ARTE- Pagina 12

Canaletto, van Wittel e Bellotto: il gran teatro delle città

Si è aperta il 30  novembre nel complesso monumentale di San Francesco a Cuneo, in via Santa Maria, la mostra intitolata “Canaletto, van Wittel, Bellotto. Il gran teatro delle città. Capolavori dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica” a cura di Paola Nicita e Yuri Primarosa. Rimarrà aperta fino al 30 marzo 2025.

La mostra consolida per il terzo anno la collaborazione tra Fondazione CRC, da sempre attiva nel sostegno e nella promozione di attività culturali finalizzate ad accrescere il ruolo e la riconoscibilità del territorio cuneese come centro di produzione artistica, e Intesa SanPaolo che, con il progetto Cultura, esprime il proprio impegno per la promozione dell’arte nel nostro Paese, dando seguito con quanto realizzato congiuntamente con le esposizioni “I colori della fede a Venezia, Tiziano, Tintoretto e Veronese” del 2022 e “Lorenzo Lotto e Pellegrino Tibaldi. Capolavori della Santa Casa di Loreto” nel 2023, complessivamente visitate da oltre 54 mila persone.

La mostra, curata da Paola Nicita e Yuri Primarosa, delle Gallerie Nazionali di Arte Antica fa parte del progetto del museo dal titolo “Le gallerie nazionali nel mondo” e offre uno spaccato inedito sulla rappresentazione sugli scenari urbani di Roma e Venezia nel Settecento attraverso le opere di tre maestri indiscussi della Veduta, Giovanni Antonio Canaletto, Gaspar Van Wittel e Bernardo Bellotto, cui si aggiunge il pittore piacentino Giovanni Paolo Pannini.

Il progetto espositivo, appositamente ideato per lo spazio Cuneese, riunisce dodici capolavori provenienti dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma, che esplorano e reinventano l’immagine della città nell’epoca del Grand Tour e degli ambienti culturali illuminati, a cavallo tra Seicento e Settecento, quando la prima tappa di ogni itinerario culturale attraverso l’Italia era Roma e la meta finale coincideva con Venezia. La grandiosità di Roma e il fascino lagunare di Venezia sono protagonisti delle scene catturate dai maestri in mostra, che ne immortalano momenti di festa, cerimonie, eventi mondani, allo scopo di restituire un ricordo vivido e duraturo ai viaggiatori che li avevano vissuti.

L’arte di Canaletto, van Wittel e Bellotto mette in scena la città antica accanto a quella moderna, spaziando dalla pittura di teatro al capriccio archeologico fino ad arrivare alla veduta topografica. Nel viaggio attraverso la penisola è la passione per l’antico ad accendere l’estro dei pittori, capaci di trasformare la città nel palcoscenico di un magnifico teatro all’aperto, catturato con sguardo fotografico e coinvolgimento poetico. I dipinti dei quattro vedutisti in mostra rivelano ritratti di città, fatti di architetture solenni e di scorci urbani popolari, dalla Roma antiquaria, tra mito e natura, alla moderna Roma dei Papi scenografica e contraddittoria, dalla città di Venezia, orgogliosa e cosmopolita, alle atmosfere austere di Dresda. Aprono il percorso espositivo le cinque vedute romane dell’olandese Gaspar Van Wittel, attivo tra Seicento e Settecento e non per la sua tecnica scrupolosa e per l’utilizzo sapiente della scienza ottica. Dopo la formazione in patria presso la bottega di un pittore di paesaggi e vedute, van Wittel si trasferisce a Roma nel 1675, per diventare ben presto il pittore della Roma moderna. Realizza grandi composizioni a volo d’uccello, animate da personaggi in movimento e invase da un’atmosfera vitale, rievocate in mostra da opere quali “Veduta di Roma dalla piazza del Quirinale “ (1684) e “Veduta del Tevere a Castel Sant’Angelo” (1683). I suoi metodi visivi e la resa realistica del paesaggio urbano contribuiranno a trasformare il genere della Veduta, aprendo la strada a generazioni di artisti.

Roma è anche protagonista delle due opere in mostra del piacentino Giovanni Paolo Pannini (1691-1765), tra i maggiori interpreti del capriccio architettonico, in cui architetture esistenti e fittizie si trasformano in vedute ‘ideate’. Un dipinto come “Capriccio con la statua equeste di Marco Aurelio” rivela la raffinata padronanza prospettica di Pannini e la sua abilità nel combinare elementi reali e immaginari in un equilibrio scenografico. Un altro esempio significativo è “Ruderi con terme”, in cui le rovine di antiche terme si integrano con un paesaggio idealizzato, comunicando un senso di nostalgia per il mondo classico.

