Madstock, due giorni di pace, amore e ska
Music Tales, la rubrica musicale
Madstock, due giorni di pace, amore e ska.
“Hey Tu, non guardare qua, guarda questo!
Questo è un pesante suono mostruoso
Il più sporco suono nei dintorni
Quindi se scendi in strada
e cominci a sentire il calore
allora ascolta giovanotto
Faresti meglio a cominciare a mnuovere i piedi
al suono più rock, un ritmo rocksteady
di pazzia
Un passo avanti! ”
A pochi anni di distanza dallo scioglimento avvenuto nel 1986 al termine di una carriera brillantissima e sempre ai vertici, i Madness decidono di tornare insieme per un’unica occasione (anche se poi le cose non andranno esattamente cosi).
La data è 8 e 9 agosto 1992. A Londra, Finsbury Park.
Lo fanno nel migliore dei modi, organizzando un piccolo festival di due giorni, chiamato ironicamente Madstock, chiaro riferimento al più famoso happening musicale della storia n.d.r.
I Madness offrono in questo concerto il meglio del loro repertorio circondati dall’affetto di un pubblico che non ha mai smesso di amarli.
I seette di Camden Town, in patria sono delle vere e proprie istituzioni tant’è che laffluenza a questo concerto è stata davvero copiosa.
Pubblicato anche il dvd, Madstock sarebbe dovuta essere il “canto del cigno” del gruppo, invece è interessante sapere che fu un vero e proprio trampolino di lancio: i Madness, forti di una ritrovata rinnovata vitalità creativa e dell’affetto dimostrato dai fan, continueranno la loro carriera con tour mondiali, dischi eccellenti e moltissime repliche di questo festival, che diventerà un ritrovo annuale.
Questa è una bella storia della musica, che ci insegna che spesso bisogna perdersi per ritrovarsi e scrivere una storia migliore della prima.
“Il bello non è ritrovarsi, è il non essersi mai persi veramente;
Perdersi è facile. Ritrovarsi è una scelta.”
Chiara De Carlo
Buon ascolto, di un brano intramontabile.
https://www.youtube.com/watch?v=SOJSM46nWwo&ab_channel=Madness
Ecco a voi gli eventi della settimana!
Mi raccomando prenotate perchè i posti sono contati
L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Mazo de la Roche “La fortuna di Finch” -Fazi- euro 18,00
Dopo “Jalna” e “Il gioco della vita”, ecco il terzo capitolo della saga che prende il nome della casa che domina le praterie e i boschi dell’Ontario, di proprietà della famiglia Whiteoak. Partono da lì gli intrecci di personaggi e vite che l’autrice scrisse tra fine anni 20 e 50 del 900.
La vita stessa della scrittrice canadese Mazo de la Roche (nata a Newmarket nel 1879, morta a Toronto nel 1961 a 82 anni) vale più di mille romanzi. Un’infanzia solitaria allietata dalla passione per la lettura, una fantasia inarrestabile che la cala in un mondo immaginario. Un rapporto fuori dagli schemi con la compagna di tutta la vita Caroline Clement: la cugina orfana di 8 anni che i genitori di Mazo avevano adottato.
Da allora sono state inseparabili, in quello che all’epoca era chiamato “Boston Marriage”, e adottarono anche due bambini.
Nell’arco della sua esistenza ha scritto 23 romanzi, tra i quali la saga di Jalna, lunga storia familiare architettata in 16 volumi che abbracciano l’arco di tempo tra 1854 e 1954 e che si rivelò un successo internazionale.
Ambientata in Canada, racconta le vicende di più generazioni di Whiteoak, padroni del maniero di Jalna, nell’Ontario. Capostipiti il capitano Philiph e la sua adorata moglie Adeline, circondata da uno stuolo di figli e nipoti di cui detiene il controllo, tra una bizza e l’altra.
Nel terzo volume la centenaria Adeline è morta da più di un anno e come ultima beffa ha stabilito che erede della sua fortuna sia il nipote Finch al compimento dei 21 anni.
