipinto, inizio XIX secolo

Paratissima Kids, Laboratori e percorsi under 12 per esplorare l’arte e la creatività

ARTiglieria Con/temporary Art Center / Da sabato 31 ottobre (ore 10-18.30) partono in ARTiglieria le attività di Paratissima Kids per bambini e ragazzi dai 3 ai 12 anni. Due le formule in programma con contenuti differenti ogni weekend di apertura: laboratorio didattico e percorso di scoperta degli spazi dell’ARTiglieria oppure, in alternativa, percorso esclusivo di visita degli spazi nascosti dell’ARTiglieria. I percorsi laboratoriali sono specifici per ogni fascia di età e sono svolti da tutor ed educatori professionisti e certificati in uno spazio dedicato e protetto, dove i bambini e i ragazzi possono sperimentare e imparare in sicurezza.  

Per partecipare ai laboratori è necessario l’acquisto da parte degli adulti del biglietto di ingresso singolo o dell’abbonamento online sul sito Vivaticket. Una volta effettuato l’ingresso, sarà possibile prenotare il laboratorio direttamente presso l’Art Lab, nel cortile dell’ARTiglieria.

IL PROGRAMMA

Sabato 31 ottobre

_Laboratorio di manualità creativa

“La stanza delle meraviglie” di Maria Mancusi

Le meraviglie di una wunderkammer: sperimentare, creare e manipolare materiali artistici e di riciclo e modificarli per dare nuova vita a oggetti, inventare nuove funzioni e creare piccole opere d’arte

Età: 3-6 anni – Orari: 10.30/12/15/16.30 – Prezzo: 15 euro

_Laboratorio di collage

“Forme in evoluzione” di Federica Zancato

L’arte è sempre in evoluzione: le forme disegnate possono trasformarsi e colorarsi, la carta si piega, si taglia e si incolla ogni volta in maniera diversa. Da questo punto di vista, il periodo che stiamo vivendo può assumere un altro significato, positivo e creativo, per creare forme e relazioni nuove e inaspettate.

Età: 6-12 anni – Orari: 11/15.30/17 – Prezzo: 15 euro

_Alla scoperta dei magici spazi dell’ARTiglieria

Un percorso di visita esclusivo negli spazi segreti dell’ARTiglieria, la nuova casa di Paratissima tra storie, sorprese e racconti

Età: 6-12 anni – Orari: 11.30 e 16 – Prezzo: 8 euro

Domenica 1 novembre

_Laboratorio di esplorazione tattile

“Terra resiliente” di Chun Xa Hu

Dove la libertà di movimento viene limitata, viene dato spazio a creatività e manualità. Attraverso le tecniche di modellato in argilla viene rimodellata la nostra terra resiliente.

Età: 3-6 anni – Orari: 10.30/12/15/16.30 – Prezzo: 15 euro

_Laboratorio di illustrazione

“Oltre” di Luisa Piglione

L’illustrazione è l’arte di saper raccontare, tramite le immagini, storie e significati. Non importa la tecnica, il succo è il racconto. I ragazzi saranno guidati nell’esplorazione delle loro esperienze, e in particolare di quelle più difficili, dolorose, le piccole grandi cadute, per poi rappresentare la possibilità di andare oltre, di volare alto, di sperare, di reinventarsi, di rinascere, di ricominciare a camminare.

Età: 6-12 anni – Orari: 11/15.30/17 – Prezzo: 15 euro

_Alla scoperta dei magici spazi dell’ARTiglieria

Un percorso di visita esclusivo negli spazi segreti dell’ARTiglieria, la nuova casa di Paratissima tra storie, sorprese e racconti

Età: 6-12 anni – Orari: 11.30 e 16 – Prezzo: 8 euro

Paratissima è organizzata da PRS. La direzione artistica è di Francesca Canfora. È realizzata con il supporto di CDP Investimenti SGR, società del Gruppo Cassa depositi e prestiti, il contributo di Fondazione Compagnia di San Paolo e il patrocinio della Città di Torino. Partner di Paratissima Kids: Casa Giglio, Carioca, Quercetti.

Info

ARTiglieria Contemporary Art Center

Via Verdi 5, Torino

http://paratissima.it

011 0162002 o 345 3183971

educational@paratissima.it

Per semplificare la gestione dell’emergenza sanitaria in corso e garantire a tutti una visita in sicurezza, sono state predisposte alcune misure per l’accesso e la permanenza alla mostra. I biglietti andranno preventivamente acquistati online selezionando giorno e fascia oraria d’ingresso. Il numero degli accessi è definito e limitato così da eliminare i tempi di attesa e garantire una fruizione degli spazi nel rispetto dell’attuale normativa anti-Covid.

A disposizione del pubblico biglietti singoli (9 euro), ridotti (7 euro) e abbonamenti validi per tutta la durata di Paratissima Art Station (25 euro intero, 20 euro ridotto). Free minori di 14 anni. Il biglietto ridotto è riservato ai ragazzi dai 14 ai 18 anni e ai possessori di tessera Abbonamento Musei in corso di validità e Tessera Universitaria in corso di validità.

