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“Amore contrario”, nel romanzo di Badolisani la voglia di amare e la paura di essere amati

LIBRI / “Amore contrario”, il romanzo nato dalla penna di Badolisani, che racconta la voglia di amare e la paura di essere amati Dal 17 giugno 2021, in tutte le librerie e negli store online “Amore contrario”, il nuovo libro di Luisio Luciano Badolisani, edito da Golem Edizioni

Ernesto è un insegnante settantenne in pensione.

Solitario e all’apparenza burbero, si ritrova a ripercorrere gli amori passati, a
ricordare le donne con cui avrebbe potuto essere felice, se solo avesse concesso
loro la possibilità di amarlo. Ma perché si comporta così? Quali sono le ferite che
hanno portato Ernesto a respingere l’amore?

Quella di Amore contrario è una trama ricca di sorprese e colpi di scena, in grado
di tenere il lettore incollato dalla prima all’ultima pagina. L’uscita in tutte le
librerie italiane è fissata per il 17 giugno 2021.

Perché il titolo “Amore contrario”? «Posso dire che il titolo è stato l’elemento
scatenante, quello da cui partire e da riempire di contenuti» svela l’autore.

«Amore contrario è una definizione che mi piace, che trovo adatta a chi ama
molto e allo stesso tempo fa di tutto per non farsi amare. Secondo il
protagonista, per sottrarsi a ogni patimento, bisogna amare evitando di farsi
amare, in modo da non nuocere all’altro. Un amore al contrario, appunto.»

Nel romanzo le donne svolgono un ruolo centrale, da quelle che Ernesto ha amato a quelle che lo hanno
aiutato, come la sua insegnante al liceo, ma soprattutto Silvia, la sorella di Ernesto. «Ernesto e Silvia non
hanno avuto un’infanzia facile, poiché caratterizzata dalla violenza domestica e dai problemi psicologici di
Silvia, considerata quindi “diversa”, specie per le convinzioni sociali dell’epoca.»

Amore contrario offre diversi spunti di riflessione su più temi: da un lato la scelta di non farsi amare per
non soffrire, che conduce inevitabilmente alla solitudine. Dall’altro, le difficoltà familiari e la violenza e
infine la diversità, che spaventa e induce le persone a isolarsi e isolare.

«Normalmente, chi ama molto tende a voler essere ricambiato: si ama cercando amore. Così ho pensato di
raccontare la negazione di un legame affettivo, vista come la soluzione a un problema, perché se le peggiori
sofferenze si subiscono in famiglia, luogo che dovrebbe essere di protezione e di amore, allora meglio
evitare relazioni che possano provocare nuovamente tanto dolore.»

Estratto dal testo
Come potevo definire la mia vita? Un tracciato piatto: non c’era nulla che valesse la pena di essere raccontato. Ero uno qualunque che il mondo non avrebbe rimpianto. Si può vivere anche così, senza lasciare traccia del proprio passaggio. Mi sembrava strano che qualcuno quel giorno bussasse alla mia porta.

La trama di Amore contrario
È il 15 agosto quando, alla porta di Ernesto, solitario insegnante in pensione, bussano delle donne
misteriose, ma egli, spossato dal caldo estivo, invece di aprire preferisce riposare e seguire il corso dei suoi
pensieri, che lo riportano a episodi e persone del proprio passato: gli amori tormentati, i genitori, l’adorata
sorella Silvia. La vita affettiva del protagonista sembra essere inesorabilmente compromessa: come ogni
uomo, pur essendo desideroso di amare, risulta incapace di accogliere questo sentimento dalle sue donne,
rifuggendo dai legami stabili per non soffrire o far soffrire, perché certe ferite non si rimarginano mai.

Chi è Luisio Luciano Badolisani
Luisio Luciano Badolisani, formatosi a Torino alla fine degli anni Settanta, è
nato artisticamente come autore e interprete teatrale. Ricordi sincronizzati e
Ultimo atto sono alcuni dei suoi monologhi più significativi di quegli anni. Nello
stesso periodo è stato interprete di alcuni videotape underground, diventati dei
veri cult-movie degli anni Ottanta, come il Super 8 Barboni a vent’anni. In
televisione ha preso parte allo sceneggiato Passioni, girato sulle colline torinesi,
trasmesso da Rai Uno. Ha svolto l’attività di critico teatrale per la rivista Sipario;
per diversi anni è stato il responsabile dell’ufficio stampa di Assemblea Teatro –
teatro stabile di innovazione – per la quale, tra l’altro, ha recitato negli
spettacoli E il matto illuminò la notte e Pazze regine. Ha lavorato nel film Tornare indietro, trasmesso
recentemente dalla Rai, nel film Terrarossa e nella soap opera televisiva Vivere trasmessa su Canale 5. Ha
pubblicato: Il mare oscuro della verità, Linea Edizioni, 2019 – Goccia, libro per ragazzi – Edizioni Tripla E.,
2019; Note d’acqua – Umberto Soletti Editore, 2017; Torino uccide 1 e 2 – Yume Book, 2015 e 2016 – Il
silenzio dei rimorsi – Baima – Ronchetti, 2014; Una rosa a dicembre – Fògola, 2012; Giochi senza parole,
poesie e disegni – 2010. Per avere maggiori informazioni sull’autore:
https://badolisani.blogspot.com/p/luisio-luciano-badolisani.html

Il libro
Titolo: Amore contrario
Autrice: Luisio Luciano Badolisani
Genere: narrativa
Collana: Mondo
Pagine: 160
Prezzo: € 14,00
In libreria e negli store online dal 17 giugno 2021

A tu per tu con gli Indiivia

MUSIC TALES LA RUBRICA MUSICALE

Per realizzare grandi cose, non dobbiamo solo agire, ma anche sognare; non solo progettare ma anche credere.”