Nel corso della festa per il compleanno decisivo, Finch propone agli zii Ernest e Nicholas di offrirgli un viaggio in Inghilterra, dove aveva avuto inizio la loro stirpe; un modo per ampliare il suo orizzonte ed incontrare persone e un mondo nuovi.
Molti i personaggi che si affacciano sulla scena, a partire dalla cugina Sarah, orfana cresciuta dalla zia Augusta nella campagna del Devon. Giovane fanciulla sensibile, raffinata e amante della musica. Finch ne è stregato ma dovrà vedersela con un altro pretendente.
Nel frattempo a Jalna i rapporti tra Renny (che gestisce la proprietà) e sua moglie Alayne, da passionali si fanno turbolenti, anche per l’amicizia del marito con una vedova tostissima che forse sarebbe più adatta come sua compagna …..e poi altri continui sviluppi raccontati con l’incanto di questa scrittrice.
Rachel Cusk “Il lavoro di una vita” -Einaudi- euro 12,00
Rachel Cusk è l’autrice di successo della trilogia “Resoconto”, “Transiti” e “Onori” con i quali ha rivoluzionato la scrittura contemporanea, usando in modo nuovo la prima persona singolare in libri che sfiorano l’autobiografia e il memoir, ma sono una cosa ancora diversa e non facilmente incasellabile in una definizione.
Nata in Canada, si è trasferita in Gran Bretagna dove vive tra Londra e il Norfolk, è madre di due figlie e proprio di maternità parla in “Il lavoro di una vita”; una sorta di diario di questa esperienza che fu pubblicato la prima volta 20 anni fa e le valse una montagna di critiche. Fu messa all’indice, bollata come madre inadeguata, egoista e ostile verso i bambini.
La verità è che ha avuto il coraggio di sviscerare a fondo pensieri, dubbi, ansie, tormenti e cambiamenti di vita e del corpo… e lo ha fatto in modo lucido, quasi spietato, senza indulgere nei soliti luoghi comuni relativi all’essere madri.
In 150 pagine l’autrice descrive il rito di passaggio della maternità con il corollario di stati d’animo oscillanti, fatica, paura e dolore del parto.
La sua è una visione dirompente rispetto alla letteratura classica in materia, dal momento che invece di osannare gestazione, parto e cura della prole, parla di difficoltà oggettiva nell’affrontare un cambiamento così enorme che non solo incide a fondo sul fisico, ma muta radicalmente il percorso di vita.
Perché, come scrive: «il corpicino di mia figlia mi viene consegnato…in quel momento mi rendo conto che ora esiste una persona che è me, ma non è confinata nel mio corpo».
Per darvi un’idea ecco la sua narrazione dell’allattamento al seno: «i suoi seni sono requisiti, riprogrammati….Quando il bebè arriva sono come due testate pronte al lancio. Il bambino succhia; il macchinario entra in azione».
Poi c’è la riorganizzazione della vita e della coppia per accudire la prole, il tabù dello scambio di ruoli
in cui magari è la donna ad andare al lavoro, mentre l’uomo resta a casa. Ma più facilmente c’è la rinuncia materna alla carriera, perché le donne sono anche un po’riluttanti ad abdicare al prestigio dell’essere madre.
La Cusk sottolinea come «quando nasce un bambino non è detto che nasca anche una madre. A volte deve nascere anche lei, ed è come imparare una lingua straniera». Ecco possiamo sintetizzare così il suo pensiero. Ma non perdetevi il suo libro che contiene molto di più ….
Carlo Verdone “La carezza della memoria” -Bompiani- euro 17,00
Tenerezza e melanconia sono ciò che rende carezzevole la memoria del passato. Potremmo definire così questo libro di Carlo Verdone, attore, regista e sceneggiatore che non ha bisogno di presentazione.
Dopo il successo del memoir precedente “La casa sopra i portici” nel 2012, ora prosegue con il racconto di parte della sua vita.
Galeotto fu il Covid 19, per colpa del quale, scrive Verdone «Stiamo perdendo la generazione degli anziani, i veri custodi della memoria».
