ARTE

Torino, capitale italiana del Liberty

Oltre Torino: storie miti e leggende del torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte.

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare. Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autori delle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo BreveNegli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l  Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli   di viaggio ”  per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la citt à
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicit à
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty: Mucha e Grasset
9.  La linea che veglia su chi  è  stato: Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa Grock
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Articolo 2. Torino, capitale italiana del Liberty

In seguito allEsposizione Internazionale delle Arti Decorative del 1902 a Torino, gli artisti e i professionisti presenti ebbero lopportunità di conoscere e visionare i più rappresentativi esempi di Art Nouveau, firmati proprio dai migliori esponenti della corrente artistica di tutto il mondo. Successivamente a tale avvenimento e grazie alla presenza sul territorio di abilissimi architetti e assai preparati ingegneri,  che potevano contare su una ricca classe borghese e imprenditoriale, la città sabauda si trasformò in un immenso cantiere di sperimentazione stilistica, che in circa trentanni portò alla realizzazione di un gran numero di edifici appartenenti alle più svariate tipologie, sia industriale che residenziale, dai palazzi destinati allistruzione o al culto, fino ad alcuni esempi di arte funeraria. Gli artisti torinesi interpretarono il Liberty con originalità e maestria, rivisitando le scuole dellArt Nouveau, da quella franco-belga a quella austro-tedesca,  con occhio personale e mai scontato. Torino, ancora oggi nota per le grandi architetture barocche dei palazzi nobiliari e delle celebri residenze sabaude, vede affermarsi dunque, tra la fine dellOttocento e linizio del Novecento, una nuova corrente artistica, meglio conosciuta come Liberty. Di questo stile, Torino presenta numerose testimonianze di pregio, al punto da essere considerata la capitale del Liberty italiano.

Sul piano prettamente estetico il Liberty affronta leterno problema del bello, ovvero lideale di un socialismo della bellezza inteso come diffusione e messa a disposizione di prodotti artistici presso una sempre più vasta porzione di cittadinanza, nelle più disparate applicazioni, verso ununica adesione ad unestetica condivisa, che ha nella natura il suo inizio e la sua fine. Grazie allo sviluppo industriale e agli interventi urbanistici in varie zone della città, il Liberty si impose elegantemente nelle linee architettoniche di interi quartieri, dalla Crocetta alla Gran Madre, da Cit Turin a San Donato. In ogni spazio edificato allinizio del secolo scorso su impulso della nuova borghesia industriale, vi è la chiara impronta delloriginale stile artistico europeo, di cui ancora oggi  possiamo ammirare lelegante armonia architettonica.Passeggiando per Torino, con lo sguardo attento ai palazzi più rappresentativi, che si stagliano netti ed eleganti per le vie della città, non si può fare a meno di rimanere estasiati e ammirati di fronte alla raffinatezza espressiva di alcuni edifici, dalle linee flessuose e curve, dai tratti morbidi” delle facciate, che ancora ci sorprendono per la loro piacevole bellezza architettonica. Osserviamo tetti insolitamente ricchi,  vetrate che catturano la luce riflessa in colori pastello,  tettoie con strutture in ferro-vetro, dettagli di balconi dalla ringhiera incurvata, dove lalternanza vuoto-pieno sottolinea vitalità e dinamismo. E poi portoni, mancorrenti, finestre con finezze di particolari, festoni e fregi che richiamano la grazia della natura mediante la riproduzione di piante, foglie, tralci, fiori, tutta una leggiadria di forme che sembrano quasi nascondere e tacitare il peso del litocemento.  E poi ancora la riproduzione di rampicanti che, sviluppandosi in altezza, sanno dare un tocco di levità ai palazzi, arricchiti anche da conchiglie, sirene, animali araldici, curiosi ghirigori.  Ogni edificio mantiene una propria impronta particolare, ma, nel richiamarsi alla nuova linea floreale, la sa esaltare in strutture di spettacolare bellezza, come il flessuoso e morbido bovindo, bow-window, che nellinglese antico significa finestra ad arco, ed è, nelledificio, la parte di un ambiente aggettante verso lesterno, come un balcone chiuso da vetrate.

Lingegnere Pietro Fenoglio, il più grande architetto torinese di questo stile, ne ha realizzati numerosissimi in città, e in forme assai diverse, rettangolari, ovali, quadrate, circolari, cilindriche. A mezza altezza tra la strada e il tetto, il bovindo, anche solo di un metro quadrato o poco piùè una magnificenza costruita sulla facciata, dove la fantasia creativa ben si accompagna al tratto fluido e morbido, alla varietà e allinventiva. E così, nella  malinconica Torino gozzaniana  che mi piace ricordare (Come una stampa antica bavarese/vedo al tramonto il cielo subalpino/Da Palazzo Madama al Valentino/ ardono lAlpi tra le nubi accese/ E’ questa lora antica torinese,/ è questa lora vera di Torino), trovano spazio architetture quasi gioiose, dove il rosso del mattone ben si accorda al grigio chiaro del litocemento. In una perfetta costruzione armonica, ogni più piccolo particolare è studiato con cura, e i ferri battuti delle ringhiere dei balconi a volte differiscono volutamente per qualche minimo dettaglio, che solo una disamina attenta riesce a cogliere, e anche gli androni, le scale, i mancorrenti sono originali e costruiti ad arte. Nello stile floreale gli ornamenti fanno parte della costruzione complessiva, non sono elementi puramente accessori, quasi in aggiunta, al contrario prendono, per così dire, vita dalla bellezza dellinsieme.   Improntati allo stile Liberty, Torino presenta non solo un gran numero di case e villini, ma anche stabilimenti industriali, uffici pubblici e scuole, disseminati nei vari quartieri della città, la CrocettaSan Donato, il CentroSan Salvario, la Gran MadreCit Turin.