“Andy Warhol é… Superpop”

Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, il “viaggio estroso e colorato” nella vita del mito indiscusso della Pop Art. Fino al 31 gennaio 2021

Altroché un quarto d’ora di celebrità! “Nel futuro- diceva lui – ognuno sarà famoso per quindici minuti”. Profezie o pillole di profezia. Non semplice boutade. Ma icone di pensiero buttate lì da un’autentica icona vivente.

A pronunciarle Andy Warhol, padre universalmente riconosciuto della Pop Art, che di fama ne ha invece macinata in quantità indescrivibile nei suoi cinquantotto anni di vita, continuando tutt’oggi, a poco più di trent’anni dalla scomparsa, ad esserne compagno fedele, al di là dei tempi, delle mode e in barba ai flussi implacabili dell’oblio. Secondo artista, pare, più comprato e venduto e quotato al mondo dopo Pablo Picasso, a Andy Warhol (Pittsburgh 1928 – New York, 1987, ultimogenito dei tre figli di modesti immigrati originari di Mikovà, paese dell’odierna Slovacchia), la “Palazzina di Caccia” di Stupinigi dedica, fino al 31 gennaio del 2021, la mostra evento “Andy Warhol é…Superpop”, promossa da “Next Exhibition” e “Ono Arte”, con il patrocinio della “Città Metropolitana Torino”.

 

Per la prima volta nel capoluogo piemontese, si tratta di un’esposizione unica, volta non solo a raccogliere un congruo numero delle più importanti e note opere di Warhol, ma anche a tracciare uno sguardo intimo e curioso di uno degli artisti simbolo del secolo scorso. Oltre settanta le opere ufficiali raccolte per l’occasione fra fotografie, serigrafie, litografie, stampe, acetati e ricostruzioni fedeli degli ambienti e dei prodotti che Warhol amava e da cui traeva ispirazione. Il percorso espositivo si apre con l’atmosfera degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui si raccontano le sue prime importanti esperienza come grafico pubblicitario (lavorando per riviste come “Vogue” e “Glamour”) per poi passare alle opere seriali, dai colori alterati vivaci e forti, icone senza tempo, da “Marylin”, a “The Self Portrait”, a “Mao Zedong” fino a “Cow” e alla celeberrima “Campbell’s Soup”. Ripetizione e serialità. Provocazione. L’idea di un’arte da “consumarsi” come un qualsiasi altro prodotto commerciale. In bella vista nelle sale di un Museo o sugli allettanti scaffali di un qualsiasi centro commerciale.

Del resto, affermava “non è forse la stessa vita una serie di immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?”. Di grande interesse e suggestione, accanto agli acetati e alle lastre serigrafiche da cui prendevano corpo le sue stampe, sono anche le foto in bianco e nero del fotografo Fred W. McDarrah (Ney York 1926 – 2007) che con i suoi scatti documentò la nascita dell’Espressionismo Astratto e della Beat Generation e che, per oltre trent’anni, immortalò Warhol, non solo attraverso le sue opere ma anche sotto l’aspetto più intimo e umano, all’apice della carriera circondato dalle scatole del detersivo “Brillo”, durante l’inaugurazione di una sua personale, o mentre gira una delle sue pellicole sperimentali (il cinema e la musica, altre sue grandi passioni) o ancora, anni dopo, intento a una delle sue attività preferite: una telefonata. In mostra troviamo anche una replica delle “Silver Clouds”, un’installazione composta da palloncini che fluttuano a mezz’aria circondando il visitatore, creata per la prima volta nel 1966 alla “Leo Castelli Gallery”, dove McDarrah documentò il processo di allestimento.

E come poteva mancare l’Andy comunicatore e istrionico? Primo attore in occasione di vernissage (“Andrei all’inaugurazione di qualsiasi cosa, anche di una toilette”) o intento a far bisboccia in chiassosa compagnia nei locali di maggior tendenza degli States o accogliente padrone di casa nella sua “Silver Factory”, l’ampio locale al quarto piano di un’ex fabbrica di cappelli sulla 47^ strada, l’“open house”, la “fabbrica” dove l’artista produceva la gran parte del suo lavoro, ma anche quartier generale, luogo di ritrovo per un mondo di “originali” che lì si riunivano per rincorrere i principi della Pop Art come stile di vita. Senza pregiudizi, fra attori, drag queen, musicisti e innumerevoli personaggi dello “Star System”, alla sua corte Warhol accolse e lanciò verso i lidi del successo un nutrito gruppo di Superstar, dai “Velvet Underground” a Edie Sedgwick e a Candy Darling. Il tutto in un’atmosfera sospesa fra sogno e realtà, chiasso, musica e colori, intorno a quello storico “divano rosso”, ricreato nella copia esatta esposta alla Palazzina di Stupinigi, su cui posero le nobili terga artisti come Lou Reed, Bob Dylan, Truman Capote e Mick Jagger. A chiudere il percorso gli scatti del fotografo americano (di origini croate) Anton Perich ai visitatori della “Factory” e le testimonianze di Keith Haring e Jean-Michel Basquiat (il “James Dean dell’arte moderna”), fra i più importanti esponenti del graffitismo americano ed eredi per eccellenza dell’arte del grande Maestro.

