Alla torinese Galleria Sabauda i “ritratti del potere” realizzati dal  pittore fiammingo

Il genio di Van Dyck, pittore di corte

Fino al 17 marzo 2019

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“Gloria del mondo”: così amava definirlo – fra i molti regnanti e uomini e donne di corte che ebbero la felice ventura d’esser da lui ritratti – Carlo I Stuart (il “re martire”) sovrano d’Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia, che il 30 gennaio del 1649, dopo oltre vent’anni di regno, venne miseramente decapitato al termine di una terribile guerra civile. E Antoon van DicK, certamente fra i più blasonati artisti del Seicento europeo, ritrattista di grande innovazione narrativa e il migliore allievo di Pieter Paul Rubens (di cui assimilò la superba tecnica ma, solo in parte, lo stile caratterizzato per Antoon da una più tenue armonica eleganza) rappresentò davvero per quasi tutto l’arco della sua breve vita – morì a soli 42 anni – l’espressione massima del pittore ufficiale delle più grandi corti europee. Un suo ritratto era all’epoca un prezioso attestato di gloria agli occhi del mondo, un vero e proprio status symbol delle classi dominanti: dagli aristocratici genovesi ai Savoia, dall’Infanta di Spagna e Portogallo, fino alle corti di Giacomo I e Carlo I d’Inghilterra. I suoi ritratti, caratterizzati da una stupefacente perfezione formale ma anche da un afflato lirico sconosciuto al più epico Rubens, sono una preziosa e potente lente ottica capace di svelare, attraverso gli abiti sopraffini o i gesti o gli ammiccamenti del volto e del corpo, il fastoso universo seicentesco e le ambizioni dei personaggi che si fecero da lui immortalare. Ne è chiaro e lodevolissimo esempio la mostra che la “Galleria Sabauda – Musei Reali” di Torino dedica al grande artista fiammingo (Anversa, 1599 – Londra, 1641), all’interno delle Sale Palatine, fino al 17 marzo dell’anno prossimo. Mostra-evento. Imperdibile. E imprevedibile, se si pensa alla straordinarietà delle opere raccolte attraverso la collaborazione di ben quindici Musei italiani e stranieri, in dialogo con l’importante numero di capolavori del van Dyck appartenenti alle collezioni della stessa Sabauda. Organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Musei Reali di Torino e dal Gruppo Arthemisia, la mostra (con la curatela di Anna Maria Bava e Maria Grazia Bernardini) assembla in totale 45 tele e 21 incisioni, articolandosi in quattro sezioni espositive.

 

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Il percorso si apre con la formazione del giovane artista e il suo rapporto (dopo l’apprendistato nella bottega di Van Belen) con l’inarrivabile –allora, per lui – Rubens, di cui la rassegna presenta alcuni oli su tela, fra i quali la celebre “Susanna e i vecchioni” del 1618, dal significato moraleggiante e con quel particolare della Fontana Farnese che si ritroverà anche in alcuni dipinti dello stesso van Dyck. La seconda sezione si sofferma sull’attività dell’artista in Italia, dal 1621 al 1627 – e rituale viaggio di formazione per tutti i grandi pittori fiamminghi – girovago fra Venezia, Torino, Genova, Bologna, Roma, Firenze e Palermo, dove conobbe l’ormai 96enne pittrice Sofonisba Anguissola, che Antoon ritrae sul letto di morte in un dipinto di   forte impatto emotivo esposto in rassegna. E proprio in

Italia l’artista affina il suo linguaggio di “rilassante eleganza”, attratto in particolare dall’arte veneta e da Tiziano, come provano gli schizzi raccolti nel noto “Sketchbook” conservato al British Museum e riprodotto in mostra. A questo periodo appartengono capolavori assoluti come il “Cardinale Bentivoglio”, dalla straordinaria orchestrazione cromatica tutta giocata sui toni del rosso e la “Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo”, esponente di spicco della nobiltà genovese, esempio perfetto di una pittura capace di coniugare al meglio, nei giochi di luce – ombra, gli insegnamenti di Rubens e quelli della più nobile arte veneziana. Al terzo e al quarto periodo appartengono infine gli anni di Anversa (dove il pittore ritorna nel 1627) e quelli di Londra, dove si trasferisce nel 1632 fino all’anno della prematura scomparsa. Agli anni anversesi appartengono, fra le altre, alcune opere a soggetto mitologico (complessa e bellissima “Amarilli e Mirtillo”, influenzata dai “Baccanali” di Tiziano) e una galleria eccezionale di dipinti raffiguranti personaggi vicini all’arciduchessa Isabella Clara Eugenia, e incisioni a medesimo soggetto raccolte nel volume “Iconographia”, 21 delle quali esposte in mostra. Di questi anni é anche “Il Principe Tomaso Savoia di Carignano”, esuberante ritratto equestre, cui probabilmente si ispirò il Bernini per la sua “Statua equestre” di Luigi XIV, oggi a Versailles. A Londra, alla corte di Carlo I, van Dyck raggiunse il massimo della fama, realizzando un numero sorprendente di ritratti di corte, fra cui le due versioni de “I tre figli maggiori di Carlo I”, entrambe presenti in mostra. Del 1637 é il celebre “Autoritratto” (ne compose in gran quantità), commissionatogli probabilmente dallo stesso re. In cornice, Antoon sceglie per sé un’immagine semplice ed essenziale, ma non per questo meno nobile ed elegante. Degna di un vero cavaliere, dal portamento fiero e signorile, come s’era “assuefatto – annota Giovanni Pietro Bellori, all’epoca fra i più importanti biografi degli artisti del Barocco italiano– nella scuola del Rubens, con uomini nobili”.

Gianni Milani

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“Van Dyck. Pittore di corte”

Musei Reali di Torino-Galleria Sabauda, piazzetta Reale1, Torino; tel. 011/5211106 o www.museireali.beniculturali.it Fino al 17 marzo

Orari: lun. 9/19 (ingresso via XX Settembre, 86); mart. – dom. 9/19 (ingresso piazzetta Reale,1).

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Nelle foto

– “Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo”, olio su tela, 1623, National Gallery of Art, Washington
– “Il Principe Tomaso di Savoia Carignano”, olio su tela, 1635, Musei Reali Torino
– “Amarilli e Mirtillo”, olio su tela, 1631-’32, Musei Reali Torino
– “Autoritratto”, olio su tela, 1637, Private Collection, on long-term loan to the Rubens House, Autwe