Il percorso espositivo attraverso i capolavori delle Gallerie Nazionali di Arte Antica prosegue con le vedute veneziane di Giovanni Antonio Canaletto che della sua città di origine ha saputo cogliere l’essenza grazie all’uso magistrale della luce e dei colori. I quattro dipinti in mostra che portano la sua firma sono “Veduta di Venezia con piazza San Marco e le Procuratie” e Veduta di Venezia con la piazzetta rivelano la sua maniera di rappresentare le città, come scenari dinamici che riflettono la bellezza e la complessità della vita urbana, ampliando le possibilità formali del vedutismo settecentesco. Canaletto restituisce un’immagine di Venezia carica di dettagli e caratterizzata da una grande nitidezza descrittiva, unita a una forte sensibilità luminosa e atmosferica.

A concludere la mostra è l’opera dell’allievo e nipote di Canaletto, il Bellotto, di cui ha raccolto l’eredità estendendola oltre i confini della penisola italiana.

Le sue vedute, ritratti realistici dei centri urbani che scopre durante i suoi soggiorni, si differenziano da quelli dei suoi predecessori e contemporanei per un uso più freddo dei colori e di un chiaroscuro severo e malinconico. È soprattutto durante i suoi viaggi tra Italia, Germania e Polonia che Bellotto sviluppa uno stile personale e distintivo come dimostra “La piazza del mercato della Città Nuova di Dresda”, capolavoro della sua maturità, immagine di una città europea non solo come teatro di bellezza, ma anche come spazio vivo e complesso.

“Sulla traccia del successo registrato qui a Cuneo gli anni scorsi – spiega il Presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro- la mostra presentata oggi e realizzata insieme con la Fondazione CRC conferma come l’arte possa contribuire a consolidare la presenza di Intesa Sanpaolo nel Cuneese, uno dei suoi territori di elezione e rinsaldare il legame con gli azionisti stabili come le Fondazioni”.

Mara Martellotta

Surface Tension per le facciate della Corte Est delle OGR

Le OGR Torino

presentano la prima installazione di Surface Tension, nuova serie di commissioni per per le facciate della Corte Est delle OGR Torino

REBECCA MOCCIA. COLD AS YOU ARE a cura di Iacopo Prinetti un’opera video commissionata dalle OGR Torino in occasione di Luci d’Artista 08.12.2024 – 02.02.2025 | Corte Est

ACCENSIONE

8 dicembre 2024, ore 18.30

Rebecca Moccia, Cold As You Are. Intallation view at OGR Torino, 2024. Ph. Matteo Zin for OGR Torino. Courtesy OGR Torino

OGR Torino | Corso Castelfidardo 22, Torino

www.ogrtorino.it

L’8 dicembre alle 18.30 inaugura Surface Tension, il nuovo progetto delle OGR Torino: la serie di commissioni d’artista che con installazioni luminose trasformerà le facciate della Corte Est delle OGR in una grande tela di proiezione per opere site-specific.

Il primo progetto della serie è una nuova opera dell’artista Rebecca Moccia, Cold As You Are, a cura di Iacopo Prinetti, commissionata dalle OGR e prodotta in occasione della 27^ edizione di Luci d’Artista, come new entry progetto, sezione Costellazione, con cui dal 1998 la Città di Torino illumina l’inverno torinese con installazioni d’arte contemporanea. La video installazione site-specific, realizzata con il supporto tecnico di Epson, raccoglie scene intime e pubbliche, riprese dall’artista con una termocamera, combinate in una sequenza di diversi elementi e narrazioni.

L’accensione della nuova opera avverrà alla presenza del Presidente delle OGR Torino Davide Canavesio, dell’artista Rebecca Moccia e del curatore di Luci d’Artista Antonio Grulli.

L’opera utilizza lo strumento della termocamera, in cui un’ottica fotografica insieme a un sistema a raggi infrarossi converte la rilevazione di informazioni termiche in una gamma cromatica dove ciascuna gradazione di colore corrisponde alla temperatura di un dato oggetto o essere vivente. Sviluppata in ambito militare come molte tecnologie che permeano il nostro quotidiano, la termovisione porta con sé un immaginario legato a pandemie e guerre contemporanee, dove è utilizzata per identificare obiettivi distanti, in una modalità di visione-controllo incapace di cogliere la specificità dei singoli soggetti rendendoli meri bersagli.