Gianni Milani

“Andy Warhol é…Superpop”
Palazzina di Caccia, piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi (Torino); tel. 375/5475033 o www.warholsuperpop.it
Fino al 31 gennaio 2021
Orari: mart. – ven. 10/17,30, sab. – dom. 10/18,30

Nelle foto

– “Marylin”, 1962
– “Mao”, 1972
“Cow”, 1966
– “Warhol and Brillo Boxes at Stabel Gallery”, 1964, Photo Credit: Fred W. McDarrah/ MUUS Collection
-“Warhol Lines up a shot”, 1964, Photo Credit: Fred W. McDarrah/ MUUS Collection
– Warhol inflates his ‘Silver Clouds’ installation at the Leo Castelli Gallery”, 1966; Photo Credit: Fred McDarrah/MUUS Collection

Mani torinesi per disegnare una gigantesca “Divina Commedia”

Enrico Mazzone è nato e cresciuto a Torino, leva 1982. Ha frequentato il liceo Scientifico e l’Accademia Albertina sotto la cattedra di Scenografia Teatrale. Lo intervistiamo per conoscere i dettagli del protetto che sta realizzando: una tela gigante, da lui disegnata, di 97 metri per 4, dedicata alla Divina Commedia.

“Nel 2014 Viaggio in Islanda, – ci racconta – dove trovo lavoro per 10 mesi come aiuto cuoco in una tavola calda, ma alla richiesta di presenza in una residenza d’artista a Rauma , grazie ad Hannele Kolsio, ho la possibilità’ di insegnare arte e disegno in un liceo per tre mesi. Un altra residenza mi viene concessa ad Upernavik, un’isoletta della Groenlandia Settentrionale. Aiutato e supportato dalla fondazione Magneti e dal Privato Livio Lolli , riesco a viaggiare e fermarmi per due mesi, in cui studio nella notte artica le costellazioni, che , in un preludio catartico mi portano ad immaginare i paesaggi incredibili”.
Poi la scoperta del grande rotolo di carta…
“Di ritorno a Rauma ( Finlandia ), dopo un estate da decoratore, per guadagnare la sopravvivenza di un affitto, scopro la cartiera UPM, e in una visita richiesta, mi viene regalato un rotolo di carta da 97 metri di lunghezza x 4 di altezza. Un errore di grammatura, anni prima portò’ la bobina a non essere utilizzabile, e la mia richiesta di averlo per creare arte, mi diede fortuna”.
L’idea di disegnarci sopra immagini dedicate all’opera di Dante le venne subito?
“Sì, iniziai  a comporre dal 13simo canto gli scenari della Divina commedia, in cui gli alberi presero la parola per raccontare la loro storia, su quella che rimane a tutti gli effetti la loro anima, ovvero la carta medesima…
Quanto le manca per concludere l’opera?
“Oggigiorno mi ritrovo a Ravenna, ospite felice di Leonardo Spadoni e Beatrice Bassi, i quali, contattati da Vittorio Sgarbi, mi danno la possibilità’ in tempi non facili di concludere gli ultimi 16 metri”.
Ha suscitato anche l’interesse di un regista…
“E’ vero, il regista Simon Bergman, finlandese vorrebbe scendere a dicembre 2020 Da Helsinki per filmare gli ultimi metri di lavoro per le  tv nazionali finlandesi (Yle1, Yle2, Yle 3) come reportage.
Enrico ci illustra qualche dato tecnico del  disegno: “E’ figurativo e riprende una tecnica puntinata che ricorda antiche litografie e incisioni tardo rinascimentali. Puntinato e graffiato a matita. sono agli ultimi canti del Paradiso, e conto di terminarlo a gennaio 2021 per una prossima esposizione calcando il settecentenario della morte di Dante”.
E dove sarà esposto?
“A causa degli attuali dpcm, il luogo deve essere ancora deciso e stabilito”.
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Nelle foto:

1 Con l’amica Liliana, in visita da Alba

2 Particolare del disegno (cielo di Venere) 

3 con l’intervistatrice Maria Regina De Dominicis al Mercato Coperto

Alla GAM nuovo allestimento per le collezioni del Novecento

Da De Chirico a Andy Warhol, fino alla “Gibigianna” di Gallizio e al pop-concettuale di Paolini

Diciannove spazi concepiti secondo un nuovo iter espositivo “che intende restituire la centralità all’opera d’arte”. E un look decisamente rinnovato, con ambienti ridisegnati e ridefiniti “per permettere il confronto e consentire il paragone necessario tra opera e opera”: dal 26 settembre scorso alla GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino va in scena il nuovo allestimento del Novecento storico – fra nuove acquisizioni e opere che riemergono dal caveau, le preziose “stanze del tesoro” come le chiamava il grande fotografo Mauro Fiorese – curato dallo stesso direttore del Museo di via Magenta, Riccardo Passoni.