Oggi si parla di due artisti emergenti, fratelli, e li intervistiamo perchè sono appena nati con un progetto impegnativo ed interessante al quale ho avuto la fortuna di partecipare attivamente.

D – quando e come nascono gli Indiivia?

Gli Indiivia nascono ufficialmente quest’anno, nel 2021, dopo che nel periodo del lockdown di aprile 2020 abbiamo unito la passione per il canto di Agnese con quella per il pianoforte e della composizione di Tommaso, iniziando a condividere le nostre idee musicali.”

D – Da quanto tempo scrivi (Tommaso) e perchè proprio ora la realizzazione di tutti questi brani e non prima?

Ho iniziato a suonare il piano alle scuole medie, prendendo qualche lezione all’inizio, e proseguendo da autodidatta. Contemporaneamente ho iniziato a comporre i miei primi pezzi, che all’inizio erano brani solo strumentali. Un paio di anni fa ho iniziato a suonare con altri musicisti, proseguendo poi con un gruppo formatosi insieme ad amici, i Kanerva. Da quel momento ho iniziato a comporre vere e proprie canzoni, comprese di testi e arrangiamenti. Quando un anno fa mia sorella è rientrata dai suoi studi universitari negli Stati uniti, le ho proposto di cantare qualche brano scritto pensando alla sua voce. Da qui è nato il progetto degli Indiivia.”

D – Quale è la vostra opinione sul panorama musicale attuale? Trovate che la vostra produzione sia in linea con ciò che sentite o no?

Il panorama musicale italiano attuale è indubbiamente vario e ricco di generi differenti. A noi piace spaziare nei vari generi, e proprio per questo ci definiamo “un’insalata musicale”, perché non ci riferiamo a generi musicali o epoche, semplicemente sperimentiamo facendoci trasportare dalle nostre sensazioni e dalle emozioni del momento. Troviamo che in questo periodo nel panorama italiano ci sia un’apertura che permette agli artisti di esprimersi con più leggerezza e libertà, e proprio per questo ci sentiamo in linea con l’ambiente circostante, pur non identificandoci in nessun genere particolare (i brani che abbiamo scritto finora sono uno diverso dall’altro).”

D – Quale è stata la canzone più difficile da portare a termine in termini di scrittura e di cantato?

In termini di scrittura, sia di musica che di testo, parla Tommi: “Eagle è sicuramente stato finora il pezzo più impegnativo, questo perché musicalmente ha diverse variazioni di accordi e sonorità ricercate, e come testo ci tenevo a scriverlo in inglese, perché sapevo che fino a quel momento mia sorella aveva sempre preferito cantare in lingua inglese.”

in termini di cantato, la parola va ad Agni: “le difficoltà maggiori le ho riscontrate per la canzone che uscirà questa settimana, “La sera non c’è più”, perché è stato il primo pezzo in italiano che abbiamo registrato, e perché tecnicamente è impegnativa a livello di tonalità e di modulazione della voce in alcuni passaggi del brano. Come diciamo sempre scherzando, Tommi scrive i pezzi e trova le melodie articolate, e poi alla fine sono … problemi miei riuscire a cantarla, adattando la mia voce.”

D – Agnese, quanto trovi di te nei brani di tuo fratello? Ed in quale ti identifichi maggiormente?

Devo dire che Tommi riesce a tirar fuori esprimendo a parole e musica quelle emozioni che provo/ho provato in passato. È capitato che mi presentasse un brano che non rispecchiava il mio mood di quel momento, ma confrontandoci insieme e richiamando momenti passati o situazioni vissute, sono sempre riuscita a ritrovarmi nelle sue parole, mettendo sempre tutta me stessa in ogni brano.

Tra tutte le canzoni scritte finora, che usciranno nei prossimi mesi, Eagle è quella che mi identifica maggiormente. Infatti il brano racconta di una ragazza insicura che ricerca un equilibrio sfuggente, e anche se cantata in un periodo per me felice e spensierato, rispecchia perfettamente quella parte di me alla ricerca di se stessa e del proprio futuro.”

D – Tommaso, dicci quale è il brano che avresti voluto scrivere tu (presente nel panorama musicale) e perchè?

A livello generale, per me i Beatles sono un riferimento molto importante, e se dovessi identificare un brano che avrei voluto scrivere io, sceglierei senza pensarci due volte la loro canzone: While my guitar gently weeps, per la potenza emozionale della melodia e per la semplicità della struttura musicale, che riescono a toccarmi come nessun altro pezzo.

Per quanto riguarda il panorama attuale, sceglierei uno dei primi brani di Gazzelle, in particolare il pezzo: NMRPM, per la sua carica emotiva, e per come fa combaciare una forte malinconia con una base spensierata ed energica.”

D – Agnese, quanto conta l’aver studiato canto e quanto conta il talento?

Penso che il talento sia quel qualcosa che ognuno di noi ha in una certa misura, la vera difficoltà sta nel riuscire a scoprirlo. Una volta trovato va coltivato, perché l’impegno, la tecnica e lo studio aiutano a migliorarsi. Io studio canto da più di 10 anni, e in questo arco di tempo ho lavorato su tanti aspetti, dalla tecnica vocale con i suoi mille esercizi, allo studio dell’interpretazione, alla cura della presenza scenica, e soprattutto al riuscire a capire e a valorizzare le mie caratteristiche vocali.”

