IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La Pasqua e la Pasquetta di quest’anno sono state, almeno in termini psicologici, persino peggiori di quelle dello scorso anno. Oggi, dopo mesi di sacrifici, vediamo situazioni allarmanti, mentre il vaccino va a rilento.

L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Don Delillo “Il silenzio” -Einaudi- euro 14,00
Don Winslow “Ultima notte a Manhattan” -Einaudi- euro 18,50

Clare Hunter “I fili della vita” -Bollati Boringhieri- euro 18,50

Rebecca Serle “Tra cinque anni” -Solferino- euro 17,00

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni /Il tema della follia mi ha sempre molto turbato, pur non avendo fortunatamente mai avuto contatti con situazioni, anche solo comparabili con essa.
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![]() Va detto che la malattia mentale è stata una dura e costante realtà nei secoli – sarebbe inevitabile il contrario- e continua a serpeggiare anche nella società d’oggi. Il modo in cui essa venne affrontata nel passato va storicizzato come tutto il resto, va cioè capito e valutato, sforzandoci di evitare giudizi sommari che sono l’esatto opposto della storia il cui compito è quello di “intelligere”. La psichiatria contemporanea è invece una materia che forse più di ogni altra si è prestata ad interpretazioni politiche che poco storicizzano il dramma della follia.
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Se rimaniamo a Torino, la costruzione per iniziativa di Carlo Alberto (che pochi conoscono come re riformatore) del Regio manicomio di via Giulio
rivela un’attenzione indiscutibile ad un problema medico e sociale grave. E ci sarebbero tante altre osservazioni che non danno ragione a chi ha finito di ridurre un problema drammatico molto complesso al nome di un noto psichiatra che ispirò una legge che decise la chiusura dei manicomi alla fine degli anni Settanta del secolo scorso L’aver avuto nel Piemonte tardo ottocentesco e positivista un’egemonia che non esiterei a definire soffocante, da parte di Cesare Lombroso, celebratissimo scienziato, ha sicuramente avuto anche delle ripercussioni nefaste che hanno imperversato non solo nel campo della medicina. Tornando a tempi recenti, io ricordo con piacere gli psichiatri Fiorentino Liffredo, Mario Fulcheri, Donato Munno, tutti e tre miei cari amici, che non ebbero forse la notorietà che meritavano , ma io non posso dimenticare che la loro disponibilità umana verso il malato di mente non si lasciò condizionare da militanze che sentivano intimamente incompatibili con il loro essere medici. Altri preferirono fare scelte diverse ed ebbero tutto sommato in Piemonte una notorietà abbastanza relativa. Si tratta di persone degnissime ed anche coraggiose e benemerite, da cui però mi sento lontano.
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La legge a cui tutti fanno riferimento, è quella intitolata al mai abbastanza celebrato Basaglia che certo pose fine a situazioni inumane e “medievali“ intollerabili , senza tuttavia prevedere delle alternative percorribili. Il dramma di molte famiglie che convissero con dei congiunti malati di mente resta un grumo di quella storia penosa e terribile che non può essere trascurato.
Bruna Bertolo nel suo documentatissimo libro “Le donne e la follia in Piemonte“, edito da Susalibri, ricostruisce la storia delle donne ricoverate negli ospedali psichiatrici piemontesi, dopo un lavoro di tre anni di ricerca. Era un lavoro che mancava. . . . Mi è piaciuto leggere che la Bertolo abbia citato l’Assessore alla Sanità del Comune di Torino e medico di chiara fama Filippo Franchi, che era ben consapevole della gravità della situazione di via Giulio e premeva per cambiare . Filippo Franchi era un liberale che aveva capito – me lo
disse una volta nel 1968 – che la legge del 1904 era già illiberale quando nacque ed ora era diventata anche una ”legge inumana“. |
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Questa idea balzana di consentire agli italiani di andare all’estero e di vietare ogni movimento, ghettizzandoci tutti in casa a Pasqua è un’ altra follia della accoppiata Di Maio- Speranza, i due ministri sopravvissuti del Conte 2.