Di certo è stata troppo breve lingenua e ottimistica stagione Liberty, ben presto labilità tecnica si concretizzò negli orrori della guerra e la realtà drammatica che si andò delineando portò a una diffusa sfiducia nei confronti dellarte come materia salvifica. La bellezza dunque non è più né ricercata né indagata, la funzione” prevale sulla forma” e la violenta modernità si manifesta con canoni antitetici rispetto agli ideali dellArt Nouveau. Il tempo della natura e dei suoi mirabolanti ghirigori viene schiacciato dal suono devastante delle bombe e delle grida del primo conflitto mondiale.

 

Alessia Cagnotto

Al Filatoio di Caraglio Helmut Newton e alla Castiglia di Saluzzo Ferdinando Scianna

Il Filatoio di Caraglio e la Castiglia di Saluzzo, esemplari unici del patrimonio architettonico piemontese,  ospiteranno nell’autunno 2025 due mostre monografiche su due protagonisti indiscussi della fotografia del Novecento, Helmut Newton (1920-2004) e Ferdinando Scianna (1943).

Al Filatoio di Caraglio, nel Cuneese, antico setificio seicentesco tra i più importanti d’Europa, oggi polo culturale e sede del Museo del Setificio Piemontese, dal 23 ottobre prossimo al 1 marzo 2026 sarà allestita l’esposizione intitolata “Helmut Newton. Intrecci”.
La mostra riunisce oltre cento fotografie, tra cui diversi scatti inediti, frutto delle prestigiose collaborazioni con brand di fama internazionale come Yves Saint Laurent, Ca’ del Bosco, Blumarine, Absolute Vodka e Lavazza.

La rassegna è  curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino, ed è  introdotta da una serie di fotografie che hanno consacrato Newton come uno dei più celebri fotografi di moda del mondo, e restituisce lo sguardo audace di un autore capace di creare scenari onirici, ambigui e provocatori. La complicità con modelle come Monica Bellucci, Nadia Auermann, Kate Moss, Carla Bruni e Eva Herzigova, unita alla fiducia da parte degli stilisti, delle riviste e dei brand internazionali, gli ha permesso di ridefinire canoni della fotografia, facendone un linguaggio teatrale e evocativo. Nel corso degli anni Newton si è  avvicinato alle grandi committenze della moda, sviluppando anche progetti per marchi prestigiosi del mondo produttivo, come la Lavazza, esplorando aspetti nuovi del suo stile, sempre iconico e radicale.
“Helmut Newton. Intrecci”, appositamente concepita per il Filatoio di Caraglio dalla Fondazione Artea, realizzata in collaborazione con il Comune di Caraglio, offre un percorso originale, approfondendo alcuni aspetti inediti della carriera del grande fotografo.
Analogamente ad un’altra esposizione, sempre promossa dalla Fondazione Artea e dedicata a Ferdinando Scianna, ospitata alla Castiglia di Saluzzo, nel Cuneese, antica fortezza e residenza marchionale, oggi spazio museale e luogo del contemporaneo, che negli ultimi due anni ha accolto progetti dedicati ai grandi maestri della Magnum Photos.
Dal 24 ottobre 2025 al primo marzo 2026 verrà ospitata, infatti, alla Castiglia di Saluzzo, la personale di Ferdinando Scianna, originario di Bagheria nel 1943, primo fotografo italiano ad essere annoverato tra i membri della prestigiosa agenzia internazionale.

La mostra reca il titolo “La moda, la vita” ed è curata dal direttore artistico de ‘Le Stanze della Fotografia’ a Venezia, Denis Curti, realizzata in collaborazione con il Comune di Saluzzo, e indaga uno dei capitoli meno noti della carriera di Scianna, la moda. Si tratta di un tema che l’artista affronta utilizzando il linguaggio da fotogiornalista e scardinando ogni estetica patinata a favore di una narrazione più umana. Esemplificativa, in questo percorso, la campagna promossa per Dolce &Gabbana, con la modella Marpessa, ambientata in diverse località della Sicilia.
Il percorso espositivo presenta oltre novanta fotografie, che costituiscono la produzione di Scianna realizzata tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, per alcune delle più importanti riviste al mondo come Stern, Vogue e Vanity Fair. Negli scatti di Scianna si fondono memoria e intuizione, fotografia e letteratura, etica e stile, in un approccio che ha consentito all’artista di capovolgere i modelli in genere consacrati al fascino delle passerelle, rendendo la fotografia di moda un racconto visivo capace di mantenere intatto il legame tra verità, cultura e immagine.