In Cold As You Are, Rebecca Moccia ha utilizzato questo strumento per filmare un diario sociale in cui situazioni casalinghe, di festa e di lavoro si combinano con eventi pubblici, proteste e paesaggi urbani. Il cortocircuito materiale e sensoriale tra la prossimità delle immagini proiettate, il paesaggio sonoro che le accompagna, e il ricordo di scenari di controllo e conflitto, è pensato dall’artista per indagare la pervasiva e invisibile infrastruttura neoliberale in relazione alle soggettività su cui agisce con forme di governance intima, una ricerca che l’artista porta avanti sin dal progetto Ministry of Loneliness (2021-2024). Al contempo, la mancanza di definizione causata dal mezzo stesso combinata a inquadrature soggettive e ravvicinate, favorisce un racconto in cui pubblico e privato, personale e politico si fondono, mettendo in secondo piano la visione ottica per privilegiare una percezione legata allo scambio e alla condivisione di spazio, ambienti ed emozioni.

Come in AGGRO DR1FT (2024), film del regista Harmony Korine, i limiti della termocamera come strumento di documentazione visiva deviano l’attenzione su ciò che non è manifesto o che non segue una linearità percettiva per concentrarsi sul livello affettivo e sentimentale dei personaggi. Allo stesso modo, in Cold As You Are, l’immagine diventa sensorialità e stimolo aptico, che supera il visuale per ricollegarsi a esperienze personali e condivise, attivando così uno slittamento percettivo e concettuale che investe la nostra fiducia rispetto all’immagine stessa e la sua funzione.

In Moccia come in Korine, la termocamera è utilizzata quindi per creare profondità in contrasto al suo impiego in ambito militare e di controllo dove la visione si riduce, sia attraverso la gamma cromatica – solitamente in bianco (vivo – caldo) e nero (non vivo – freddo) – sia attraverso la posizione in cui si colloca chi detiene il mezzo rispetto ai suoi obiettivi. In Cold As You Are l’immagine termica si oppone così alla dinamica che riduce i corpi umani e non umani a numeri in un sistema, per concentrarsi su scambi quotidiani che dettano un racconto empatico, e non più freddo e distaccato, svelando al contempo la progressiva indistinzione tra la vita che viviamo e i conflitti che pensiamo di combattere.

A Barolo tavola artistica dedicata a Paolo Desana

A Barolo è stata collocata una tavola artistica dedicata al senatore Paolo Desana, padre della Doc.  tavole artistiche sono state dedicate a Luigi Einaudi, Giacomo Morra, il padre del tartufo bianco d’Alba, Juliette Colbert, l’inventrice del Barolo. Lunedì saranno installate le altre due tavole dedicate a Adriano Olivetti e Michelangelo Abbado.

Nella foto di copertina Andrea Desana, figlio di Paolo, di fronte alla tavola dedicata al padre.

Arte e sacro, la chiesa di San Dalmazzo a Torino

In centro citta’ un gioiello molto antico

Dopo un lungo periodo di chiusura, e’ di nuovo possibile visitare la chiesa di San Dalmazzo, situata tra via Garibaldi, una volta via Dora Grossa, e via delle Orfane.

Costruita nel lontano 1271 e destinata all’assistenza dei pellegrini e alla cura degli infermi, nel tempo la sua struttura subi’ un consistente deterioramento e fu cosi’ che nel 1573, periodo in cui fu affidata ai frati Barnabiti, si decise per una riedificazione. Qualche anno dopo per volere del cardinale Gerolamo della Rovere fu nuovamente restaurata e decorata, anche grazie alle numerose donazioni dei Savoia mentre alla fine dell’800 furono ripresi ulteriormente i lavori che la riportarono al suo stile originario. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu bombardata riportando seri danni al tetto e agli infissi, il suo ultimo restauro risale al 1959.

L’esterno e’ l’unica parte rimasta in stile Barocco con i suoi pilastri di ordine corinzio, i finestroni da cui entra la luce e un timpano semicircolare che avvolge un prezioso affresco. La chiesa, di medie dimensioni, trova la sua bellezza, oltre che nei suoi sorprendenti interni in stile neogotico che catturano subito l’occhio del visitatore, ma anche nella superficie proporzionata che la rende accogliente e affascinante.

Al suo interno lo sfondo e’ quello tipico dello stile gotico caratterizzato dallo slancio verticale, da vetrate colorate, da stucchi, dipinti neo-bizantini di Enrico Reffo e dorature. L’elemento che attira legittimamente l’attenzione e’ la fonte battesimale originale ereditata dalla vecchia chiesa di San Dalmazzo Martire. La struttura e’ a tre navate decorate da edicole, il bellissimo pulpito incorniciato da mosaici e il ciborio a baldacchino.

Spesso la chiesa di San Dalmazzo si fa scenario di concerti di musica, dal gospel alla musica da camera, il prossimo appuntamento? Domenica 15 Dicembre 2024 ore 17:00 TORINO CHAMBER MUSIC FESTIVAL, vibrazioni all’interno di un contesto suggestivo e incantevole.