D – Uscirete con un nuovo brano a breve? Potete anticiparci qualcosa?

Sì, s’intitola “La sera non c’è più”, e uscirà questa settimana. E’ un brano completamente diverso da Eagle, è in italiano, più moderno, movimentato ed energico. E’ frutto del vissuto dell’ultimo anno, fatto di privazioni e limitazioni dovute alla pandemia. Sentivamo il bisogno di esprimere questa nostalgia che noi e molti nostri coetanei abbiamo provato nei mesi di lockdown e coprifuoco. Infatti “La sera non c’è più” descrive quel senso di limitazione dovuto all’impossibilità di vivere appieno la sera, svagarsi con gli amici e ballare fino a tardi.”

D – dove vi possiamo ascoltare?

Ci trovate come Indiivia su tutte le piattaforme digitali e sui principali social network.

Seguiteci e ascoltate la nostra musica!”

Per tutte le info e news potrete seguirli su

Facebook Indiivia, Instagram Indiivia e sul nostro Canale YouTube.

Ho scelto di segnalarvi “Eagle” perchè ne sono innamorata.

Quando vedi un’aquila, tu vedi una parte del genio; alza la testa!”

Meraviglia questo brano , ascoltatelo a cuore aperto, vi farà volare.

https://www.youtube.com/watch?v=kTzyceSBJBQ&ab_channel=Indiivia

Chiara De Carlo
*

Ecco a voi gli eventi della settimana!

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Antonio Monda “Il principe del mondo” -Mondadori- euro 19,00

Questo è l’ottavo capitolo della maestosa saga newyorkese scritta da Antonio Monda -professore alla New York University, direttore della Festa del Cinema di Roma- la cui casa nella Grande Mela ospita da anni la creme de la creme di scrittori ed attori.
In “Il principe del mondo” racconta la New York degli anni che vanno dal 1927 al 1930; tra progetti ambiziosi come la costruzione dei primi grattacieli più belli del mondo, la Grande Depressione e la crisi della borsa del 29, ma anche personaggi che creano imperi dal nulla.

Voce narrante è quella del giovane Jake Singer, assistente del geniale produttore cinematografico Sam Warner che a Hollywood sta per cambiare per sempre il mondo del cinema con l’introduzione del sonoro. Alla morte (misteriosa) del Tycon, Singer finisce a lavorare nientemeno che per Joe Kennedy, capostipite della famiglia americana più importante del 900.

Kennedy si è fatto dal nulla: è intelligente, ambizioso e spregiudicato tanto da aver creato la sua fortuna con il contrabbando dei liquori durante il proibizionismo. Ora punta anche a investire nella mecca del cinema e frequenta mostri sacri come l’attrice Gloria Swanson con la quale tradisce sua moglie Rose, fervente cattolica indaffarata a sfornare un figlio dopo l’altro.

Kennedy è una figura controversa e senza scrupoli, punta sempre più in alto, fino ad ambire alla presidenza; ma per lui che è antisemita, omofobo, filonazista, amico di criminali e contrabbandieri, la Casa Bianca è inavvicinabile.
Però quest’uomo, pieno di lati oscuri e spietato, non demorde e allena i suoi figli maschi a diventare presidenti degli Stati Uniti d’America.
Come andò lo sappiamo tutti, la maledizione che pesò su Camelot inflisse a Joe e Rose lo strazio di 4 figli morti tragicamente.

Ma nelle pagine di Antonio Monda troviamo un punto di vista privilegiato, quello di Jake Singer, che ci racconta il dietro le quinte dei maneggi di Kennedy, e ci introduce in un mondo di ricchezza, lusso e sogni di potere. Ci sono anche personaggi come il maggiordomo dei Kennedy, al quale Monda tiene particolarmente. E’ ispirato a una persona che lo scrittore ha conosciuto personalmente: parente povero che serve il ramo della famiglia ricchissimo e dispensa battute importanti, facendo un po’ la morale di quanto accade.

Nel libro poi c’è anche molta New York -per eccellenza la città di persone motivate, energia e grandi opportunità- che vuole eccellere e dimostrare la sua forza e coraggio. Una metropoli che sa rialzarsi sempre… e più svettante di prima.

 

Alessandro Barbero “Alabama” -Sellerio- euro 15,0

Preparatissimo, gran divulgatore che miscela simpatia, entusiasmo ed erudizione a tonnellate, ben oltre la sua formazione di esperto del Medio Evo. Alessandro Barbero è tutto questo e molto…molto di più, è il professore universitario che tutti vorrebbero avere.

Questa volta fa centro con il nuovo romanzo in cui racconta i massacri della Guerra Civile americana che, tra 1861 e 1865, vide su fronti opposti gli Stati del nord contro quelli del Sud schiavisti.
Conflitto che spaccò in due il paese: tra chi voleva abolire la schiavitù dei negri e chi invece la difendeva, anche perché l’economia sudista si reggeva sulle vaste e ricche piantagioni in cui gli schiavi di colore lavoravano, sputavano fatica e sangue, ed erano frustati o uccisi per un nonnulla.

Barbero è abilissimo nel dare voce ad un vecchio soldato del sud, sconfitto in battaglia.
E’ Dick Stanton, rintracciato dalla studentessa di un college che, per scrivere la tesi di laurea, lo interpella sulla sua partecipazione alla guerra di secessione.
L’anziano non si sottrae alle domande, narra ricordi lontani; solo si appisola ogni tanto aumentando la suspence.

