ARTE

“Da Botticelli a Mucha”, mostra prorogata ai Musei Reali

Musei Reali di Torino – Sale Chiablese

 

DA BOTTICELLI A MUCHA

Bellezza, Natura, Seduzione

 

prorogata fino al 28 settembre 2025

 

 

Torino, 22 luglio 2025 – Visto il grande successo di pubblico e critica, i Musei Reali di Torino e Arthemisia annunciano la proroga straordinaria della mostra “Da Botticelli a Mucha. Bellezza, natura, seduzione”, che resterà visitabile fino a domenica 28 settembre 2025nelle suggestive Sale Chiablese.

 

L’esposizione – affascinante viaggio tra arte, mito e femminilità – curata da Annamaria Bava, propone un articolato percorso attraverso oltre 100 opere, tra dipinti, disegni, sculture antiche e oggetti d’arte, provenienti dai Musei Reali di Torino, dalle Gallerie degli Uffizi e da importanti istituzioni museali e collezioni italiane e internazionali.

 

Il racconto si snoda tra Rinascimento e primo Novecento, analizzando le diverse declinazioni della bellezza nella storia dell’arte, in un susseguirsi di linguaggi, visioni e suggestioni legate alla figura femminile, alla natura, al mito e alla seduzione.

Dalle sculture di epoca romana all’eleganza classica di Botticelli e Lorenzo di Credi – i cui capolavori sono messi a diretto confronto – il percorso espositivo conduce il visitatore attraverso nove sezioni tematiche, che spaziano dal fascino dell’antico alla potenza evocativa dell’Art Nouveau di Alphonse Mucha.

 

Tra le opere di punta, spiccano la straordinaria Venere di Botticelli della Galleria Sabauda e la delicata Giovane donna con l’unicorno di Luca Longhi, in prestito da Castel Sant’Angelo. La mostra offre anche preziosi focus su figure femminili iconiche come la Contessa di Castiglione, misteriosa e affascinante nobildonna del XIX secolo, nonché seducente agente segreto, e sulle pricipesse e regine di Casa Savoia, restituendo ritratti e identità di donne protagoniste del loro tempo.

 

In esclusiva, per la prima volta, sono presentati in mostra i risultati delle indagini diagnostiche sulla Venere di Botticelli effettuate dall’infrastruttura E-RIHS (European Research Infrastructure for Heritage Science), che rivelano pensieri, pentimenti e dettagli nascosti del grande maestro fiorentino.

Il 25 settembre, dalle 14.30 alle 18.30, i Musei Reali hanno in programma di organizzare un incontro di ricerca e restituzione per illustrare la tecnica esecutiva del dipinto e l’esito degli studi, pubblicati parzialmente sul catalogo dell’esposizione.

 

La mostra è visitabile anche con il biglietto combinato Mostra + Musei Reali.

 

La mostra Da Botticelli a Mucha. Bellezza, natura, seduzione è prodotta dai Musei Reali di Torino e da Arthemisia ed è curata da Annamaria Bava.

La mostra vede come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale.

Il catalogo è edito da Moebius.

 

Unitamente al Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, si ringrazia il Museo Mucha, che ospita nel Palazzo Savarin di Praga la Collezione della Famiglia Mucha, amministrata dalla omonima Fondazione, per l’eccezionale prestito delle opere del grande artista ceco.

 

Un ringraziamento particolare va anche alla Fondazione CRT per il sostegno accordato all’esposizione dei fogli del Taccuino romano di Girolamo da Carpi della Biblioteca Reale.

 

 

 

 

 

MATERIALE STAMPA DISPONIBILE AL LINK > https://bit.ly/BOTTICELLI_MUCHA_TORINO

 

 

 

Informazioni e prenotazioni

+ 39 011 1848711

www.arthemisia.it

 

Rigenerazione urbana: “Arte in transito”, 11 nuove opere sui muri di via Sacchi

È stata inaugurata  in via Sacchi la seconda fase del progetto di arte pubblica Arte in Transito, con l’installazione di undici nuovi pannelli murari che arricchiscono il paesaggio urbano lungo il lato ferroviario, tra via Pastrengo e corso Sommeiller. In un tratto di città dove storia e trasformazione convivono, l’arte torna così protagonista per raccontare un presente in evoluzione e anticipare un futuro di rigenerazione.

Il progetto, promosso dal Comitato Spontaneo Rilanciamo via Sacchi, è stato realizzato attraverso una stretta cooperazione tra Accademia di Belle Arti di Torino e Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, che li ha visti coinvolti in tutte le fasi della sua realizzazione, dalla ricognizione del sito con rilievi e misurazione degli spazi espositivi all’elaborazione di una mappa di comunità per la partecipazione della popolazione del quartiere, allo studio di fattibilità, fino all’ideazione e realizzazione dei bozzetti digitali.

I pannelli di “Arte in Transito”, montati sui muri come cartelli pubblicitari stradali, rappresentano temi espressi dalla comunità di Borgo San Secondo nel 2023: la cultura, la memoria, la documentazione e il futuro, l’inclusione sociale. Ideati ed eseguiti da studentesse e studenti internazionali della Scuola di Decorazione e di altre Scuole di Arti Visive dell’Accademia Albertina, dalla loro superficie di circa 3 x 3 metri emergono senso di bellezza e forza del colore. Come già avvenuto nei precedenti progetti di Portici d’Artista, anche in Arte in Transito i protagonisti sono giovani artisti in formazione, alla loro prima esperienza con l’arte nello spazio pubblico.

L’intervento, promosso in collaborazione con il Comitato Rilanciamo Via Sacchi, punta a valorizzare i muri della ferrovia attraverso opere partecipate, con l’obiettivo di stimolare il rilancio della via, contrastare la dismissione commerciale lungo il lato porticato, rafforzare il senso di identità del luogo e incrementare la fruizione sia da parte dei residenti sia dei visitatori, integrando questo tratto urbano nei percorsi cittadini dedicati all’arte pubblica.

Il progetto 2025 è stato realizzato con il patrocinio della Città di Torino, l’autorizzazione della Soprintendenza e del Gruppo FS Italiane, e il finanziamento del Politecnico di Torino – Dipartimento di Architettura e Design (DAD), della Circoscrizione 1 e dell’Assessorato alle Politiche Giovanili della Città di Torino. In particolare la Circoscrizione 1, da sempre attenta alle opportunità di rigenerazione urbana del territorio, ha seguito l’iter progettuale sin dalle fasi iniziali, sostenendolo nel corso di questi anni anche dal punto di vista finanziario.

«Con “Arte in Transito” continuiamo a investire sui giovani talenti e sul potere rigenerativo dell’arte pubblica, elementi fondamentali per ridare vita ai nostri quartieri e costruire una città più inclusiva e partecipata – dichiara l’assessora alle Politiche giovanili e Progetti di rigenerazione urbana Carlotta Salerno -. Il coinvolgimento delle nuove generazioni e del territorio sono motore di trasformazione urbana e sociale e gli ultimi 11 pannelli costituiscono un esempio vincente di collaborazione tra istituzioni che, a vario titolo, si impegnano per valorizzare la città tramite la creatività giovanile. Siamo orgogliosi di vedere in via Sacchi le opere realizzate da studentesse e studenti, che con passione e immaginazione raccontano la storia e le speranze del quartiere di Borgo San Secondo, contribuendo a rafforzare il senso di comunità e identità locale».

«Il progetto sviluppato su via Sacchi oggi compie una tappa importante – afferma Cristina Savio, Presidente della Circoscrizione 1 di Torino -. Per questo traguardo voglio innanzitutto ringraziare per l’impegno e la passione la cittadinanza attiva, a partire dal gruppo “Rilanciamo via Sacchi”. In un’epoca in cui il commercio di prossimità fatica, le reti famigliari si allentano, quelle di amicizia diventano spesso virtuali, è importante avere cura dello spazio pubblico e animarlo con iniziative che creino o rinforzino le reti di relazioni. Come Circoscrizione 1 abbiamo creduto in Portici d’artista prima e Arte in Transito poi, sostenendoli anche economicamente. Mi preme dunque anche ringraziare la coordinatrice Gritti e i coordinatori Martinez e Benedetti, che hanno seguito le iniziative su via Sacchi fin dall’esordio».