Complice l’isolamento imposto dal lockdown, si è ritrovato immerso nella solitudine e nel silenzio della sua casa romana, con il terrazzo la cui vista spazia dalla Pineta di Castel Fusano al Pincio. E’ nata così l’idea di aprire finalmente un grosso scatolone, parcheggiato da un decennio sull’ultimo ripiano di un armadio.
Uno scrigno siglato “Fotografie sparse (da riordinare)”, pieno di autentici tesori della memoria: lettere, pagine varie, fotografie e biglietti.
Il libro prende vita da lì e in 14 capitoli, ognuno aperto da una fotografia in bianco e nero, Verdone ci diletta con spizzichi del suo passato…. e non un passato banale.
Gli inizi da giovane, quando emerge il suo talento nel comporre monologhi per il teatro. E’ bravo e si fa subito notare dal regista Enzo Trapani, all’epoca eminenza grigia della Rai sempre in cerca di nuovi talenti. Lo vuole a Torino, nel 1978, dove per tre mesi alloggia in un orrido hotel del centro, e lavora in Rai con “I gatti di Vicolo Miracoli”,“I Giancattivi” e incontra Nuti e Troisi.
Poi ci sono i ricordi dei genitori, il padre Mario, grande critico stimatissimo, ma negato nella guida…e preparatevi ad aneddoti divertenti.
I fratelli, i viaggi con il padre, i rapporti con i suoi due figli, l’amore per la musica e la sua collezione di dischi che contagia il figlio Paolo e gli indica una strada per superare la sua timidezza.
C’è molta famiglia in questo libro, quella che l’ha cresciuto con precisi valori e grande sensibilità. Doti che fanno amare Verdone e a volte lo mettono in imbarazzo, come quando la gente lo ferma e gli chiede aiuto. Una popolarità che gli permette di entrare, anche se per poco, nella vita di persone meravigliose, come l’ex modella bellissima, Stella.
Ma c’è molto altro in queste pagine soffuse di malinconia, in cui uno degli attori più amati del cinema italiano ci fa entrare, con infinito garbo, nelle pieghe più intime del suo animo.
Massimiliano Governi “L’editor” -Blu Atlantide- euro 16,00
Lo scrittore romano in questo romanzo porta in scena una trama gialla e l’ambienta nel mondo dell’editoria.
L’inizio promette subito bene, nel parco della Caffarella, con il ritrovamento di «..un corpo disarticolato come quello di un rospo, disteso nello spiazzo erboso……ucciso a colpi di bastone sul volto e alla testa».
Dapprima si pensa che la vittima di tanta efferata violenza potrebbe essere uno dei tanti barboni della capitale.
Poi si scopre che è un famoso editor romano di 47 anni. Chi e perché si è accanito tanto da avergli sfondato il cranio, sfigurato il volto, spezzato gambe e braccia forse con una mazzetta da muratore?
Sulle tracce dell’assassino si avventura un ispettore di mezza età, che in passato aveva indagato su fatti di mafia, poi trasferito dal sud. Il suo nome non compare mai, si sa solo che è un accanito fumatore di “Stop” senza filtro, appassionato di letteratura, si è cimentato anche come scrittore, ha una moglie malata e il suo lavoro da tempo non gli dà più grandi soddisfazioni.
L’idea di entrare nel mondo dell’editoria ad alto livello sembra più che mai nelle sue corde.
La sua però più che un indagine è una vera e propria ossessione: ripercorre i passi dell’editor quasi al millimetro, ricostruisce i suoi rapporti personali e professionali, i dolori che hanno segnato la sua vita.
Mette a ferro e fuoco autori, scrittori, imprenditori privi di scrupoli, amici, nemici e colleghi del morto.
Interroga la vedova, della quale finisce per subire il fascino, e che gli lascia aperta la porta di casa nella quale l’ispettore entra più volte, dormendo nel letto della vittima, frugando nel suo computer e nelle sue cose con un’attenzione maniacale per ogni minuscolo dettaglio.
Procede praticamente in solitaria e conduce un’indagine fuori dagli schemi, quasi un diario esistenziale, dalle atmosfere malinconiche.