Mara    Martellotta

“La rosa s’aperse”: al Polo Museale di Druogno

Ampia selezione di opere grafiche e pittoriche raccolte in una suggestiva retrospettiva dedicata ad Elisabetta Viarengo Miniotti

Fino al 28 settembre

Druogno (VB)

Fin dal titolo – “La rosa s’aperse” – il messaggio è da subito ben chiaro. Il “viaggio” sarà tutto “ viaggio di poesia”. Poesia, di quella alta, che non ti lascia il tempo di tirare il fiato e ti porta inesorabilmente in quell’universo silenzioso e appartato fatto di armonia e bellezza dov’è giocoforza arrenderti allo smarrimento e alla pura contemplazione. Tant’è. Questo capita aggirandosi fra le sale espositive del “Polo Museale UniversiCà” di Druogno, storica località turistica della splendida Val Vigezzo (Verbano-Cusio-Ossola), che, fino a domenica 28 settembre, ospita, a cinque anni dalla scomparsa, un’ampia selezione di opere grafiche e pittoriche  dell’artista torinese Elisabetta Viarengo Miniotti, pittrice (allieva di Filippo Scroppo e di Giacomo Soffiantino all’“Accademia Albertina” di Torino) e straordinaria maestra di “incisione”, tecnica approfondita a Venezia al “Corso Internazionale di Incisione Sperimentale” sotto la guida di Riccardo Licata. Questo capita. E al sottoscritto, fidatevi!, è più volte capitato (“experientia docet”) trovandosi, più d’una volta, “vis à vis” con le opere dell’artista (Torino, 1937 – 2020). Realizzata dalla “Fondazione Elisabetta Viarengo Miniotti E.T.S.” (aperta a Torino, in via Villarbasse 30, dov’era lo studio della stessa pittrice), con il patrocinio di “Regione Piemonte”, “Provincia del Verbano-Cusio-Ossola”, del “Comune di Druogno”, dell’“Unione Montana Valli dell’Ossola” e della “Comunità Montana Val Vigezzo”, la rassegna è curata e presentata con fine maestria da Gianfranco Schialvino.

Che proprio a quella “rosa s’aperse” (poetico titolo della mostra e contenuto narrativo della “preziosa” acquaforte esposta in rassegna “Il giardino di re Mida” del 2015) s’appiglia per ricordarne la similare immediata affinità letteraria con il dannunziano “fiore s’aperse” dell’“Oleandro”dall’“Alcyone” del “Vate” pescarese (1903), pur propendendo per un miglior approccio alla “rosa fresca aulentissima”, celebre “contrasto” in “volgare” siciliano (XIII secolo) di Cielo d’Alcamo (giullare o poeta di corte?) poiché  “come la pagina miniata – annota Schialvino – di un ‘incunabulo di nostra gente’ l’avventura artistica di Elisabetta Viarengo Miniotti offre e richiede due metodi di lettura: quello dell’ammirazione per la sua perizia tecnica, che le consentiva di passare con disinvoltura dai pennelli agli acidi, dalle tele alla carta, dal bistro ai colori; e quello per i rischi che un artista ama ogni volta affrontare nella ricerca di soggetti nuovi, mai crogiolandosi su quel che ha già raggiunto in perfezione bensì gettandosi a capofitto in sempre diverse avventure”. E ogni pennellata, per Elisabetta, era davvero un “rischio”, una magnifica “avventura”. Rischio linguistico calcolato, rapido, corposo, inventivo, ma sempre in grado di bloccarsi all’istante, laddove l’impulso creativo rischiava di estromettere dai binari dell’“armonia” racconti di uomini e cose- di inquietanti “Arlecchini” nascosti dietro i tronchi biancastri delle betulle – di oggetti, figure e immagini di natura o di animali (poesia pura quella farfalla con la “polvere di giaggiolo” sulle ali!) che nelle sue opere diventavano “corpo unico” (esemplare in tal senso il corpo del nuotatore che diventa massa confusa fra acque ingorde e voraci) nel vigoroso abbraccio del colore o in una gestualità (per la quale si sono trovate importanti numerose assonanze e influenze con alcuni “grandi” dell’arte internazionale) ma che mai riuscì a sfiorarne il benché minimo tentativo di abbandonare la strada di una mai barattabile “singolarità”.

Nel campo soprattutto di “un’astrazione – scrive la critica d’arte e sua sincera amica Donatella Tavernache era piuttosto indefinitezza, poiché il finito, il netto, il fotografico era secondo lei limitante e in un certo senso ottundente”. Parole chiare di chi ben ne conosceva l’indole, l’onestà e l’afflato artistico. “Elisabetta non ha mai cercato clamore – aggiungono ancora i famigliari dell’artista cui si deve la nascita della ‘Fondazione’ a lei dedicata – eppure chiunque l’abbia conosciuta sa bene quanto fosse intensa la sua dedizione all’arte”. Alla visione di un mondo “di cui come famiglia e come ‘Fondazione’ ci sentiamo custodi, desiderosi di condividerla, di farla sbocciare ancora … come una rosa che continua ad aprirsi”.

Gianni Milani

“La rosa s’aperse”

Polo Museale UniversiCà, via Colonia 2, Druogno (VB); tel. 393/2611963 o www.universica.it  .