Il gruppo di lavoro che ha portato avanti il progetto vede il contributo di diverse professionalità: Rossella Maspoli, Politecnico di Torino DAD, e Monica Saccomandi, Scuola di Decorazione dell’Accademia Albertina, sono state responsabili del concept, masterplan e management del progetto. La parte artistica è stata curata da Monica Saccomandi con il contributo di Carlo Galfione e Daniele Galliano docenti della Scuola di Decorazione dell’Accademia Albertina. Per quanto riguarda le attività di promozione, gestione amministrativa, comunicazione e intermediazione culturale, l’incarico è stato svolto da Rossella Maspoli e Laura Porporato, presidente del Comitato Rilanciamo Via Sacchi, insieme al Comitato stesso. Sempre dal Comitato, è stato anche il contributo portato al progetto da parte del vicepresidente Luigi Ratcliff, insieme a Simonetta Maggi e Virginia Moniaci.

Rossella Maspoli ha evidenziato, in particolare, l’importanza di “azioni di local branding, volte sia a valorizzare i luoghi che a ricostruire la memoria collettiva”. Affermando, inoltre che “le pratiche di arte pubblica hanno ruolo nei processi di miglioramento dello spazio pubblico e di stimolazione a nuove attività”.

Laura Porporato, in rappresentanza del Comitato Rilanciamo Via Sacchi, sottolinea come “Arte in transito sia uno dei progetti avviati dall’Associazione fin dal 2017, per valorizzare una delle vie porticate più importanti della città, grazie anche alle sue architetture e la sua storia, e rigenerarla grazie all’arte, la cultura ed i giovani”.

I bozzetti e l’esecuzione dei pannelli sono stati progettati dagli studenti e studentesse dell’Accademia Albertina, tra i quali Sofia Argentin, Xuechun Cao, Gilda Genghini, Lorenzo Griguoli, Zixu Jiao, Yan Li, Yu Zhen Li, Caiji Lou, Lin Luan, Annamaria Nicolussi-Principe, Alessia Poppa, Meirui Qian, Ismaela Spinelli, Xiangrui Sun, Yiqing Yan, Siyi Ying, Congqing You, Kaiyue Xie, Ruxuan Wang, Manman Zeng, Yan Zhang.
La prima fase del progetto «Arte in Transito» si è conclusa il 17 luglio 2024, con la messa in opera dei primi 11 pannelli di arte pubblica murale. La seconda fase completa nel 2025 la copertura dei muri ciechi per 22 opere in totale e attraverso il nuovo sito web (https://viasacchi.designcontest.polito.it/it/) apre alla comunicazione e alle azioni partecipate per accrescere inclusione e partecipazione.

TORINO CLICK

Palazzo Madama torna al Guangdong Museum di Guangzhou

Il Guangdong Museum di Guangzhou – tra le prime tre istituzioni museali della Repubblica Popolare Cinese, con oltre sette milioni di visitatori annui – ha inaugurato la seconda grande esposizione dell’anno promossa da Palazzo Madama di Torino in Asia.

Dopo il successo della mostra al Museum of Wu di Suzhou, che ha attratto oltre 180.000 visitatori, la nuova esposizione “Crown of Elegance. Court Life and Art of Savoy in the 18th Century” celebraTorino capitale, la sua storica Corona di Delizie e il sistema delle Residenze Reali sabaude, all’interno di un progetto culturale di assoluta eccezionalità.

Accolta con entusiasmo da pubblico e critica, la mostra ha già superato i 25.000 visitatori paganti nei primi cinque giorni di apertura, ed è considerata uno degli eventi espositivi più rilevanti dell’anno in Cina, tanto da concorrere al riconoscimento di “migliore mostra 2025”.

La mostra offre al pubblico  l’opportunità di scoprire la Torino del XVIII secolo, ormai affermata come una delle capitali più raffinate d’Europa, caratterizzata da eleganti vie porticate e da “places royales” che ancora oggi incantano i visitatori quando fulcro della vita di corte erano i Palazzi Reali, scenari di cerimonie solenni, feste, spettacoli e concerti, mentre le foreste che circondavano la città ospitavano il rituale della caccia reale, secondo un modello condiviso dalle grandi corti europee dell’epoca.

Attraverso la sua straordinaria collezione di arti applicate – una delle più importanti d’Europa per ampiezza, qualità e varietà tipologica – Palazzo Madama ha dato infatti vita, in dialogo con il Guangdong Museum, a un’esposizione originale, capace di raccontare con profondità e suggestione quasi due secoli di vita quotidiana, cerimoniale e simbolica della corte dei Savoia. Un percorso che intreccia saperi artigianali, gusto decorativo e codici di rappresentazione del potere, restituendo al pubblico internazionale la raffinatezza di una delle più longeve dinastie europee attraverso oggetti d’uso e di rappresentanza, espressione concreta di una cultura materiale che fonde arte, funzione e identità politica.

Il pubblico cinese può ammirare in mostra oltre 160 opere, tra preziose oreficerie, bronzi, vetri dorati, dipinti, tessuti, maioliche, porcellane, rilegature, mobili e intarsi: un corpus che attraversa le principali arti applicate e restituisce l’identità culturale di una corte e di un’epoca.

Il progetto, sviluppato in una stretta collaborazione tra i curatori del Guangdong Museum e quelli di Palazzo Madama, coordinati nell’occasione da Clelia Arnaldi di Balme e Paola Ruffino insieme alla responsabile dell’internazionalizzazione Angela Benotto, ruota attorno al concetto del “mestiere delle arti”: quel sapere artigianale capace di fondere tecnica e bellezza, funzionalità e valore simbolico. Un patrimonio immateriale incarnato dal lavoro di orafi, vetrai, ebanisti e tessitori, le cui creazioni affondano le radici in tradizioni secolari che nemmeno la rivoluzione industriale è riuscita a cancellare. Proprio da questa visione prende forma il cuore tematico della mostra: il “Saper fare”, ovvero il segreto alla base della creatività e del genio italiano. Quella qualità straordinaria della manifattura che ha generato capolavori capaci di attraversare i secoli e affascinare generazioni, e che ha reso l’artigiano-artista non solo custode di bellezza, ma protagonista di un modello economico e culturale sostenibile, capace di coniugare ricchezza materiale e spirituale, attenzione sociale, giustizia e affermazione del merito attraverso il valore della qualità.

In questo intreccio tra arte e competenza tecnica, la mostra diventa non solo un percorso estetico, ma anche un messaggio universale sulla dignità del lavoro creativo, sulla trasmissione dei saperi e sull’attualità di una cultura produttiva che continua a ispirare il mondo.

Tra i pezzi più significativi, spiccano le opere d’arte cinese realizzate per la corte sabauda, testimonianze concrete del gusto per l’Oriente che pervadeva l’Europa del XVIII secolo e che trovò in Torino una delle sue espressioni più colte.

Per dare conto della complessità di queste relazioni internazionali, la mostra presenta anchecapolavori di rara importanza storica. Tra questi, un eccezionale dono diplomatico: un servizio in porcellana della celebre manifattura di Meissen, inviato nel 1725 da Augusto il Forte, re di Polonia ed elettore di Sassonia, a un sovrano europeo. Il cuore del servizio è l’unica opera documentata diJohann Gregorius Höroldt, massimo pittore della storia della porcellana europea. Le sue scene, inventate di fantasia e non tratte da modelli preesistenti, introducono per la prima volta il “mondo cinese” nella porcellana occidentale, con uno stile minuzioso, brillante e fiabesco che segna una svolta nell’arte della decorazione.

Il dono – composto da circa 300 pezzi suddivisi in dodici casse – giunse a Torino nel novembre del 1725, esattamente trecento anni fa. Una ricorrenza che si affianca al 250° anniversario della morte di Höroldt, rendendo la presenza di queste opere in mostra ancora più simbolica e attuale.

Grazie alla collaborazione con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, che ha messo a disposizione un ricco repertorio di materiali video e fotografici, la mostra offre al pubblico cinese l’opportunità di scoprire l’intero patrimonio storico-artistico del Piemonte, esaltando la raffinatezza architettonica delle residenze, l’eleganza dei loro interni e l’armonia scenografica di parchi e giardini.

Il percorso espositivo si apre con un portale immersivo, dove uno slideshow ad alta definizionecelebra il logo e l’imponenza estetica delle Residenze Sabaude, proiettando il visitatore in un viaggio visivo e simbolico che parte da Palazzo Madama e Palazzo Reale per estendersi sull’intero territorio piemontese, in un continuum di arte, paesaggio e storia.