Dick è un “povero bianco” che ha combattuto nelle file della Confederazione, e narra la spavalderia con cui lui e i suoi compagni affrontarono gli “Yankees” e la loro pretesa di abolire la schiavitù.
E’ sopravvissuto alla feroce battaglia di Wilderness che fu un atroce massacro, con morti da entrambe le parti. Fu soprattutto una carneficina vigliacca e una follia dei confederati che ammazzarono senza un’oncia di pietà i negri che erano scappati dalle piantagioni e si erano accodati ai nordisti.

Pagine agghiaccianti che svelano come la vita degli schiavi valesse nulla, tanto da portare all’orribile mattanza.
Barbero riporta alla luce episodi della Guerra Civile di 150 anni fa, ma precisa che la storia di ieri ha un forte aggancio con quella odierna: perché sussistono gravi problemi nei rapporti tra bianchi e neri, e basta leggere la cronaca per rendersene conto.

 

Francesca Chelli “Metti che vivo” -La torre dei venti- euro 15,00

Una carriera prestigiosa, un marito e figlie perfetti, una splendida casa nel cuore chic di Milano, una vita che in molte vorremmo. Ma che succede quando la malattia irrompe e tutto sembra frantumarsi?
E’ quello che ci racconta nel suo libro autobiografico di esordio Francesca Chelli, donna bella e di gran fascino, dalle mille potenzialità.

E’ nata a Genova, trapiantata a Milano dove si è laureata all’Università Bocconi -dunque ha anche una gran bella testa-, sposata e madre, ha intrapreso pure una fulgida carriera.
Per 10 anni è stata amministratore delegato di un’importante multinazionale del caffè in Italia; poi ha fondato la sua società di consulenza in marketing e comunicazione. Ha un suo blog –www.mystylenotebook.com- e l’account Instagram @franci_chelli.

Protagonista e alter ego dell’autrice è Livia, che rispecchia sensibilità, forza interiore e capacità di reagire: doti di cui Francesca Chelli deve essere ben equipaggiata e che le hanno permesso di attutire i duri colpi che la vita le ha inferto.

Con eleganza, pudore e gran sincerità racconta come la sua vita sia stata sconvolta da una misteriosa malattia dell’amato marito Federico. E quello che sembrava un sodalizio inossidabile, fatto di affetto, fiducia, condivisione di valori e concezione della vita, di colpo e inaspettatamente si trasforma in una convivenza difficile e infelice.

Federico incomincia a camminare con difficoltà, il suo è un male che i medici stentano a diagnosticare e curare; e man mano che peggiora, il suo carattere sembra trasformarsi…in peggio.
Livia diventa il capro espiatorio dei malumori crescenti del compagno, che scarica su di lei tutto il peso della propria sofferenza. Quell’intesa sulla quale era edificata la loro esistenza si sfracella in sofferenza e continue incomprensioni.

Il matrimonio che sembrava felice precipita in un inferno quotidiano.
E se è vero che nel momento del bisogno si scopre la vera tempra di una persona, quella di Livia è fedelmente ancorata alla lealtà che il vincolo matrimoniale comporta; insieme al senso di responsabilità e mutuo soccorso “in salute e malattia”. La costellazione interiore dei suoi profondi valori diventa la boa a cui attaccarsi nel mare in tempesta.

E non vi dico come si sviluppano sentimenti, emozioni e fatti, per non anticipare troppo di questo romanzo scritto benissimo, senza sbrodolature e retorica. E che affronta un’impasse di vita che può afferrare ognuno di noi, in qualunque momento. Pagine di vita in cui molti potrebbero riconoscersi, e dalle quali trarre spunti importanti.

 

Kathy Reichs “Il prezzo del passato” -Rizzoli- euro 19,00

La Reichs, nata a Chicago nel 1948, è antropologa forense in Québec ed insegna all’Università di Charlotte, ed è una delle scrittrici di thriller di maggior successo con la sua protagonista –e in parte alter ego- Temperance Brennan. I suoi best seller hanno anche ispirato la serie televisiva “Bones”.

Qui siamo alla sua ventesima indagine che si muove su più piani.
Su quello personale, Tempe continua a dividersi tra Charlotte e Montreal, sempre con il suo gatto Birdie al seguito, e mantiene un forte legame con il tenente investigativo Andrew Ryan, fatto però di alti e bassi.

Poi c’è un rebus agghiacciante. L’infuriare dell’uragano Inara ha scaraventato sulle rive dell’oceano, all’altezza di Charleston, un fusto per rifiuti sanitari con dentro i cadaveri di due corpi femminili nudi, senza dita né denti che sarebbero utili per l’identificazione.
Questo ritrovamento è per Temperance un deja-vù, perché 15 anni prima un caso identico l’aveva vista in azione, ma senza successo. All’epoca, a Montreal, nel fiume era stato ritrovato un analogo bidone con i resti di una donna e una bambina, delle quali non si erano mai scoperti i nomi. Coincidenza o cos’altro?

Ad aggiungere pathos al romanzo c’è poi anche il misterioso dilagare di un virus trasmesso dagli animali all’uomo, sempre a Charleston. Qui le indagini oscillano tra presente e passato, riportano al tentato omicidio di Tempe e Ryan, e gli indizi vanno nella direzione di uno scienziato geniale, privo di moralità. E’ un ex ragazzino prodigio diventato biochimico e ingegnere informatico, esperto di ricerche sul genoma e di vaccini.