Fino al 28 settembre

Orari: luglio festivi; agosto, dall’1 al 17, tutti i giorni; dal 18 al 31, festivi; settembre su prenotazione

Nelle foto: Elisabetta Viarengo Miniotti “Giardino di re Mida”, acquaforte, 2015; “Nascondino (Arlecchino)”, olio su tela, 2011; “In vasca 2”, olio su tela, 2003; “Visitazione”, acquaforte a ceramolle, 20

“Appunti di volo” di Fernanda Core alla Patronale di Trino

Giovedì 21 agosto dalle ore 18 alle 20, presso Palazzo Paleologo in pza Garibaldi a Trino, si inaugura la mostra di oli, acquerelli, guache e disegni su carta tinta, nonché grafica e stampe della pittrice Fernanda Core. Una esposizione personale d’arte che viene proposta per il quarto anno consecutivo ed è ormai diventata una tradizione della Associazione del Lantarnìn per la festa patronale di Trino.

Il titolo della mostra è “Appunti di volo”, in edizione rinnovata. Sono opere che come scrive la critica Giuliana Bussola nella bella presentazione, riflettono su suggestioni scaturite dallo studio di artisti come Piero della Francesca, Segantini, Vittore Carpaccio, o Caspar David Friedrich, rappresentante del Romanticismo tedesco, e ci fanno intraprendere un viaggio nella leggerezza, lasciando per un momento le preoccupazioni che ci allarmano.
L’artista stessa considera il proprio lavoro come una cura, una via per immergersi altrove quando, come ora, la cronaca è dura, difficile da edulcorare, per certi versi insopportabile, e non abbiamo alcuna possibilità di intervenire per cambiarla.
Percorrendo la mostra la sensazione onirica è palpabile, e si snoda un racconto sia nel mondo del visionario, che in quello autobiografico, come nelle opere sulla Val d’Ayas, amato luogo di villeggiatura, o nei “ricordi” del viaggio negli Stati Uniti fatto con la madre.
Un sottile gioco tra realtà e immaginazione ” conclude Giuliana Bussola “che Fernanda Core riesce a trasmetterci con empatia cognitiva, alimentando l’interesse degli spettatori, facendoli coinvolgere nel grande mondo dell’Arte ”
La mostra prosegue fino al 31 agosto, con i seguenti orari:

venerdì 22- martedì 26 agosto ore 20,30/22,00

sabato 23 -domenica 24 agosto ore 17,00/22,00

lunedì 25 -sabato 30 -domenica 31 agosto ore 10,00/13,00 – 17,00/22,00

CAMERA meets ICP. Un archivio vivente

Una selezione fra 10mila fotografie, realizzate in 10 anni di storie per immagini, raccolte nella “Project Room” di “CAMERA” a Torino

Dal 4 luglio al 14 settembre

Un Oceano di “scatti fotografici”. Impressionante per quantità e contenuti. Per gli organizzatori “un archivio vivente di immagini e storie su Torino e oltre”.

Parliamo della mostra “CAMERA meets (incontra) ICP. Un archivio vivente”, ospitata da venerdì 4 luglio a domenica 14 settembre, all’alba della decima edizione dell’“Intensive Program in Visual Storytelling”, nella “Project Room” di “CAMERA – Centro Italiana per la Fotografia” di via delle Rosine, a Torino. In rassegna, una ricca selezione del materiale fotografico realizzato nelle scorse edizioni del programma di “alta formazione professionale” nato nel 2016 dalla collaborazione di “CAMERA” con l’“International Center of Photography (ICP)” – scuola fondata da Cornell Capa (fratello del leggendario Robert) nel 1974 e sede degli “Infinity Awards” dal 1985 – che ad oggi conta oltre 10mila fotografie realizzate da 221 studenti arrivati a Torino, ogni anno a luglio, da 34 Paesi del mondo.

Curata da Cristina Araimo (responsabile delle attività educative), Barbara Bergaglio (responsabile archivi) e Giangavino Pazzola (curatore e responsabile dei progetti di ricerca), la mostra, che per tutta l’estate farà da forte richiamo a un pubblico sempre più curioso e attento, presenterà un’accurata selezione tra le migliaia di fotografie prodotte fino ad ora, un vero e proprio archivio visivo della città di Torino, protagonista dei progetti fotografici degli studenti e delle studentesse provenienti, oltre che da diverse zone d’Italia, da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Ucraina, Filippine e Argentina.

“I partecipanti al programma intensivo – spiegano gli organizzatori – hanno lavorato sulla città osservandola da diverse angolature e attraverso la lente di numerose tematiche, alcune delle quali ricorrenti, come la crisi abitativa connessa alla fragilità sociale, affrontata in diversi progetti tra cui quello dedicato ai servizi di ‘social housing’ e ai ‘bagni pubblici’ di via Agliè; le comunità straniere, come quella somala e cinese, la vita dei giovani di seconda generazione e le esperienze di integrazione nei quartieri di Barriera di Milano, Borgo Dora e Aurora; il tema dell’identità di genere e dei diritti, esplorato in progetti che hanno messo in luce la vita di persone ‘queer’ nell’ambito dell’associazionismo e dello spettacolo dal vivo per arrivare infine al tema centrale delle donne e del lavoro”.

Immagini che raccontano i sostanziali, spesso infelici cambiamenti, realizzati e subiti nell’ultimo decennio dal tessuto urbano e umano cittadino e che, in esposizione vengono presentate, in vario modo: attraverso la “visualizzazione grafica” delle dieci edizioni del programma di formazione rappresentata da “dieci cassetti” di un “archivio ideale”, dove i visitatori, attraverso il materiale informativo, possono approfondire i dati relativi alle provenienze degli studenti, ai temi trattati nei loro progetti, ai risultati e alle forme del processo creativo o (è il caso di una selezione di 300 immagini) “come proiezione” o “formato cartolina” a disposizione del pubblico all’interno di un “archivio reale”.