Ne nasce un racconto per immagini potente e coinvolgente, che restituisce la bellezza e il valore di un sistema culturale unico al mondo, riconosciuto dall’UNESCO come sito seriale, e oggi considerato uno degli asset identitari più autorevoli per la promozione internazionale del Piemonte e dell’Italia.

La mostra darà origine a una straordinaria serie di iniziative rivolte al pubblico cinese: dagli approfondimenti scientifici che verranno pubblicati al termine dell’esposizione a un ricco programma di attività collaterali, tra cui incontri, conferenze e visite didattiche quotidiane pensate per tutte le fasce d’età. Il progetto prevede anche originali operazioni di marketing e merchandising, tra cui unacrociera tematica, la creazione di dolci al cucchiaio ispirati ai Savoia, bevande e profumi dedicati alla corte torinese, e molte altre.

A completare l’esperienza immersiva offerta in mostra, un ruolo strategico è svolto dalla comunicazione digitale: per tutta la durata dell’esposizione, il Guangdong Museum ha attivato un canale dedicato su WeChat, una delle piattaforme digitali più diffuse e influenti in Cina, con oltre un miliardo di utenti attivi. All’interno di questo spazio esclusivo, verranno pubblicati regolarmentecontenuti multimediali di alta qualità appositamente curati per il pubblico cinese.

Questa azione mirata consente di rafforzare la visibilità del patrimonio piemontese e di intercettare un pubblico vasto e profilato, attento alla cultura e al turismo di qualità, moltiplicando l’impatto comunicativo della mostra anche al di fuori degli spazi espositivi fisici. Un esempio virtuoso di come la cooperazione internazionale possa unire contenuti culturali e strumenti digitali per amplificare la conoscenza e l’attrattività del patrimonio italiano nel mondo.

“La mostra in corso a Guangzhou rappresenta uno dei risultati più rilevanti del percorso di internazionalizzazione avviato in questi anni da Fondazione Torino Musei con l’attuazione del proprio Piano Strategico, che ha previsto la creazione di una funzione interna dedicata allo sviluppo delle relazioni culturali internazionali, con l’obiettivo di strutturare un’attività continuativa e coordinata di promozione all’estero del patrimonio civico torinese e piemontese – sottolinea Massimo Broccio, Presidente della Fondazione Torino Musei – Attraverso questo nuovo assetto, la Fondazione ha saputo attivare una importante rete di relazioni istituzionali e progettuali con musei, enti e operatori culturali di rilievo internazionale, dando vita a mostre itineranti, co-progettazioni espositive, iniziative di formazione e azioni congiunte di comunicazione e posizionamento strategico. L’esposizione prende avvio dalle collezioni di Palazzo Madama, luogo fondativo della città, il cui straordinario valore simbolico e architettonico – con oltre duemila anni di storia – rappresenta il punto di partenza per un racconto più ampio sulla cultura di corte, le arti decorative e il sistema delle Residenze Reali del Piemonte. Va inoltre ricordato che Palazzo Madama ha recentemente siglato un importante accordo quadro con il Nanjing Museum, il secondo museo della Repubblica Popolare Cinese: si tratta del primo accordo ufficiale mai sottoscritto tra un museo statale cinese e un museo italiano. Un’intesa storica che ha già dato avvio a una serie di progetti scientifici congiunti, in cui direttori, conservatori e curatori delle due istituzioni lavorano fianco a fianco per sviluppare interpretazioni comuni e condivise del patrimonio culturale. Questa mostra, dunque, non è solo un’esposizione temporanea, ma uno delle tante azioni concrete di diplomazia culturale che conferma il ruolo di Fondazione Torino Musei come modello di riferimento per l’innovazione, la cooperazione internazionale e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano nel mondo, capace di costruire ponti tra storie, competenze e visioni, nel segno della qualità, del dialogo e della bellezza condivisa.”

“In questi anni Palazzo Madama si è fatto promotore di un progetto culturale di respiro internazionale, nato da un insieme di collaborazioni scientifiche fondate sulla stima reciproca, sul confronto e sulla strutturazione di una ampia riflessione sugli archetipi che, fin dall’epoca antica, hanno attraversato e posto in dialogo le culture. Quella appena inaugurata è una mostra generata da una precisa riflessione tra direzioni e conservatorie museali, strutturata con rigore e nella definizione di visioni condivise in un confronto tra istituzioni che condividono valori e responsabilità.

In occasione del 55° anniversario delle Relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, questo progetto si caratterizza quale un esempio virtuoso di diplomazia culturale, capace di rafforzare il ruolo dei musei come luoghi di soft power, pensiero critico e cooperazione internazionale. Un progetto tramite cui Palazzo Madama conferma la propria funzione strategica all’interno del sistema culturale internazionale: custode di un patrimonio materiale e immateriale che si fa costruttore di ponti in un presente che sulla coscienza del passato possa definire i tasselli essenziali di un futuro consapevole”, dichiara Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama

“Siamo orgogliosi di contribuire a questa straordinaria operazione culturale internazionale, che consente di far conoscere al pubblico cinese non solo la bellezza delle singole Residenze Reali, ma l’unità e la forza del sistema che le connette, riconosciuto dall’UNESCO come sito seriale” – dichiara Michele Briamonte, Presidente del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude. “Questa sinergia con Fondazione Torino Musei rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni culturali piemontesi” – prosegue Chiara Teolato, Direttrice del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude – “capaci di operare insieme per la valorizzazione e la promozione all’estero di un patrimonio condiviso, ricco di storia, arte e paesaggio, e sempre più riconosciuto come una risorsa strategica per il posizionamento culturale e turistico del nostro territorio a livello globale”.

Arte Liberata al castello di Ivrea

Al Castello di Ivrea, è stata inaugurata la mostra Arte liberata, un progetto espositivo curato da Elisabetta Tolosano che fa dialogare tre protagonisti dell’arte contemporanea: Riccardo Cordero, scultore di fama internazionale e figura centrale dell’arte plastica italiana e il duo composto da Elizabeth Aro, artista argentina di rilievo internazionale specializzata in arte tessile, scultura e installazione e Luisa Valentini, voce autorevole della scultura italiana contemporanea, che spazia nell’uso di diversi materiali, in dialogo con “Natura condivisa”. Le opere, allestite negli spazi interni ed esterni del Castello, daranno vita ad un confronto riuscito tra passato e presente, in cui le architetture storiche incontrano con efficacia le creazioni
degli artisti. Arte liberata è un’iniziativa promossa da Kalatà, con il sostegno della Città di Ivrea e la collaborazione della Regione Piemonte. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 28 settembre e sarà visitabile esclusivamente nell’ambito del percorso di visita al Castello con i seguenti orari: venerdì alle ore 17 – 18; sabato, domenica e festivi alle ore 10.30 – 11.30 – 15 – 16 – 17.
www.kalata.it

Tra arte e moda: la bellezza come atto quotidiano

Nel cuore della sua boutique, in corso Re Umberto 17 a Torino, Laura Maria Tronnolone non propone semplicemente abiti: propone visioni.

Pittrice raffinata e imprenditrice creativa, da più di 35 anni, ha dato vita ad un progetto che fonde due linguaggi spesso tenuti separati – quello della moda e quello dell’arte figurativa – in un’esperienza unica, sensibile e profondamente estetica. Le sue tele vivono tra le pareti del negozio, accanto ai capi selezionati o reinterpretati. L’una non è sfondo dell’altra, si guardano, si parlano, si completano. In questa intervista, Laura ci accompagna dentro il suo mondo fatto di pigmenti, stoffe e significati, restituendo un’idea di bellezza che non è solo visiva, ma anche interiore e quotidiana. Identità artistica

 

1. Come definirebbe la sua identità artistica?

La mia identità artistica affonda le radici in un dialogo costante tra l’interiorità e la materia viva del mondo. È nell’incontro sottile tra introspezione e sostanza che prende forma il mio gesto pittorico, come un respiro che si posa sulla tela. Attraverso la pittura a olio, indago le pieghe più silenziose dell’animo umano, traduco emozioni sospese nel tempo, frammenti impercettibili che sfuggono allo sguardo distratto ma che abitano profondamente l’invisibile. Ogni pennellata è un atto di ascolto, una carezza data al vuoto, alla fragilità, alla memoria che torna sotto forma di luce o di ombra. I miei quadri non gridano, ma sussurrano: raccontano silenzi che parlano più di mille parole, attese che si cristallizzano nei margini, tra ciò che è stato e ciò che ancora non c’è.