Per informazioni sugli eventi

www.diocesi.torino.it

Maria La Barbera

Roberto Demarchi: “Hamas e Netanyahu sono i nuovi Erode”

La mostra del maestro Roberto Demarchi, inaugurata giovedì 5 dicembre 2024 alle ore 18, nella sede dell’atelier del pittore in corso Rosselli 11, reca il titolo “Montagna e avvento”.

Roberto Demarchi, pittore astratto , dichiara, a poche ore dell’inaugurazione di questa sua nuova mostra : “ I Vangeli ci narrano che, poco più di Duemila anni or sono, una piccola famiglia di ebrei, per sfuggire alla ferocia che il Potere scatena quando ha paura, lasciò nottetempo Betlemme per trovare rifugio in Egitto. Percorsero quella che allora si chiamava la via Maris ( che tra l’altro passava per Gaza). Subito dopo ci fu la strage degli Innocenti, innumerevoli bambini al di sotto dei due anni furono trucidati perché Erode temeva che tra di loro si celasse colui che, male interpretando le Sacre Scritture, avrebbe potuto prendere il suo posto. I Vangeli, se letti lontano da una esasperazione fideistica, parlano di verità che sopravvivono al Kronos, al microtempo. Ci dicono che l’uomo, con tutta la sua paura e con tutto il suo coraggio di vivere, è sempre lo stesso. I luoghi sono sempre gli stessi, Gaza ieri, Gaza oggi. I trucidatori sono sempre gli stessi, Erode ieri, Hamas e Netanyahu oggi”.

La mostra del Maestro Roberto Demarchi, intitolata “Montagna e Avvento” vuole essere un percorso ispirato all’Avvento e alla montagna ritratta da Cézanne, il tutto reinterpretato con il linguaggio astratto e suggestivo del maestro.

Mara Martellotta

“Questa è pittura”… perdersi nella totale libertà del colore

Il “Forte di Bard” presenta una grande retrospettiva dedicata ad Emilio Vedova fra i nomi più prestigiosi dell’ Arte Informale

Fino al 2 giugno 2025

Bard (Aosta)

Il colore, soprattutto. Il colore su tutto. A imprigionare forme, a dettare le regole irregolari di una dialettica fra gesto, segno e materia che coinvolge lo stesso pittore, diventando prova di forza, corsa a tutto campo, senza limiti né confini fra l’artista stesso e l’opera, concepita come bersaglio (pur sempre calibrato nella sapienza del complessivo rapporto compositivo) di violente emozioni e di impreviste improbabili fantasie. Il colore. La materia. Magma incandescente che avvolge lo stesso pittore. Che si fa colore. Si fa materia. Nel corpo e nell’anima. C’è tutto questo, la potenza del gesto e del segno della pittura di Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006), al centro della retrospettiva “Questa è pittura” allestita nelle “Sale delle Cannoniere” al valdostano “Forte di Bard”fino a lunedì 2 giugno del prossimo anno.

Promossa dall’“Associazione Forte di Bard”, in collaborazione con “24 Ore Cultura” e “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova” (istituita dall’artista con la moglie nel 1998 e attiva dal 2006), la mostra è curata da Gabriella Belli e  “vuole presentare – precisa la stessa Belli – l’opera di Vedova nella sua valenza pittorica, sfuggendo da ogni tentazione di lettura dettagliatamente storica o socio-politica, per indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che sempre stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della sua materia, espressione tra le più alte dell’Informale europeo”.

Emilio Vedova, per molti “il fratello italiano di Jackson Pollock”, è stato uno degli artisti d’avanguardia più influenti del ‘900. Libero, dissidente, curioso e ribelle (fervente antifascista, partigiano a Roma e sulle colline piemontesi, nonché fra i firmatari nel ‘46 del manifesto “Oltre Guernica” e fra i fondatori del “Fronte Nuovo delle Arti”) ha tradotto nelle sue opere il suo impegno civile. Un intreccio per certi aspetti indissolubile che restituisce il profilo di un artista di altissimo talento e nello stesso tempo dotato di una rara capacità d’essere dentro il “farsi della storia”.