Infine sono esposti 42 scatti firmati da sette giovani fotografi internazionali – Lucia Buricelli (Italia), Nastassia Kantorowicz Torres (Colombia), Gianluca Lanciai (Italia), Ashima Yadava (USA), Deka Mohamed (Italia), Andrés Altamirano (Ecuador), Iva Sidash (Ucraina) – che hanno frequentato sia il programma intensivo di “CAMERA” a Torino sia il “One Year Certificate Program” a New York. Particolarmente toccante lo scatto (2024) di Iva Sidash che ritrae “Stepan”, soldato ucraino di 28 anni seduto nella sua camera da letto in un centro di riabilitazione a Staten Island (New York), mentre ripensa con occhi stanchi al caro prezzo pagato a una guerra scellerata e disumana di cui porterà a vita le gravi, criminali ingiurie. Suggestiva anche la foto scattata nel 2019 dall’americana Ashima Yadava e inserita nel progetto “Bright Star” realizzata a Torino e che narra la bellezza e l’intensità delle relazioni sentimentali tra persone di diverse età, genere e provenienza; così come la fresca briosa immagine realizzata a Torino, al mercato di Porta Palazzo, nel 2016 da Nastassia Kantorowicz Torres, durante la prima edizione del “CAMERA/ICP Intensive Program in Visual Storytelling”.

In rassegna, anche video e contenuti multimediali dedicati alle proposte educative delle due istituzioni.

Gianni Milani

“CAMERA meets ICP”; “CAMERA”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Dal 4 luglio al 14 settembre

Orari: lun. mart. merc. ven. sab. dom. 11/19; giov. 11/21

Nelle foto: Allestimento, part. (Ph. Enrico Turinetto); Iva Sidash “Stepan”; Ashima Yadawa “Bright Star”; Nastassia Katorowicz Torres: “Porta Palazzo”

A Verbania “Aria Acqua Terra. Dall’ambiente al paesaggio”

Il Museo del Paesaggio di Verbania ospita fino al 28 settembre prossimo la mostra dal titolo “Aria Acqua Terra. Dall’ambiente al paesaggio” a palazzo Viani Dugnani, in via Ruga 44. Curata da Guido Curto, presenta opere di Maura Banfo, Daniele Galliano, Andrea Massaioli e Pierluigi Pusole.

L’arte contemporanea, declinata in fotografie e dipinti, dialoga con le tele ottocentesche della collezione permanente della Pinacoteca del Paesaggio di Verbania. Sono una ventina le opere esposte degli artisti contemporanei,  affermati e attivi in Piemonte, che trovano ispirazione negli elementi che sono alla base della bellezza del creato, aria, acqua e terra, come indica il titolo della mostra, posti in relazione tra loro, come indica il sottotitolo.
In mostra le opere di Daniele Galliano, originario di Pinerolo (1961) , che si confronta con gli elementi naturali più vicini all’uomo, raffigurandoli con colori forti; cieli blu e prati verdi appaiono costellati di essere umani accennati  con pennellate di tocco, che risultano tipiche dei macchiaioli italiani e del pointillisme francese, rivisitati in chiave moderna.
Un altro artista in mostra è  Andrea Massaioli, nato a Torino nel 1960, che si allontana progressivamente dalla dimensione figurativa, approdando ad un’astrazione che si spinge fino ai confini dell’informale. I suoi grandi quadri presentano un vasto scenario naturalistico  che fa da sfondo al vero soggetto del quadro.
Il paesaggio si mostra attraverso vibrazioni, tracce e composizioni simboliche.
Terzo artista in mostra è  Pierluigi Pusole, anch’egli torinese, nato nel 1963, la cui opera pittorica si ispira a laghi, montagne, cieli solcati da nubi, come quelli tipici dell’estate del Verbano Cusio Ossola, immagini che paiono emergere in un equilibrio fra forma e dissolvenza.
La fotografia in chiave pittorica è, invece, usata da Maura Banfo, sempre artista di nascita torinese ( 1969) , capace di trasformare l’immagine in uno spazio visivo, con paesaggi appena accennati da una luce riflessa.

Così in “Aria Acqua Terra. Dall’ambiente al paesaggio” quattro affermati artisti hanno scelto come  soggetto d’ispirazione poetica gli elementi primigeni della natura e del paesaggio, nella bellezza straordinaria del contesto naturalistico del lago Maggiore. Il risultato della mostra è  un’esposizione site specific, con alcune opere esposte per la prima volta al pubblico proprio a Verbania, e realizzata grazie al sostegno della Città di Verbania, il patrocinio della Regione Piemonte e Distretto Turistico dei Laghi e delle Valli.