Un allestimento che vuole, ancor meglio di prima, rimarcare il “primato dell’opera”, privilegiando “un taglio storico-artistico, ma anche dando il giusto rilievo alla storia delle collezioni civiche nel panorama artistico torinese, nazionale e internazionale”. Una composita e corposa, ma già sfiorata dalle metafisiche suggestioni dell’enigma, “Natura morta con salame” opera di Giorgio De Chirico, datata 1919, apre il percorso espostivo in una prima sala che accanto al maestro di Volo, vede riunite opere di Giorgio Morandi (le sue tarde ed essenziali “Nature Morte”) e di Filippo De Pisis; tre figure fra quelle che maggiormente hanno influito sull’arte italiana e internazionale del Novecento. Godibilissima e fascinosa premessa a quanto, sala dopo sala, ci scorre dinanzi attraverso capolavori che vanno dalle “Avanguardie storiche” – con le opere di Umberto Boccioni, Gino Severini, Giacomo Balla, Enrico Prampolini, Otto Dix, Max Ernst, Paul Klee e Francis Picabia – fino alla Torino dell’arte fra le due guerre mondiali (con le opere dei “Sei”) e alla riscoperta di Amedeo Modigliani (“La ragazza rossa” arrivata al Museo in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia) e alla sua forte influenza, anche attraverso gli studi di Lionello Venturi, proprio sugli artisti subalpini dell’epoca.

Seguono, in un’avventura di passi e funambolici salti della memoria e della mente, le sezioni dedicate all’“Arte astratta italiana” in cui troviamo le tracce indelebili lasciate da grandi maestri, quali Fausto Melotti, Osvaldo Licini e la “Scultura astratta” del ’34 di Lucio Fontana, accanto alle sorprendenti acquisizioni di arte internazionale nel periodo post bellico che portano le firme di Marc Chagall (con il piccolo, magico “Dans mon pays” del ’43), la drammatica grafia di Hans Hartung, fino alle magie creative di Pierre Soulages, Tal Coat, Pablo Picasso e la sinteticità plastica di Jean Arp o quella più aggressiva di Eduardo Chillida. Dall’astratto all’“Informale” degli anni Cinquanta: di sala in sala si ha l’impressione netta che l’Arte del Novecento non potesse che compiere queste strane e meravigliose giravolte. Con passaggi di testimone fortemente legati fra loro. Quasi inevitabili. Eredi scontati gli uni degli altri. Dall’“Informale di segno” di Carla Accardi, Giuseppe Capogrossi e Antonio Sanfilippo si scivola dunque, senza troppi sussulti, alle libere visioni paesistiche di Renato Birolli, Ennio Morlotti e Vasco Bendini fino al linguaggio più vigoroso di Emilio Vedova e all’originale coinvolgimento dei torinesi Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino e Paola Levi Montalcini.

Di qui il passo breve al “facile linguaggio” del “New Dada” e della “Pop Art” italiana e straniera – con le ingegnose creazioni di Piero Manzoni, Louise Nevelson, Yves Klein e Andy Warhol, assicurato in rassegna per 80milioni – fino all’esperienza dell“Arte Povera”, teorizzata nel ’67 da Germano Celant e solo nel ’70 approdata nelle sale di un Museo. Guarda caso, proprio alla nostra GAM. Dove troviamo la totale anarchia estetica e l’uso libero di materiali, i più eterodossi, di Pier Paolo Calzolari, Mario Merz, Giuseppe Penone via via fino a Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio. Sale personali sono infine e doverosamente dedicate, per il ruolo da loro svolto nell’indicare strade nuove e magistrali nell’evoluzione del percorso artistico nazionale e internazionale, a Felice Casorati, ad Arturo Martini, ad Alberto Burri e a Lucio Fontana. Autentiche chicche, poste in lodevole evidenza dal nuovo allestimento espositivo, il ciclo narrativo “favolistico” della “Gibigianna” dell’albese Pinot Gallizio e l’apparente fragilità del “Requiem” di Giulio Paolini, artista che ha saputo saggiamente indicarci “l’esigenza di mantenere sempre un rapporto necessitante con la storia dell’arte, i suoi segni e richiami, e il loro valore per una vivificazione concettuale della forma”.

Gianni Milani

 

“Il primato dell’opera”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Orari: giov. e ven. 12/19, sab. e dom. 10/19

 

Nelle foto

– Allestimento Sala “dada” e “pop”, con opere di Yves Klein, Andy Warhol e Pino Pascali (Photo Robino)
– Giorgio De Chirico: “Natura morta con salame”, olio su tela, 1919
– Marc Chagall: “Dans mon pays”, guazzo e tempera su carta, 1943
– Pinot Gallizio: “La Gibigianna”, olio su tela, 1960
– Giulio Paolini: “Requiem”, materiali vari, 2003/2004

L’ossessione del “doppio” nella video art di Alighiero Boetti o Alighiero e Boetti

In mostra alla GAM di Torino. Fino al 21 febbraio 2021

Decisivo l’incontro e l’imput, arrivatogli dall’estroso gallerista tedesco Gerry Schum, di produrre un video. S’era alla fine degli anni ’60 e l’artista (che aveva cominciato ad esporre nel ’67 alla galleria “Christian Stein” di Torino) aveva già realizzato nel ’68 il lavoro fotografico “Gemelli”, un doppio autoritratto in fotomontaggio – la propria immagine riprodotta in due figure simili ma non identiche che si tengono per mano – dove la “dimensione esistenziale” andava a intrecciarsi con quella artistica “attraverso una scissione del sé”.

