Rubriche- Pagina 69

Calabresi il “solito ignoto“

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni   M ario Calabresi, figlio del commissario L uigi Calabresi ucciso dai sicari di Lotta Continua, è apparso in tv come “solito ignoto“ nella trasmissione di Rai 1 condotta da Amadeus. Si è prestato a far la parte del solito ignoto per pubblicizzare in poche battute il suo ultimo libro.

.
Calabresi ha 50 anni ed è  stato direttore dei quotidiani  “La Stampa“ e “Repubblica“. Venne brutalmente licenziato dall’editore illuminato e progressista Carlo de Benedetti dalla direzione di quest’ultima e non è più riuscito a rientrare nel giro. Ambedue le  sue direzioni sono state deludenti ed hanno registrato un crollo nelle vendite dei due giornali che comunque continuano a perdere copie a vista d’occhio.
.
Calabresi commise  dei gravi errori nella scelta dei suoi collaboratori  sia a Torino che a Roma, piccoli giornalistini arroganti e faziosi che, malgrado tutto, continuano a galleggiare. Neppure un direttore come Maurizio  Molinari è riuscito ad eliminarli da ruoli di responsabilità. Calabresi ebbe in passato persino una sua trasmissione televisiva che a causa del clamoroso insuccesso fu eliminata dopo poche puntate. L’ho conosciuto di sfuggita in qualche occasione, soprattutto quando venne ad un  mio ricordo di Carlo Casalegno. Mi sembrò simpatico e gentile anche perché succedeva all’arcigno Anselmi, una delle persone più antipatiche persino a cena. In effetti Calabresi  si rivelò un direttore poco presente che delegò molto a persone non adeguate alla conduzione del giornale. Una sua idea fissa era la linea politica “azionista“ del giornale con un sinistrismo evidente che minava la stessa  credibilità del quotidiano. La moglie Caterina, nipote  di Natalia Ginzburg (che scrisse e sottoscrisse  cose ignobili contro il Commissario Calabresi), ebbe anche il cattivo gusto di praticare una militanza politica a Torino nel Pd che era del tutto fuori luogo.   Nessun direttore de “La Stampa“ avrebbe permesso una simile compromissione non opportuna. Calabresi che deve in larga misura la sua notorietà al fatto di essere figlio del Commissario vittima dei terroristi, non ha mai sentito in modo particolare il legame con la storia di suo Padre in nome di un perdonismo che a molte vittime del terrorismo non piacque. Un libro  coraggioso del figlio del magistrato genovese Coco vittima delle Br, il maestro Massimo, non piacque  a sua volta a Calabresi: “La Stampa” ignorò anche la sua presentazione torinese forse perché il libro poteva suonare come critica all’oblio di certi parenti delle vittime dei terroristi come Calabresi. Dante Notaristefano presidente della Associazione Vittime del Terrorismo mi diceva il suo disagio nel sentire la indifferenza di M ario Calabresi nei confronti dell’associazione fondata a Torino da Maurizio Puddu. L’ultima volta che lo vidi fu dal panettiere torinese  Ficini di via Berthollet, di cui era affezionato cliente. Rivederlo stasera in Tv in una comparsata anonima  di pochi istanti mi ha intristito, cosi come mi ha rattristato  vedere che ha accettato di andare alla trasmissione come esperto di tartufi. Un ruolo in verità un po’ umiliante per un ex direttore di giornali.  Questo è il giornalismo odierno e non ci si può aspettare molto di più . E’ triste dover constatare che il nome del Commissario Luigi Calabresi sia anch’esso finito nel dimenticatoio insieme a suo figlio. Una storia di smemoratezza e di tramonti davvero imprevedibile , quasi le “colpe“ dei figli ricadessero sui padri. E’ strano che i suoi amici Fazio e compagnia si siano dimenticati del giornalista che li ha sostenuti  ed ha contribuito in passato  al loro successo. Purtroppo sic transit gloria mundi.
.
Scrivere a quaglieni@gmail.com

La maestra e il dono d’amore tradito da un uomo indegno

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La vicenda della maestra d’asilo e delle sue foto erotiche postate vigliaccamente dal suo ex fidanzato sul web si protrae da due anni ed è costata il lavoro alla maestra ventiquattrenne, definita dalla direttrice dell’ asilo una svergognata 

.
E’  intervenuta anche la Appendino, sostenendo che far l’amore non è mai reato, una giustissima osservazione che però non coglie i termini del problema. Innanzi tutto una domanda: può una maestra d’asilo avere una sua vita intima e dare sfogo al suo istinto sessuale in libertà ? Già Baudelaire scriveva che la donna e l’uomo devono poter trarre piacere del loro corpo “senza ansietà”.
.
Essere scatenati nella passione erotica non significa affatto non poter essere una buona educatrice. Il problema è nato dall’arbitrio commesso dall’ex fidanzato che si è rivelato persona sleale e volgare. Pensare alla maestrina dalla penna penna rossa del libro “Cuore” di De Amicis  che forse non conobbe mai un uomo, è pura ipocrisia. L’unico aspetto positivo del ‘68 è stato quello di aver liberato il sesso  dall’ipocrisia. Si incominciò a scopare liberamente e le ragazze per prime volevano emanciparsi da  costrizioni, convenzioni e luoghi comuni superati. Questo non significava pensare alle comuni e all’amore di gruppo, versione moderna dell’orgia antica. Significava semplicemente godere liberamente del piacere del sesso. Anche la battaglia per la pillola anticoncezionale liberò  l’amore dalle ansie di un concepimento non voluto. Poi si passo’ all’aborto e li il problema assunse complicanze etiche molto gravi, se è vero che un laico come Bobbio non fu d’accordo con la sua liceità  etica. Lo stesso Papa Francesco  ha parlato del sesso come di un dono di Dio. La concezione cattolica di far l’amore solo  in funzione procreativa va rispettata , ma già Anatole France parlò del piacere della trasgressione. La maestra d’asilo nella sua intimità era padrona di fare ciò che voleva e nessuno aveva ed  ha il diritto di sindacare cosa avvenga sotto o sopra le coperte del suo letto. Non c’ è bisogno di essere Bertrand Russell per capirlo. Forse gli educatori debbono essere di per se’ casti e morigerati? Non possono avere una vita sessuale? Io so che una signora dell’alta borghesia torinese si fece fotografare in pose osé dal suo fidanzato d’allora che seppe mantenere la riservatezza del caso. La signora oggi è anziana, ma credo ricordi con piacere quella trasgressione pre-‘68 carica di erotismo e anche di complicità. La maestrina, al massimo, è stata poco prudente a fidarsi del fidanzato, anche se oggi il telefonino è diventato totalmente invasivo  fino da arrivare persino al “lettone” putiniano di Berlusconi. Non è stata affatto una svergognata ed andrebbe reintegrata nel suo posto di lavoro.
Chi la pensa diversamente non ha colto l’evoluzione dei tempi. Qui si sta parlando di un sano, naturale amore tra uomo e donna, quello esaltato  e praticato da Giosuè Carducci. Ci siamo abituati e rassegnati a tutte le patologie, perversioni  e le mostruosità sessuali. Per una volta che si tratta di una ragazza che ama il sesso istintivo  secondo natura che non lascia spazio alla ragione ma da’ sfogo all’istinto, bisogna gioire . Purtroppo la maestrina si era concessa ad una persona da poco che non ha saputo essere degna  del suo dono d’amore. Io ricordo che una ventina d’anni fa in un noto liceo torinese nel mese di settembre andava a tenere lezione di latino e di greco una professoressa in abiti succinti e provocanti. Ci fu una lettera su “Specchio dei tempi”, ma non successe nulla . Non era scandaloso, ma piacevole, vedere l’ombelico della prof., ma ci potevano essere ragioni di opportunità sull’abbigliamento da tenere a scuola. Ma questo è tutto un altro discorso, anche se la scuola dovrebbe avere delle regole che vanno rispettate da tutti, docenti e allievi. A casa propria invece, ciascuno ha il diritto di fare ciò che ritiene senza per questo suscitare giudizi di sorta.
.
scrivere a quaglieni@gmail.com

