Rubrica a cura de La Cuoca Insolita
Settembre è il mese dell’uva fragola. Lo sa bene chi vive in campagna o chi fa la spesa al mercato dai contadini. La sua fama non è solo dovuta al fatto che è buonissima, ma anche perché nell’800 fu la salvezza del nostro patrimonio di vigneti. In quel periodo infatti le radici di molte vigne europee furono gravemente danneggiate da un insetto, la Fillossera. Le radici della pianta di uva fragola (o vite americana), invece, non erano vulnerabili a questo parassita. Fu così che si diffuse rapidamente la tecnica dell’innesto, ancora oggi in uso, con la quale si impianta la vite europea sull’apparato radicale della vite americana.
Ma veniamo alla tavola: l’uva fragola può essere usata per produrre il fragolino, ma è buona da mangiare anche come frutta (anche se è un po’ difficile separare i semi dalla polpa) oppure può essere impiegata per preparare il succo o per tante ricette dolci. Qui la vediamo qui protagonista di una confettura. E siccome una confettura così buona e naturalmente dolce (l’uva fragola contiene circa il 17% di zuccheri) non poteva restare tutta sola in un barattolo, ecco la ricetta dei biscottini farciti all’uva fragola. Un connubio delizioso, dove la dolcezza della confettura e una leggera nota di acidità dovuta al succo di limone sono contrastati dal profumo delle mandorle della pasta frolla. Biscotti saporiti, morbidi e molto leggeri, perché senza burro e preparati con soli due cucchiai di zucchero. L’ideale per una merenda sana e golosa (anche per i bambini) o per una coccola pomeridiana, magari davanti ad una tazza di tè.

Tempi: Preparazione (30 min); Cottura (15 min)
Attrezzatura necessaria: Estrattore di succo o centrifuga (oppure un passaverdure), casseruola media da 1 L circa e coperchio, vasetti di vetro per la confettura, contenitore a bordi alti, matterello, taglia-biscotti rotondo, teglia e carta da forno.
Difficoltà (da 1 a 3): 1 Costo totale: 6,50 €
Ingredienti per 1 kg di biscottini farciti
Per 500 g di confettura:
- Uva fragola nera (acini) – 650 g (oppure 500 g di succo già pronto)
- Agar-agarin fiocchi (https://lacuocainsolita.it/ingredienti/agar-agar/) – 5 cucchiaini colmi (7 g)
- Kuzu(https://lacuocainsolita.it/ingredienti/kuzu/) – 20 g
Per i biscottini di pasta frolla speciale:
- 160 g di farina di riso integrale
- 120 g di farina di mandorle
- 120 g di fecola di patate
- 2 uova intere
- il lato dolce: 60 g eritritolo+ 30 g dolcificante alla stevia* + 30 g di zucchero
- 50 g di olio di girasole o di oliva
- 1 bustina di vanillina + scorza di meno di mezzo limone
- 1/4 di cucchiaino di lievito per dolci (1 g)
* dolcificante alla stevia: lo potete trovare anche nei supermercati, insieme agli altri dolcificanti. È una polvere bianca, che ha lo stesso aspetto dello zucchero. Sarebbe meglio usare le foglie di stevia essiccate, più naturali (potete produrle anche a casa vostra https://lacuocainsolita.it/ingredienti/stevia/), ma darebbero alla pasta frolla un colore meno invitante e in questa ricetta, quindi, non le consiglio.
Succo di limone (facoltativo) – 15 g
Perché vi consiglio questa ricetta?
- Valori nutrizionali: rispetto ad una confettura di uva fragola preparata con lo zucchero, la ricetta de La Cuoca Insolita ha meno 60% di calorie e meno 60% di carboidrati.
- È una confettura senza zuccheri aggiunti. Se quindi avete qualche problema con la glicemia, è certamente più indicata rispetto a quelle che si trovano in commercio. Non abusatene però, perché l’uva fragola ha comunque un alto contenuto di zuccheri.
- È ottima anche per preparare una merenda ai vostri bambini: L’uva fragola è ricca di vitamine (gruppo A e B, C, potassio, ferro, fosforo, calcio, manganese e magnesio).
- Il kuzu ha proprietà alcalinizzanti sul nostro corpo.
- L’agar-agar è un’alga – un prodotto naturale- ed è ricca di calcio e vitamine. Oltre a questo, il vantaggio di usarla al posto della pectina sta nel fatto che l’agar-agar non ha bisogno di zucchero per formare la gelatina (la pectina invece sì).