L’anno seguente Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), fra i grandi nomi dell’Arte Povera e in seguito di quella Concettuale, si era concentrato sulla “reiterazione del gesto”, fra ossessione e meditazione Zen, sulle orme di quella curiosità per l’esotismo in generale, ereditata dall’avo Giovan Battista Boetti (1743 – 94), missionario demenicano di Mossul, convertitosi all’esoterismo persiano e al sufismo. Ne era nata l’opera “Cimento dell’armonia e dell’invenzione”, paziente ricalco a matita di numerosi fogli di carta quadrettata, una sorta di rituale eseguito registrando i suoni prodotti. Esperienze basilari e di svolta per l’eclettica produzione artistica di Boetti, esaltate dall’invito di Schum, che l’artista accettò trovando ancor più nella produzione video la strada idonea per accentuare quel “tema del doppio”, la ricerca dell’identità e della scissione di sé, che diventerà tema centrale del suo essere artista, del suo essere a un tempo operatore e oggetto del fare arte. Situazione che s’appalesa nitidamente nei video realizzati da Boetti e in visione, fino al 21 febbraio del prossimo anno, alla GAM di Torino, come terzo appuntamento del ciclo espositivo, a cura di Elena Volpato, nato dalla collaborazione fra l’“Archivio Storico della Biennale di Venezia” e la “VideotecaGAM”. “Ogni oggetto del mondo – affermava Boetti – ha almeno due vite”, cui riferirsi e confrontarsi sul piano artistico. Ma anche esistenziale e filosofico. Concetto tanto forte da indurlo a sdoppiare il proprio nome in “Alighiero e Boetti”, mettendo in crisi l’identità dell’artista stesso. “Alighiero – spiegava ancora l’artista – è la parte più infantile, più estrema, che domina le cose famigliari. Boetti, per il solo fatto di essere un cognome, è già un’astrazione, è già un concetto”. Doppia identità, intreccio di vite inscindibili l’una dall’altra. Messaggio chiave del primo video presentato in mostra, “Senza titolo” del 1970, parte della raccolta “Identifications” di Gerry Schum. Boetti volge le spalle alla telecamera e il suo corpo è trasformato in un “segno nero verticale” sul muro bianco posto al centro dell’inquadratura. Le sue mani iniziano a scrivere contemporaneamente, verso destra e verso sinistra, la sequenza dei giorni della settimana, a partire dal giovedì fin dove la lunghezza delle braccia aperte gli consente di arrivare. “In un’unica azione Boetti intreccia il tempo e il doppio, i due aspetti fondamentali del linguaggio video e al contempo del suo lavoro”. Negli stessi mesi aveva realizzato un’immagine fotografica di sé scattata dall’alto, “Due mani e una matita”, in cui stringe una matita posata sul bianco del foglio, “come apice di un triangolo da cui lasciar scaturire il mondo”. E immagine che, in doppia riproduzione, avrebbe caratterizzato molte sue opere successive; posta, in forma rovesciata, in alto e in basso “come a chiudere e ad aprire lo spazio immaginativo del foglio o della tela”. L’ossessione del “doppio”. Che Boetti vuole trasmettere anche in uno dei suoi più noti ritratti fotografici: “Strumento musicale” del 1970, scattato da Paolo Mussat Sartor e presente in mostra. L’artista vi appare con le mani posate sui due manici simmetrici di un curioso banjo ambidestro che con la sua cassa circolare e il doppio ponticello circoscrive al centro della visione un ideale ombelico sonoro da cui si immagina possano scaturire due diverse musiche speculari, “due flussi di suoni che si dipartono dall’abisso del tempo”. In chiusura, la rassegna presenta il video “Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo”, realizzato da Boetti nel 1974 e parte delle raccolte dall’“Archivio Storico della Biennale” di Venezia. L’opera offre, a quattro anni di distanza, una riflessione speculare del primo video, mutandone esclusivamente la frase scritta dall’artista. Che affermava: “È incontrovertibile che una cellula si divida in due, poi in quattro e così via; che noi abbiamo due gambe, due braccia e due occhi e così via; che lo specchio raddoppi le immagini; che l’uomo abbia fondato tutta la sua esistenza su una serie di modelli binari, compresi i computer; che il linguaggio proceda per coppie di termini contrapposti. […] È evidente che questo concetto della coppia è uno degli elementi archetipi fondamentali della nostra cultura”.