L’ispettore si muove sullo sfondo di una Roma affascinante, con le sue strade piene di storia e l’indagine che lo conduce anche tra le lapidi del mastodontico cimitero del Verano. Accumula prove, restringe il campo e ovviamente finisce per trovare il colpevole.
L’odio contro Israele
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Aver preso posizione a favore di Israele non è mai stato facilissimo. Io ricordo personalmente le aspre polemiche suscitate a partire dal 1967, quando ci fu la guerra dei Sei giorni durante la quale Israele assediata da ogni parte sconfisse gli stati confinanti intenzionati a cancellare il piccolo Stato, unica democrazia mediorientale
Ricordo che già allora ,ad esempio, Eugenio Scalfari schierò “L’Espresso”, che dirigeva, dalla parte degli arabi,per non parlare dei comunisti che furono tutti dalla parte degli aggressori.
In tutte le vicende successive, ( in alcune delle quali era impossibile sostenere l’operato di Israele, lo scrivo con chiarezza ) c’è sempre stato una sorta di pregiudizio favorevole per i palestinesi anche da parte dei nostri governanti, a partire da Andreotti, Moro e Craxi. L’ambiguo Arafat era considerato in Italia come una sorte di eroe, un Garibaldi del Medio Oriente. Poi si scoprì che era anche un uomo corrotto.
Sventolare la bandiera con Stella di David non fu mai facile . Solo persone come Pannunzio, Arrigo Levi, Pannella, Arrigo Benedetti lo fecero.
Lo scrittore Primo Levi divenne ferocemente anti israeliano. E non fu e non è certo l’ultimo caso.
Oggi è stato criticato il segretario del Pd Letta per essere andato ad una manifestazione a favore di Israele e tornano le solite tiritere contro Israele dei vecchi D’Alema e Bersani,tornati rampanti per l’occasione .Anche il ministro Speranza ha voluto aggiungere una sua parolina contro Israele che per prima ha battuto la pandemia.
Il mio amico Angelo Pezzana ha pagato prezzi altissimi nel corso degli anni per mantenere la sua coerenza a difesa di Israele.
Ieri ,come ho sempre fatto in passato, ho scritto a favore dello Stato di Israele, del suo diritto ad esistere e del dovere morale di sostenere questa posizione. Ho usato scientemente la parola morale. Non l’avessi mai fatto.
Sono stato fatto oggetto di attacchi anche un po’ volgari e soprattutto prevenuti da parte di gente che non conosce la storia ed ignora la politica e non ha mai conosciuto cosa significhi vivere in uno stato costantemente assediato dai terroristi. Basta essere stati anche pochi giorni in Israele per comprendere la situazione.
Si è creata in Italia una lobby filopalestinese molto agguerrita ed a volte persino fanatica che potrebbe mascherare anche dei potenziali terroristi o dei loro fiancheggiatori.
L’unico odio consentito oggi in Italia sembra essere quello contro Israele. Oggi in questo Paese ci sono troppi odi, malgrado si siano attivati in tanti a combattere contro fenomeni inconciliabili con una libera democrazia e un minimo di civiltà. Malgrado le regole che vietano gli assembramenti, abbiamo visto molti in piazza a manifestare per i palestinesi.
Lo dico con amarezza e con tutto il rispetto dovuto ad una vittima reduce dei campi dì sterminio nazisti: mi sarei aspettato una parola contro l’odio antisraeliano anche da parte della benemerita senatrice a vita Liliana Segre. In molti casi l’essere filopalestinesi sottintende anche un antisemitismo più o meno inconsapevole, ma reale.
Garage rock USA 1966. Discografia minore (p. 4)
CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI ’60 Ecco un’altra tappa del lungo viaggio nella discografia “minore” del garage rock USA del 1966.
C’è da rilevare che quanto più si proseguirà nell’itinerario tanto più ci si addentrerà nelle aree più ignote della storiografia del rock americano degli anni ‘60; e in particolare quelle aree che personalmente più mi appassionano in quanto ben poco sondate dagli studi ufficiali di grande respiro, relative a realtà musicali ancora poco o per nulla battute dalle indagini musicologiche. A mio parere infatti sono svariati i versanti ancora inesplorati o appena sfiorati da una storia del rock sotto certi aspetti un po’ dozzinale, che non di rado preferisce sorvolare su ambiti interessantissimi a livello storico seppur poco appariscenti dal punto di vista del desiderio della “grande scoperta”.