 

La storia del baseball a Torino

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LIBRI Allo stadio comunale di via Passo Buole in Torino è stato presentato il libro “Storia del Baseball a Torino”

scritto dall’ex giocatore Alessandro Ballor e pubblicato da Yume edizioni srl, evento ufficiale del cartellone #RoadToPiemonte2021, correlato al Campionato Europeo di Baseball Seniores che si disputerà fra Torino, Avigliana e Settimo Torinese dal 12 al 19 settembre 2021.
Lo scenario è stato quello ideale degli spalti dell’impianto che in questi giorni vedrà scendere in campo per la “Campidonico Teen Show Case Cup” la Nazionale Italiana U15, la squadra di A1 dei Campiodonico Torino, una Rappresentativa U18 Piemontese e due compagini lombarde.
Alla presentazione ospitata dalla società Grizzlies Torino 48 presso l’impianto comunale hanno assistito molti appassionati torinesi ed addetti ai lavori dello sport del batti e corri, nel rispetto delle vigenti normative di prevenzione Covid-19; presente il Consigliere Federale Marco Mannucci, la Presidente del Comitato Regionale Sabrina Olivero Sandrone, lo staff della nazionale U15 Baseball.
Hanno completato la presentazione prima alcune domande giunte dal pubblico, il classico firmacopie con dedica dell’autore poi.

Le Metamorfosi di Ovidio, la rilettura del poeta Gian Giacomo Della Porta

La modernità del cambiamento

Le Metamorfosi di Ovidio secondo il poeta Gian Giacomo Della Porta. Il testo, un adattamento  della celebre opera latina, rappresenta la quarta opera dell’autore e editore moncalierese, la cui poesia da sempre colpisce per il potere evocativo dei suoi versi, che rimandano spesso ad immagini tipiche del mondo cinematografico.

Quest’opera appare emblematica sin dalla sua copertina, che reca, quale immagine, una fotografia scattata da una giovane artista, Chiara Castagna. In comune con l’autore, questa fotografia, come altre opere di questa artista, reca quel misto di antichità e contemporaneità insieme, espresso attraverso la curiosità del viaggio, la necessità del mondo onirico e l’approdo a una serie di paesaggi interiori, non sempre scevri di malinconia e tristezza.Nella copertina, infatti, è il sogno ad essere magistralmente rappresentato, in quella mano che tiene stretto come uno scudo, in contrapposizione ad una realtà dai colori molto vivaci e costituita di labirinti e di strade che, a volte, paiono perdersi, senza mai raggiungere una meta precisa.

Questa immagine è  stata scelta dall ‘autore di quest’opera, Gian Giacomo Della Porta, proprio perché capace di raccontare un presente non facile e perché in grado di disvelare il profondo significato della vita umana e dell’opera ovidianaa delle Metamorfosi.

L’adattamento dell’autore si articola in sei momenti diversi tratti dal testo latino e andati in scena grazie ai validi attori della compagnia Elliot Teatro, capaci di riscuotere un grande successo di critica. I personaggi creati da Giacomo Della Porta sonorappresentati da uomini comuni, custodi ignari di dinamiche  e emozioni altrettanto comuni, talvolta ricche di disperazione, talvolta di grande spirito.

La scelta di adattamento di questo testo è, sicuramente, di grande attualità, come lo sono i temi espressi in quest’opera ovidiana,quali la concezione dell’amore, la metamorfosi e l’esilio, che Gian Giacomo Della Porta reinterpreta declinandolo in un’accezione particolare, del ritorno del figliuol prodigo.

Nelle Metamorfosi di Ovidio pare mancare, ma solo apparentemente, un centro narrativo; in realtà il tema dell’amore assolve molto bene a questa funzione. Non si tratta di Eros quale figlio alato di Afrodite,  ma quale fonte originaria di energia, un vero e proprio motore in grado di confondere incessantemente una cosa nell’altra, creando un mondo in cui animali, piante e pietre non alludono soltanto agli esseri umani, ma sono a loro volta, umani.

Se Ovidio aiuta il lettore a leggere il mondo come un insieme di eventi e fornisce una vera e propria grammatica per spiegare e descrivere la realtà, che non è quella della permanenza, ma quella del cambiamento, questo motivo rimane nell’adattamento da parte del poeta Gian Giacomo Della Porta  e credo possa essere uno degli auspici migliori per il lettore, capace di fornirgli quella chiave di volta per comprendere che una vera rinascita, anche interiore, può passare soltanto attraverso il cambiamento.

Il libro è presente in tutti gli store online, in libreria e presso il sito dell’editore Gian Giacomo Della Porta.

Mara Martellotta 

La sinistra salottiera torinese e lo storico Barbero

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

In un’ampia intervista Alessandro Barbero parla a ruota libera di politica, abbandonando le vesti del divulgatore storico di successo, Così apprendiamo che era un militante del Pci  e che conserva ancora oggi con una certa venerazione la tessera del partito firmata da Berlinguer.