2. Quali temi o emozioni cerca di esplorare attraverso la pittura?

Attraverso la pittura cerco di esplorare un paesaggio emotivo intimo e stratificato, fatto di sospensioni, malinconie leggere, desideri inespressi e memorie che riaffiorano come nebbie sottili. Mi interessano soprattutto le emozioni incerte, quelle che abitano i confini — tra presenza e assenza, tra luce e ombra, tra ciò che è stato e ciò che forse non sarà mai. La fragilità umana, la vulnerabilità dei sentimenti, la bellezza imperfetta del quotidiano — sono tutti elementi che si intrecciano nel mio lavoro. Ogni tela è un piccolo teatro dell’intimità, un frammento di storia personale che diventa universale proprio perché sincero. Dipingere per me è un modo per abitare le emozioni, non solo rappresentarle — viverle attraverso il tempo lento della creazione.

 

3. Che ruolo hanno per lei la bellezza e l’estetica nel suo lavoro

artistico?

La bellezza, per me, è silenzio e verità. Non inseguo la perfezione, ma cerco l’equilibrio, tra ciò che si mostra e ciò che si intuisce. La vera bellezza è semplicemente la consapevolezza di essere presenti, qui ed ora. L’estetica non è ornamento. Più importante è il corpo che deve dialogare con la luce, in cui è lo spazio  a piegarsi alla sensibilità di uno sguardo. Come nei quadri, ogni forma ha un respiro, ogni vuoto una possibilità. C’è eleganza nell’essenziale, potenza nella misura. Il superfluo distrae; la semplicità, quando è frutto di coscienza e stile, rivela ciò che conta davvero. La bellezza autentica non si impone; arriva leggera come un profumo che rimane sulla pelle anche quando è svanito, perché lo si ricorda.

 

4. Quali influenza hanno plasmato il suo stile pittorico? C’è un artista,

un movimento o un’esperienza decisiva?

La mia pittura nasce dall’incontro tra corpo e silenzio. Mi lascio guidare dal chiaroscuro, da quella luce caravaggesca che incide la carne come un bisturi e scolpisce il gesto in un tempo sospeso. Il rosso è la mia ferita sacra: filo conduttore, vincolo, passione, dolore. Lo uso come una scrittura emotiva, un segno vivo che attraversa i corpi e li lega. Amo il femminile come tensione, non come ornamento. Le mie donne non cercano lo sguardo: esistono, resistono, si stringono, si svestono, si liberano. In questo sento vicina Artemisia Gentileschi, la sua forza muta, la sua capacità di abitare la vulnerabilità.

5. Che rapporto ha con il colore, con la materia pittorica?

Il rosso è l’unico colore a cui concedo voce. Su una tela dove tutto tace in bianco e nero, lui grida — sottile, necessario. Non è mai decorazione, ma tensione. Il rosso compare come un atto deliberato, un’urgenza. Racconta ciò che il corpo non dice: il desiderio, la costrizione, l’intimità, la perdita. È dolore, ma anche libertà. In un mondo visivo che rinuncia al superfluo, il rosso è ciò che resta. La presenza che non si può ignorare. Nel mio lavoro, il rosso non colora: rivela. È il luogo dove la tensione estetica incontra la materia emotiva. È gesto pittorico e narrazione interiore. Il mio rosso non è solo un colore: è un linguaggio, un grido sommesso, una verità che non ha paura di mostrarsi.

 

Il dialogo tra arte e moda

6. Quando ha iniziato a sentire il desiderio di unire arte e moda?

È nato in modo istintivo, quasi necessario. Per me, la moda è sempre stata un’estensione dell’identità visiva, esattamente come la pittura. Entrambe raccontano chi siamo, attraverso forme, colori e abiti. Ho sentito il bisogno di unire queste due dimensioni intime della mia creatività, dando vita a un luogo in cui tessuto, bellezza e gesto artistico potessero dialogare armoniosamente. Così è nata la boutique: non un semplice negozio, ma il prolungamento naturale del mio atelier, uno spazio sensibile in cui ogni capo diventa opera, e ogni scelta estetica, un frammento del mio linguaggio personale.

 

7. Come si contaminano i due linguaggi nel suo progetto?

Non amo la parola “contaminano”. Preferisco pensare che arte e moda si intreccino, si rispecchino. Nella mia art boutique parlano con la stessa voce: attraverso il dettaglio, la manualità, la ricerca del bello. Ogni capo e ogni quadro condividono un’estetica intima, femminile e autentica. È un dialogo, non una fusione.

8. Cosa significa per lei indossare l’arte?
Indossare l’arte, per me, significa scegliere di abitare la bellezza con consapevolezza. Non è questione di apparire, ma di essere. L’arte, come l’abito, non serve a decorare una donna: serve a rivelarla. Quando una donna indossa qualcosa che parla la sua stessa lingua estetica non si traveste, si dichiara. Come diceva Chanel, “la moda passa, lo stile resta” — e lo stile, quando nasce dall’arte, diventa una seconda pelle. È un’estensione dell’anima, una pittura invisibile addosso. Ogni capo è un quadro da portare: cucito con silenzio e memoria.

9. In che modo le sue opere influenzano la scelta dei capi o

dell’allestimento nella boutique?

Le mie opere non decorano semplicemente lo spazio: lo abitano. Sono loro a tracciare il ritmo emotivo della boutique, come stagioni interiori che guidano ogni scelta estetica. I colori delle tele — a volte bruciati come un autunno che non vuole finire, altre volte vividi come una primavera improvvisa — diventano la bussola con cui scelgo i tessuti, le sfumature, i dettagli. I quadri non sono spettatori silenziosi: dialogano con gli abiti, li completano. Ogni angolo della boutique è pensato per raccontare un'emozione precisa, per invitare chi entra a perdersi in un’atmosfera che non si guarda soltanto, ma si sente — sulla pelle, nel respiro, nel battito.

 

10. Ritiene che l’arte possa restituire profondità al mondo della

moda? E la moda può rendere l’arte più accessibile?

L’arte e la moda sono due linguaggi della stessa urgenza espressiva. L’arte restituisce profondità alla moda perché le ricorda la sua anima: quella che vibra nei gesti deigrandi couturier. Penso a nomi come Alexander McQueen, Rei Kawakubo, Elsa Schiaparelli: ognuno ha scolpito emozioni nell’abito, trasformando il corpo in una

tela viva. Allo stesso tempo, la moda rende l’arte più vicina. Permette all’arte di uscire dai musei e camminare per strada, di diventare esperienza quotidiana

 

11. Come è nata l’idea di fondere boutique e galleria d’arte?

L’idea è nata in modo quasi inevitabile: sono una pittrice, e dipingere è sempre stato il mio modo di stare al mondo. Ma allo stesso tempo ho sempre amato il vestire come forma di espressione, come estensione quotidiana di ciò che sento e creo. A un certo punto, i due mondi hanno smesso di essere separati. Così è nata la mia art boutique: non come un progetto commerciale, ma come una necessità artistica. Un luogo dove l’arte si indossa e la moda si contempla. Dove chi entra possa non solo acquistare, ma attraversare un’esperienza sensibile.

 

12. Che tipo di esperienza vuole far vivere ai clienti che entrano nel suo

negozio?

Voglio che chi entra nella mia boutique senta subito di essere altrove — non in un semplice spazio commerciale, ma in un luogo dell’anima. Desidero offrire un’esperienza sensoriale e intima, dove ogni abito, ogni quadro, ogni dettaglio racconti qualcosa, risvegli l’anima. Voglio che le persone si fermino, si ascoltino, si lascino attraversare dalle emozioni, dalle vibrazioni. Che si sentano accolte, viste, ispirate. È un invito a vestirsi non solo per apparire, ma per abitarsi.

13. Cosa distingue la sua boutique da uno spazio espositivo

tradizionale o da un negozio convenzionale?

La mia boutique non è una galleria tradizionale, né un negozio convenzionale — perché non voglio né la freddezza asettica delle prime, né la frenesia impersonale dei secondi. Qui il tempo rallenta, lo spazio si respira, e ogni cosa è pensata per accogliere. Non ci sono vetrine da attraversare in fretta né opere da guardare in silenzio con le mani dietro la schiena. C’è piuttosto un’atmosfera calda, intima, quasi domestica, dove l’arte e la moda si fondono in un linguaggio emotivo.