- I biscottini di pasta frolla sono senza glutine, senza burro né latte e con solo 30 g di zucchero in totale. Gli altri dolcificanti (stevia ed eritritolo) sono a zero calorie.
Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link).
Preparazione dei biscottini farciti all’uva fragola
FASE 1: LA PREPARAZIONE DEL SUCCO DI UVA FRAGOLA
Lavate l’uva fragola sotto l’acqua corrente e sgranate gli acini. Se avete un estrattore o una centrifuga, non vi resta che versare gli acini nella macchina per ottenere il succo. Se decidete di fare più di mezzo litro di succo, vi consiglio di ripulire la macchina almeno una volta a metà lavoro, perché i semi potrebbero rovinare la macchina o intasarla. Potete aggiungere il succo di limone, eliminando i semi (il limone da un po’ più di acidità che equilibra il sapore dolce dell’uva, ma è facoltativo).
Se non avete l’estrattore, mettete nella casseruola gli acini e schiacciateli con le mani in modo che si rompano il più possibile. Aggiungete il succo di limone. Accendete il fuoco a calore moderato e lasciate cuocere per circa 20 minuti. Passate quindi tutto al passaverdure per eliminare buccia e semi.
FASE 2: LA COTTURA
Ponete il succo e l’agar-agar nella casseruola, date una mescolata veloce e portate a bollore. Quando vedete le bollicine, abbassate il calore al minimo e lasciate cuocere per 10 minuti, coperto. Intanto sciogliete il kuzu in due cucchiai di acqua a temperatura ambiente. Passati i primi dieci minuti di cottura, aggiungete il kuzu sciolto nella casseruola, mescolate subito velocemente e fate cuocere ancora per 5 minuti a calore molto basso, sempre coperto. Se volete provare a vedere che la marmellata sia pronta, potete fare il test del cucchiaino o del piattino: metteteci un po’ di confettura e verificate dopo poco se, raffreddandosi, si è addensata. Versate quindi nei vasetti di vetro, chiudeteli e aspettate che si raffreddi del tutto (ci vorranno un paio d’ore).
FASE 3: I BISCOTTINI E LA FARCITURA
Mescolate insieme tutti gli ingredienti della pasta frolla fino a formare una palla morbida e compatta. Se l’impasto si divide, aggiungete pochissimo latte di riso. Lasciate riposare per mezz’ora in frigorifero, coperto con la pellicola. Stendete in strato spesso poco più di mezzo centimetro con un matterello, su un piano di lavoro infarinato con farina di riso. Formate dei biscottini rotondi e infornate a 160° C per circa 15 minuti. Resteranno morbidi e saranno irresistibili.
Ora, quando tutto sarà ben raffreddato (confettura e biscotti), spalmate su una metà di biscotto mezzo cucchiaino di confettura e poi chiudete con l’altra metà di biscotto.
Buon appetito!
E con un’altra scusa sono di nuovo a fare due passi in centro a Torino, questa volta per visitare il Museo Nazionale del Cinema, uno tra i più importanti e peculiari del mondo, grazie alla ricchezza del patrimonio, alla molteplicità delle attività scientifiche e divulgative e, infine, per il particolarissimo allestimento espositivo. Per raggiungere il Museo allungo leggermente la strada e passo davanti al mio Liceo, il Gioberti, subito respiro l’ansia delle interrogazioni, mi ricordo dei compiti a casa che qualche volta si copiavano sulle panchine lì dietro e penso a quegli anni così essenziali che lì per lì si vivono sperando che passino in fretta. Il problema è che in effetti succede per davvero.
Salgo ancora verso la Galleria dei Manifesti e qui mi prendo tutto il tempo necessario per guardarli uno per uno. Le locandine sono disposte in ordine cronologico e ripercorrono la storia del cinema e degli autori più importanti, da tutto ciò si evince l’evoluzione del gusto figurativo, della grafica e della cartellonistica pubblicitaria. Solo per portarvi un esempio, di fronte al manifesto di un classico degli anni Ottanta e Novanta, “E.T l’extra-terrestre”, film di fantascienza del 1982, diretto da Steven Spielberg, spero che nessuno mi abbia sentito canticchiare la colonna sonora che immediatamente mi è saltata alla mente, accompagnata dall’iconica scena dei ragazzini in bicicletta che prendono il volo verso una luna gigante. Ammetto che anche adesso mi stanno venendo gli occhi lucidi, ripensando a quella che è una tra le pellicole di Spielberg più personali, incentrata sulle emozioni umane, come possono essere anche “Il colore viola” e “Schindler’s List”. Una favola senza tempo che fa sognare da bambini e che è obbligatorio rivedere da adulti per reimparare a non avere paura della diversità e ricordarsi il valore eterno dell’amicizia.