Il solito Speranza, causa di tanti errori commessi che hanno aggravato la pandemia in Italia. Per farci digerire gli arresti domiciliari a Pasqua, ci annunciano l’immunità di gregge in luglio, una boutade propagandistica che non fa onore al governo Draghi. Ma l’idea di poter andare con facili due tamponi all’estero supera ogni immaginazione ed è una presa per i fondelli per gli albergatori e i ristoratori italiani. Una vera provocazione per gente che non riesce più ad andare avanti . Pensiamo a Venezia, Firenze, Roma diventate un deserto.Anche l’idea di riaprire prima le scuole e dopo i ristoranti appare una stupidaggine perché ormai l’anno scolastico è compromesso e nulla si è fatto per garantire trasporti e distanziamento degli studenti. Io continuo ad avere grande fiducia in Draghi, ma continuo a richiedere le dimissioni di Speranza,un piccolo politicante senza arte né parte a cui scioccamente qualcuno ha affidato le nostre vite . Quest’anno l’agnello da sacrificare a Pasqua in modo simbolico e incruento e’ il piccolo lucano che ci ha provocato guai infiniti.Questa dei viaggi concessi all’estero non può passare come l’uovo di Pasqua che il proletario ministro della Salute concede agli italiani con i soldi ,come avrebbe detto il ministro stesso, quando imparava il mestiere di demagogo alla scuola di Bersani.
La crisi, l’incertezza e la paura di non farcela
Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera
Luigi Bubba, titolare dello storico Caffè Arsenale di Torino, ci racconta l’apprensione e il senso di precarietà di questo periodo.
Un incasso giornaliero attuale di 80 euro contro i 600 del 2019, 20 coperti (forse) in zona gialla, rispetto ai 60 di 2 anni fa, personale più che dimezzato, ora sono rimasti solo in due a gestire il bar, Luigi e Marco, prima di questa pandemia erano in 5. Cucinano, servono i clienti, preparano cappuccini (tra i più buoni e cremosi di Torino tra l’altro!), puliscono, fanno consegne a domicilio, tutto in aderenza alle attuali norme. Oltre a resistere e darsi da fare praticano la solidarietà, quella vera e concreta, regalando brioche e panini a chi ha bisogno, a chi non può permettersi più nulla, neanche un caffè.
Il Caffè Arsenale è un bar storico di Torino (nella Galleria Tirrena) aperto sin dagli anni ’70, che ha visto, grazie alla sua posizione ma anche ad una gestione amichevole e professionale, il passaggio di avventori importanti come artisti, sportivi, personaggi della cultura e della politica, l’affezione delle persone che orbitano in zona, come i lavoratori dell’INPS e gli allievi della Scuola di Applicazione dell’Esercito, l’apprezzamento di chi passa da lì per caso.
Nel 2020 le perdite di questo bar, come del resto di tutti gli appartenenti alla categoria, si sono aggirate intorno al 70%, “ i sacrifici che si sono fatti sono enormi, ora le forze si stanno indebolendo come d’altronde la fiducia” afferma Luigi, il titolare.
Proprio parlando con lui cerchiamo di capire cosa sta succedendo e cosa ci si aspetta per superare questo momento pandemico che ha aggravato seriamente la crisi di esercizi commerciali come questo.
3 domande a Luigi Bubba
Luigi cosa è accaduto nel 2020 al Caffè Arsenale, come sta andando ora?
E’ successo che la pandemia, il Covid-19, ha creato e sta continuando a produrre enormi danni economici alla categoria dei bar e della ristorazione. All’inizio abbiamo stretto i denti, dato fondo alle nostre risorse economiche, frutto di anni di sacrifici e di lavoro, ora però siamo allo stremo. Nonostante gli sforzi, la comprensione e l’aiuto delle persone, per esempio il proprietario del locale che mi è venuto incontro sull’affitto, siamo arrivati al limite. Si vive nell’incertezza a causa delle continue chiusure e aperture in funzione dei colori delle regioni, ma anche delle conseguenze dello smart working che ridimensiona i flussi delle persone in giro per la città, la paura è di non farcela, di chiudere definitivamente; se poi hai una famiglia, dei figli da mantenere e da far crescere il timore diventa panico.
Cosa dovrebbe fare lo Stato per aiutare realmente la vostra categoria?
