Alla Biblioteca Nazionale un ciclo di conferenze alla scoperta della più prodigiosa delle sostanze

Universo Acqua

La Biblioteca Nazionale di piazza Carlo Alberto ospita, tra aprile e maggio, un ciclo di quattro conferenze promosso dal Museo dell’astronomia Infini.To di Pino Torinese, attorno al tema dell’acqua da un punto di vista in primo luogo scientifico, ma aperto a tanti punti di vista multidisciplinari

 

La conferenza del 9 maggio scorso è partita dall’osservazione, quasi un luogo comune, che l’acqua sia fondamentale per la vita: ma perché sia così importante, quanto sia diffusa nell’universo, se possa esserci un’alternativa ad essa, da quanto tempo essa esista nell’universo sono domande che ci portano dritte al cuore della chimica, dell’astrofisica e della ricerca planetologica. Insomma, anche una sostanza così semplice, talmente elementare e scontata che per millenni filosofi naturali e scienziati l’hanno ritenuta un elemento, cosa che in realtà non è, essendo costituita da due atomi di idrogeno (parola che non a caso vuol dire “generatore d’acqua”) e uno di ossigeno, rivela risvolti sorprendenti e ancora inesplorati. La prima sorpresa è che nell’universo primordiale, e per il primo miliardo di anni, l’acqua non esisteva, per il semplice fatto che il Big Bang ha prodotto solo i primissimi elementi, i più leggeri, l’idrogeno, l’elio, il litio, un po’ di berillio e qualcosina di boro. Per l’ossigeno, come del resto per il carbonio, si sono dovute aspettare le prime stelle, nelle quali la nucleosintesi ha potuto procedere fino agli elementi più pesanti, fino al ferro e poi, a poco a poco, con il passare del tempo, tutti gli altri, cucinati nelle fornaci stellari e liberati poco a poco dalle supernove per finire cantati nei racconti di Primo Levi e studiati da fisici e chimici. Tuttavia, a volte, per capire l’universo occorre relativizzare, occorre superare le scale umane di massa, tempo, distanze, persino di abbondanze dei singoli elementi, ed entrare nella dimensione dell’enorme, del lento o del rapidissimo, del rarefatto o dell’estremamente denso: scopriamo così che, in un lontanissimo quasar, formatosi dodici miliardi di anni fa, circa un miliardo e mezzo di anni dopo il Big Bang, l’acqua c’era già e tantissima: centomila miliardi di volte quella presente sulla terra. Una quantità enorme, dispersa nei gas e nelle polveri della galassia, non certo organizzata nei rassicuranti mari o negli immensi oceani terrestri, ma riesce veramente difficile pensare che, da qualche parte non in una, ma in tantissime altre delle galassie ormai scoperte, in un vertiginoso gioco di moltiplicazioni e di inerpicarsi di ordini di grandezza che in breve ci lasciano a bocca aperta, questa non si sia raccolta su dei pianeti, creando a sua volta mari, calotte glaciali, laghi e fiumi.