Ma soprattutto apprendiamo che è stanco della “sinistra salottiera“, quella che lo idolatra e lo invita spessissimo a concionare e che voterà come sindaco il collega pensionato Prof . Angelo d’Orsi, il gramsciano per antonomasia , espressione della sinistra più radicale. Quando il giornalista gli chiede quali siano i suoi sogni politici propone cose un po’ ingenue ed improbabili come la  miracolosa realizzazione immediata di tutti i lavori in corso , un’idea così semplicistica e banale  che neppure un lettore di “Specchio dei tempi “oserebbe scrivere. Dall’intervista balza fuori un Barbero che ama i dehors di cui oggi è invasa la città  e che gli ricordano tanto Parigi … Non mi aspettavo idee amministrative propositive da Barbero, noto  invece per far pesantemente politica attraverso i suoi  articoli e i suoi discorsi storici  in cui da ‘ spazio alle vulgate più demagogiche che piacciono tanto ai suoi fans che non sono in grado di seguire discorsi storici più articolati e complessi. La sinistra del Pd sarà anche salottiera, come dice lo storico di Vercelli, ma certo ha idee e progetti che lui neppure si sogna. Pensare a D’Orsi sindaco , un’ipotesi da incubo  politico notturno , rivela un’ingenuità disarmante ma anche un grado di faziosità politica che  forse vorrebbe riportare alla Torino di cent’anni fa con la Fiat occupata . Oggi a Torino la Fiat non di fatto non c’è più e quindi semmai bisogna pensare a regolamentare le biciclette e i monopattini che Appendino ha visto come il futuro della città.

Atelier Riforma, la moda sostenibile che protegge il pianeta

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

La start up creata da due giovani imprenditrici promuove l’economia circolare, l’inclusione e l’occupazione ridando una nuova e preziosa vita ai capi di abbigliamento usati.

E’ davvero straordinaria l’idea di Elena Ferrero e Sara Secondo, due giovani e laboriose imprenditrici conosciutesi durante il percorso formativo della Fondazione CRT “Talenti per l’impresa”, che con Atelier Riforma, la loro start up innovativa e a vocazione sociale nata nel maggio 2020, lavorano per preservare l’ambiente con il tentativo di frenare l’impatto drammaticamente negativo, soprattutto quello legato al consumo e all’inquinamento della risorsa idrica e allo sfruttamento delle risorse naturali, che il settore moda ha sul nostro ecosistema. Qualche esempio? Per fare una t-shirt servono 2700 litri d’acqua (la stessa quantità che ne utilizza una persona per vivere 2 anni e mezzo), il settore mondiale del tessile utilizza ogni anno all’incirca 79 miliardi di m3 d’acqua, l’intero fabbisogno d’acqua dell’economia europea nel 2017 è stato di 266 miliardi di m3.
Si stima che il comparto tessile sia responsabile del 20% dell’inquinamento acquifero mondiale mentre per quanto riguarda le emissioni, la valutazione dice che il 10% di quelle globali di gas a effetto serra siano causate dalla produzione di vestiti e calzature (più di quelle di tutti i voli internazionali e della navigazione marittima messe assieme!). I dati del 2017 ci dicono inoltre che l’acquisto di indumenti nel nostro continente determina ogni anno l’emissione di 654 kg di CO2 per persona e parlando di rifiuti i dati sono ugualmente allarmanti, dal ’96 ad oggi, infatti, il numero di vestiti acquistati in Europa per persona è aumentato del 40% (a causa dei bassi prezzi e dell’elevato turnover della fast fashion). I cittadini europei ogni anno usano 26 kg di vestiti e ne buttano circa 11 kg, la maggior parte di questi vengono bruciati o destinati alle discariche (87%), meno dell’1% viene riciclato in nuovi capi di abbigliamento anche a causa di mancanza di tecnologia ed efficienza nella gestione della filiera.

Atelier Riforma raccoglie gratuitamente capi usati, li riqualifica ridandogli una nuova vita stilistica per poi metterli in vendita attraverso il negozio online con una certificazione di tracciabilità. Questa azienda rivoluzionaria vuole lanciare un messaggio forte che mira alla sensibilizzazione e spinge verso una moda sostenibile e circolare che grazie al potere rivitalizzante del riciclo permette il riutilizzo dei vestiti che troppo presto vengono abbandonati nella spazzatura o dismessi senza consapevolezza.
Elena e Sara, 28 e 30 anni, non si sono fatte scoraggiare dal difficile periodo pandemico, hanno cominciato a raccogliere i capi usati e in un anno hanno creato una rete che conta, sul tutto il territorio nazionale, più di 20 realtà sartoriali, dato nuova vita a più di 700 capi d’abbigliamento e creato una attività produttiva e una organizzazione trasparente e sostenibile. Tra le realtà coinvolte nel progetto ci sono oggi anche 5 sartorie sociali che sostengono l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate come migranti, ex-detenute e donne vittime di violenza; una azienda profit quindi ma con una consistente attitudine alla inclusione, alla creazione di occupazione e alla lotta contro l’inquinamento di cui si sente tanto parlare.
Atelier Riforma, arrivata seconda alla RomeCup 2021 di Fondazione Mondo Digitale e Invitalia e attualmente tra i finalisti del “Green Skills Award” dell’European Training Foundation (unico progetto italiano in finale), sta lavorando inoltre ad una tecnologia di Intelligenza Artificiale per la catalogazione e lo smistamento degli scarti tessili che consenta di utilizzare questo modello circolare di attività in maniera diffusa. Entro il 2025 in tutta l’Unione Europea sarà infatti obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili e questo lavoro di ricerca farebbe dell’Italia un paese all’avanguardia nel cambiamento di normativa nel settore.