In mostra (che approda in Vallée a quasi cinquant’anni dall’esposizione “Emilio Vedova. Grafica e Didattica” presentata nel ’75 alla “Tour Fromage”, sotto la curatela di Zeno Birolli e dello stesso Vedova) troviamo esposti, 31 grandi dipinti e 22 opere su carta dell’artista veneziano, in maggioranza provenienti dalla “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova”. L’odierna retrospettiva “vuole aggiungere – replica Gabriella Belli – un tassello alla conoscenza dell’artista, attraverso un itinerario di approfondimento del suo lavoro diviso in otto tappe, che corrispondono a momenti in cui lo sforzo creativo si dibatte attorno a questioni esistenziali”. La sequenza non è strettamente cronologica, ma va invece a rimarcare, attraverso le sue opere, quei “periodi/episodi” della vita artistica di Vedova strettamente dedicata al mestiere e alla ricerca pittorica, lasciando in ombra il suo pur sempre forte impegno civile e “la sua ben nota, carismatica voce di protesta davanti alle tragedie della storia e agli eventi di cronaca quotidiana”“Questa è pittura”, solo e intimamente pittura, recita bene, dunque, il titolo della rassegna, partendo dagli esordi dell’avventura artistica del pittore : “La nascita di un pittore. I Maestri”, la lezione trasmessa a Vedova dai grandi pittori di quel passato veneziano, alla sua quotidiana portata di mano e di vista, scritto dai vari TintorettoVeronese e Tiepolo, ammirati per poi sfuggirli (ma mai dimenticarli) abbracciando (“Cercare una via”) l’emergente “geometria astratta” di cui troviamo significativi esempi in mostra. Nella terza tappa “Astrazione per sempre”, già si fa luce il passaggio dalle strette “velleità geometriche” al desiderio di una pittura per vocazione “gravida di gesto e materia”, che s’alimenta nell’invenzione dei suoi “Plurimi” (quarta tappa), nuove forme dipinte, legni carichi di materia pittorica e assemblate con cerniere, “inquietanti costruzioni tridimensionali” che “deflagrando dalla parete, invadono lo spazio”. E l’iter prosegue nel continuo “lasciar libero il  segno” fino alle opere più strettamente connesse al suo personale “tragico esistenziale” sublimato in quella esemplare “Vertigine Piranesi” (settima tappa) che pare rievocare le “Carceri” (invenzione di luoghi “insieme inferi e architettonici”) del suo conterraneo, fra gli iniziatori dell’immaginario gotico, Giambattista Piranesi“Circolare infinito” è il titolo dato, infine, all’ottava tappa, con i tre grandi “Tondi”, disallineati al centro della Sala, che gridano tutta “l’irriverenza inquieta e geniale di un artista che ha sempre sfidato sé stesso”. E il mondo intero.

Gianni Milani

“Questa è pittura”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 2 giugno

Orari: mart. e ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; lunedì chiuso

 

Nelle foto: Emilio Vedova “Al lavoro su ‘Non Dove’”, 1988 (Ph. Aurelio Amendola): “Poemetto della sera”, olio su tela, 1946; “Plurimo – A”, acrilici, pastello su elementi di legno, 1962; “Ciclo”, tecnica mista su tela, 1962

Il Presepe Mondiale di Anja Längst

Informazione promozionale

L’artista bavarese Anja Längst partecipa alla manifestazione dei Presepi a Bardonecchia con il suo “Presepe Mondiale – Dal mistero della Natività al volo degli Angeli”, in mostra presso il suo spazio espositivo “Anja’s Atelier”

 

All’interno della manifestazione diffusa dal titolo “Bardonecchia paese dei Presepi”, che si svolgerà dal 7 dicembre 2024 al 26 gennaio 2025, in cui cento Presepi illumineranno le frazioni di Rochemolles, Millaures, Le Gleise, Les Arnauds e Melezet, oltre che Borgo Vecchio, inaugura la mostra “Il Presepe Mondiale- Dal mistero della Natività al volo degli Angeli” dell’artista bavarese Anja Längst. La mostra sarà visitabile per tutto il periodo della manifestazione e inaugurerà presso l’Anja’s Atelier, in piazza Europa 18 interno cortile, a Bardonecchia. L’orario di visita sarà tutti i giorni dalle 15 alle 19.

L’esposizione, proposta già nel 2003 a Torino nell’atrio della Stazione di Porta Nuova, nell’ambito della quarta edizione di “Piazza dei Presepi”, si rinnova a Bardonecchia mantenendo lo stile e i contenuti cari all’artista.

Oltre a un piccolo presepe in cartapesta, una capanna origami, due presepi in terracotta non dell’artista, un piccolo presepe dipinto con colori acrilici e lo sfondo di un altro Presepe realizzato con una foglia d’oro, l’esposizione vede protagonista un Presepe di maggiori dimensioni alto circa 1,50 metri e largo 2,30 metri, realizzato in legno compensato, dipinto con colori acrilici e che riporta disegni a inchiostro di china e figure in materiale plastico. Il colore rappresentativo dell’opera è il blu, simbolo cromatico che nell’artista richiama sentimenti di pace, di silenzio, di spiritualità, armonia, fiducia e mistero infinito. Inoltre il blu rappresenta il colore delle sue origini, essendo nativa della Baviera, nei pressi del lago Tegernsee.