Gianni Milani

“Alighiero Boetti”
VideotecaGAM, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 21 febbraio 2021
Orari: giov. e ven. 12/19, sab. e dom. 10/19

Foto principale: “Alighiero Boetti, Strumento musicale”, foto di Paolo Mussat Sartor, 1970

 

Gli universi “iporealistici” di Daniele Galliano

“Una pazza felicità”. La  strana umanità “a pezzi” dell’artista  in mostra alla galleria “metroquadro” di Torino. Fino al 14 novembre

Ha talento e originalità creativa da vendere, Daniele Galliano. E che bello il titolo dato alla sua mostra ospitata a Torino da Marco Sassone, nella galleria “metroquadro di corso San Maurizio, fino al prossimo 14 novembre. “Una pazza felicità”: bene prezioso (la felicità, pur se “pazza”), di cui tutti abbiamo un gran bosogno. Sempre. E oggi più che mai. Dati i tempi di ansiogena emergenza sanitaria. E dunque titolo cui l’artista vuole anche affidare un certo potere acquietante o addirittura esorcizzante rispetto alla brutta aria che tira? L’interpretazione può anche starci, ma quel ch’é certo è che quel titolo nasce in tempi non sospetti e servì a Galliano un anno fa per definire la sua ultima serie pittorica (“Una pazza felicità”, per l’appunto), prodotta insieme ad un’altra dal titolo “Let’s Go” ed entrambe esposte nel 2019 in anteprima nelle Fiere di “ArtMiami”e “Artefiera Bologna”. La tappa successiva avrebbe dovuto  essere alla “metroquadro” di Torino.

Tappa annullata, causa lockdown. E oggi fortunatamente recuperata. Pinerolese di nascita, classe 61, Daniele Galliano vive oggi a Torino con studio nella Barriera di Milano. Autodidatta, s’è fatto totalmente da solo (di qui il grande talento di cui si diceva prima), con impegno e fatica e grinta, studiando i grandi maestri e la storia dell’arte moderna e contemporanea. Oggi suoi dipinti fanno parte di alcune fra le principali collezioni pubbliche e private, come la GAM di Torino, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e la Unicredit Art Collection di Milano. Numerose anche le sue collaborazioni con musicisti, regisi e scrittori. In queste ultime opere presentate in mostra si sbizzarrisce alla grande con una componente che da sempre lo affascina e lo attrae: la folla, l’assembramento (oggi bruttissime parole!), i riti collettivi di un’umanità sfuggente, che si muove e fluttua nel blu del mare o procede, cerca strada, s’arrampica negli spazi terapeutici di cascate fumanti, ispirategli – pare– dalle Terme di Saturnia. In “Let’s Go” i bagnanti si muovono perfino goffi in spazi immobili di mare blu, senza un minimo accenno d’onda o di vitalità marina. Tutto è statico. Cristallizzato nel tempo. I corpi fuoriescono dall’acqua “a pezzi”.”Una metafora della vita spiega Galliano – dove tutti galleggiamo in una dimensione che non padroneggiamo e ne usciamo inevitabilmente fatti a pezzi”. E’ un’umanità che spesso si ignora o va per conto suo verso confini (o ipotesi di confini) misteriosi, in una pittura spesso definita “fotografica”, che può allocarsi, senza mai escludere autonome originalità creative, nell’ambito dei cosiddetti “nuovi realismi” degli anni ’90, con storiche citazioni al ritrattismo degli “outsider” britannici degli anni ’60 e ’70, da Lucian Freud a Francis Bacon, così come – sia pure in maniera assai più moderata – al tratto pesantemente sarcastico e violentodi Otto Dix. Molto lontano il segno iperrealistico, per Galliano si può invece parlare – come scriveva il grande teorico dell’arte, Mario Perniola  – di “iporealismo”per quel suo tratto distintivo che è il “blurring” (lo sfocato), tecnica che all’alta definizione oppone la bassa definizione. L’immagine fuori fuoco. La sua “è una visione che oscilla fra la miopia e il sogno, che sacrifica i dettagli a favore di una visibilità ridotta, senza profondità di campo”. Al centro dei suoi mondi, sempre la folla, amore che parte dal ’94 con la mostra “Narcotica, frenetica, smaniosa, eccitante”, viaggio nella notte torinese che verrà rievocata anni dopo nel libro “La guerra dei Murazzi” di Enrico Remmert.

Una passione, uno stato d’animo, motivo di ispirazione che lo porterà anche a interessanti sperimentazioni tecniche con esiti di imponente valenza astratta (in mostra il grande – di dimensioni, ma anche per cifra stilistica- “Do you remember” del 2019) e, in anni precedenti, nel 2016, allaproduzione della serie “Anything”, dove figure, oggetti, auto, icone e quant’altro si schiacciano l’una all’altra per recuperare millimetri di spazio. Il tutto in una narrazione “abbandonata al caos stesso da cui è stata generata e che diventa esso stesso protagonista dell’opera”. In mostra anche alcuni oli su tavola del 2019, ispirati a temi vagamente erotici su cui, negli anni passati, Galliano aveva parecchio lavorato e anche in modo assolutamente disinibito.