Mara Martellotta

“Adapted Sceneries” al MAO per non dimenticare la “Tienanmen coreana”

La tradizionale pittura di paesaggio coreana si confronta con la “modernità” e la memoria ancora viva dei fatti del “18 maggio ‘80”

Fino al 7 settembre

“Scenari adattati”. Ovvero il passaggio dalla delicata, sacrale bellezza artistica del paesaggio alla rivendicazione del farsi, la pittura, atto di ricerca e memoria legata alla storica tragicità di spietate, mai del tutto sopite, dittature. “Adapted Sceneries”: di qui il titolo dato alla mostra programmata fino a domenica 7 settembre prossimo, al secondo piano delle “Collezioni permanenti” e nell’area espositiva “t-space” al piano terra del “MAO” di Torino. Organizzata dal “Museo” di via San Domenico in collaborazione  con il coreano “Gwangju Museum of Art”, la rassegna é dedicata alla più storica “pittura di paesaggio coreana” (sansuhwa) affiancata ad opere di più stretta “attualità” (storica ed artistica), insieme ad altre ispirate al “Movimento di Democratizzazione del 18 maggio” ovvero alla rivolta popolare scoppiata il 18 maggio 1980 nel centro di Gwangju (la “Tienanmen coreana”) in Corea del Sud contro la dittatura di Chun Doo-hwan con scontri, davanti alla “Chonnam National University” che portarono a migliaia di vittime fra studenti, professori e comuni cittadini. Nel 1997 i presidenti Chun Doo-hwan e Roh Tae-woo vennero processati e condannati per il “massacro” di Gwangju, insieme ad altri 17 imputati e, in seguito, graziati. Nel 2002 venne creato un cimitero nazionale per le vittime e il 18 maggio fu dichiarato “Giornata Nazionale di Commemorazione”.

Mostra, dunque, su cui riflettere, non solo come suggestivo, poetico “spaccato” artistico di un’arte le cui origini risalgono al periodo cosiddetto “Goguryeo” (37 a. C. – 668 d. C.) e tipicamente caratterizzata nel corso dei secoli, fino ai primi del Novecento – con il declino del “buddismo” e la diffusione del “confucianesimo” – dai “colori brillanti” e dalle “linee fluide”, riattate in epoca moderna in minuti contrasti di bianco e nero, da cui emergono astratte visioni di figure umane e animali captate in un certosino gioco di realtà e pura fantasia, ma anche in pagine narrative che ancora vogliono essere documento storico di denuncia e vitale espressione e domanda di quotidiana libertà sociale per cui combattere e resistere fino alle estreme conseguenze.

L’evento espositivo rientra nell’ambito del progetto “Cultural City Gwangju 2025” e dell’accordo di collaborazione tra la “Città di Gwangju” e la “Città di Torino” sottoscritto nel 2024.“Adapted Sceneries” offre dunque un’opportunità significativa “per far conoscere – sottolineano i curatori Ik YunHyeokjin Lee e per il ‘Museo’ torinese Davide Quadrio (direttore) e Anna Musini – la tradizione artistica e la storia di Gwangju e della regione di Jeollanam-do al pubblico italiano attraverso la collaborazione con il ‘MAO’ di Torino, città che si distingue per la sua vivacità culturale e che, come Gwangju, soprannominata la ‘Città dell’Arte’, valorizza la cultura come elemento chiave della sua identità”.

L’itinerario espositivo offre dunque inizialmente  uno sguardo approfondito sulla “pittura Namjonghwa” (“Scuola di pittura del Sud”), un genere fondamentale nella storia dell’arte coreana, insieme però a “reinterpretazioni contemporanee” della pittura più tradizionale. Tra le opere esposte, quelle di Heo Ryeon (soprannominato “Peonia” per il frequente reiterarsi della profumatissima “pianta” nei suoi dipinti), Heo Baekryeon e Heo Hangmyeon sottolineano la “sensibilità estetica della pittura coreana classica”, mentre i lavori di Lee SunbokHeo DalyongHong Sungmin e Kim Hoseok (con quel minuto lavoro grafico di “The History of the Gwangju Democratic Uprising 2” dove il caos segnico di una sorta di “nuvola antropomorfa” racconta, a ben guardare, la durezza della rivolta e della sofferenza popolare) mostrano l’evoluzione del linguaggio pittorico, attraverso un riavvicinato dialogo fra tradizione e modernità. Uno spazio particolare viene dato proprio alle opere ispirate al “Movimento di Democratizzazione del 18 maggio”, movimento quasi del tutto sconosciuto in Europa. Attraverso queste opere e alcuni importanti materiali d’archivio forniti grazie al supporto di “5.18 Democracy Moviment Archives” e “The May 18 Foundation”, il pubblico potrà approfondire le testimonianza drammatiche di questo momento storico cruciale per la Corea, “non solo ammirandone la bellezza del panorama artistico, ma anche comprendendone il valore e il significato sia in relazione alla storia moderna, sia allo scenario culturale globale”.

Gianni Milani

“Adapted Sceneries”

“MAO-Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 7 settembre

Orari: mart.- dom. 10/18; lunedì chiuso

Nelle foto: Parte allestimento (Ph.Studio Gonella); Heo Baekryeon “Painting of Bronze Vessels and Flowering Plants”, 1950 circa; Heo Hangmyeon “View of Baekyangsa Temple”, 1942; Kim Hoseok “The History of the Gwangju Demomocratic Uprising 2”, 2000

Expocasa 2025 si rinnova, l’arte urbana di John Blond apre una nuova stagione nell’era dell’abitare

Nei giorni scorsi le pareti che incorniciano il sofisticato impianto di areazione all’ingresso dell’Oval Lingotto Fiere si sono trasformate in un’opera di arte urbana. I celebri ‘Noodles’ dello street artist John Blond  hanno invaso lo spazio, anticipando visivamente la metamorfosi di Expocasa 2025, organizzata all’Oval Lingotto Fiere da Gl Events Italia dal 4 al 12 ottobre prossimi.