Chi è Aristide Artusio, Presidente di Witt Italia group

Rubrica a cura di ScattoTorino

Volere è potere. Sembra essere questo il mantra di Aristide Artusio, imprenditore che ha fatto dell’attenzione verso la natura e le persone la propria mission. Professionalmente nasce come agente di commercio e lavora con successo per marchi come Montefarmaco, Farmitalia – Carlo Erba, Phas, Domenico Ulrich, Vestebene – Miroglio e Brummel. A 31 anni diventa dirigente, ma la voglia di costruire qualcosa di suo è un retropensiero costante. Nel 2001 acquista così Witt Italia, azienda di Poirino fondata nel 1970 da Vittorio Adaglio che produce linee per la pulizia domestica e per la cura della persona nel rispetto della natura. Sei anni dopo acquisisce la storica Erboristeria Magentina. Con il brand Armonie di bellezza fonda un gruppo industriale che, oltre alla produzione, gestisce anche un centro benessere e un punto vendita, mentre con il marchio IAiAOH! si specializza nell’igiene e nella cura di cani, gatti e cavalli. Oggi Witt Italia è leader su tutto il territorio nazionale nel settore della detergenza ecologica, in quello della cosmesi naturale e dei prodotti per il benessere della famiglia e dal 2013 aderisce al disciplinare VeganOk che certifica l’assoluta assenza di elementi animali in tutte le fasi della lavorazione delle proprie referenze.

Siccome volere è potere, nonostante i numerosi impegni professionali Aristide Artusio consegue anche la laurea in Management dell’informazione e della comunicazione aziendale presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino e pubblica il libro L’artigiano della natura scritto con Adriano Moraglio ed edito da Rubbettino. Uomo sensibile e attento al benessere dei dipendenti e delle persone in generale, questo imprenditore lungimirante ha fatto costruire Baby Natura, il micro-nido all’interno dell’azienda che è aperto a tutti i bimbi dai tre mesi ai tre anni e la cui peculiarità è l’utilizzo di cibi biologici, arredo in legno, musicoterapia e pet-therapy. Inoltre Witt Italia sostiene la fondazione dell’ospedale di Alba-Bra e l’associazione Amici di Ndugu Zangu a Nanyuki, in Kenia.

WITT ITALIAWitt Italia ha una storia affascinante legata al rispetto per la natura e per le persone. Ce la racconta?

“La Witt era stata fondata da Vittorio Adaglio per creare prodotti di detergenza naturali per le industrie. La mia esperienza come venditore di referenze farmaceutiche mi aveva portato a conoscere i prodotti green e ad innamorarmene. Per 10 anni ho lavorato nell’abbigliamento, ma avevo voglia di mettermi in proprio così, sapendo che lui voleva vendere perché era anziano, l’ho acquistata. La Dott.ssa Gloria Giussani, farmacista, era già in azienda e abbiamo deciso di entrare in società. Il suo ruolo è quello di Direttore tecnico e formulatore ed è molto preparata. Da poco ha pubblicato il libro Oli essenziali – Per corpo, mente e spirito, una guida che spiega le caratteristiche, la storia, le potenzialità e il loro utilizzo a seconda della necessità e del modo d’uso. La Witt produceva detersivi e cosmetica, mentre noi abbiamo sviluppato il settore del benessere naturale che oggi, con i detersivi, è quello trainante”.

Oltre a Witt Italia avete altri brand. Quali?

“Anche se con Witt Italia siamo cresciuti, volevo entrare nel mondo farmaceutico e con la Dott.ssa Giussani abbiamo comprato Erboristeria Magentina e abbiamo spostato la sede da Milano a Poirino, alle porte di Torino. Armonie di bellezza è invece un marchio di prodotti professionali pensati per la bellezza oltre che un centro estetico concepito per prendersi cura del corpo e dello spirito e un punto vendita, entrambi situati a Poirino. C’è poi IAiAOH! la linea di prodotti naturali per il benessere e la cura degli animali. La nostra attenzione verso la natura e le persone è stata chiara anche quando è iniziata la pandemia: abbiamo infatti messo in produzione un gel igienizzante che è anche un cosmetico e che abbiamo dato in omaggio ad alcuni ospedali e alle Forze Armate. Il prodotto è subito piaciuto ed oltre ad esso abbiamo prodotto lo spray e un formato da 50 e 100 ml da borsetta, più altre referenze. Inoltre abbiamo regalato ai bambini del Piedibus di Alba un sacchetto di Erboristeria Magentina con il necessario per igienizzarsi”.

WITT ITALIA prodottoLei ha introdotto il concetto di prodotti green ben prima che diventasse un trend. Come è nato l’interesse?

“Mio nonno e mio zio erano contadini e io sono nato in campagna per cui l’amore per la terra era insito in me. L’attenzione verso la natura, in Witt Italia, nasce già durante la produzione infatti, per dare una carica energetica ai prodotti, utilizziamo mandala colorati, cromoterapia e i tubi in cui passa l’acqua hanno dei cristalli con delle scritte positive, inoltre ci siamo fatti comporre da Simona Colonna una musica a 432 Hz che colpisce il cuore e non la mente. In questo modo tutte le nostre referenze si caricano di energia positiva”.

Quanto è importante l’eCommerce per Witt Italia group?

“Per la distribuzione non ci avvaliamo della GDO per cui per noi l’eCommerce è fondamentale. Con Erboristeria Magentina da 10 anni abbiamo adottato un sistema che si chiama Pick and Pay: il cliente ordina online e seleziona il punto vendita nel quale ritirare il prodotto con pagamento in negozio. In automatico inviamo un’email al venditore e al cliente in modo che entro 24 ore questi possa acquistarlo in farmacia o parafarmacia. Il metodo fa sì che i venditori abbiano garantita la provvigione e il cliente sia soddisfatto perché il rapporto umano non viene eliminato. Per Witt Italia stiamo invece sviluppando e lanciando un’App che profila i consumatori e ne monitora i consumi affinché le venditrici-consulenti possano anticipare le loro richieste.