Qui abbiamo un normalissimo nudo femminile esposto ai benefici effetti del sole e un paio di gambe, che spuntano da una (peccaminosa?) lingerie nera, sopra un paio di scarpe rosse con tacchi a spillo.Ancora “pezzi” di corpo. Immagini piacevoli. Gradevoli. Conenute nei limiti del “comune senso del pudore”. Espressione, immagino, sempre rifuggita e rifiutata dal “libero” Galliano.

Gianni Milani

“Una pazza felicità”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com

Fino al 14 novembre

Orari: marc. – sab. 16/19, lun. e mart. su appuntamento

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Nelle foto

– “Una pazza felicità”, 2019
– “Una pazza felicità”, 2019
– “Let’s Go”, 2019
– “Anything”, 2016
– “Senza titolo”, 2019

Paratissima. E Torino ricomincia dall’arte (con un pizzico di vanità)

“Paratissima Art Station” /Sotto il segno del rinnovamento, è pronta a ripartire la nuova e prolungata edizione di “Paratissima” all’ex “Accademia Artiglieria” di Torino. Dal 23 ottobre all’8 dicembre

Caratteristica riconosciutale da sempre è “quella di non riuscire a stare ferma e di essere in continua cescita”. Così anche per il suo sedicesimo compleanno  ha deciso con un pizzico di coraggiosa vanità, di rinnovarsi e sfoderare nuove e più funzionali proposte.

L’edizione 2020 di “Paratissima” (nata nel 2005 come evento autogestito, cresciuta poi come progetto espositivo diffuso nel quartiere di San Salvario e diventata infine, a tutti gli effetti, sotto l’organizzazione di PRS e la direzione artistica di Francesca Canfora, una “Art Fair indipendente”) diventa oggi “Paratissima Art Station”. Una vera e propria “stazione d’arte”. Dove i “treni” arrivano, sfrecciano e partono carichi zeppi all’inverosimile di nuove scoperte e proposte d’arte. Simbolo di creatività a valanga, pur mantenendo inalterata la sua identità e la sua “mission” di sostegno all’arte emergente e pur confermando la sede espositiva all’ex “Accademia Artiglieria” (diventata “ARTiglieria Con/temporary Art Center”) in piazzetta Accademia Militare 3 a Torino, la sedicenne “Paratissima” allungherà, tanto per cominciare, i suoi tempi passando dai tradizionali cinque giorni, concentrati nella settimana dell’ “Art Week” subalpina, a ben due mesi circa. Dal 23 ottobre all’8 dicembre, offrendo di volta in volta contenuti nuovi e diversi. Quattro gli appuntamenti, le “fermate” di stazione, in programma e quattro i progetti espositivi collaterali. Prima “fermata”, dal 23 ottobre al primo novembre: “NICE & FAIR – Contemporary visions”, cinque mostre collettive in cui si affronta il tema della “contemporaneità” e che coinvolgono più di 80 artisti, a cura degli 11 allievi del corso per curatori “N.I.C.E. – New Indipendent Curatorial Experience”. Dal 6 all’8 novembre, seconda “fermata” con “G@P -Galleries at Paratissima”, dedicata alle 14 gallerie d’arte (10 l’anno scorso) selezionate; dal 13 al 22 novembre si procede con “Rebirthing – Art to restart” – mostra che si interroga sul futuro, curata da Paolo Lolicata e Giulia Giglio – e al capolinea, dal 27 novembre all’8 dicembre “Ph.ocus– About photography”, evento a cura di Laura Tota, dedicato alla fotografia contemporanea per raccontare il lockdown e la forza della comunicazione visiva della fotografia autoriale. Di notevole interesse anche le quattro rassegne espositive collaterali. La prima, dal 23 ottobre al 22 novembre, ha per titolo “L’immortalità” ed è un progetto di “pittura installata” del biellese di nascita e bolognese di adozione Lorenzo Puglisi; curata da Luca Beatrice, la mostra presenta quattro grandi quadri, dominati dalle cromie del nero da cui emergono frammenti di corpi e figure umane, dal titolo “Natività” e “Annunciazione”, pensati ad hoc per il suggestivo galoppatoio dell’“ARTiglieria”. In un ideale corto circuito fra attualità e storia, modernità e classicismo, Puglisi ospita anche all’interno della sua mostra la scultura “L’immortalità” dello scultore milanese Achille Alberti (1923), un bronzo di oltre due metri di altezza, già monumento ai Caduti di Lanzo d’Intelvi, oggi riproposta come ricordo alle vittime della pandemia. Dal 23 ottobre all’8 dicembre, saranno poi di scena le “Storie microcosmiche” della messinese Eleonora Gugliotta, che crea delle vere e proprie “sculture tessili” all’interno di architetture abbandonate e che qui diventano installazioni site specific ed estemporanee nell’abbraccio suggestivo agli spazi reinventati di quella che fu un tempo scuola per giovani gentiluomini alla vita di corte dal 1673 al 1798. A chiudere l’iter espositivo, sempre dal 23 ottobre all’8 dicembre, “Think Big” (progetto espositivo dedicato a grandi opere d’arte, non solo per forma ma anche per i contenuti espressi) e “Blooming Playground”, il campo da basket nella corte interna dell’ex Accademia, interpretato come un rigoglioso giardino fiorito dallo “street artist” cagliaritano (considerato fra i 100 migliori artisti emergenti a livello mondiale) Tellas. Il progetto, curato da Francesca Canfora, mette insieme e intreccia con ideale concretezza arte contemporanea e spazi urbani, dando vita ad un lodevole esempio di convivenza creativa e virtuosa fra sport e cultura. Per diventare luogo vissuto e frequentato tutto l’anno, nella convinzione di un fare artistico “che non deve essere fine a se stesso – spiega Lorenzo Germak, Ceo PRS – ma al servizio della comunità”.