 

14. Quanto conta il rapporto diretto con il pubblico in questo progetto?

So che può sembrare una frase fatta, ma per me il rapporto con il pubblico è tutto. Questo progetto esiste proprio per creare connessioni vere, per accorciare le distanze tra chi crea e chi attraversa la creazione. Non mi interessa un pubblico che guarda da lontano o acquista distrattamente: desidero incontri reali, sguardi che si fermano, parole che lasciano tracce. Per me l’arte e la moda sono strumenti di relazione, e ogni visita, ogni scambio, è parte integrante del processo creativo. Senza quel contatto umano, tutto il resto perde senso.

15. C’è una narrazione estetica dietro ogni collezione o allestimento?

Sì, sempre. Ogni collezione e allestimento nasce da un’emozione precisa, da una storia interiore che prende forma tra tela e tessuto. Nulla è casuale: ogni dettaglio è parte di una narrazione sensibile, visiva e tattile.

 

16. Qual è il messaggio più profondo che vuole trasmettere con il

progetto?

L’arte non morirà mai e la moda — quella vera, che nasce dal sentire — continuerà a vivere, a trasformarsi, a resistere. Questo progetto è un atto d’amore verso ciò che dura: l’emozione, la bellezza e l’identità.

 

17. Che ruolo ha la creatività nella sua vita quotidiana?

La creatività è il mio respiro quotidiano, il filo invisibile che dà senso a tutto ciò che faccio. Non è solo un’attitudine o un talento, è ciò che sono, la mia essenza viva che si manifesta in ogni gesto, in ogni scelta. Per esempio quando dipingo, quando scelgo i tessuti o allestisco uno spazio, non sto semplicemente lavorando: sto dando voce a una parte di me che non può tacere. Ogni giorno è un’opportunità per creare, per reinventare, per scoprire nuove sfumature di me stessa e degli altri.

 

18. Secondo lei, oggi c’è bisogno di bellezza? E come si coltiva?

Dire che oggi ci sia “bisogno” di bellezza presupporrebbe che la bellezza sia sparita, e questo sarebbe un errore. La bellezza non è un concetto fisso, matematico, definito

una volta per tutte: è un flusso in continuo mutamento, una katharsis che si trasforma con il tempo, con le emozioni, con le persone. Non dobbiamo inseguire una bellezza immutabile, ma coltivare la capacità di riconoscerla e accoglierla in tutte le sue forme, anche quelle inaspettate o “imperfette”.

19. Qual è per lei il vero valore dell’arte visuale “fuori dai musei”?

Il vero valore dell’arte visuale “fuori dai musei” sta nella sua capacità di incontrare le persone nella vita reale, di uscire dall’astrattezza e freddezza delle sale espositive per diventare parte concreta del quotidiano. Quando l’arte si fa accessibile, si fa dialogo, si trasforma in esperienza condivisa, arricchisce chi la vive e chi la crea. Fuori dai musei, l’arte perde la sua aura intoccabile per diventare viva, pulsante, capace di trasformare gli spazi e le emozioni, di parlare a chiunque senza barriere. È lì che l’arte si fa davvero democratica e potente.

 

20. Come immagina l’evoluzione futura di questo progetto? C’è

qualcosa che sogna ancora di realizzare?

Immagino questo progetto come un organismo vivo, in continua evoluzione, capace di aprirsi sempre a nuove forme di espressione e di relazione. Sogno di ampliare gli orizzonti, magari integrando performance, workshop o collaborazioni con altri artisti e couturier, per trasformare la art boutique in un vero laboratorio di emozioni condivise. Vorrei che diventasse un luogo di incontro e di scambio. E sogno anche che questo spazio diventi un esempio, un faro per chi, come me, crede nel magnifico connubio tra arte e moda — un invito a scoprire quanto possa essere potente e trasformativa questa unione.

“Ritratti…”. 90 e tutti “da incorniciare”

In mostra al “Museo Nazionale del Risorgimento Italiano”, un secolo di grande Fotografia internazionale in arrivo dalla “Collezione Bachelot”

Fino al 5 ottobre

Correva l’anno 1960. Una bellissima, poco più che ventenne e dal sorriso irresistibile Romy Schneider (icona cinematografica della “Principessa Sissi”), accanto a un cinquantenne, un po’ distratto, Luchino Visconti, ammicca divertita al “paparazzo” che la “punta”, benevolmente “minacciandolo” di diventare lei la fotografa e lui, a breve tiro, il bersaglio del suo scatto. Il “povero” malcapitato fotografo è il celebre americano Sanford H. Roth (grande amico e fotografo quasi “personale” di James Dean che considerava Roth e la moglie come una sorta di “genitori adottivi”) e la foto è una delle circa 90, originali, esposte, fino a domenica 5 ottobre, negli spazi del “Corridoio della Camera Italiana” – Museo Nazionale del Risorgimento” di piazza Carlo Alberto (Palazzo Carignano) a Torino. Tutte in arrivo  da Parigi, dalla “Collezione Florence e Damien Bachelot”, fra le più importanti raccolte fotografiche private a livello europeo, rappresentano una suggestiva, protratta nel tempo, “città di ritratti” – secondo la calzante definizione assegnata alla mostra dalla curatrice Tiziana Bonomo (“ArtPhotò”) cui si deve anche, quale immagine guida, la scelta di “Lanesville”, 1958, di Saul Leiter – promossa dall’Associazione Culturale “Imago Mundi” di Torino e titolata, in linea con i soggetti esposti, “Ritratti. Collezione Florence e Damien Bachelot”.

 Una “città di ritratti”, per l’appunto: antologia di volti e figure che sono narrazioni di vite, le più varie e intense, immagini glamour e di umane miserie, di infinite gioie e struggenti dolori, di amori e odi senza fine, uno “sguardo rivolto – ancora Bonomo – alla nostra umanità fatta di miti, di emozioni e di concrete attuali realtà sociali”. Articolato, infatti, in quattro emblematiche sezioni – “Attualità”“Miti”“Società” ed “Emozioni” – l’iter espositivo ci porta dallo scatto iconico (che fece il giro del mondo) del neozelandese Brian Blake, immortalante Pablo Picasso mentre assiste a una corrida con la moglie Jacqueline Roque e Jean Cocteau alla potente capacità documentaria di Lewis Hine, che nella prima metà del Novecento fece dell’arte fotografica uno prezioso strumento di denuncia sociale, ritraendo i volti dei bambini migranti italiani negli States per raccontare la brutalità del lavoro minorile, fino ad arrivare ai toccanti ritratti dei soldati ritratti dal fotoreporter francese  Gilles Caron in Israele, durante la “Guerra dei sei giorni” (giugno, 1967) e in Irlanda del Nord, in occasione  del “The Troubles”, il conflitto fra comunità cattolica e i protestanti dell’Ulster, che durò circa trent’anni. Ma anche scatti meno “impegnativi” come quelli di un’inedita Nan Goldin, fotografa e attivista statunitense, oggi 71enne, con due immagini dedicate a una seducente (classe ’62) Jennifer Jason Leigh, attrice considerata, secondo la Rivista “Harper’s”, una delle dieci donne più belle d’America.

E’ davvero una lunga, suggestiva galoppata attraverso il Novecento della Fotografia fino alla contemporaneità, quella cui ci invita (e l’invito, in ogni istante, è sempre particolarmente ben accetto) dalla rassegna, “attraverso – si specifica in nota – un genere, quello del ritratto, che ben prima dell’era del ‘selfie’ e dei “social”, ha seguito un proprio percorso, riflettendo i mutamenti di costumi, identità e visioni del mondo”. Così, accanto a ritratti di “quotidiana umanità”, regalatici da grandi maestri come Dorothea LangeSaul LeiterWilliam KleinElliot Erwitt e la panamense Sandra Eleta (oggi, a 82 anni, la fotografa forse più famosa a livello internazionale) presente in mostra con “Siembra” (1976) eccezionale “reportage” sulla vita quotidiana degli abitanti e delle “campesinas” di Portobelo, troviamo anche un raro “lightbox” contenente immagini di Brigitte Bardot, firmato dal romano Elio Sorci, fotografo “maximus” della “Dolce Vita” e “cacciatore” super agguerrito delle più note celebrità del “jet set” americano.