3 domande a Elena Ferrero

Cosa vuole dire creare una azienda in controtendenza, che promuove l’upcycling e il riutilizzo dei capi di abbigliamento, in un periodo in cui impera il consumismo compulsivo, la fast fashion e la tendenza all’usa e getta?
E’ certamente una sfida. Se facciamo riferimento al momento storico sicuramente la pandemia, con tutti i timori in termini di igiene e sicurezza che si sono accentuati con l’emergenza sanitaria nell’ultimo anno, non aiuta un’iniziativa che propone capi usati. Ovviamente, come già avveniva nel periodo pre-Covid, abbiamo posto molta attenzione a questo aspetto; a tal proposito vorrei anche evidenziare che i vestiti nuovi in vendita nei negozi non sono più puliti di quelli usati.
Riguardo invece alla questione legata alla tendenza di acquisto siamo consapevoli che non è facile mettersi in competizione con giganti del fast fashion o con un orientamento così radicato all’acquisto compulsivo e usa e getta, inoltre molte aziende cadono nel “GreenWashing”, ovvero astute attività di marketing che cavalcano il trend dell’ecologia senza un impegno realmente concreto. Vediamo spesso , soprattutto in occasione di particolari “Giornate Mondiali” come quella della Terra o dell’Ambiente, brand che pubblicizzano micro-progetti apparentemente virtuosi volti alla sostenibilità per poi, nella pratica, continuare a produrre la maggior parte delle proprie collezioni con processi criticabili dal punto di vista etico e ambientale. Una grande parte della popolazione, purtroppo anche quella più attenta, si lascia ancora incantare da queste pseudo buone azioni e noi vogliamo rispondere a tutto questo cercando di fare informazione e sensibilizzare attraverso i social, i media, facendo podcast ed interviste.

La beneficenza attualmente è un tema molto significativo e una pratica diffusa che spesso dà anche molta visibilità. Perché fondare una azienda “profit” che vende capi riformati invece di una “no profit” che raccoglie e dona?

La donazione dei vestiti è un argomento nella realtà poco conosciuto soprattutto l’enorme problema sociale e ambientale legato ai capi usati dismessi. Tante persone pensano che regalare i propri vestiti sia una azione unicamente virtuosa, noi a nostra volta ne riceviamo moltissimi da privati o associazioni che ne hanno accumulati troppi e che affermano che “non ci sono abbastanza poveri per tutti i vestiti usati donati”. In realtà il problema è che il mondo è letteralmente invaso dai rifiuti tessili e disfarci di altri capi usati non fa altro che ingigantire il problema, questo perché questi vestiti raccolti nel nostro Paese (così come in Europa e negli USA), di bassissima qualità a causa della fast fashion, vengono per la maggior parte esportati in Africa o in altri Paesi del Sud del mondo. La questione è che stiamo trasformando quei continenti nella nostra discarica considerato che la maggior parte dei capi viene buttato e i restanti che vengono rivenduti, non donati come si potrebbe pensare, hanno prezzi bassissimi, così che l’economia tessile locale viene messa in seria difficoltà. Molti stati africani stanno mettendo dei divieti nell’importazione di vestiti usati nei loro Paesi, perché la situazione non è più gestibile. Stiamo spostando le conseguenze del nostro stile di vita consumistico in altri continenti senza provare a risolvere qui il problema o a cambiare approccio. La beneficenza non è sempre una soluzione, semplicemente perché per problemi complessi come questo ci vogliono soluzioni altrettanto complesse.
La sensibilizzazione su questo argomento si fa mostrando le immagini della situazione reale, portando trasparenza nella filiera, cercando di eliminare le infiltrazioni della criminalità organizzata ed eliminando la mala gestione dei rifiuti tessili. Senz’altro una piccola startup non può fare tutto da sola, ma può dare un input alla creazione di regolamentazioni più stringenti e controlli capillari da parte delle autorità competenti.

 

In un momento difficile come quello che stiamo vivendo voi avete deciso con molta determinazione di dare vita ad una azienda articolata che ha alla base una idea innovativa. Quali sono stati gli stimoli e gli impulsi motivanti? Cosa si sente di consigliare, a titolo pratico, ai giovani che hanno idee e obiettivi di business che vogliono perseguire?

Lo stimolo più grande che ci ha portato ad avviare il progetto è stato il capire che di questo tipo di cambiamenti c’è estremo bisogno. Forse in controtendenza con la maggior parte del mondo start up, abbiamo concentrato l’attenzione sui risvolti ambientali e sociali che avremmo assicurato con il nostro lavoro, più che lanciarci in spavalde previsioni di crescita economica esponenziale. Ai ragazzi, che spessissimo incontro nelle nostre numerose attività divulgative, consiglio sempre di non tenere le loro idee nascoste. Di parlarne, di condividere i propri progetti senza paura che qualcuno “rubi” loro l’idea. Ciò che conta, lo abbiamo capito con Atelier Riforma, non è l’idea, ma se la si porta a termine e come. Serve costruirsi una solida rete, utilizzando i social in modo corretto, e imparare il più possibile. Più nel concreto, noi siamo andate per gradi, Sara ed io, abbiamo prima seguito un percorso formativo sul mondo start up, formulato la nostra idea prima nella nostra mente, poi sulla carta e infine abbiamo proseguito con test e tentativi, inizialmente affiancando questo “sogno” alle nostre precedenti attività lavorative e in seguito dedicandoci interamente ad esso. Bisogna considerare che l’idea è qualcosa in continuo mutamento e non bisogna necessariamente “innamorarsi” della visione iniziale, ma trasformarla in risposta agli stimoli esterni, finché non diventa la soluzione migliore per risolvere il problema da cui si è partiti.

