LIBRI / “Nei cinque sensi e nell’alloro”, il libro di Strinati dedicato all’amata nonna, passando per i luoghi spirituali della città di Torino, a cui è strettamente legato tanto da dedicarle numerose poesie.
Dopo un lungo viaggio intrapreso nella regione Piemonte, Fabio Strinati sceglie la spiritualità come sentiero da percorrere, e lo fa, partendo da alcuni luoghi spirituali della città di Torino, come la Chiesa di Santa Barbara, la Chiesa di Sant’Agostino e la Chiesa della Salute.
Parole essenziali ma dai tratti suggestivi. Poesie spirituali che narrano una vicenda intima e profonda. Nei cinque sensi e nell’alloro è una raccolta poetica che nasce da un bisogno irrefrenabile di raccontare un dolore forte vissuto con il cuore in mano e la penna come compagna di un viaggio, a tratti sterminato; brevi poesie-preghiere che portano in superficie il dono della parola come testimonianza rara di una storia eterna.
Strinati, disegna versi partendo da un pensiero colto e raffinato; spontaneità e naturalezza, fanno da cornice a un grido che parte da lontano, portando in dono una dedica toccante, che recita: “Dedico alla mia amata nonna questa raccolta che tanto assomiglia al suo volto luminoso; al suo cuore rosso, radioso, riposto nel fiore profumato d’una culla, lassù nel Paradiso che porta il nome di Teresa”. Parole pregne di significato. Versi che portano il peso di un dolore interminabile. Come fosse un lungo percorso illuminato dai fari d’una rinascita figlia della Vita, ogni poesia è pregna d’una Fede rara, che si manifesta con sincerità assoluta.
“Si tratta del libro più giusto che io abbia mai fatto: poter donare a mia nonna un’eternità più longeva ed ampia attraverso un percorso poetico e spirituale che tanto mi riempie il cuore”.
Ma l’ultima di domenica 8 agosto non ho potuto non leggerla dopo quanto mi è stato segnalato. Scrive il noto scrittore ipercelebrato che “se non esistesse il concetto di famiglia, non esisterebbero le organizzazioni criminali“, con un’affermazione apodittica senza la benché minima dimostrazione storica. La famiglia come male da estirpare, lanciando i nuovi “patti d’affetto“ che sanno tanto di ddl Zan. Egli rimette in discussione il ruolo della famiglia nella nostra società, sostenendo che le mafie finiranno con la fine delle famiglie . “Quando l’umanità troverà nuove forme d’organizzazione sociale, nuovi patti di affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite”, la mafia verrà sconfitta il che equivale a dire che l’idea di famiglia è un’espressione di comunità contigua alla mafia. Un’affermazione paradossale, anzi aberrante e soprattutto non fondata storicamente. Le analisi sulla famiglia borghese di Marx e di Hengel erano più problematiche e meno settarie. Anche il “libero amore“ nella Russia sovietica fu per il popolo uno slogan propagandistico e un’opportunità concessa solo alla nomenclatura. Ma in effetti nell’URSS liberticida le affermazioni di Saviano sarebbero costate al suo autore il gulag o il manicomio. Forse Saviano è anche nostalgico delle fallimentari “comuni” sessantottine che coniugavano nudismo, droga e promiscuità, anche se parla di nuovi patti senza però darne una definizione. Sarebbe interessante capire a cosa si riferisca di preciso. Il Nostro precisa che questi giudizi vanno estensivamente applicati anche alle famiglie non criminali borghesi perché il vero bubbone è il capitalismo. Come si faccia a dire che la famiglia sia un male da estirpare, non è chiaro. Solo un vetero -marxista -leninista che non conosce la storia reale dell’URSS ,può giungere a certe affermazioni. Temo che non si tratti di paradossi, ma di convinzioni reali. Io sono abituato a rispettare tutte le idee, soprattutto quelle più intollerabili: così si comportano i liberali che non possono tuttavia essere indifferenti ad alcuni principi etici irrinunciabili. Resto infatti tenacemente fermo all’articolo 29 della Costituzione che parla della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. La cellula fondamentale di qualunque società è la famiglia e la sua disgregazione equivale al nichilismo più assoluto che genera dei veri e propri mostri.