Anche con l’acquisto on-line stiamo creando un sistema che contempli il ruolo della consulente come intermediaria della vendita per salvaguardare il rapporto umano e di fiducia su cui si basa la vendita diretta.

Dal micro-nido aziendale di matrice ecologica all’impegno sociale, Witt Italia dimostra che oltre al business c’è il cuore

“I bambini sono uno spettacolo e così abbiamo deciso di costruire un nido all’interno dello stabilimento: questo significa che abbiamo una produzione talmente sicura che possiamo ospitare anche i lattanti! Baby Natura ha una cucina a vista con la cuoca che prepara cibi con prodotti a km zero, ci sono i giochi in legno, i piccoli fanno pilates, pet-terapy, pigiano l’uva, coltivano la terra e hanno una palestrina. L’asilo, l’unico della zona che accoglie i bimbi dai tre mesi ai tre anni, non è solo per i dipendenti, ma per gli abitanti di Poirino e Carmagnola e abbiamo anche una lista d’attesa. La scelta di supportare l’associazione Amici di Ndugu Zangu a Nanyuki, in Kenia, nasce invece dal fatto che una collaboratrice è andata là per vedere come operava l’associazione e, data la serietà, abbiamo adottato dei bambini, costruito una scuola e un pozzo per l’acqua”.

Come è nato il libro L’artigiano della natura?

“Il Professor Vercelli, famoso psicologo che collabora con noi, e il consulente di amministrazione che ha una cattedra all’Università di Torino mi hanno spinto a scrivere questo libro per spiegare ai giovani che si può essere imprenditori anche se non si è nati in una famiglia di imprenditori. La mia esperienza può essere un messaggio positivo per le nuove generazioni”.

Torino per lei è?

“Sono di Corneliano d’Alba, ma ho studiato a Torino e già a 14 anni la visitavo spostandomi in tram. Qui mi sono laureato ed ho svolto il primo lavoro. Per me è stata la seconda città del cuore e la considero bellissima”.

Un ricordo legato alla città?

“La Torino delle Olimpiadi, finalmente bella e ridente. Purtroppo sta diventando nuovamente cupa come negli Anni ’80, ma spero che possa tornare allo splendore del 2006”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

 

Lo sciopero è un diritto, ma ora è tempo di responsabilità

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il 9 dicembre, giorno successivo alla festività dell’ Immacolata, i sindacati hanno annunciato uno sciopero del pubblico impiego.

Ci sono sicuramente delle valide motivazioni perché il pubblico impiego sia in agitazione perché esso è stato costantemente sacrificato dai diversi governi e gli stipendi sono fermi da troppi anni. Ma il momento che vive oggi l’Italia fa sì che si possa definire l’impiegato pubblico un privilegiato che è passato indenne dalla grande crisi economica provocata dal Covid  Molti pubblici dipendenti godono anche del privilegio di lavorare da casa senza che il lavoro possa subire adeguati controlli perché l’informatizzazione in molti settori pubblici è ancora in alto mare. Questo lavoro da casa inoltre danneggia il cittadino nei suoi rapporti quotidiani con la pubblica amministrazione.
Noi non siamo tra quelli che disprezzano in modo qualunquistico i pubblici dipendenti perché la gente che lavora seriamente nella pubblica amministrazione, c’è da sempre. E non siamo neppure tra quelli che condannano la burocrazia come un inciampo da eliminare perché le regole e il rispetto delle medesime sono alla base della pubblica amministrazione e del buon governo.
Siamo invece fortemente critici verso i politici e gli amministratori che abbiamo e che hanno accumulato molte colpe, sicuramente anche nei confronti dei pubblici impiegati.
Il Travet di cui scriveva Bersezio e che Soldati portò nel cinema, esistono anche oggi.
Ma c’è una differenza abissale che si è determinata con il Covid e che ha costretto intere categorie a chiudere. C’è gente che è già fallita o che rischia di fallire entro il 31 dicembre a causa di un governo menzoniero che non ha mantenuto le promesse. Ci sono interi settori come quello del turismo e della ristorazione che sono alle corde.
In questo contesto drammatico e del tutto inedito chi ha avuto finora lo stipendio versato per intero, ha almeno dei doveri morali verso la comunità. Scioperare il 9 dicembre , magari sperando anche di fare un ponte, non fa onore ai sindacati. E’ un atto che offende e rivela forte irresponsabilità sociale.
Il diritto di sciopero è un diritto costituzionale, ma non possiamo dimenticare come altri diritti costituzionali siano stati sospesi dal Governo in questi mesi senza neppure passare attraverso il Parlamento.
Quando c’è un’emergenza i distinguo non valgono. Occorre disciplina e senso di responsabilità.
I Docenti che si sottopongo al massacro di una scuola allo sbando, stanno dando, ad esempio, un segnale di civismo che va citato.
La parola sciopero per una categoria oggettivamente finora protetta suona in modo maldestro.
Ci fa pensere agli scioperanti del 1917 quando l’Italia era in guerra. Anche oggi siamo in guerra, anche se i nostri odierni vertici “militari” si rivelano confusionari e controproducenti.

Come in un film

Torino vista dal mare /4        Camminare per conoscere. Un’immagine semplice ma efficace che descrive al meglio uno dei migliori modi per scoprire una nuova città. Abituarsi a nuovi paesaggi, differenti abitudini di quartiere, spesso è difficile, ma passeggiando tra le vie e le piazze più battute, per poi allontanarsi e perdersi in quelle meno trafficate permette di appropriarsene, cogliendo scenari, scorci e dettagli che spesso si perdono nella frenesia del quotidiano. Torino – io che vengo dal mare – provo a scoprirla così, raccontandola per impadronirmene allo stesso tempo.

Alzi la mano chi non ami trascorrere un paio ore di evasione guardando un buon film. Passatempo per eccellenza, rituale per molti, passione per altri. Tanti sono i motivi che ci spingono verso la scelta di un film anziché di un altro. Il cinema ci permette di discostarci dal nostro attuale hic et nunc e immergerci così in altri mondi e realtà; a volte comici e divertenti, altre volte drammatici e introspettivi, altre ancora pura fantascienza o orrorifici. Un potere fatto di colori, immagini, parole e volti.
Ebbene, in effetti è con questa settima arte che Torino ha saputo costruire uno stretto e consolidato legame, una storia lunga ben oltre un secolo; un sodalizio, un’amicizia duratura.
In questi giorni ha aperto le porte, dello streaming e del virtuale purtroppo, la 38esima edizione del Torino Film Festival che ci ricorda nuovamente che è proprio in questo 2020, anno bisesto anno funesto, che la città celebra questa affinità, elettiva e intellettiva, vestendo le parti di “Città del Cinema” a vent’anni esatti dall’apertura del Museo Nazionale del Cinema all’interno della Mole Antonelliana.