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E infatti, racconta Luigi Colangeli, dell’Esa, l’ente spaziale europeo, non è necessario fare troppa strada, basta restare in quello che ormai è il nostro cortile di casa, il sistema solare, per scoprire l’acqua sulla Luna, persino sul torrido Mercurio, ai poli di Marte, probabilmente nel suo sottosuolo, dove l’acqua si nasconde dopo aver a lungo prosperato, scavato fiumi e bacini prima di evaporare a causa dell’atmosfera troppo sottile del pianeta rosso, o ghiacciare per le temperature bassissime dovute alla distanza dal Sole e all’assenza di un effetto serra naturale come sulla Terra, sempre legato all’atmosfera troppo rarefatta. Ancora più in là, i satelliti di Giove e Saturno, grandi quasi quanto i pianeti rocciosi, mondi lontanissimi in orbita attorno a giganti di gas, sembrano promettere moltissimo: è praticamente assodato che ci siano croste di ghiaccio che proteggano oceani potenzialmente di acqua fluida, mentre, ancor più distante, su Urano e Nettuno l’acqua è nuovamente presente nelle loro gelide atmosfere.C ’è sufficiente ricerca, per il nostro sistema solare, da riempire le esistenze di migliaia di scienziati alla ricerca dell’acqua, ma i nostri telescopi possono ormai fare di più e molti sono i satelliti puntati verso punti lontani della nostra galassia, dai sistemi planetari, ormai scoperti a migliaia, alle nubi di gas, e anche lì i loro spettroscopi hanno ormai individuato più e più volte le prove della presenza dell’acqua, così come, in determinati casi, addirittura di amminoacidi, i precursori delle proteine. La palla passa, sotto la guida del moderatore Attilio Ferrari, professore di astrofisica all’università di Torino, al docente di biologia Lorenzo Silengo, il quale spiega perché l’acqua sia così importante per la vita: la gran parte della sua natura speciale risiede nelle sue proprietà elettriche, nel fatto che la molecola, grazie alla diversa distribuzione delle cariche tra ossigeno e idrogeno, possa formare tenaci legami residui, i legami a idrogeno. Sono loro, resistenti a sufficienza da formare il ghiaccio, ma fragili il giusto da potersi rompere alle temperature ambiente per generare l’acqua liquida e il vapor d’acqua, a rendere l’ossido di di idrogeno così speciale: imprigionano altre molecole, facendo da solvente, e le trasportano qua e là consentendo loro di reagire, riescono a inerpicarsi nei vasi linfatici delle piante sfidando la gravità, non scivolano via dalle pareti cui aderiscono, si lasciano intrappolare dai lipidi, creando vescicole dentro le quali possono avvenire reazioni chimiche sempre più complesse, delle quali l’acqua è in un modo o nell’altro protagonista.

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In un certo senso, il segreto della vita comincia da lì, da quando una membrana ha distinto un fuori ostile, umido come i mari primordiali, ricco di sostanze in agitazione, e un dentro, dove queste sostanze possono reagire in modo controllato, produrre energia, dare vita alla vita: è lo stesso che accade ancora oggi nei citoplasmi di ogni singola cellula del nostro corpo. Rimane allora la domanda, perché, se c’è così tanta acqua nell’universo, non è facile trovare la vita? La risposta si riesce ad avere mettendo assieme tutto ciò che in questa conferenza è stato raccontato: l’acqua è fondamentale, se non unica – visto che altre molecole simili a lei, non presentano la stessa reattività, tendono a formare materia inerte o dissolversi in gas – , ma deve essere tanta, circoscritta nello spazio, deve essere in qualche modo “seminata” da altre molecole, quello che forse hanno fatto le comete e gli asteroidi nel primo miliardo di esistenza della Terra, deve probabilmente essere presente sullo stesso pianeta in tutti e tre gli stati; aeriforme, per poter essere trasportata in ogni dove e partecipare al clima; liquida, per consentire l’attivazione delle prime reazioni vitali e consentire l’evaporazione dell’ossigeno che, per i primissimi organismi fotosintetici, era un prodotto di scarto; solida, per proteggere con il ghiaccio i mari dalle intemperie dei mondi in formazione. Per avere la concomitanza di tutte queste condizioni è necessario che un pianeta si trovi a una distanza adatta rispetto alla stella cui orbita, che riceva il calore sufficiente ma non patisca escursioni eccessive: deve stare cioè nella zona abitabile, quella che per il nostro sistema solare corrisponde proprio alla posizione della terra. L’elenco delle condizioni necessarie per la nascita della vita non finisce qua, e forse perché si realizzino tutte assieme ci vuole tanto tempo, quello che purtroppo manca alla singola vita umana ma non alla ricerca, e tanta fortuna, ma l’universo è grande abbastanza da lasciarci pensare che in qualche altro suo cantuccio si sia sviluppata, chissà come, chissà a che livelli di complessità. Complicata e incredibile, la vita è una primadonna che ben si accompagna alla sua eclettica dama di compagnia, l’H2O, le cui multiformi proprietà, la sua importanza in ogni ambito della scienza e della cultura verranno ancora discusse ed analizzate il 24 di maggio, alle ore 17.30 nell’ultimo incontro sul tema, sempre alla Biblioteca Nazionale.

Andrea Rubiola

Per informazioni https://piemonte.abbonamentomusei.it/Mostre-e-Attivita/Universo-Acqua.-Conferenze