“Oriente”: una parola così piccola che cela un significato così grande. Geograficamente il termine indica il “mondo” che si estende ad est, il Vicino, Medio ed Estremo Oriente, rispetto all’Europa, con le sue numerose culture e religioni assai lontane da noi, forse più da un punto di vista concettuale che del territorio. Oggigiorno, nel mondo della globalizzazione e del livellamento culturale, nulla pare irraggiungibile, aerei, treni ad alta velocità e colossali transatlantici inaffondabili ci portano ovunque e noi godiamo mentre, abbronzati, ci scattiamo “selfie” con sfondi esotici e che fanno tanto moda “blogger”: è evidente che non si esce dal tranello della società dei consumi. Per me l’ “Oriente” è qualcosa che conosco appena, un’infinità di mistici saperi che ancora non ho avuto modo di approfondire e studiare.
Mi sento come in un viaggio fantastico, le opere che vedo le percepisco come esseri alieni che mi dispiace non identificare e forse proprio per questo li scruto con l’attenzione di un pioniere.
Il 22 dicembre 1928 nasce a Torino Piero Angela, divulgatore scientifico, giornalista, conduttore televisivo e saggista, celebre soprattutto per la trasmissione “Quark”, programma documentaristico di grande successo, realizzato secondo uno stile anglosassone.
Nel corso della sua vita riceve dodici lauree “honoris causa” e altri numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero; nel 1993 l’UNESCO gli conferisce il Premio Kalinga per la divulgazione scientifica, e nel 2002 vince la medaglia d’oro per la cultura della Repubblica Italiana. Nel 2008 arriva un altro premio, il primo dei sette Telegatti che riceverà successivamente, nel 2010 riceve il Premio Speciale della Giuria del Premio Letterario Giuseppe Dessì. Il suo nome collega astri e abissi nel vero senso della parola poiché gli astronomi Andrea Boattini e Maura Tombelli, nominano l’asteroide 7197 “Pieroangela” in suo onore, mentre alcuni studiosi di biologia marina gli dedicano la scoperta della “Babylonia pieroangela”, un mollusco gasteropode del mar Cinese. Padova, città da sempre legata a Galileo Galilei, gli ha riconosciuto la cittadinanza onoraria per il suo “contributo di eccellenza dato alla divulgazione scientifica”, mentre Torino, appunto sua città natale, il 23 ottobre 2017, ha deciso di riconoscergli la cittadinanza onoraria per essere “la conferma vivente della tradizione scientifica della città” e per aver contribuito con la sua carriera professionale ad incrementare “la cultura e la conoscenza degli italiani anche mediante il mezzo televisivo”. Nel 2018 riceve inoltre il premio “Torinese dell’Anno 2017”, assegnato dalla Camera di Commercio di Torino, “per aver rappresentato lo stile torinese dell’impegno e della passione per il lavoro”.
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Dopo questa lunga spiegazione si è fatta l’ora di entrare. A questo punto ci si imbatte nel celebre e scenografico scalone, definito uno dei capolavori dell’architettura europea, realizzato tra il 1718 e il 1721 per volere di Maria Giovanna Batista di Savoia-Nemours da Filippo Juvarra, (Messina, 7 marzo 1678 – Madrid, 31 gennaio 1736), architetto e scenografo italiano, uno dei principali esponenti del Barocco, che operò per lunghi anni a Torino sotto le direttive di casa Savoia.