Con l’intento di ripercorrere i motivi e le vicissitudini di questa relazione, sono sparse in punti strategici della città venti postazioni, venti sedute, forse poco rispondenti alle normative igienico-sanitarie degli ultimi DPCM, ma chiaramente inserite in tempi non sospetti, dove è possibile visionare video e documentari della pellicola che fu girata lì, in quel luogo esatto in cui ora viene trasmessa. I nomi dei film e dei registi che si sono avvalsi del profilo e degli scorci urbani di Torino come set sono tanti. Se provassimo a immaginarci interpreti invisibili tra le strade della città potremmo vivere innumerevoli avventure, immersi come dentro un film.

Come solo la magia del cinema sa fare gli eleganti e nobiliari palazzi di Torino, del cuore della città, possono prender le sembianze dei palazzi del potere romano e riportarci agli anni dell’Italia che fu, quella ingenua e credulona dei tempi del Il Divo, di Paolo Sorrentino, ma allo stesso modo quel centro pulsante, tra le strade più battute da giovani e studenti, ci consente un balzo generazionale lungo vent’anni, capace di stimolare quella ormai cara e sempre in voga nostalgia degli anni ’90, attraverso le vicende dei quattro protagonisti di Santa Maradona di Marco Ponti.
Ma accade, come spesso accade nei film, che la calma sia solo apparente e nel caso ci trovassimo in tarda serata in piazza CLN sarebbe meglio evitare di far caso a cosa succede in una delle finestre dei palazzi affacciati sulla piazza, perché, come Dario Argento in Profondo Rosso racconta, potremmo ritrovarci in spettrali, ma decisamente affascinanti, ville liberty nascoste da una lussureggiante vegetazione, cercando di risolvere misteri, spinti da quell’insana curiosità che solo i personaggi di questi film possono avere.

Ma non solo la notte è a caccia di misteri, curiosamente anche recarsi la mattina al Balon può farci trovare immischiati tra i protagonisti di altrettanti delitti che sarà compito del commissario Santamaria, il Marcello Mastroianni de La donna della domenica di Luigi Comencini, risolvere. Ma tranquilli, non sarò io a svelare qui l’assassino, lo spoiler non va mai in prescrizione.
Il cinema è anche questo, incuriosire, stuzzicare la fantasia, stimolare la riflessione. Corrono in aiuto in ciò i vecchi film, quelli cult, quelli che riguardandoli ci rendono nostalgici, ma altrettanto indispensabili sono quelli attuali, quelli ancora sconosciuti, che ci mostrano l’insolito e il diverso.

Annachiara De Maio

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Nino Haratischwili    “L’ottava vita (per Brilka)”  -Marsilio-   euro  24,00

E’ un romanzo mastodontico (1127 pagine), ma dentro c’è tutto ed è magnifico.

100 anni di storia – più precisamente “Il secolo rosso” – che travolge le vite dei protagonisti: un mix sapientemente dosato di famiglia, amore, utopie, fughe, segreti, tradizioni, ribellione, sacrificio, passioni, codardia, coraggio, torture, tradimenti, aborti, assassinii, e molto altro ancora in

un’ altalena di tragedie collettive e private.

E’ il terzo romanzo della scrittrice, drammaturga e regista teatrale Georgiana di Tbilisi, trapiantata ad Amburgo, e narra la saga degli Jashi. Famiglia borghese benestante che deve la sua ricchezza al capostipite, industriale che ha inventato una ricetta segreta della cioccolata, tramandata dalle donne delle generazioni seguenti.

Ma è anche la storia della loro terra, la Georgia, che ha l’handicap di essere collocata troppo vicina alla Russia, e ha dato i natali a 2 carnefici che ne segneranno il destino; nelle pagine aleggiano infatti potenti e distruttivi il “Generalissimo“ e il “Piccolo Grande uomo”, ovvero Stalin e il capo dei servizi segreti Beria, che però non vengono mai citati per nome.

Voce narrante è quella di Niza (zia di Brilka e pronipote di Stasia) che ricostruisce l’imponente affresco familiare da lasciare all’ultima discendente, la 12enne Brilka, scomparsa nel nulla (l’ottava vita del titolo).

Il racconto inizia nella Georgia governata dagli zar, la prima protagonista degli Jashi è Anastasia (detta Stasia), nata nel 1900, ballerina mancata, depositaria della ricetta segreta della cioccolata -magica e maledetta- inventata dal padre Ketevan.

Poi si inanellano i destini di 5 generazioni di donne incredibili. Fortissime nell’affrontare il vortice storico che vede la Georgia diventare indipendente, poi bolscevica e sovietica -tra terrore, purghe e gulag-, 2 guerre mondiali, l’assedio di Leningrado, la Guerra Fredda, la Primavera di Praga, la perestrojka, la caduta del Muro… fino ad arrivare alla tris nipote Brilka nata nel 1993.

Una sorta di grande epica in cui la Storia sconfigge quasi sempre i personaggi del libro. Tra loro spiccano figure indimenticabili e tragiche, in pagine di totale orrore come quelle in cui la giovane Kitty è catturata, indotta a un parto prematuro e si vede strappata per sempre la possibilità di diventare madre. Oppure le contraddizioni del figlio di Stasia, l’ufficiale di marina Kostja, travolto da un amore giovanile finito in tragedia, che diventa potentissimo membro del Partito e finisce per perseguitare i membri dissidenti della sua stessa famiglia. Solo la punta dell’iceberg di questo romanzo  che il “New York Times” ha definito «commovente, straziante, sublime».

 

Claire Lombardo  “Mai stati così felici”   -Bompiani-  euro  22,00

E’ il primo romanzo dell’americana Claire Lombardo e ispirerà una serie tv prodotta dalle attrici Laura Dern e Amy Adams – che trasformano in successo tutto quello che toccano-  per HBO.

La famiglia di cui si raccontano la felicità, ma anche note dolenti, è composta dai genitori David e Marilyn e le loro 4 figlie: Wendy, Violet, Liza e Grace.

Siamo nella Chicago degli anni 70 quando si incontrano, s’innamorano e non si lasceranno più David, studente di medicina, e Marilyn studentessa di letteratura che mollerà tutto per dedicarsi alla famiglia.

Sono una coppia inossidabile, li lega un amore che è fatto di grande intesa, amicizia, condivisione a continua attrazione fisica, anche quando la nidiata sarà impegnativa fino allo stremo. Hanno superato momenti difficili e agli inizi non si sono risparmiati, poi David ha aperto uno studio e la famiglia si è assestata in uno stile di vita invidiabile.

Non altrettanto bene si sono dipanate le vite delle loro figlie, per le quali, comunque, l’amore incrollabile dei genitori è stato un faro anche nella tempesta.

Le prime tre figlie sono nate in rapida successione. Wendy, la primogenita ha un’adolescenza turbolenta e un  rapporto conflittuale con la madre, poi la sfortuna di restare troppo presto vedova dell’uomo che adorava e  intorno al quale aveva costruito la sua esistenza. Il legame con la sorella nata poco dopo, Violet, è invece fortissimo, tanto che per anni hanno serbato un segreto enorme che ha a che fare con la comparsa di un ragazzino 15enne che scompiglierà non poco le carte.