A parte i sussidi e i ristori, che comunque sino ad ora non hanno assolutamente coperto le perdite economiche ponendoci nella difficile condizione di mettere mano ai risparmi o in alcuni casi di rinunciare drammaticamente alla attività, sarebbe molto utile sospendere il pagamento di alcune utenze o perlomeno mettere in fattura solo gli effettivi consumi eliminando tutte le altre voci come le spese fisse e le imposte; parallelamente si dovrebbero agevolare anche i proprietari dei locali, per esempio attraverso il credito di imposta, in modo tale che anche loro possano ridimensionare le perdite dei ridotti o mancati affitti.
Cosa è cambiato in termini sociali e come si sono modificate le abitudini delle persone durante la pandemia?
Oltre ad avere perso parte della clientela che non può più permettersi di fare colazione o pranzare al bar per questioni economiche, si sono innescati comportamenti “nuovi” da parte di molte persone che hanno, legittimamente, paura e quindi frequentano molto meno il bar e quando lo fanno agiscono con molta prudenza sanificando le mani molte volte, per esempio, o rinunciando, anche quando permesso, al caffè in tazza chiedendolo invece nel bicchiere usa e getta.
La gente è terrorizzata perché oramai , nello scenario attuale, i nostri locali sono identificati quasi esclusivamente come luoghi di trasmissione del virus e questo anche a causa di una comunicazione non sempre comprensibile ed a volte forse troppo allarmante.
Oltre allo Stato, anche noi cittadini possiamo aiutare i bar acquistando, per esempio, un panino o una bevanda, anche se non ne abbiamo sempre necessità o voglia, oppure pagando un caffè sospeso a coloro che sfortunatamente hanno perso proprio tutto. Attraverso il nostro piccolo ma importante contributo, infatti, possiamo sostenere una categoria, che in quest’ultimo anno è stata tra le più penalizzate, ridandole speranza e respiro con l’auspicio che presto tutto ritorni come prima e che i bar ridiventino piacevoli luoghi di relax e ritrovo sociale.
Una scuola allo sbando
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Oggi il “Corriere della sera” dedica il suo titolo di apertura alla scuola e alle possibili bocciature anche di fronte ad un anno scolastico caratterizzato da un insegnamento anomalo in Dad.
Siamo alla vigilia di Pasqua e ci sono regioni che vorrebbero riaprire le scuole per pochi giorni prima delle vacanze” agli arresti domiciliari” di genitori e figli. Un segnale demagogico di scarsa intelligenza. Azzolina, per grazia di Dio, è stata allontana dopo che ha provocato gravissimi danni alla scuola, ma il nuovo ministro non appare migliore. E’ un provinciale ferrarese adatto al massimo a fare l’assessore. Ministri così sono stati la rovina costante della scuola italiana: pensiamo alla Fedeli o al fascista De Vecchi.
Infatti invece di affrontare di petto la situazione di una scuola che di fatto è rimasta quasi sempre chiusa, ci si balocca sul tema che a molti genitori sta più a cuore ma che appare del tutto marginale :si può con la Dad continuare a bocciare? E i presidi già temono ricordi al TAR e rilasciano preoccupate dichiarazioni in proposito.
E’ mai possibile che anche in tempo di pandemia non si sia almeno recuperato un minimo senso di buon senso e di serietà? Quest’ anno va considerato un anno perduto. Possono anche regalare senza problemi a tutti la promozione, ma il lavoro non fatto,lo studio episodico ed approssimativo senza verifiche adeguate, il pressappochismo e anche la demagogia di certe proteste studentesche restano e mostrano ancora una volta che la scuola italiana ,così come è, non va.
Il ministro tace e forse in certi casi è meglio tacere che dire le sciocchezze della Azzolina.
Appare in ogni caso sconcertante che il maggiore quotidiano italiano dedichi il suo titolo di prima pagina alle possibili bocciature. E’ la scuola che andrebbe bocciata insieme ai suoi ministri e a una buona parte di dirigenti che non hanno saputo garantire la sicurezza necessaria alle lezioni in presenza . Oppure va detto e scritto che ci hanno preso in giro,sapendo già in partenza che pandemia e scuola in presenza erano e sono incompatibili, come hanno subito capito i rettori di Università.