Gianni Milani

 

Nel dettaglio

Nice & Fair – Contemporary Visions è la prima “fermata” dell’edizione 2020 di Paratissima
dedicata alle arti visive.

In mostra, dal 23 ottobre al 1° novembre nei suggestivi spazi
dell’ARTiglieria, le 5 mostre collettive, che coinvolgono più di 80 artisti, curate dagli 11
allievi del corso per curatori N.I.C.E. – New Independent Curatorial Experience; gli 8 progetti
individuali curati di 30 artisti indipendenti per I.C.S. – Independent Curated Spaces; i 4
progetti espositivi collaterali: L’Immortalità, la personale di Lorenzo Puglisi, una delle voci più
interessanti ed originali della pittura italiana, a cura di Luca Beatrice; Scorie Microcosmiche di
Eleonora Gugliotta, che ridisegna con i suoi fili scultorei gli spazi abbandonati dell’ARTiglieria;
Think Big! The Oversize Artwork Project con 6 progetti installativi “fuori misura” site specific;
Astrazione 1X5, un confronto tra 5 autori legati alla dinamica di forme astratte, proposto
dall’associazione Juliet.

Think BIG!
Con sei progetti installativi fuori misura site specific, le “grandi”
opere d’arte approdano a Paratissima Art Station

Think BIG! è il progetto espositivo dedicato a grandi opere d’arte, non solo per forma ma anche
per contenuti e messaggi. Pensare in grande è necessario per evocare visioni inaspettate,
suggerire nuove prospettive ed esplorare strade sconosciute. Think BIG! è anche un omaggio
all’ex Accademia di Artiglieria, il luogo che ospita Paratissima: nata nel 1679 come “Reale
Accademia” di formazione per nobili e gentiluomini e trasformata in seguito in accademia
militare e sede dell’esercito, ha ospitato a metà degli anni ’90 una parte della Biennale dei
Giovani Artisti del Mediterraneo negli spazi del galoppatoio e delle ex scuderie. Ancora oggi
BIG, acronimo dell’evento, è ricordata come un esempio memorabile tra le manifestazioni
internazionali dedicate agli artisti emergenti.
Tra i grandi progetti installativi in mostra, la “Vicina Grotta dei Ricordi” di Giulio Locatelli induce
lo spettatore a sentirsi un viaggiatore volto a intraprendere un viaggio verso uno spazio, verso
una dimensione intima, interiore, insita in ciascun individuo, in cui ognuno può ritrovare ciò che
è ed è stato. “L.R.A.D.” di Giampaolo Parrilla pone le persone davanti a delle scelte per
dimostrare che l’approvazione, come il consenso, segue la logica dell’immediatezza. L’artista
lavora attraverso la strutturazione di spazi pittorici ambientali con la costruzione di cicli di dipinti
con una prospettiva atmosferica, di ripetizione e di movimento. In “Stock” di Daniele Accossato,
opere dal valore inestimabile vengono rapite, legate, imbavagliate e rinchiuse in contenitori
angusti, pronte per essere stoccate e poi spedite. Ma la chiave di lettura risiede non tanto nel
soggetto scultoreo, quanto nella sua “cornice”, il contenitore da trasporto, casse o gabbie in
legno che sono allo stesso tempo prigione e protezione e invitano a chiedersi se è davvero
possibile che l’Arte sia anche merce. In “Graft Room” di Simone Benedetto, recipienti dal
contenuto oscuro, svuotati o forse riempiti dall’essenza stessa del corpo ospitante, sono
protagonisti di una gemmazione che si insinua tra umano e manufatto, presupponendo una
comune cooperazione alla vita nonché una dipendenza reciproca. “Tempio industriale: Libera
nos a societate spectaculi” di Valerio Perino è un’installazione che rappresenta un immaginario
rifugio spirituale dalla decadenza morale della società occidentale contemporanea. “Un pezzo
d’acqua” di Orecchie d’asino è un processo che compone e scompone la pratica stessa
giocando con i vari linguaggi e significati.

 

“Paratissima Art Station”
ARTiglieria Con/temporary Art Center, piazza Accademia Militare 3 (dietro piazza Castello), Torino; tel. 011/0162002
Dal 23 ottobre all’8 dicembre

Nelle foto:

– Tellas: “Blooming Playground”, 2020

– Lorenzo Puglisi: “Annunciazione”, oil on canavas, 202o

– Eleonora Gugliotta: “Spoglie, Sicilia”

– Achille Alberti: “L’immortalità”, bronzo, 1923