Poi ci sono l’accademica in carriera Liza, successo a piene mani, ma una vita privata irrisolta, una gravidanza forse indesiderata dall’uomo di cui è dubbiosa. E a distanza di anni dalle altre è arrivata la mascotte, Grace, nata con un parto difficile e l’aiuto di una ginecologa che forse solo collega di David non è. Anche Grace ha qualche problema nell’affrontare ostacoli e insuccessi che maschera con bugie.

Non è una famiglia perfetta, si dibatte tra grandi affetti e amore incondizionato, ma anche incomprensioni, segreti, gelosie, alleanze, scontri e incomprensioni. Ma è una famiglia alla quale affezionarsi e che la Lombardo sa raccontare in modo magistrale.

 

Louisa May Alcott   “Mutevoli umori”    – Elliot-    euro 17,50

Il nome di Louisa May Alcott è indissolubilmente legato all’immortale “Piccole donne”con cui siamo cresciute un po’ tutte, ma detto così è un po’ riduttivo. Infatti 4 anni prima aveva scritto questo romanzo per adulti, un esordio che oggi l’editore Elliot ci ripropone.

E’ la storia della giovane Sylvia Yule -carattere irrequieto e grandi sogni- che cerca di ritagliarsi una vita che vada oltre i canoni tradizionali e il limitato perimetro in cui possono muoversi e scegliersi il destino le donne.

Purtroppo a mettersi di traverso sarà l’amore e la scelta di legarsi all’uomo sbagliato, un matrimonio asfittico che tarpa le ali alla nostra eroina.

Ed ecco affacciarsi già le linee guida della Alcott –nata in Pennsylvania nel 1832, morta a Boston nel 1888- con la messa in discussione dell’ideale di famiglia vittoriana, e temi cari che svilupperà poi in “Piccole donne”, come  l’educazione, la crescita, i legami di sangue e l’amore.

Quando “Mutevoli amori” fu pubblicato nel 1864 riscosse due tipi di atteggiamento nei lettori: curiosità e interesse, ma anche critiche perché proponeva non uno scritto di “alto valore morale” bensì un’innovativa ventata di modernità, un nuovo modello di “individualismo domestico” che suggeriva alle donne percorsi ben diversi da quelli dei manuali domestici dell’epoca.

 

Lynda Rutledge   “Il cassetto dei ricordi segreti”    -Piemme-  euro 17,50

Questo libro è stato pubblicato nel 2012, ma ora torna in auge perché ha ispirato il film “Tutti i ricordi di Claire”, con Catherine Deneuve e la figlia Clara Mastroianni, regia di Julie Berticelli.

La Deneuve interpreta magistralmente la protagonista Faith Bass Darling che, dopo anni di assenza, torna nella sua incantevole casa (nel libro è in Texas, mentre nel film è nella campagna francese). Un affascinantissimo scrigno che racchiude i ricordi di una vita, di più vite, anche di quelli che non ci sono più. La dimora più bella di tutto il paese, perché la famiglia era la più facoltosa del luogo, fondatrice di una banca e proprietaria di altre ricchezze.

Nella notte sente una voce che le sussurra che è giunta la sua ora e quello seguente sarà il suo ultimo giorno di vita.

Lei ha 70 anni magnificamente portati, invece la sua mente è offuscata dall’avanzare  impietoso dell’Alzheimer e, tra una sigaretta e l’altra (fumare le calma i nervi), ha flash di dejà vu e un continuo oscillare tra passato e presente dei quali confonde i confini.

Ha deciso di vendere tutto quello che c’è in casa e organizza una “garage sale” in giardino dove fa portare mobili di prezioso antiquariato, lampade Tiffany che non hanno prezzo, i magnifici meccanismi  che ha collezionato per una vita e di inestimabile valore, oggetti rari, libri antichi e un’infinità di altri tesori che però vende per pochi soldi, in sostanza svende tutto a prezzi ridicoli. Ed ognuno di quegli oggetti la riporta a scene vissute in passato. La sua vita anche se privilegiata non è stata poi così generosa: ha perso il figlio giovanissimo in modo tragico e pure il marito. Ha solo più la figlia Claudia con la quale i rapporti si sono strappati da anni, e che ora ritorna perché avvisata da un’amica della follia materna.

Arriva e attonita osserva la pazzia della madre, l’arraffare dei vicini e soprattutto deve fare i conti con oggetti e sentimenti sepolti da tempo. La ricerca dell’anello di famiglia che aveva nascosto nella scrivania paterna e la pendola a forma d’elefante sono solo l’inizio di una resa dei conti con la memoria e  un presente in cui sembra che i drammi e le incomprensioni possano essere superati…ma continua ad aleggiare la premonizione dell’ultimo giorno sulla terra di Faith/Clare…

Protagoniste di Valore: Valentina Parenti, founder di GammaDonna

Protagoniste di Valore LogoRubrica a cura di ScattoTorino

Valentina Parenti incarna alla perfezione il concetto di multitasking. Imprenditrice, gestisce con successo l’agenzia Valentina Communication con la quale ha ideato GammaDonna e il GammaForum internazionale dell’Imprenditoria Femminile e Giovanile. È co-fondatrice del tavolo interassociativo Yes4TO a cui aderiscono i Gruppi Giovani di 24 associazioni del territorio torinese, in rappresentanza di oltre 20.000 imprenditori e professionisti, e la cui finalità è formulare proposte unitarie sul futuro della Città. Fortemente impegnata in ambito associativo, è stata Consigliere e referente per l’organizzazione del Convegno annuale di Santa Margherita Ligure dei Giovani Imprenditori di Confindustria, ha ricoperto il ruolo di Consigliere Regionale FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) per 2 mandati e nel 2017 è stata nominata componente dell’Advisory Board di Assolombarda del progetto STEAMiamoci per la riduzione del gender gap nei settori economici a più alto valore aggiunto, con particolare riferimento alle materie STEAM. What else? È laureata in tedesco e spagnolo, è iscritta all’Ordine dei Giornalisti, è moglie e mamma, e Startupitalia! Magazine l’ha inserita tra le 150 donne dell’innovazione da conoscere e seguire nel nostro paese. L’ultimo anno l’ha vista impegnarsi come attivista contro le disparità di genere, contribuendo alla nascita di Movimenti come Dateci Voce e Il Giusto Mezzo.

Da sempre vi occupate dell’integrazione di genere e dei giovani nel mondo del lavoro. Come è nata l’Associazione GammaDonna e su quali valori è cresciuta?

GammaDonna è nata nel 2004 con lo scopo di valorizzare l’iniziativa imprenditoriale di donne e giovani, la loro capacità di affrontare il cambiamento e di innovare, superando difficoltà e ostacoli.

Lavoriamo per il cambiamento culturale del Paese, attraverso lo scouting e la promozione di iniziative imprenditoriali innovative e incentivando il networking fra startup, imprenditori esperti e investitori. Promuovendo, in sostanza, una community virtuosa dell’innovazione applicata al business. Il Premio GammaDonna, è la sintesi di tutto questo: si rivolge alle imprenditrici – non solo di prima generazione – che abbiano innovato con prodotti, servizi, processi e/o modelli organizzativi nuovi. Il nostro riconoscimento rappresenta un formidabile moltiplicatore di visibilità, che spesso coincide con un’improvvisa accelerazione di business: siamo convinti che le imprenditrici abbiano bisogno anzitutto di comunicazione, ma anche di creare o fortificare la propria rete di relazioni di business, e avere l’opportunità di accedere a nuove opportunità di formazione e aggiornamento professionale.