Il colore blu, nell’ambito della cromoterapia, è una tinta che ha il potere di rallentare il battito cardiaco e di abbassare la pressione ottenendo un rilassamento di tutto il corpo. I simboli all’interno dell’opera sono molteplici e si sovrappongono in un’idea di amore e pace tra gli uomini.

La sfera disegnata che rappresenta il mondo vuole essere il simbolo della convivenza pacifica, oppure la Natività, che rappresenta la possibilità di salvezza per tutta l’umanità, e ancora il veliero che, disegnato in cielo, sembra affrontare il suo mare, l’universo, il desiderio e la sfida di tutti coloro che si lasciano alle spalle il passato alla ricerca di un nuovo inizio.

La mostra di Anja prosegue il percorso che l’artista ha iniziato trent’anni fa, finalizzato ad unire arte e artigianato con quel senso di humour, serenità e un tocco di serietà che sono la cifra stilistica dell’artista bavarese. Dal 1993 Anja ha spalancato le porte del suo Atelier prima in via Des Geneys, vicino alla parrocchia di Sant’Ippolito, a Bardonecchia, e da qui si è spostata al quartiere multietnico di San Salvario, a Torino, in via Belfiore 18. Tanti i bambini, i ragazzi e gli adulti che hanno varcato la soglia del suo inspiratorio per imparare a dipingere e decorare.

Dal 2002 al 2023 ha partecipato anche suo marito Benny Naselli, caricaturista e ritrattista. Dal 2010 si stabilisce nella centrale piazza Europa, a Bardonecchia, e di tanto in tanto si sposta a Torino e nel mondo per esporre le sue opere e i suoi “omini” realizzati su carta e tela.

Anja tiene, presso il suo Atelier, lezioni di pittura su appuntamento.

Per ulteriori informazioni: 349 1256344

 

Mara Martellotta

Pietro Baroni: “J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans”

Alla Galleria “BI-Box Art Space” di Biella, e per la prima volta in Piemonte, una mostra personale del fotografo milanese 

Fino al 21 dicembre

Fino al 7 dicembre ancora visibile la retrospettiva di Letizia Battaglia

Biella

I suoi “attori” sono uomini e donne della porta accanto. Attori improvvisati, ma ben partecipi del compito assegnatogli. Ritratti in bianco e nero, che ti scuotono dentro, forse più di quanto, scossi, lo siano essi stessi. Immagini che ti imprigionano nella più ingarbugliata rete della comprensione e ti fanno, quasi, stare a distanza per non essere coinvolti in situazioni esistenziali quanto meno inquietanti o, al contrario, ti inducono ad avvicinarti per scorgere in quegli occhi, muti di emozioni sensazioni e passioni, le voragini in cui sono inciampati, rotolando in un fitto buio che nasconde loro vie di fuga e di salvezza. Dice l’artista: “Corpo, identità ed emozioni sono le mie parole chiave”. E qui, di quelle parole, non ne manca una. Sono perfetti, in tal senso, gli scatti del fotografo milanese Pietro Baroni(“Emerging Photographer of the Year” 2017 per “Lens Culture”), instancabile viaggiatore in Paesi e in anime di tutto il mondo, “per raccogliere e respirare – racconta – storie umane”. Scatti ospitati fino a sabato 21 dicembre – per la prima volta in Piemonte, dopo essere stati fra le tante città a New York e a Roma – negli spazi della Galleria “BI-Box Art Space” di Biella. Curata da Irene Finiguerra, la mostra mette insieme 40 opere, di cui una dozzina visibili in formato fotografico e le altre attraverso un video.

Da “I fiori del male” (1857) di Charles Baudelaire il titolo della rassegna: “J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans – Ho dentro più ricordi che se avessi mill’anni”. Ricordi grevi che per il “poète maudit” si fanno “spleen”, “cupa malinconia”, specchio di uno stato d’animo che è “noia e angoscia d’esistere”. Sentimenti da cui appare ammaliato anche Baroni in foto scattate a persone sconosciute, rintracciate (pensate un po’!) tramite una “call online”.  Persone di diverse etnie, ceto sociale, età, diverse tra loro in ogni modo possibile. Al momento dello scatto, il fotografo ha chiesto loro di concentrarsi sui “loro segreti inconfessabili”, quelli che ognuno custodisce dentro di sé. Il risultato è una serie di volti sofferenti, sorpresi, melanconici, in pena, attoniti, arresi. “Queste opere – commenta Enrichetta Buchli, docente e psicoterapeuta – mostrano un grande potere psichico, quello di toccare profondamente le corde emotive dello spettatore. Impossibile rimanere indifferenti o piuttosto pronunciare il solito vago commento, bello, non bello, mi piace o non mi piace”. Sul giudizio critico non ci piove. Baroni conosce bene il suo mestiere. Baroni è un eccellente artista-fotografo.