L’intervento segna una storica svolta per la celebre manifestazione che si apre al design, all’arte e all’innovazione, evolvendo in una vera Turin Design Week. L’intervento percorre l’arrivo del Salone e resterà visibile anche dopo la manifestazione,  lasciando un segno tangibile nella geografia visiva del quartiere fieristico.
La decorazione accoglie i visitatori e segna simbolicamente l’ingresso in una nuova era per Expocasa; dopo oltre sei decenni di storia l’evento dedicato alle frontiere dell’abitare ha deciso di cambiare passo e superare i confini della tradizionale fiera dell’arredamento, per diventare un laboratorio culturale e urbano, capace di interpretare i cambiamenti della vita quotidiana.
Il rinnovamento dell’identità visiva è stato affidato a John Blond, artista e designer tra i più interessanti della scena creativa italiana. Ne è  scaturito molto di  più di un’immagine coordinata. Il nuovo volto di Expocasa riflette, infatti, l’invito a ripensare il nostro modo di abitare, vivere e immaginare la casa, con occhi nuovi e con uno sguardo che unisce radici e contemporaneità.

La scelta segna inoltre un punto di svolta nel percorso della manifestazione  che diventa Turin Design Week, aprendosi sempre più al design, all’arte e all’innovazione tipici di Torino.
Protagonisti della trasformazione di Expocasa sono i ‘Noodles’ di Blond, pattern ipnotici e dinamici, in cui linee fluide si intrecciano su superfici cromaticamente esplosive.
Dalle tele ai muri urbani, dagli oggetti quotidiani alle installazioni monumentali, il segno di Blond conquista ogni supporto. Questa energia visiva ha preso forma sulle pareti antistanti  l’Oval Lingotto Fiere, ma non si ferma lì perché l’artista ha anche firmato il nuovo manifesto del Salone e continuerà ad esprimersi nei giorni della manifestazione.

Blond realizzerà un’installazione immersiva che accompagnerà i visitatori durante Expocasa. Il suo spazio di azione  includerà pitture murali, arredi e oggetti personalizzati e sarà  completato il giorno dell’apertura di Expocasa nel corso di una performance artistica dal vivo. Alcuni oggetti da lui rappresentati e personalizzati, come sedie, specchi, vasi, piccoli mobili, saranno disseminati all’interno del Salone e regalati a chi saprà trovarli. Così i visitatori diventeranno protagonisti di una caccia al tesoro creativa.

“Con Expocasa 2025 vogliamo proporre un’esperienza culturale che metta il design al centro come linguaggio trasversale – afferma Gàbor Gancer, amministratore delegato di GL events Italia- per questo abbiamo scelto un artista in grado di tradurre questa visione in forme potenti e originali”.

“I miei Noodles sono un flusso continuo,  come il cambiamento – afferma John Blond. Portarli a Expocasa significa intrecciare arte e quotidianità,  creare un ambiente capace di sorprendere, di coinvolgere e lasciare un ricordo. È un invito a guardare la casa come un oggetto vivo, in movimento”.

Location Oval Lingotto Fiere, Torino

Date 4-12 ottobre 2025.

Doppio accesso per facilitare i visitatori che arrivano dalla stazione ferroviaria Torino Lingotto e fermata Metropolitana Italia 61.

Orari di apertura

Lunedì- venerdì 15-21

Sabato e domenica 10-21

Mara Martellotta

Attraverso il bianco. L’arte contemporanea omaggia la montagna

Al “Forte di Bard” le opere di sette artisti appartenenti  all’Associazione Culturale “White View art gallery” di Aosta

Fino al 21 settembre

Bard (Aosta)

“Riunire un gruppo di artisti il cui sguardo e la cui poetica siano in relazione con la montagna valdostana, organizzare e curare eventi che ne sostengano e diffondano il lavoro, promuovendo al contempo le straordinarie peculiarità dell’ambiente naturale della Vallèe”. Primo focus, su cui incentrare, da parte di tutti, mestiere, immaginazione e creatività ovviamente il Monte Bianco“Tetto d’Europa” e “Re delle Alpi”, con tutte le vette che danno forma alla stupefacente suggestione di questo territorio alpino, anch’esso oggi così fortemente a rischio di mortificante impoverimento per l’inevitabile conseguenza di una crisi climatica all’apparenza inarrestabile e che rischia di cancellare nel tempo un “patrimonio glaciale” esteso a oggi per oltre 165 chilometri quadrati. Con questi primi obiettivi, nasceva nel 2022, dall’idea di Andrea Nicola (presidente dell’“Ordine dei Farmacisti” aostani, imprenditore e attento collezionista) l’Associazione “White View art gallery”, cui si deve oggi, e fino a domenica 21 settembre, l’organizzazione della mostra “Attraverso il bianco” ospitata negli spazi della “Cappella” del Forte sabaudo, oggi importante “Polo Culturale” delle Alpi occidentali.