Ma a noi le “grandi scoperte riguardanti i soliti noti” poco importano… e continuiamo a scavare dove pochi passano…
– The Squires “Going All The Way / Go Ahead” (ATCO Records 45-6442);
– The Fogcutters “It’s My World / That’s Where I’ll Be” (Charter Records CR-1218);
– The Fortune Seekers “Why I Cry / Break Loose” (Trident Records TD-9966);
– The Cave Men “The Pillow Bit / It’s Trash” (‘Chelle Records PH-148);
– The Striders “Give Me A Break / Say You Love Me” (Delta R-2137);
– The Quests [Quest’s] “Shadows In The Night / I’m Tempted” (Fenton Records 2086);
– The Pastels “Mirage / Where Is The Answer” (Century Records 23507);
– The Wave-Riders “Thing In G / Ain’t It A Shame” (Tener TC 153-154);
– The Nobles “(I Hope I Don’t Get) Hurt Again / Something Else” (Marquis 4991);
– The Bold “Gotta Get Some / Robin Hood” (Cameo C-430);
– The Todes “Good Things / One Hundred And Thirty Seven Grooves Below Zero” (Emanon Records E-102);
– The Stains “Did You Ever Have To Make Up Your Mind / Now And Then” (Lotus 45-1000);
– The Damascans “Diane / Go ‘Way Girl” (Pyramid 6-6372);
– The Infinitives “Heidi / Thousand Tears” (Kahill 135K-6060);
– Torments “Lying To Me / I Love You More Each Day” (Amway 3715);
– The Villains “Don’t Ever Leave Me / Shortenin’ Bread” (Bullet 11001);
– The Friedles “She Can Go / Don’t Tell Me What To Do” (Bat 1004);
– The Barons “Time And Time Again / Now You’re Mine” (The S.R.O. Label ZTSP 122426-7);
– Days Of The Week “Home At Last / Little Latin Lupe Lu” (Malcolm Z. Dirge MZD-45005);
– The Plague “Go Away / Money” (Epidemic R-2164);
– The Sounds Of Randall “Wasting My Time” (Carl C-101);
– The Mauve “You’ve Got Me Cryin’ / In The Revelation” (Cori Records CR 31006);
– The Swingin[g] Machine “Comin’ On Back Home / Do You Have To Ask” (S.P.Q.R. 1001);
– The Faros “I’m Calling You Back / I’m Crying” (Target Records T45-103/104).
(… to be continued…)
Gian Marchisio
L’INTERVISTA / MARIOTTO SEGNI
Di Massimo Iaretti
Il “Piano Solo’’, del quale le generazioni più giovani hanno quasi perso memoria, negli anni Sessanta fu un argomento di grande e delicata attualità.
La foto di Vincenzo Solano
Magnifica Torino / Cielo di tempesta sopra la Gran Madre
Le responsabilità morali della lotta armata
Lo storico Gianni Oliva, uno dei più lucidi studiosi che abbia oggi l’Italia , ci ha richiamato ad un aspetto del tutto sottovalutato nella riflessione sugli anni piombo: le responsabilità morali della lotta armata, evidenziando le complicità e gli ammiccamenti verso il terrorismo che si manifestarono in Italia negli Anni 70.Oliva parla di una “verità etica“ che va oltre a quella giudiziaria e a quella storica.