Nota interessante: la mostra in naturale armonia con il “Museo”, propone anche in un video un saggio del patrimonio dei 17mila documenti fotografici custoditi. Tra i protagonisti del Risorgimento spiccano i ritratti della Contessa di Castiglione, pioniera nell’Ottocento nell’utilizzo della fotografia come strumento per costruire e diffondere la propria immagine e il proprio fascino. Sottolinea, in proposito, Luisa Papotti, presidente del “Museo”: “La fotografia, inizialmente percepita come surrogato del ritratto pittorico, diventa rapidamente linguaggio autonomo e strumento di propaganda e costruzione dell’identità nazionale. I ritratti di sovrani, patrioti, combattenti non solo eternano i volti del Risorgimento, ma diffondono l’ideale unitario. Esporre questi materiali accanto ai ritratti contemporanei della ‘Collezione Bachelot’ significa restituire continuità al racconto dell’identità attraverso l’immagine”.

Gianni Milani

“Ritratti. Collezione Florence e Damien Bachelot”

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, piazza Carlo Alberto 8, Torino; tel. 011/5621147 o www.museorisorgimento.it

Fino al 5 ottobre –  Orari: mart./dom. 10/18

Nelle foto: Roth H. Sanford “Romy & Luchino Visconti”, ca. 1960; Brian Brake “Picasso’s Bullfight, Valauris, 1955; Gilles Caron “Israel …” 1967; Sandra Eleta “Siembra”, 1976  

Vito Oliva. Disegni Padani

Il magico surrealismo dell’artista alessandrino in mostra, nel Tortonese, a Sale d’Alessandria

Dal 25 al 29 luglio

Sale (Alessandria)

Una mostra a breve, troppo breve, durata. Cinque giorni, solo, di esposizione. Siamo tuttavia certi che “Disegni Padani”, a firma di Vito Oliva, a cura dell’“Associazione Mina Pintore” e ospitata da venerdì 25 (inaugurazione, ore 17,30) a martedì 29 luglio prossimi presso l’“Atelier” di via Roma a Sale Alessandrino, non mancherà – come si spera e ne siamo  certi – di attrarre un buon numero di visitatori e di destare l’interesse  che assolutamente merita.

Vito Oliva è un “eclettico artista, testimone del territorio”. Alessandrino, laureato in Lettere presso l’Ateneo genovese, ha come primi maestri i più noti pittori alessandrini tra i quali Giovanni Rapetti, dal quale apprende i primi, ma decisivi, rudimenti del “mestiere d’artista”. Si accosta all’arte “fantastica” e “surrealista” nella sua maggior fioritura e fortuna in ambito torinese negli Anni ’70.

 

Nota critica:

“Pittore della natura e della memoria, il tratto intenso e ricco di dettagli che si riscontra nei quadri di Vito Oliva è un viaggio che rivela paesaggi e momenti di vita passata di questa terra padana. Atmosfere suggestive nelle quali compaiono elementi tipici quali alberi secolari, campi sterminati e antiche testimonianze architettoniche immerse in un’aura di mistero e nostalgia. E ancora: elementi che rappresentano una forte simbologia legata alla natura e alla memoria storica dei luoghi. E’ questo il carattere distintivo, la vera unicità delle sue opere … Artista dal tratto preciso e inequivocabile, dai contrasti netti e dalle linee marcate che esaltano in modo nitido e preciso forme e immagini dall’aspetto tridimensionale, quasi vivo, che cattura l’osservatore”.

Mostra che sicuramente merita attenzione. E un’attenta visita.

Un consiglio ai “forestieri” che arriveranno a Sale per questa o altra occasione: non mancate di “omaggiare” (in tempi, soprattutto, come quelli che stiamo vivendo di criminale follia bellica) la “grande” (in tutti i sensi) classicheggiante scultura dedicata in Parco della Rimembranza “Ai Caduti di Sale” delle prime due guerre mondiali, opera di Giovanni Taverna (1911 – 2008), allievo di Borelli e soprattutto di Bistolfi, e nativo della vicina Alluvioni Cambiò, dal 2018 Alluvioni Piovera. Uno dei vari “monumenti pubblici” realizzati dal Taverna, fra i quali il “Monumento all’Alpino” di Leynì e il “Monumento al Migrante” a Pittsbourgh.

Terra di grandi artisti, il “Monferrato Alessandrino”. Sale vi aspetta oggi con le opere di Vito Oliva.

Per info: “Atelier”, via Roma 31, Sale (Alessandria); tel. 335/6547770

Orari: dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19

Nelle foto: locandina mostra e una recente opera di Vito Oliva

Il re “galantuomo” guarda Torino dall’alto

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Vittorio Emanuele II, nel corso del tempo, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come “Il Padre della Patria”

Situato proprio nell’intersezione tra corso Vittorio Emanuele II e corso Galileo Ferraris, la statua che vede come protagonista re Vittorio Emanuele II, si eleva sopra un’area quadrata ad angoli smussati su cui poggia il basamento rivestito da blocchi e lastroni di granito della Balma. Tale basamento si compone di due serie di gradini la cui seconda è interrotta, in corrispondenza degli angoli, da quattro blocchi prismatici su cui sono scolpite le date a ricordo delle guerre per l’Unità d’ Italia: 1848-1859-1866-1870. Questi blocchi fungono a loro volta da sostegno alle quattro aquile in bronzo sostenenti gli stemmi sabaudi.

Sopra le due serie suddette di gradini si eleva il piedistallo sul cui attico stanno,in posizione seduta, quattro grandi statue in bronzo di figure allegoriche tra cui la Pace, la Libertà, l’Indipendenza e l’ Unità (molto dubbia la quarta figura allegorica). Le quattro statue trovano a loro volta appoggio fra i vani delle quattro colonne in stile dorico di granito rosso che sostengono, superiormente, una trabeazione completa con architrave, fregio, triglifi e cornice; sopra questa trabeazione è disteso il grande tappeto in bronzo sul quale si eleva la grande statua del Re.Vittorio Emanuele II è raffigurato in piedi e a testa scoperta: lo sguardo fiero, solenne, rivolto lontano con nella mano sinistra una spada in atto di vigorosa fermezza.

 

Primogenito di Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, e di Maria Teresa d’Asburgo-Toscana, Vittorio Emanuele II di Savoia nacque a Torino (precisamente a Palazzo Carignano) il 14 marzo 1820. Va curiosamente fatto presente che alcuni storici moderni hanno dato credito all’ipotesi, data la scarsa somiglianza con i genitori e in base ad altre vicende, che Vittorio Emanuele non fosse il vero figlio della coppia reale, bensì un bimbo d’origine popolana sostituito al vero primogenito di Carlo Alberto morto, ancora in fasce, in un incendio nella residenza del nonno a Firenze. La maggior parte degli storici invece esprime dubbi sull’autenticità della vicenda e la confina nell’ambito del pettegolezzo facendo perdere qualsiasi credibilità all’ipotesi dello scambio.

Ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e primo re d’Italia (dal 1861 al 1878), fu anche Principe di Piemonte, Duca di Savoia e Duca di Genova.Dopo la sconfitta di Novara e l’abdicazione di Carlo Alberto, si iniziò a definire Vittorio Emanuele II il re galantuomo o re gentiluomo (appellativo con cui è ricordato ancora oggi), che animato da sentimenti patriottici e per la difesa delle libertà costituzionali si oppose fieramente alle richieste di abolire lo Statuto albertino. Nel corso del tempo, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come “Il Padre della Patria”.

Vittorio Emanuele II morì improvvisamente, a causa di una polmonite, il 9 gennaio del 1878 all’età di cinquantasette anni. La sua morte suscitò il profondo cordoglio sia della borghesia colta e politicizzata (che aveva partecipato all’avventura risorgimentale), sia dell’esercito di cui il “Re Galantuomo” era stato il capo pragmatico e largamente amato. Con cinque guerre combattute, ventinove anni di regno e uno stato unificato alle spalle, Vittorio Emanuele II fu il simbolo aggregante del Risorgimento italiano, in un paese ancora troppo fragile per sopportare il vuoto istituzionale venutosi a creare con la sua scomparsa.

Il monumento in suo onore fu voluto direttamente da Umberto I che, per riparare alla mancata sepoltura della salma del padre nella basilica di Superga a favore del Pantheon di Roma, comunicò, in una lettera indirizzata alla cittadinanza, l’intenzione di affidare “alla religiosa devozione” dei torinesi “i segni del valore” che il Re aveva conquistato “combattendo per l’unità e l’indipendenza della patria”. Nella stessa lettera Umberto I espresse il desiderio di erigere un monumento che eternasse la memoria del Primo Re d’Italia stanziando, per tale iniziativa, la cospicua somma di un milione di lire.