Gente senza qualità, come diceva Musil. E’ gente che non ha mai letto seriamente un libro in vita sua. Alcuni hanno evidenti ascendenze neo-fasciste, velocemente e solo provvisoriamente occultate. Non sanno che la libertà per i liberali è sempre e soltanto libertà responsabile e che la libertà si è fusa, a partire dal secolo scorso, in modo indissolubile con la democrazia. Non a caso, nella loro confusione mentale, sostengono la democrazia illiberale di Orban e di fronte alla pandemia invocano invece in Italia atteggiamenti che ammantano di un liberalismo di facciata appreso in un corso accelerato al Cepu. Mettersi nelle condizioni di infettare il prossimo è un atteggiamento barbaro, anzi da cavernicoli. Il liberalismo nacque molto dopo e fu una grande conquista civile e culturale sia nella versione inglese, sia nella versione francese. Anche la versione italiana ha avuto esponenti del calibro di Croce e di Einaudi che furono sempre uomini di cultura eticamente responsabili. Oltre ai neofascisti a dare lezioni di liberalismo si aggiunge l’ex comunista Cacciari, del tutto estraneo alla cultura liberale. Da liberale da oltre cinquant’anni, appartenente ad una famiglia liberale che può vantare il nome di Marcello Soleri, sento il dovere di denunciare l’appropriazione indebita di una concezione etico-politica che è del tutto estranea a chi crea confusione e proteste ingiustificate , dicendo di voler difendere la libertà. Lo scrivo a nome di tutti i liberali: da Cavour a Giolitti, da Croce a Einaudi, da Pannunzio a Malagodi, da Badini Confalonieri a Zanone, da Altissimo a Biondi. I liberali che hanno avuto come simbolo la bandiera tricolore, hanno sempre avuto il senso dello Stato che hanno fondato nel 1861 come stato liberale di diritto. E hanno avuto sempre la capacità di essere patrioti soprattutto nei momenti più drammatici della storia italiana ed europea. E in momenti tragici come questi i patrioti stanno dalla parte di chi vuole una libertà solidale senza ambiguità che si ponga l’obiettivo di salvare vite umane. Che la mia ex allieva Laura Marruccelli nipote dell’eroico generale Giuseppe Perotti capo del comitato militare del CLN piemontese fucilato al Martinetto, abbia fatta la scelta di difendere le ragioni della tutela della salute pubblica è un fatto che mi conforta e mi riempie di orgoglio.

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Quello che segue è il racconto di una bambina che, separata dai genitori (struggente la scoperta del destino della madre nel campo in cui si cammina sulla cenere eruttata dai camini dei forni crematori), si ritrova a tentare di sopravvivere insieme alla sorella Judit.
Louisa è attanagliata dalla nostalgia di Londra, Joe non la capisce e lei a un certo punto decide per uno strappo doloroso che getta il marito nella disperazione.
Quando è alla soglie degli 80 anni, e avverte che la memoria sta scemando, Ingmar Bergam è alla figlia più piccola, Linn, che affida il racconto della sua vita, tutto metodicamente registrato e trascritto dalla scrittrice. Nel libro, a metà strada tra opera autobiografica e biografia romanzata, l’autrice mischia ricordi personalissimi alle parole del padre; a volte stentate o sconclusionate, soprattutto quando la memoria stava per arrendersi all’impietoso incedere degli anni.
Poi c’è la sorella maggiore Julie che ha paura dei sentimenti e si relega in un matrimonio stentato, nella falsa speranza di trovarvi la sicurezza che va cercando.
Definito da Gramellini un «liberale del Risorgimento nato nel secolo sbagliato. Per nostra fortuna.», da alcuni anni presenta al pubblico