La natura per raccontare … nella mostra personale di Binta Diaw
Fino all’8 marzo 2026
Le liane. Il riferimento alle piante rampicanti, caratteristiche in particolare delle regioni tropicali, “capaci di adattarsi e resistere, simbolo di alleanze vitali e resilienze collettive”, è da subito focus illuminante di quanto l’artista italo-senegalese Binta Diaw voglia proporci, attraverso opere installative e multimateriche, nella personale presentata, fino a domenica 8 marzo 2026, al “PAV– Parco Arte Vivente” di via Giordano Bruno a Torino. Ma ancor più elemento chiarificatore è il “sottotitolo” dato alla rassegna: “Resistenze, alleanze, terre”. Curata da Marco Scotini (direttore di “FM – Centro per l’Arte Contemporanea” di Milano e responsabile del programma espositivo del “PAV”), dopo le personali dell’artista indiana Navjot Altaf, dell’indonesiana Arahmaiani e della guatemalteca Regina José Galindo, la mostra di Binta Diaw (nata a Milano nel 1995) ma cresciuta fra Italia e Senegal, rappresenta un nuovo importante capitolo nell’indagine da tempo percorsa dal “PAV” sui “legami tra natura, corpo femminile e pensiero decoloniale”. Attraverso installazioni ambientali, che diventano “forma estetica” attraverso i più vari “materiali organici e simbolici” (come terra, gesso e corde fino ai capelli sintetici e alle bandiere arrotolate) l’artista affronta tematiche di stretta e strettissima attualità, ma anche di forte impronta storica come la “memoria diasporica afrodiscendente”, in un lungo cammino che arriva ai nostri giorni, agli ingorghi della contemporaneità, come la “sopravvivenza ecologica” e la “resistenza o resilienza femminile”.
In tal senso sono due le opere chiave, al centro della rassegna. La prima, quella “Dïà s p o ra” (2021), installazione già presentata alla “Biennale di Berlino 2022”, composta da una struttura sospesa simile a una ragnatela, realizzata con trecce di capelli ed evocante la resistenza silenziosa delle donne senegalesi schiavizzate, che nascondevano semi e mappe nei capelli, trasformando la materia in archivio vivente e luogo di sopravvivenza clandestina; la seconda “Chorus of Soil” (2019), riproduzione della “pianta” della nave negriera “Brooks”, realizzata con terra e semi. Qui, le sagome degli schiavi, simbolo di oppressione, diventano anche germinazioni vegetali, trasformando la nave in un “giardino di memoria e rinascita”.
La serie “Paysage Corporel” e “Nature” (2023) ha come protagonista il corpo dell’artista, trasformato in una sorta di sfumate “dune desertiche” e reinterpretato (stampa a getto di inchiostro su carta di cotone montata su dibond – pannello composito di alluminio) come “paesaggio”.
Completa il percorso l’opera video “Essere corpo”, che sintetizza, in un unico “dove”, le connessioni tra memoria, corpo e natura, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di passaggio corporale e mentale, in cui far rinascere una costruttiva relazione fra esseri viventi.
“La mostra si configura – si legge in nota – come un paesaggio corale in cui dimensione estetica e politica si intrecciano, offrendo nuove immagini di comunità e appartenenza. E dunque, con questa mostra il ‘PAV’ conferma il proprio impegno nella costruzione di una nuova ecologia politica, capace di ripensare i rapporti tra arte, natura e società globale”.
Da segnalare:
Nell’ambito della personale di Binta Diaw, mercoledì 10 dicembre, le “AEF/PAV – Attività Educazione Formazione” propongono “Wunderkammer d’Altrove”, corso di formazione ideato nell’ambito della Rassegna “aulArte”, sostenuta dalla “Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT”, per favorire l’accesso ai luoghi di cultura dei docenti delle scuole piemontesi ad attività di formazione basate sulle pratiche dell’arte contemporanea. Per le scuole e i gruppi che visiteranno la mostra “Dove le liane s’intrecciano. Resistenze, alleanze, terre” e le installazioni presenti nel Parco (23.500 mq) viene proposto “Radici volanti”, laboratorio in movimento che si situerà nello spazio interno al Museo o nel vasto Parco, dove i partecipanti “produrranno, punto dopo punto, una catena tessile per legarsi gli uni agli altri in un’azione ludica e collettiva”.
Gianni Milani
“Dove le liane s’intrecciano. Resistenze, alleanze, terre”
PAV – Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno 31, Torino; tel. 011/3182235 o www.parcovivente.it
Fino all’8 marzo 2026
Orari: ven. 15/18; sab. e dom. 12/19
Nelle foto: Binta Diaw; “Chorus of Soil” (2019); “Paysage Corporel – Nature I” (2023)






“Comunità plurale” che è obiettivo principe del Nikitin uomo ed artista. Arduo percorso, per la cui uscita “io artista – racconta Nikitin – come Penelope al telaio, lavoro segretamente disfacendo le trame di una tela ordita dal Titano più crudele”. Un processo che lo impegna nel campo multiforme di una tecnica ineccepibile, ma soprattutto sul piano dell’emotività e di antiche dolorose memorie difficili da mettere a parte; “un progetto artistico che si estrinseca – conclude Nikitin – anche come struttura teatrale traendo ispirazione dal ‘Teatro della crudeltà’ di Antonin Artaud: un teatro che colpisce il corpo dello spettatore, che lacera il linguaggio, che rompe il ritmo e nega il conforto. In questo senso, il mio ‘teatro della crudeltà’ è precursore di un’etica di resistenza al vuoto. Rifiuta la narrazione, la mimica, l’illusione. Non spiega, ma costringe a vivere”. Dipanando, senza sosta, quella terribile infinita matassa del “fuso di Kronos”.










Al “Forte di Bard”, Unterthiner racconta tutta la sua passione per quella straordinaria area situata a nord del Circolo Polare Artico (non un continente unico, ma ricco di enormi giacimenti di petrolio, gas naturale e minerali, dal nichel al rame a rare pietre preziose) e per la sua umanità non meno che per la sua fauna, colta (anche dopo ore di appostamenti) nelle diverse stagioni: dagli orsi polari alle renne alle sterne e ai fulmari (uccelli d’alto mare, particolarmente diffusi nell’Oceano Atlantico).
A completare la mostra diciotto ritratti in bianco e nero realizzati da Unterthiner tra i residenti della piccola comunità di Longyearbyen (Svalbard), accompagnati da testimonianze sulla percezione dei mutamenti climatici e un pannello in grande formato dedicato alle “climate stripes”. Lungo il percorso espositivo è disponibile anche un documentario realizzato da “Raitre” (della durata di 20’), che racconta il Progetto “Una famiglia nell’Artico”.