Venne subito istituita una Commissione tecnica incaricata di promuovere varie iniziative tra cui stilare il Programma di Concorso per il Monumento al “primo re”; il 28 marzo del 1879 la Commissione tecnica, incaricata di esaminare i progetti presentati al concorso, decreta vincitore lo scultore Pietro Costa. Tale decisione suscitò tuttavia, numerose polemiche che si conclusero con una petizione sottoscritta da cinquantadue firme dei maggiori rappresentanti delle Accademie di Belle Arti d’Italia che appoggiarono completamente la scelta della Commissione.

Ma se in meno di diciotto mesi si chiuse l’itinerario che aveva portato alla scelta del progetto, la fase successiva, quella della costruzione, durò circa vent’anni tra disguidi, ripicche e liti che finirono in tribunale. Il 23 novembre del 1896, a quattordici anni di distanza dalla stipula del contratto, Costa scrisse al Sindaco di Torino per giustificarsi dall’accusa “d’essere pigro e negligente” oltreché fortemente in ritardo nella consegna del monumento;nonostante ciò l’artista venne condannato al risarcimento dei danni per inadempienza contrattuale.

Il 15 gennaio del 1898, finalmente la città di Torino entrò in possesso del monumento. Ultimato per le parti bronzee dall’ Officine Costruzione d’Artiglieria di Torino e dall’ ingegnere Prinetti, il monumento venne inaugurato il 9 settembre del 1899 alla presenza dei sovrani, delle autorità cittadine dei principali comuni italiani, nonché degli esponenti della politica nazionale, dell’esercito e dei veterani del 1848. Ci furono tre giorni di festeggiamenti durante i quali Torino ritornò ad essere patriottica e risorgimentale, quasi nostalgica di essere stata (un tempo) capitale d’Italia.

Per quanto riguarda il luogo di collocazione del monumento, va fatto presente che la scelta di posizionarlo nel centro del piazzale, sull’incontro del corso consacrato a Vittorio Emanuele II e corso Siccardi (oggi corso Galileo Ferraris), è stato frutto della Commissione per un ricordo storico nazionale al re “gentiluomo”. L’area circostante il monumento era, nella seconda metà dell’ottocento, una zona in espansione a tipologia residenziale, pronta a recepire gli spunti di una volontà politica che mirava ad attirare a sé il ceto dei notabili e la piccola borghesia emergente. L’operato della Commissione rientrava nell’ambito di quella politica nazionale di costruzione del mito di Vittorio Emanuele II che, facendo ricorso ad attività di propaganda e di educazione “per fare gli italiani” (come disse D’Azeglio), intervenne anche in opere di rimaneggiamento degli spazi urbani e cambiamenti della toponomastica.

Oggi, la statua del Re, sovrasta ancora i tetti delle case dei torinesi dominando con lo sguardo tutto l’arco alpino fino alla magnifica Superga. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili stella

I segreti della Gran Madre

Torino, bellezza, magia e mistero

Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo1: Torino geograficamente magica
Articolo2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo3: I segreti della Gran Madre
Articolo4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo10: Torino dei miracoli

Articolo 3: I segreti della Gran Madre

La città di Torino è tutta magica, ma ci sono dei punti più straordinari di altri, uno di questi è la chiesa della Gran Madre di Dio, o per i Torinesi, ël gasometro. La particolarità del luogo è già nel nome, è, infatti, una delle poche chiese in Italia intitolate alla Grande Madre. L’edificio, proprietà comunale della città, venne eretto per volontà dei Decurioni a scopo di rendere onore al re Vittorio Emanuele I di Savoia che il 20 maggio 1814 rientrò in Torino dal ponte della Gran Madre (la chiesa sarebbe stata edificata proprio per celebrare l’evento), fra ali di folla festante. Massimo D’Azeglio assistette all’evento in Piazza Castello. Il dominio francese era finito e tornavano gli antichi sovrani. Il passaggio del Piemonte all’impero francese aveva implicato una profonda trasformazione di Torino: il Codice napoleonico trasformò il sistema giuridico, abolì ogni distinzione e i privilegi che in precedenza avevano avvantaggiato la nobiltà, la nuova legislazione napoleonica legalizzò il divorzio, abolì la primogenitura, introdusse norme commerciali moderne, cancellò i dazi doganali. La spinta modernizzatrice avviata da Napoleone con il Codice civile fu di grande impatto e le nuove norme commerciali furono fatte rispettare dalla polizia napoleonica con un controllo sociale nella nostra città senza precedenti. Tuttavia il carattere autoritario delle riforme napoleoniche relegava i Torinesi a semplici esecutori passivi di ordini imposti dall’alto e accrebbe il malcontento di una economia in difficoltà. Quando poi terminò la dominazione francese non vi fu grande entusiasmo, né vi fu esultanza per l’arrivo degli Austriaci. L’8 maggio 1814 le truppe austriache guidate dal generale Ferdinand von Bubna-Littitz entrarono in città, e prontamente rientrò dal suo esilio in Sardegna il re Vittorio Emanuele I, il 20 maggio dello stesso anno. Il re subito volle un immediato ritorno al passato, ossia all’epoca precedente il 1789, abrogando tutte le leggi e le norme introdotte dai Francesi. Il nuovo regime eliminò d’un tratto il principio di uguaglianza davanti alla legge, il matrimonio civile e il divorzio, e reintrodusse il sistema patriarcale della famiglia, le restrizioni civili riservate a ebrei e valdesi e restituì alla Chiesa cattolica il suo ruolo centrale nella società. Il 20 maggio 1814 fu recitato un Te Deum nel Duomo di Torino per celebrare il ritorno del re, che si fermò a venerare la Sacra Sindone. L’autorità municipale festeggiò il ritorno dei Savoia costruendo una chiesa dedicata alla Vergine Maria nel punto in cui il re aveva attraversato il Po al suo rientro in città. A riprova di ciò sul timpano del pronao si legge l’epigrafe “ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS”, (“L’autorità e il popolo di Torino per l’arrivo del re”) coniata dal latinista Michele Provana del Sabbione.

La chiesa, di evidente stampo neoclassico, venne edificata nella piazza dell’antico borgo Po su progetto dell’architetto torinese Ferdinando Bonsignore; iniziato nel 1818, il Pantheon subalpino venne ultimato solo nel 1831, sotto re Carlo Alberto. L’edificio ubbidiva all’idea di una lunga fuga prospettica che doveva collegare la piazza centrale della città, Piazza Castello, alla collina. La chiesa è posta in posizione rialzata rispetto al livello stradale, e una lunga scalinata porta all’ingresso principale. Al termine della scalinata vi è un grande pronao esastilo costituito da sei colonne frontali dotate di capitelli corinzi. All’interno del pronao vi sono ai lati altre colonne, affiancate da tre pilastri addossati alle pareti. Eretta su un asse ovest-est, con ingresso a occidente e altare a oriente, essa presenta orientazioni astronomiche non casuali: a mezzogiorno del solstizio d’inverno, il sole illumina perfettamente il vertice del timpano visibile dalla scalinata d’ingresso. Il timpano, sul frontone, è scolpito con un bassorilievo in marmo risalente al 1827, eseguito da Francesco Somaini di Maroggia, (1795-1855) e raffigura la Vergine con il Bambino omaggiata dai Decurioni torinesi. Ai lati del portale d’ingresso sono visibili due nicchie, all’interno delle quali si trovano i santi San Marco Evangelista, a destra, e San Carlo Borromeo, a sinistra. Fanno parte dell’edificio due imponenti gruppi statuari, allegorie della Fede e della Religione, entrambi eseguiti dallo scultore carrarese Carlo Chelli nel 1828. Sulla sinistra si erge la Fede, rappresentata da una donna seduta, in posizione austera, con il viso serio, sulle ginocchia poggia un libro aperto che tiene con la mano destra, con l’altra, invece, innalza un calice verso il cielo. Spunta in basso alla sua destra un putto alato, che sembra rivolgersi a lei con la mano sinistra, mentre nella destra tiene stretto un bastone. Dall’altro lato si trova la Religione, raffigurata come una matrona imperturbabile e regale: stringe con la mano destra una croce latina e sta seduta mentre guarda fissa l’orizzonte, incurante del giovane che la sta invocando porgendole due tavole di pietra bianca. I capelli sono ricci, e sulla fronte, lasciata scoperta dal manto, vi è una sorta di copricapo, come una corona, su cui compare un simbolo: un triangolo dal quale si dipartono raggi. Spesso, con un occhio al centro del triangolo, il simbolismo è usato in ambito cristiano per indicare l’occhio trinitario di Dio, il cui sguardo si dirama in ogni direzione, ma anche in massoneria è un importante distintivo iniziatico. Perfettamente centrale, ai piedi della scalinata, è l’imponente statua di quasi dieci metri raffigurante Vittorio Emanuele I di Savoia. La torre campanaria, munita di orologio, venne costruita sui tetti dell’edificio che si trova a destra della chiesa nel 1830, in stile neobarocco.