Sette gli artisti (valdostani d’origine o d’adozione) presenti in rassegna, attraverso opere che parlano linguaggi e concezioni del “fare arte” assolutamente diverse fra loro, ma fortemente accomunate da quel raccontare la montagna con pennelli e colori in ogni caso intrisi di visioni per le quali il “veduto” è sempre “tavola di prova” per viaggi in territori univoci costruiti sulla percezione di fantasie, emozioni e suggestioni che si fanno materia di narrazione completamente libera da schemi e mai pagine scontate, dove il “bianco” (come da titolo) richiama sì il colore delle cime innevate, “ma anche il bianco come colore della sospensione, del silenzio, della potenzialità creativa”. Come “metafora di un territorio interiore, eco silenziosa di un’emozione profonda, riverbero di un tempo che si fa spazio da abitare fra atmosfere sospese e la matericità delle vette”. Ecco allora quell’evanescente, sfocato “Nord Ovest” di Massimo Sacchetti, aostano doc, dove “il massiccio del Bianco – racconta lo stesso Sacchetti – si concede allo sguardo senza mai rivelare la sua essenza … solo quando si riesce a ‘sentire’ la quasi silenziosa risonanza che la montagna emette, ecco allora che le arcaiche velature fanno spazio ad un’effimera visione”. Decisamente meno ermetico e di un’infinita dolcezza quel “Rompighiaccio” (olio su lino) del padovano, valdostano d’adozione, Marco Bettio, dove la montagna (“colata” di ghiaccio) fa da “quinta” al simbolico tentativo di “rompere il ghiaccio” fra il mite estasiato bovino e la candida pecorella che, ad occhi chiusi, pare gradire anzichenò le esplicite richieste d’amicizia del suo tenero amico . Montagna come amore, voglia di amicizia, di fratellanza: “proprio come – dice l’artista – il mio primo sguardo sul mondo ogni mattina, fumando la prima sigaretta”. Sguardo sbiadito, che non prende, che non vuole invece prendere forma nel dittico a tecnica mista su carta dell’aostano Marco Jaccond, dal titolo mutuato dai mitici “Procol Harum” di “A Whiter Shade of Pale”, dove il racconto perde ogni contorno identificativo attraverso un “minimalismo espressivo” che induce alla riflessione, al gioco interpretativo di alchimie fantastiche non facili da decifrare. Ma, tuttavia, suggestive.

Sottolinea Luca Bringhen, direttore del “Forte di Bard”: “L’arte contemporanea è in assoluto la protagonista di questa stagione estiva al ‘Forte’, attraverso la quale, grazie anche al progetto dell’Associazione ‘White View’, la nostra montagna diventa occasione di spazio interiore, luogo di poesia e di riflessione”. A renderne atto le opere degli altri artisti presenti in mostra: dalle immagini fotografiche (in digitale e analogico) di Sophie-Anne Herin, che sembrano denunciare un senso d’arresa davanti all’impressionante “grandezza” della montagna, a quelle altrettanto forti e totalizzanti di Barbara Tutino Elter, fino alle narrazioni di Chicco Margaroli (“La Natura è una ‘cartina tornasole’, che reagisce ed offre risposte”) e all’holliwoodiano “The End” di Sarah Ledda, suggestiva riproduzione del famoso logo della “Paramount Pictures”, disegnato nel 1914 da W.W. Hodkinson, con quell’iconica montagna ( “First Majestic Mountain”, circondata allora da 22 stelle) in cui alcune fonti – anche per altro attendibili – hanno voluto leggere i caratteri del nostro “Monviso – Re di pietra”. Verità? Fantasticheria? A turbarci però è più che altro quel “The End”, fissato su tela a tutto tondo. Finale assai incerto per le nostre povere “cime”. E poco speranzoso. Come paiono ricordarci gli artisti raccolti oggi a Bard.

Gianni Milani

“Attraverso il bianco. L’arte contemporanea omaggia la montagna”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it . Fino al 21 settembre

Orari: dal mart. al ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle foto: Massimo Sacchetti “Nord Ovest”, olio su lamina, 2025; Marco Bettio “Rompighiaccio”, olio su tela, 2025; Sarah Ledda “The End”, olio su tela, 2025

“Erik Kessels. Un’immagine” a Gallerie d’Italia di Torino dall’11 settembre

Intesa Sanpaolo apre al pubblico dall’11 settembre al 7 ottobre 2025 nella sua sede della Gallerie d’Italia, a Torino, la nuova mostra intitolata “ Erik Kessels. Un’immagine”, ultima opera dell’artista visivo olandese Erik Kessels che realizzerà un’installazione multimediale composta da oltre 60 mila immagini provenienti dall’archivio Publifoto di Intesa Sanpaolo. Le fotografie saranno tutte cucite e trasformate per formare un’unica immagine in continuo movimento grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale,  da cui emerge un ritratto fluido dell’Italia i cui volti di persone, immagini di cronaca, di guerra, di lavoratori, di politica, di sport, di frammenti storici si compenetrano nello spazio l’una nell’altra.

La sala immersiva delle Gallerie d’Italia torinesi si trasformerà in un  teatro visivo e strumentale, interrotto in cui il nostro presente, il passato, il mondo, la vita emergono attraverso una colonna sonora in cui il mistico e l’elettronico si alternano e si dissolvono.
Un tema musicale sarà realizzato appositamente dall’inglese Robin Rimbaud, in arte Scanner, e dall’italiano Stefano Pilia, musicisti elettronici d’avanguardia.
In questa originale esperienza visiva e sonora a 360 gradi, il pubblico verrà sorpreso dal contenuto mutevole e dalla possibilità di immergersi in un  archivio umano proiettato in gigantografia.

Mara Martellotta