Il “Regio Liceo-Ginnasio Camillo Benso Conte di Cavour”, insieme al Liceo Classico Vincenzo Gioberti, è uno degli Istituti scolastici più antichi d’Italia. Le due istituzioni così rinominate risalgono al 1865 a seguito del Regio Decreto 229 che istituisce i primi Licei del Regno d’Italia. Le origini del Cavour in verità si possono fissare intorno al 1568, all’inizio l’istituto è conosciuto con il nome di Collegio dei Nobili di Torino, e tale rimane fino al 1805, quando viene convertito in Liceo, pur mantenendo la medesima sede. Con la Riforma Boncompagni diviene Collegio-Convitto Nazionale di Educazione, infine, con la Legge Casati, vengono istituiti il Liceo, il Ginnasio e il Convitto nazionale. Pochi anni dopo, tali istituzioni vengono titolate a Cavour, con il decreto che denomina con il nome di italiani illustri tutti i più antichi istituti superiori. Nel 1900, con altri celebri licei italiani, il Cavour partecipa all’Esposizione Universale di Parigi. Nel 1931 la sede della scuola viene trasferita dall’originale indirizzo a quello attuale, ossia Corso Tassoni 15. A partire dalla fine degli anni Ottanta viene aperta una succursale in via Tripoli 82. Nel corso degli anni, il liceo ha ospitato allievi che si sarebbero poi distinti in diversi ambiti, e illustri docenti: ricordiamo l’italianista Augusto Monti, i latinisti Ettore Stampini e Augusto Rostagni, lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan e il matematico Giuseppe Peano. Furono altresì studenti “cavourrini”, seppure solo per i due anni del ginnasio, Guido Gozzano e Cesare Pavese. Per quel che riguarda la politica, figura rilevante è Luigi Einaudi, ex “cavourrino” divenuto Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955; allievi del Cavour furono anche i sindaci di Torino Grosso e Cardetti. Il Cavour merita di essere citato anche per lo sport: una squadra di calcio dell’Istituto si distingueva a livello giovanile all’inizio del Novecento, ed ex allievo è stato l’olimpionico Livio Berruti. Attualmente l’ex- allievo più conosciuto è Alessandro Barbero, Ordinario di Storia Medioevale presso l’Università del Piemonte Orientale.
Nell’inverno del 1932, attraverso Leone Ginzburg, incontra un’insegnante di matematica di cinque anni più vecchia, militante comunista, e tra i due nasce l’amore (una delle tante difficoltose esperienze d’amore di Pavese). Si tratta di Battistina Pizzardo (Tina) che così descrive lo scrittore: “ Cesarino: a quei tempi era un bel ragazzo alto, snello, un gran ciuffo sulla fronte bassa, il viso liscio, fresco, di un leggero color bruno soffuso di rosa, i denti perfetti. Mi piacevano i suoi occhi innamorati, le sue poesie, i suoi discorsi tanto intelligenti che diventavo intelligente anch’io, mi piaceva il senso di fraternità, che ci veniva dalla stessa origine bottegaio-contadina, da un’infanzia vissuta nei nostri paesi delle Langhe, e per tanti versi simile”.
La critica milanese, infatti, organizza nel medesimo periodo storico, una corrente artistica meglio nota come “Novecento”, e nel 1922 fondano il collettivo Mario Sironi, Achille Funi, Leonardo Dudreville, Anselmo Bucci, Emilio Malerba, Pietro Marussig e Ubaldo Oppi. Negli anni il gruppo si farà sempre più numeroso, e ospiterà al suo interno artisti tra loro molto differenti per stile, personalità e formazione, seppur tutti uniti dal comune desiderio di rappresentare lo spirito del secolo. Essi sostengono un ritorno all’ordine dopo le avanguardistiche sperimentazioni del primo Novecento (Futurismo e Cubismo); le tele novecentiste presentano chiari rimandi all’antichità classica, alla purezza delle forme e all’armonia generale che deve dominare la composizione. Lo stile “Novecento” è anche definito “Neoclassicismo semplificato”, espressione con cui si indica una tipologia architettonica apprezzata da molti regimi totalitari, un’architettura che riprende i modelli classici ma ne alleggerisce gli elementi e i dettagli, eliminando o semplificando la decorazione. In Italia il maggior esponente di tale tendenza è l’architetto Marcello Piacentini, che domina la scena del ventennio fascista con progetti razionalisti che conciliano i temi del Movimento Moderno con i propositi del regime. I progetti architettonici di Piacentini influiscono sull’urbanistica, come dimostrano la costruzione del campus universitario di Roma, nel quartiere Tiburtino e le demolizioni e ricostruzioni di centri storici di città come Brescia e Livorno.
Nel 1928 si reca a Parigi per studiare da vicino le opere degli impressionisti, ma non perde l’occasione di interessarsi a Pablo Picasso, Henri Matisse, Raoul Dufy, e Georges Braque.