Entrando nella chiesa ci si ritrova in un ampio spazio tondeggiante e sobrio, c’è un’unica navata a pianta circolare, l’altare maggiore, come già indicato, è posto a oriente, all’interno di un’abside semicircolare provvista di colonne in porfido rosso. Numerose sono le statue che qui si possono ammirare, ma su tutte spicca la figura marmorea della Gran Madre di Dio con Bambino, posta dietro l’altare maggiore, il cui misticismo è incrementato dalla presenza di raggi dorati che tutta la circondano. Nelle nicchie ai lati, in basso, vi sono alcune statue simboliche per la città e per i committenti della chiesa, cioè i Savoia. Oltre a San Giovanni Battista, il patrono della città, anch’egli con una grande croce nella mano sinistra, S. Maurizio, il santo prediletto dei Savoia, Beata Margherita di Savoia e il Beato Amedeo di Savoia. La cupola, considerata un capolavoro neoclassico piemontese, sovrasta l’edificio ed è costituita da cinque ordini di lacunari ottagonali di misura decrescente. La struttura è in calcestruzzo e termina con un oculo rotondo, da cui entra la luce, del diametro di circa tre metri. Sotto la chiesa si trova il sacrario dei Caduti della Grande Guerra, inaugurato il 25 ottobre 1932 alla presenza di Benito Mussolini. La bellezza architettonica dell’edificio nasconde dei segreti tra i suoi marmi. Secondo gli occultisti, la Gran Madre è un luogo di grande forza ancestrale, anche perché pare sorgere sulle fondamenta di un antico tempio dedicato alla dea Iside, divinità egizia legata alla fertilità, anche conosciuta con l’appellativo “Grande Madre”. Iside è l’archetipo della compagna devota, per sempre fedele a Osiride, simbolo della consapevolezza del potere femminile e del misticismo, il suo ventre veniva simboleggiato dalle campane, lo stesso simbolo di Sant’Agata. Si è detto che Torino è città magica e complessa, metà positiva e metà maligna, tutta giocata su delicati equilibri di opposti che sanno bilanciarsi, tra cui anche il binomio maschio-femmina. Questo aspetto è evidenziato anche dalla contrapposizione tra il Po e la Dora che, visti in chiave esoterica, rappresentano rispettivamente il Sole, componente maschile, e la Luna, componente femminile. I due fiumi, incrociandosi, generano uno sprigionamento di forte energia. Altri luoghi prettamente maschili sono il Valentino e il Borgo Medievale, che sorgono lungo il Po e sono anche simboli di forza; ad essi si contrappone la zona del cimitero monumentale, in prossimità della Dora, legata alla sfera notturna e femminile. L’importanza esoterica dell’edificio non termina qui, ci sono alcuni che sostengono ci sia un richiamo alle tradizioni celtiche con evidente allusione a un ordine taurino nascosto tra le parole della dedica: se leggiamo l’iscrizione a parole alterne resta infatti la dicitura: Ordo Taurinus. Ma il più grande mistero che in questa chiesa si cela è tutto contenuto nella statua della Fede. Secondo gli esoteristi, la donna scolpita in realtà sorreggerebbe non un calice qualunque ma il Santo Graal, la reliquia più ricercata della Cristianità, e con il suo sguardo indicherebbe il luogo preciso in cui esso è nascosto. Allora basta capire dove guarda la marmorea giovane -secondo alcuni la stessa Madonna – e il gioco è fatto! Sì, peccato che chi ha scolpito il viso si sia “dimenticato” di incidervi le pupille, così da rendere l’espressione della figura imperscrutabile, e il Graal introvabile. Se non per chi sa già dove si trovi.

Alessia Cagnotto

Biennale di Venezia, c’è Andreas Angelidakis di Luci d’Artista

 Luci d’Artista Torino si congratula con Andreas Angelidakis, autore dell’opera luminosa VR Man realizzata per la scorsa edizione, per la nomina a rappresentare il Padiglione della Grecia alla 61ª edizione della Biennale d’Arte di Venezia nel 2026, uno degli appuntamenti internazionali più prestigiosi dedicati all’arte contemporanea.

Il curatore di Luci d’Artista, Antonio Grulli, esprime il proprio entusiasmo per questo importante traguardo:

Sono davvero felice della partecipazione di Andreas Angelidakis nella prossima Biennale Arte di Venezia come rappresentante della Grecia. Poter esporre alla principale rassegna d’arte al mondo è la consacrazione per qualsiasi artista.

Per noi di Luci d’Artista è motivo di grande orgoglio poter vantare, tra le nostre installazioni, una sua opera destinata a illuminare Torino negli anni a venire. Collaborare con Andreas è stato non solo un piacere, ma un vero onore.”

La nomina di Andreas Angelidakis al Padiglione della Grecia alla Biennale Arte di Venezia conferma il valore delle collaborazioni sviluppate nel tempo da Luci d’Artista. A lui vanno le congratulazioni di tutto il gruppo di lavoro e i migliori auguri per questo prestigioso riconoscimento.

Luci d’Artista, ha visto Andreas Angelidakis tra i protagonisti della 27ª edizione con l’opera luminosa VR Man, installata in Piazza Vittorio Veneto a Torino.

VR Man, figura luminosa ispirata alla statuaria classica greca e romana, rappresenta uno degli esempi più emblematici della poetica dell’artista: un dialogo costante tra memoria storica e tecnologie contemporanee, tra corpi antichi e visioni digitali. Un gigante di luce, al tempo stesso atleta e pensatore, cariatide e cyborg, testimonianza della capacità dell’artista di reinterpretare l’eredità classica attraverso un’estetica radicalmente attuale. L’opera VR Man, realizzata in occasione e con il supporto di Torino 2025 FISU Games Winter e il sostegno di Audemars Piguet Contemporary, si riferisce alla pratica atletica come fondamento dei giochi olimpici ma anche come disciplina indissolubile dall’attività intellettuale e spirituale, così come era vista durante il periodo classico greco.

Luci d’Artista è progetto e patrimonio della Città di Torino, realizzato da Fondazione Torino Musei con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, Unione Industriali Torino, Torino 2025 FISU World University Games Winter Audemars Piguet Contemporary. Main sponsor: Gruppo Iren.

 

Andreas Angelidakis (Atene, 1968), vive e lavora ad Atene. Le sue opere indagano lo spazio dove arte e architettura si sovrappongono e in cui le nuove tecnologie influenzano l’architettura e il modo di vivere.  Nel suo lavoro presenta riconsiderazioni delle rovine greche spesso sotto forma di video digitale, sculture morbide e mobili, dando vita a un’interpretazione giocosa che offre un’esperienza fisica diretta al visitatore. Ha partecipato come artista a diverse mostre internazionali, tra cui: The State of the Art of Architecture alla prima Biennale di Architettura di Chicago, la 12° Triennale del Baltico al Centro d’Arte Contemporanea di Vilnius. Nel 2019 ha partecipato alla Bergen Assembly, mentre ha contribuito al Parlamento dei corpi di Paul B. Preciado per documenta 14 nel 2017, nonché alla Biennale dell’Immagine in Movimento alle OGR di Torino. Nel 2020 ha realizzato la grande installazione POST-RUIN Bentivoglio a Palazzo Bentivoglio a cura di Antonio Grulli e nel 2022 Center for the Critical Appreciation of Antiquity l’opera d’arte più ambiziosa mai realizzata, commissionata da Audemars Piguet Contemporary e presentata all’Espace Niemeyer, Parigi (11-30 ottobre 2022) a Parigi. Tra le mostre che l’artista ha curato ricordiamo The System of Objects alla Deste Foundation di Atene, Super Superstudio al PAC di Milano, Fin de Siècle allo Swiss Institute di New York, Period Rooms al Het Nieuwe Instituut di Rotterdam e OOO Object Oriented Ontology alla Kunsthalle di Basilea.