GammaDonnaLa XII edizione del PREMIO GAMMADONNA si è tenuta in live streaming. Quali sono stati i temi?

La contingenza drammatica ci ha spinto a ripensare alla nostra attività, a rafforzare ulteriormente la nostra partnership con QVC Italia e a trasformare il Premio nel primo format televisivo italiano dedicato alle donne che fanno impresa e innovazione. Siamo doppiamente entusiasti, perché all’orgoglio per il nostro debutto televisivo si aggiunge la soddisfazione per i temi trattati e per averli portati ad un pubblico molto più ampio. Dall’industria del ferro al coding, passando per le nanotecnologie, le piattaforme per la vendita online e lo smaltimento ecologico dei rifiuti: le storie imprenditoriali delle 5 finaliste della 12a edizione del Premio smentiscono, con i fatti e con il sorriso, quegli stereotipi che vedono le donne escluse da determinati ambiti, considerati tradizionalmente di appannaggio maschile.

Ci sono azioni che occorre intraprendere per un futuro di parità e inclusione dove non si ragioni per stereotipi, ma sulla base dei talenti?

L’aspetto più critico e implacabile della disparità, che è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia, inizia dal salario: il pay gap resta del 10% in più a favore degli uomini a parità di mansione. In pratica, è come se per lo stesso lavoro una donna cominciasse a guadagnare dalla seconda metà di febbraio rispetto a un collega. Senza dimenticare la grave questione dell’occupazione femminile (il cui tasso è sceso al di sotto del 50% in Italia, ultimo in Europa) e l’accesso femminile alle posizioni apicali.

In questo scenario, la nostra Associazione fa del suo meglio per contribuire al cambiamento verso una maggiore equità sociale. Di cui, in ultima analisi, beneficerà l’intera società, non solo le donne. Il nostro impegno a raccontare e promuovere storie di innovazione al femminile vuole essere di stimolo e ispirazione per tutti: una testimonianza di come capacità, determinazione e costanza possano condurre a grandi risultati. Esiste un tessuto imprenditoriale al femminile, spesso poco noto ma diffuso in tutti gli angoli del Paese, che contribuisce ogni giorno, in maniera significativa, all’economia. La difficoltà più grande sta nel portare alla luce queste storie, nel convincere le donne a mettersi in gioco, a dimostrare il proprio valore. Perché se è vero che le donne hanno bisogno di rappresentanza nei luoghi decisionali, è altrettanto vero che c’è un grande bisogno di una rappresentazione femminile che demolisca gli stereotipi così profondamente radicati nella nostra cultura.

Qual è il valore della relazione come acceleratore di sviluppo e generatore di impatto sociale?

In un mondo caratterizzato da crescente complessità e da rapidi e continui cambiamenti, il nostro futuro come esseri umani e come imprese dipende dal numero, ma soprattutto dalla qualità, delle connessioni virtuose che saremo riusciti ad instaurare.

Mio padre definiva queste connessioni “strategiche”, per distinguerle per utilità e peso da quella moltitudine che ci travolge senza portare valore. Grazie alla preziosa eredità della mia famiglia, sono cresciuta credendo e praticando l’impegno a favore del territorio e di chi non ha avuto le mie stesse possibilità.

“Molte piccole persone che, in molti piccoli luoghi, fanno molte piccole cose possono cambiare la faccia della terra” recita una scritta sul muro di Berlino. Credo ci sia una profonda verità in questa frase e credo che l’unione di queste persone possa avere un impatto che è spesso grandemente sottovalutato. Ne sono testimonianza iniziative straordinarie, di cui sono stata tra le co-promotrici quest’anno, come #DateciVoce – per la rappresentanza femminile nei luoghi decisionali – e #GiustoMezzo – per la destinazione della metà del Recovery Fund a politiche integrate che tengano conto dell’impatto di genere.

GammaDonnaDonna per lei significa?

“Insisti e persisti, raggiungi e conquisti”, questo è il mantra che mia madre ripeteva a me, quando ero piccola e che ora ripeto a mia figlia.  E a mio figlio. Perché, in realtà, questo consiglio vale per tutti.

Non è cosa siamo, ma cosa scegliamo di diventare che conta. Lavorare sodo per migliorarsi e credere in se stessi è una sfida che appartiene a ognuno di noi. Forse per una donna il cammino è più impervio, a causa del retaggio culturale, ma ci anima una visione del mondo che è rigeneratrice: la capacità di assorbire traumi, delusioni, urti, guardando avanti senza accartocciarsi e immaginando sempre qualcosa di nuovo. Alcuni la chiamano resilienza, io preferisco definirla predisposizione ad amare la vita incondizionatamente.

IL FOCUS DI PROGESIA

I valori di GammaDonna sono:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Valorizzazione di genere, competenze e carriere femminili.

Premio GammaDonna: innovazione e consapevolezza

Le imprenditrici che decidono di partecipare al Premio GammaDonna sono ogni anno di più e, in particolare, in questo 2020 così difficile e complesso sono state addirittura il 30% in più rispetto all’anno precedente. “Si tratta di donne che nella loro esperienza imprenditoriale fanno innovazione, ne hanno consapevolezza e credono fortemente in ciò che fanno” afferma Valentina Parenti “e questi tre step non sono assolutamente scontati”. Esiste inoltre un filo conduttore che caratterizza le vincitrici, che secondo Valentina Parenti è “l’attenzione all’impatto ambientale e sociale. Tutte desiderano rendere il mondo un posto migliore”.

Una cosa che accomuna tutte le partecipanti del Premio GammaDonna è il bisogno di ampliare e migliorare la rete di conoscenze e la comunicazione, nonché la formazione e l’aggiornamento professionale. Tali esigenze sono state rilevate dalle ricerche realizzate in collaborazione con le università (Unitelma Sapienza e Tor Vergata), nelle numerose survey online e dai feedback raccolti durante gli eventi nelle undici edizioni del Premio. La business community GammaDonna, appena lanciata su Facebook, andrà incontro a questi bisogni e permetterà alle imprenditrici di moltiplicare le occasioni di conoscenza e di confronto delle esperienze.

Valentina Communication

GammaDonna e GammaForum nascono da una realtà solida, altamente dinamica e che ha saputo innovarsi nel tempo: Valentina Communication, l’agenzia di comunicazione di cui Valentina Parenti è la Presidente.