Ma i suoi ritratti esigono pur anche un’interpretazione ed una riflessione di tipo psichico e analitico. E a ciò lo stesso Baroni non si sottrae, ben sapendo di farne cifra stilistica che, ancor più, richiama una curiosa interpretazione delle sue opere. Di quei volti “persi”, fra rughe e imperfezioni della pelle, mentalmente gracili su quelle “spalle nude”, indifese, com’è totalmente indifeso il corpo che nell’abito vede solo “apparenza e mascheramento”. Annota ancora Enrichetta Buchli: “Alcuni ritratti sembra cerchino di comunicare con un invisibile altro, ma senza successo, privi di ascolto, di comprensione. Della presenza empatica dell’altro. E’ decisamente originale l’abilità di Pietro nel far percepire questa invisibile presenza dell’altro, un amico, un partner, un collega, un genitore … magari fonte di dolore. Certo non è l’obiettivo della macchina fotografica”. Verissimo! Baroni non cerca redenzioni. Ai suoi personaggi lascia piena libertà di vivere le loro (e delle loro) impenetrabili assenze e frustrazioni.

Fino a sabato 7 dicembre, “BI-Box” ospita contemporaneamente anche un’altra mostra fotografica, dedicata alla grande, di fama internazionale,Letizia Battaglia (Palermo, 1935 – 2022), prima donna fotografa a essere assunta da un giornale italiano (“L’Ora” di Palermo), famosa per aver documentato dal ’74 gli anni di piombo della sua città, scattando foto dei delitti di mafia e di periferie preda di disperazione e criminalità. Suoi gli scatti, acquisiti al processo, all’“Hotel Zagarella”, con gli esattori mafiosi Salvo insieme a Giulio Andreotti e prima fotoreporter (6 gennaio ’80) a giungere sul luogo dell’omicidio di Piersanti Mattarella. “Fotografa della mafia”, ma non solo, come testimoniano le  ventiquattro fotografie esposte a Biella, già parte della rassega “Passione, Giustizia e Libertà” curata e voluta dalla Compagnia “Viartisti Teatro”, ospitata nel 2006 nelle sale del “Museo Diffuso della Resistenza” di Torino, e poi donate alla regista Pietra Selva.

Gianni Milani

“J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans”

“BI-Box Art Space”, via Italia 38, Biella; tel. 015/3701355 o www.bi-boxartspace.com

Fino al 21 dicembre

Orari: giov. e ven. 15/19,30; sab. 10/12,30 e !5/19,30

Nelle foto: Pietro Baroni “Souvenirs” e parte dell’allestimento della mostra di Letizia Battaglia

Dalla Russia a Chieri… in nome dell’arte

Per tutto il 2025, l’artista russo Lev Nikitin sarà “in residenza” al “Museo del Tessile” chierese

Mercoledì 4 dicembre la presentazione alla Città

Chieri (Torino)

Sarà Chieri la sua seconda casa e il luogo ambientale e culturale, dove trovare nuove, sicuramente importanti, fonti di ispirazione al suo lavoro.

Pittore, scenografo teatrale e fashion designer, è all’artista russo (naturalizzato italiano) Lev Nikitin che la “Fondazione Chierese per il Tessile e Museo del Tessile” ha assegnato la “residenza d’artista”, per tutto l’arco del 2025.

Suo l’“Autoritratto”, riportato in apertura d’articolo. L’immagine è di grande forza di segno e di colore, specchio di inquietanti emozioni tracciate nella ruvida apparenza di un volto che è grido privo di voce, figlio di forti tormenti dell’anima, concretizzati in quel fastidioso “assalto” di insetti – farfalle, falene? – simbolo dell’anima immortale per il mondo greco-romano e di “Resurrezione” per i Padri della Chiesa e nell’arte cristiana dal Medioevo in poi. Lev non sembra quasi accorgersene. Le loro “carezze” o il loro fastidioso ronzare passano inosservate e paiono non attenuare la costante muta angoscia di un oscuro quotidiano.