I musei di Torino. La Gam
Torino e i suoi musei
6 La GAM
Evacuation è la parola d’ordine
LIBRI /FOCUS INTERNAZIONALE
di Filippo Re
Quando la realtà si avvicina alla trama del romanzo. L’allarme delle sirene, la corsa disperata ai rifugi, ambulanze che sfrecciano, carri armati nelle strade, soldati con le tute antigas, tutti pronti all’esodo
Evacuation è la parola d’ordine. In una Tel Aviv assediata dalla guerra, raggiunta da missili e razzi, l’esercito ordina alla popolazione di evacuare la città. Su tutti i canali televisivi si invitano gli abitanti a chiudersi nelle “stanze sigillate” che sono state allestite in ogni abitazione in vista di un possibile conflitto. È come se la vita di Tel Aviv, principale centro economico del Paese, si fermasse di colpo per giorni o per settimane. Ma il vecchio Saba, nonostante gli appelli diffusi con gli altoparlanti, decide di scendere dall’autobus su cui era stato fatto salire per essere portato al sicuro, insieme al giovane nipote Naor e alla fidanzata Yael. I tre iniziano un tour clandestino e pericoloso nelle strade di Tel Aviv, nel cuore di una metropoli deserta dove si può morire da un momento all’altro. Il romanzo “Evacuazione” di Raphael Jerusalmy (La nave di Teseo) descrive il dramma di una città laboriosa, piena di vita e di giovani che sprofonda all’improvviso in uno scenario di guerra. Il libro di Jerusalmy preannuncia ciò che potrebbe accadere in caso di guerra tra Israele e i Paesi arabi o tra Gerusalemme e Teheran. La guerra sembra lontana ma poi un razzo lanciato da Gaza sorprende e trapassa la “cupola di ferro”, il sistema difensivo “Iron Dome”, centrando il kibbutz Mishmeret, nell’area di Kfar Saba, a pochi chilometri a nord di Tel Aviv e a km 80 da Gaza, ferendo sei persone, come è accaduto di recente. La paura si diffonde tra la popolazione e paralizza ogni movimento. Dopo il razzo caduto sulla città è a rischio anche l’Eurofestival della canzone che si dovrebbe svolgere a maggio al Centro Congressi. Tel Aviv era stata colpita anche dieci giorni prima ma in quel caso i razzi erano stati intercettati e distrutti in volo. L’aviazione israeliana ha risposto con una pioggia di missili contro postazioni di Hamas e della Jihad Islamica. Scenari di guerra che si avvicinano a quelli descritti nel libro. Ma le intimidazioni a Israele non vengono solo dai gruppi jihadisti. Il regime siriano ha più volte minacciato di colpire l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv se non si fermeranno gli attacchi israeliani contro obiettivi iraniani e di Hezbollah in Siria. Non è la prima volta che Tel Aviv viene presa di mira dai missili. Già nel 2012 e nel 2014 in città era risuonato l’allarme antimissile. Non accadeva dal 1991, al tempo della guerra del Golfo, con 41 vecchi missili scud lanciati da Saddam Hussein contro Israele. Anche oggi, come ai tempi del rais di Baghdad, Israele si scopre debole e vulnerabile. In casi di guerra con l’Iran le autorità israeliane dovranno evacuare gli abitanti di Tel Aviv e sistemarli in altre aree, come nel deserto del Negev. Tre milioni di persone che vivono tra Tel Aviv e i numerosi sobborghi, tutti molto popolati, sono pronti a lasciare le loro case. Durante la guerra fra Israele ed Hezbollah nel 2006, il movimento sciita libanese lanciò 4000 razzi contro la Galilea, obbligando migliaia di israeliani a fuggire verso sud. Oggi ci si chiede cosa potrebbe accadere in caso di conflitto con l’Iran? Temendo una pioggia di missili dall’Iraq nel 2003, durante l’invasione americana, l’esercito aveva progettato di sistemare l’intera popolazione di Ramat Gan, la più popolosa zona di Tel Aviv, in tende allestite su un terreno individuato fra Kiriat Gat ed Ashkelon, nel sud del Paese. Chi non riuscirà a lasciare la città dovrà cercare riparo nei rifugi sotterranei, sotto teatri, cinema, scuole e ospedali. I missili di Hamas, Hezbollah e della Jihad islamica hanno già paralizzato diverse città israeliane, molto più piccole di Tel Aviv. Le immagini della casa in fiamme colpita da un razzo nei dintorni di Tel Aviv hanno impressionato l’opinione pubblica. Non si può tollerare un missile contro un aereo civile in fase di decollo o in atterraggio. Tzahal è pronto a rispondere.