Valentina Communication è stata fondata negli anni ‘80 dalla madre di Valentina Parenti, Giuliana Bertin, che è stata una pioniera del settore. Inizialmente l’agenzia si occupava di consulenza sulla comunicazione e PR esclusivamente per il settore dell’economia e della finanza. “Nel tempo è diventato un family business;” racconta Valentina Parenti “è entrato prima mio padre Mario, e in seguito io e mio fratello Marco. Ognuno di noi ha portato il suo personale contributo. Il mio ad esempio è legato al mio innato interesse per le tematiche sociali”. Attualmente l’Agenzia si occupa di comunicazione in modo innovativo offrendo servizi di ufficio stampa, PR, eventi e strategie di comunicazione, rivolgendosi a realtà eterogenee, dalle startup ai grandi gruppi e alle multinazionali.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

Le riforme e la scuola: strade parallele

Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

3 Le riforme e la scuola: strade parallele

La storia della scuola, come ho già ho avuto modo di dire, è assai complessa e articolata.
Il sistema scolastico italiano si è da sempre modificato, riforma dopo riforma, nel tentativo di adattarsi alle richieste e alle necessità dei vari periodi storici.
E’ possibile dunque affermare che la scuola è, con tutti “i pro e i contro”, il riflesso dei mutamenti sociali. Essa è costantemente coinvolta in processi di adeguamento strutturali, organizzativi e didattici. L’argomento “scuola e riforme” è assai vasto, poiché alle tematiche più prettamente legate all’ambito educativo-didattico si annettono diverse problematiche come la dispersione scolastica (L. 496/94, L. 296/2006, DM 139/2007), l’obbligo scolastico (L. 144/99, L. 53/03), l’abolizione degli esami di riparazione (L. 352/95), l’edilizia scolastica (L. 23/96, DM 11 aprile 2013), e inoltre vi sono tutta una serie di normative che, pur essendo di diversa natura, toccano comunque il mondo della scuola. Come divincolarsi dunque in una materia così articolata ed arzigogolata? Proviamo a partire, come si suol dire, dall’inizio.  La prima importante riforma che è bene ricordare è la Legge Casati, promulgata dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati nel 1859, considerata come il vero e proprio atto di nascita della nostra scuola italiana. Tale norma pone a carico dello Stato la responsabilità dell’educazione del popolo e sancisce per la prima volta l’obbligatorietà e la gratuità della scuola elementare. Il primo ciclo scolastico, secondo tale normativa, era articolato su due bienni, (di cui solo il primo obbligatorio), a cui seguiva una duplice scelta: il ginnasio (a pagamento) o le scuole tecniche. Dopo questi anni di studio e formazione vi era l’università a cui però accedevano solo gli studenti che avevano frequentato il ginnasio, spesso figli di famiglie agiate e che potevano permettersi di supportare i giovani nello studio. Con la legge Casati, inoltre, si cerca di affrontare per la prima volta la grave problematica dell’analfabetismo dilagante in tutta la penisola: la situazione non viene risolta e tale aspetto si va a sommare con gli altri difetti della normativa, a noi evidenti.

Nel 1860 il ministro Terenzio Mamiani approva i primi programmi scolastici, che includono tra le materie fondamentali la religione cattolica e si propongono di assicurare un’alfabetizzazione di base per tutta la popolazione. Nel 1867 i programmi vengono modificati, lo spazio dedicato alla religione viene meno, e le ore dedicate a tale materia sono attribuite a educazione civica. Il 15 luglio 1877 venne promulgata la Legge Coppino, che porta l’obbligo elementare inferiore fino ai nove anni. Tale legge è assai importante per l’istruzione italiana in quanto contribuisce ad innalzare il tasso di alfabetizzazione. I risultati delle leggi attuate nel mondo della scuola iniziano a vedersi intorno agli inizi del XX secolo, il grado di analfabetismo cala visibilmente, eppure emergono nuove difficoltà, come il fenomeno della disoccupazione intellettuale e un generale malcontento diffuso tra la classe borghese, preoccupata per un possibile sconvolgimento dello “status quo” sociale.

In questo contesto si inserisce la Legge Orlando, promulgata l’8 luglio del 1904, con la quale si estende l’obbligo scolastico a 12 anni, si impone ai Comuni di istituire scuole fino alla classe quarta e si assicura assistenza economica agli alunni meno abbienti. Il provvedimento non riscuote i risultati sperati e a tale riguardo risultano emblematiche le parole di F.S. Nitti, (discorso pronunciato in Parlamento l’8 maggio 1907): “In Italia la popolazione scolastica è così scarsa ancora, dopo 50 anni di unità e dopo 30 anni di istruzione obbligatoria, che si può dire che lo scopo della legge del 1877 non fu mai realizzato. Vi sono almeno 4 milioni e mezzo di bambini che avrebbero l’obbligo di seguire le scuole, ma sono appena 2 milioni e 700 mila che le frequentano”.
Di certo una delle riforme più conosciute e discusse è la così detta Riforma Gentile. Il contesto storico in cui viene attuata la legge sono gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale: in questo periodo lo Stato è fermamente impegnato a dare un assetto organico al sistema scolastico, vengono riesaminate le norme in vigore e si rimuove dal sistema ciò che è considerato improduttivo o imperfetto. Viene eletto Ministro della Pubblica Istruzione il filosofo Giovanni Gentile, il quale afferma: “nella scuola lo Stato realizza se stesso. Perciò lo Stato insegna e deve insegnare. Deve mantenere e favorire le scuole”. Tale riforma consiste in una moltitudine di norme, decreti e regolamenti, raccolti in un T.U. (R.D. 5-2-1928, n. 577) e nel relativo regolamento di esecuzione (R.D. 26-4-1928, n. 1297) che interessano le scuole di ogni ordine e grado, comprese le università. Sono previsti cinque anni di scuola elementare uguale per tutti, suddivisi in un triennio e in un biennio, a cui segue la scelta di un duplice percorso, o un triennio professionale, (le scuole di avviamento) o un ginnasio; dopo di che vi sono le scuole superiori: tre anni per il liceo classico, quattro per il liceo scientifico, tre o quattro anni per gli istituti tecnici, magistrali o per i conservatori. Alle classi meno abbienti viene riservata l’ “educazione del lavoro”, svolta attraverso la frequenza della scuola di avviamento professionale, riordinata dalla L. 22-4-1932, n. 490, e le scuole dell’ordine tecnico.

La riforma Gentile è complessa e articolata, è possibile comunque evidenziarne alcuni punti chiave, come l’estensione dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni, l’ istituzione di scuole speciali per allievi in condizione di disabilità sensoriali della vista e dell’udito, l’ istituzione di rigidi controlli per l’inadempienza dell’obbligo scolastico e la creazione di appositi istituti magistrali per la preparazione dei maestri elementari. I programmi delle scuole elementari ripristinano l’insegnamento della religione cattolica, salvo richiesta di esonero, e valorizzano il canto, il disegno e le tradizioni.  La struttura del sistema scolastico italiano resta sostanzialmente improntata a tale modello anche dopo la fine del fascismo, ed i programmi della scuola elementare non subiscono variazioni significative per oltre quarant’anni.  Nel 1939 il Ministro Giuseppe Bottai propone una nuova riforma volta a sottolineare la necessità di una scuola di massa, distinta e gerarchizzata al suo interno, che risponda alle esigenze economiche del paese e del governo. Tale riforma rimane però sulla carta, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fa sì che venga approvata solo la Legge del 1940 riguardante la scuola media, che diventa così un unico triennio uguale per tutti i corsi inferiori ai licei e agli istituti tecnici e magistrali; rimane inalterato il sistema dell’avviamento professionale. Essenziale, per il nostro discorso sulle riforme scolastiche, è la Costituzione della Repubblica italiana, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il documento dedica alcuni articoli all’istruzione, che viene considerata essenziale per procurare un maggior benessere alla collettività e per migliorare ed elevare le condizioni di vita dei cittadini. Si sottolinea la necessità di avere una scuola democratica, che sia d’aiuto alla formazione della persona e che prepari i singoli individui a vivere nella società, intesa come luogo di integrazione e di esplicazione della propria personalità.