Questi mesi che ci separano dalla fine dell’anno sono inutili per sanare una situazione compromessa. La sola parola recupero in una scuola seria evoca il facilismo e l’improvvisazione dei recuperi settembrini dei debiti dopo che vennero aboliti gli esami di settembre.
Non hanno saputo neppure trovare locali in disuso per fare lezione in ambienti diversi dalle aule. Alcuni pensavano che bastassero i cortili degli istituti ,senza considerare i problemi che provoca l’inverno. Si potrebbe fare un volume con tutte le dichiarazioni sciocche che abbiamo letto sui giornali da giugno 2020 in poi.
Vogliamo cercare di pensare seriamente a cosa fare per settembre 2021? Vogliamo affrontare il problema dei trasporti in modo serio e pensare ad una vera rimodulazione degli orari scolastici, riprendendo i doppi turni che si fecero negli anni ‘70 del secolo scorso per mancanza di aule ?I doppi turni non crearono problemi insormontabili neppure negli istituti tecnici dove c’erano le ore di laboratorio.
Questo, di fatto, è il secondo anno perso. Una situazione che non ci fu neppure durante la seconda guerra mondiale . Un segno negativo che resterà nella formazione dei giovani che non debbono tuttavia farsi passare per vittime perché c’è gente che ha già perso il frutto di una vita di lavoro. Infatti anche durante la chiusura degli edifici scolastici non vige il divieto di leggere,di studiare, di far lavorare il cervello. Può sembrare un discorso banale, ma non lo è perché bighellonare significa dimostrare di non sapersi rapportare con le difficoltà della vita. Molti giovani che amano la vita facile, come ha scritto un uomo di sinistra come Michele Serra, hanno purtroppo confuso la pandemia per una vacanza prolungata molto speciale e si sono lasciati andare alle movide e agli assembramenti più irresponsabili nelle piazze e persino davanti a scuola: un contributo irresponsabile all’aggravamento della situazione che non può passare sotto silenzio.
La foto di Vincenzo Solano
Magnifica Torino / Il Duomo e la ballerina. A cura di #respiratorino con Elisa Lacicerchia con la poesia di Gabriele Casano
EL DUENDE
Così, nella prima luce del giorno, si scioglie la trama del viaggio. Sulla piazza, il riverbero del cielo e del vento dell’ultimo inverno ricorda le storie di terre disperse ai confini del pensiero; dove la realtà si confonde con l’immaginazione, la carne si spoglia in magia, dove piovono risate e non lacrime di sete.
Hanno fame queste membra assuefatte dal movimento della musica. Nei meandri delle arterie, nei vicoli delle vene, una pulsante frenesia si irradia fin oltre lo sguardo. Fluisce sulle pagine da scrivere sotto i piedi, si diffonde nell’aereo disegnare delle estremità di mani e nel disperdersi di capelli color dell’inchiostro.
Mentre il tempo ci illude di una felicità già tramontata all’alba, l’eco delle notti di follie e di danze sfrenate alla periferia della solitudine ci coglie e ci trasporta verso l’infinità della vita.
Un desiderio vitale ci prende, ci trascina e ci inebria fino agli albori di una dolce tristezza. Per alcuni attimi, per certi infiniti istanti sospesi, si vola.
Nel clamore dell’estasi di una follia infantile, cerchiamo risposte alle malinconie del tempo, irrequieto di astuzie e di inganni famelici.
Poi l’estasi ci abbandona, ma rimane il ricordo di un ramo di ciliegio fiorito. Come silenzio, si rivela alla città la gonna voluttuosa della primavera.
Coreografa e danzatrice: Elisa Lacicerchia
Autore testo: Gabriele Casano
Video diretto da: Lorenzo Antonicelli
Si ringrazia: Vincenzo Solano – Il Torinese – Dancers in Turin
“Duende” o “tener duende” è un termine spagnolo per un elevato stato di emozione, espressione e autenticità, spesso collegato alle forme di espressione artistica, come la danza, la poesia e il canto, che richiedono una drammaturgia corporea. El Duende è lo spirito dell’evocazione, una forza misteriosa che sale interiormente dalla pianta dei piedi. È ciò che ti dà i brividi, ti fa sorridere o piangere come reazione corporea a una performance artistica particolarmente espressiva.