Nato in Kazakistan nel 1985, Lev Nikitin si è laureato in “Arti Visive” all’“Università di Voronezh”, città non distante dal confine ucraino, nel 2009, per poi diventare docente di “Pittura” all’ “Accademia Tessile di Ivanovo (IGTA)”, a 300 chilometri da Mosca. Nel 2021 ha conseguito la “Laurea Magistrale in Filosofia e Teoria dell’Arte Contemporanea” all’“Istituto Baza” di Mosca. Nel corso della sua carriera ha esposto soprattutto in Russia, ma anche a Taiwan, Finlandia, Montenegro e più recentemente in Italia. Contestualmente, ha lavorato nell’ambito del costume e della scenografia teatrale oltre che nell’industria della moda.

A Chieri, Nikitin ha trovato la sua seconda casa, un rifugio dalla guerra e dalla discriminazione per orientamento sessuale, di cui ha difeso la libertà di scelta attraverso coraggiosi progetti artistici. Nel 2024, pur svolgendo alcune operazioni a titolo volontario per il “Museo del Tessile”, ha collaborato con la “Fondazione” chierese professionalmente, realizzando produzioni sartoriali di scena su commissione del “Cirko Vertigo – Accademia di Circo Contemporaneo”, con sede in Piemonte a Grugliasco e a Mondovì.

Nel 2025 esporrà l’esito di un “progetto artistico” in fieri in una mostra al “Museo del Tessile” di Chieri.

Frattanto, per presentarsi alla cittadinanza, mercoledì 4 dicembredalle ore 15 alle ore 17, terrà un workshop destinato ai bambini dai 6 ai 12 anni.

Adiuvato da Carla Pedrali (modellista e tessitrice), guiderà i più piccoli a realizzare una “corona natalizia” con materiali tessili nella sala studio della “Fondazione” (ingresso: via Giovanni Demaria, 10).

Il laboratorio è gratuito e aperto a 15 bambini fino a esaurimento posti.

Per prenotarsi, scrivere a: prenotazioni@fmtessilchieri.org

g.m.

Nelle foto:

–       Lev Nikitin “Autoritratto”

–       Lev Nikitin

–       Corona natalizia

Due Madonne col Bambino. Gentileschi e Van Dyck a confronto

Due capolavori dalla collezione Corsini” in mostra a Torino

Nell’ambito della rassegna “L’Ospite illustre”

La mostra espone due opere prestigiose di Orazio Gentileschi e Antoon van Dyck, entrambe conservate presso la Galleria Corsini di Roma.

La Madonna col Bambino dipinta a Roma da Orazio Gentileschi intorno al 1610 e la Madonna della paglia di Antoon van Dyck, realizzata a Genova tra il 1625 e il 1627, fin dal Settecento si trovavano a confronto nella “Galleria nobile” di Palazzo Corsini alla Lungara a Roma, la sala destinata ad accogliere i capolavori selezionati dal cardinale Neri Maria Corsini.

Dieci anni circa separano i due quadri, che costituiscono due diverse interpretazioni della cosiddetta “Madonnadel latte”, un’iconografia fortunatissima, nata per visualizzare concretamente il ruolo di Maria come madre di Cristo.

Il quadro di Gentileschi testimonia la novità della rivoluzione di Caravaggio e della pittura “dal naturale”, in cui il tema sacro è trasformato in un momento intimo e quotidiano. L’essenza dell’opera è infatti tutta nell’umanissimo scambio di sguardi tra la madre e il figlio, che allunga la mano per tirarle la veste. Se non fosse per l’aureola e i consueti colori rosso e blu dell’abito, la Vergine potrebbe essere una qualsiasi ragazza del popolo, abbigliata secondo la moda romana dell’epoca, così come il Bambino con il suo sgargiante vestito giallo.

Van Dyck, invece, sulla scia dei grandi maestri del Rinascimento italiano, reinterpreta il tema con una forte densità simbolica, inserendolo nel contesto della Natività. In ossequio ai dettami del Concilio di Trento, evita di mostrare un’immagine “sconveniente”, coprendo il seno di Maria con la testa del bimbo addormentato, ma lasciando la veste abbassata per alludere all’allattamento. Una serie di dettagli sottolinea poi la morte e resurrezione di Cristo: dal viso della Vergine, assorto e malinconico, alla nuvola scura che irrompe nella capanna, fino alle spighe che danno il nome al quadro e i cui steli formano una croce in primo piano.

 

DOVE

Gallerie d’Italia – Torino

QUANDO

Dal 27 novembre 2024 al 12 gennaio 2025

BIGLIETTI

Intero 10€, ridotto 8€, ridotto speciale 5€ per clienti del Gruppo Intesa Sanpaolo e under 26; gratuità per convenzionati, scuole, minori di 18 anni, dipendenti del Gruppo Intesa Sanpaolo, prima domenica di ogni mese