La Costituzione è certamente un testo articolato e forse, in alcune parti, di difficile lettura, ma ogni cittadino dovrebbe impegnarsi a leggerla, almeno una volta, anche se non nella sua interezza. Per questo nostro discorso sulla scuola e l’istruzione, oltre all’art.33 c1 (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”), è bene soffermarsi sull’art. 34 che così recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria ed è gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Parole importanti, che richiederebbero una riflessione approfondita. La seconda metà del XX secolo è scandita da un ulteriore susseguirsi di cambiamenti. Nel 1962 viene abolita la scuola di avviamento a favore di un’unica tipologia di scuola media che permette agli studenti di accedere a tutti gli istituti superiori; nel 1969 gli ingressi all’università vengono estesi agli studenti provenienti da qualsiasi istituto superiore, togliendo così il privilegio al liceo classico. Nel 1974 vengono introdotte una serie di figure che diventano presto fondamentali per la scuola, ossia il rappresentante degli studenti, i rappresentanti dei collaboratori scolastici e i rappresentanti dei genitori. Di grande rilievo è la Legge Ferrucci del 1977 che introduce l’assegnazione di insegnanti di sostegno per gli studenti disabili. Gli anni Settanta si concludono con la rimozione del latino dalle discipline autonome delle scuole medie.

Siamo ormai giunti a tempi decisamente più recenti. Le riforme che avvengono tra gli anni Novanta e Duemila seguono pedestremente l’andamento della scena politica e l’alternarsi delle “fazioni” vincitrici.  Berlinguer, con il “Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione”, dichiara la volontà di annullare la distinzione tra formazione culturale e formazione professionale, tale scritto sottolinea inoltre la volontà di introdurre un’istruzione, successiva alla scuola materna, a due cicli oppure a ciclo unico. Il 3 giugno 1997 il governo, con la presentazione della “Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione”, vota per l’introduzione di un sistema educativo a due cicli, primario e secondario. Il primo ciclo ha come obbiettivi sia la formazione della personalità dello studente, attraverso la promozione dell’alfabetizzazione e dell’apprendimento di conoscenze fondamentali, sia il favorire la nascita di un’attitudine all’apprendimento, perché vengano riconosciuti i valori della convivenza civile e democratica.
Il secondo ciclo deve invece fornire agli studenti le competenze necessarie ad affrontare gli studi universitari o il mondo del lavoro, a seconda degli obiettivi e delle capacità di ogni alunno.
Tale riordino riguarda tutti i cicli scolastici, anche le università nelle quali vengono introdotte le lauree triennali e le specialistiche. Inoltre viene innalzato l’obbligo scolastico fino ai 16 anni.
La riforma Berlinguer, viene approvata nel 2000 ma è destinata a non entrare in vigore.

Arriviamo dunque alla Riforma Moratti, promulgata con la Legge del 28 marzo 2003 n.53, con la quale viene abolita la precedente riforma Berlinguer e vengono effettuate diverse modifiche sull’ordinamento delle istituzioni. La normativa interessa tutti gli ordini scolastici, a partire dalla scuola dell’infanzia fino alle università. Tra le disposizioni principali ricordiamo l’introduzione dello studio della lingua inglese e dell’informatica già dal primo anno della primaria, l’abolizione dell’esame alla fine del primo ciclo d’istruzione, mentre alle superiori viene inserita l’alternanza scuola-lavoro e ancora all’università viene introdotta l’idoneità scientifica nazionale, requisito fondamentale per accedere ai concorsi per professori universitari.
I provvedimenti del Ministro Moratti vengono frenati dal Ministro Fioroni.
Per me le riforme Moratti e Gelmini sono reminiscenze del liceo, le prime manifestazioni a cui si partecipava “in massa”, con il fervore accresciuto dalla sensazione di far parte di qualcosa. Ricordo che con quasi tutta la classe ci si ritrovava o a Palazzo Nuovo, (luogo comodo per una ex giobertina) o in Piazza Albarello, poi partiva il corteo; si cantava e si mostravano gli striscioni alla cittadinanza con la certezza che quelle azioni non violente e svolte con razionalità e giudizio, avrebbero sicuramente cambiato la storia.
Protestavamo, ma le riforme venivano promulgate costantemente, come se ai piani alti nessuno si interessasse di noi poveri studenti delusi.
Nel 2008 il Ministro Mariastella Gelmini dà il via ad un’altra riforma scolastica, i suoi provvedimenti riguardano prevalentemente degli ingenti tagli economici, in generale provocano scontento e scalpore, come il ripristino del maestro unico e la reintroduzione del voto in condotta.

Senza essere troppo di parte, va detto che da tale programma non siamo più tornati indietro.
Infine arriviamo alla Legge 13 luglio 2015, n. 107, nota come “La Buona Scuola”, che è la riforma del sistema nazionale di istruzione, formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. Essa comprende, tra il resto, il Regolamento dell’Autonomia, il Fondo di Funzionamento, il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, il Percorso formativo degli studenti, l’Alternanza scuola-lavoro, l’Innovazione digitale, la Didattica Laboratoriale. Riformare la scuola non è facile, come dimostrano tanti progetti rimasti incompleti nel corso del tempo. “La Buona Scuola” è un progetto di riforma di ampio respiro, con al suo interno numerosi aspetti positivi, come ad esempio l’organico dell’autonomia, cui si collega l’assunzione di tantissimi precari. Ampi poteri vengono conferiti al Dirigente Scolastico, che viene ad assumere effettivamente la figura di Preside manager. La scuola è un organismo complesso, fatto di componenti diverse che devono muoversi in sinergia, il che richiede grandi capacità gestionali, impegno assiduo, intelligente assunzione di responsabilità da parte di chi la dirige.
Sin dagli anni Novanta, gran parte dell’ Europa è impegnata nel comune intento di migliorare le politiche autonomistiche nel campo dell’ istruzione, nella prospettiva di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.  Cosa stia accadendo ora all’intero delle scuole, devo ammettere, non è chiaro. Il virus imperversa quasi incontrastato e costringe sia professori (me compresa) che studenti in condizioni difficoltose e scomode, destabilizzanti per un buon funzionamento della macchina scolastica, ma la situazione attuale impone spirito di sacrificio.

Alessia Cagnotto