Chi è Anna Ferrino, CEO di Ferrino&C specializzata in attrezzatura outdoor

Rubrica a cura di Progesia Management Lab

Da sempre il brand Ferrino evoca vacanza, avventura, spazi incontaminati e alte vette. Il suo business è legato alle tende da campo, agli equipaggiamenti tecnici per la montagna, al trekking e ai viaggi più estremi. Da Reinhold Messner – che con i materiali Ferrino ha scalato l’Himalaya e tutti i 14 Ottomila della terra – all’esploratrice, scrittrice e documentarista Carla Perrotti sono tanti gli ambassador che hanno contribuito a rendere leader e leggendario il marchio torinese. Ma Ferrino – che è presente in Europa, Sud America e Asia – è anche sinonimo di sostenibilità. L’azienda, altamente proattiva in questo ambito, è alimentata a energia solare, è promotrice di progetti ambientali prima che diventassero una moda e pone grande attenzione nei confronti dei collaboratori e delle collaboratrici. Anna Ferrino, CEO dell’azienda, ci ha raccontato che da tempo l’impresa adotta una serie di best practices e redige un Bilancio di Sostenibilità che si ispira all’impostazione proposta dalla Global Reporting Initiative (GRI). Lo scopo è contribuire a rispondere alle questioni internazionali affrontate dalle Nazioni Unite all’interno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile del Millennio (SDG): punti di riferimento per tutte le organizzazioni che, a vario livello, intendono affrontare con fermezza le sfide ambientali e socioeconomiche del nostro pianeta.

Dal 1870 siete i protagonisti dell’outdoor. Ricordiamo le date più significative della vostra storia?

“Ferrino è nata a Torino in via Nizza 107. Cesare Ferrino, mio trisavolo, aveva un laboratorio di vernici e ideò una formula per impermeabilizzare i tessuti. Intuendo il potenziale di questo prodotto rivoluzionario creò dei manufatti, come ad esempio le coperture per il mondo del lavoro. Si occupò anche di vestiario, teloni e tende cerate per uso militare, ma sin da subito equipaggiò gli esploratori e gli alpinisti piemontesi. Durante la Seconda guerra mondiale la sede, essendo un obiettivo sensibile perché produceva tende per l’esercito, venne bombardata e così fu trasferita vicino a Chivasso, alle porte di Torino, per garantire gli approvvigionamenti. Nel dopoguerra il destino del marchio si incrociò con quello di Torino e dell’Italia e la tenda Ferrino divenne sinonimo di vacanza. Quando mio padre Alberto entrò in azienda si ispirò agli esempi europei e fece diventare il brand un punto di riferimento per il campeggio degli Anni ’50-‘60. Per espandere il business, nel 1970 mio padre cedette delle quote alla Famiglia Rabajoli e da allora la conduzione dell’azienda è doppia. Nel 1986 Reinhold Messner si rivolse a noi per scalare le 14 vette più alte del pianeta e richiese equipaggiamenti leggeri e trasportabili in autonomia: nacque così una stretta collaborazione e il successo di Messner fu tale che l’alpinismo passò da fenomeno d’élite a fenomeno di massa. Ferrino divenne sempre più un’azienda focalizzata sull’alpinismo, anziché sul camping e questo è ancora oggi il nostro posizionamento. Il core business è l’escursionismo, ma il brand è specializzato anche nel mondo della montagna e del camping”.

I prodotti Ferrino sono distribuiti in Italia e all’estero: quanto ha influito la pandemia nel vostro settore e come l’avete gestita?

“Ferrino non è solo outdoor, ma è anche un player rilevante del settore professionale. Collaboriamo infatti con le principali organizzazione umanitarie, con il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino, con la Protezione Civile e durante la pandemia abbiamo lavorato per garantire le tende agli ospedali da campo. Anche l’outdoor ha tenuto bene e sta registrando un trend di crescita perché la vita all’aria aperta e la montagna sono considerate sicure”.

Sostenibilità è tra le keywords di Ferrino: in che modo la declinate?

“Come molte PMI abbiamo valori sociali e ambientali molto forti. Non ci occupiamo solo di business, ma di come si fa il business. Siamo attenti alle buone pratiche e diamo valore ai collaboratori e all’ambiente. Spesso siamo stati precursori di iniziative volte a sensibilizzare le persone verso la natura: nel 2005, quando ancora pochi la usavano, abbiamo promosso il progetto Adotta una borraccia. Nel 2008 Ferrino è stata tra le prime aziende ad installare gli impianti ad energia solare sul tetto e nel 2018 abbiamo ritenuto che fosse importante avere un approccio strutturato pubblicando il Report Sostenibilità redatto secondo le Sustainability Reporting Guidelines. Per noi ambiente, sociale e supply chain in termini di impatto prodotto da noi o dai fornitori sono capisaldi imprescindibili. In questi anni abbiamo creato un approccio strutturato cercando di selezionare principalmente fornitori certificati ed abbiamo eliminato i PFC da tutte le categorie di prodotto: una sfida lunga e tecnicamente laboriosa che però ha dato risultati qualitativamente eccellenti. Un ulteriore passo avanti è l’utilizzo di tessuti riciclati e certificati non solo per le tende, la categoria di prodotto più importante per noi, ma anche per alcuni zaini e sacchi a pelo dalla prossima collezione estiva. Il 70% dei nostri collaboratori è donna ed abbiamo una policy HR senza distinzione di genere anche dal punto di vista retributivo. La nostra politica di assunzioni punta sui giovani, reclutati dal Politecnico di Torino e dalle Università, che spesso dopo un primo percorso di stage vengono inseriti in azienda. Inoltre prediligiamo sostenere progetti coerenti con la filosofia del turismo responsabile che abbiamo da anni sposato. Ferrino è stato infine partner tecnico del progetto scientifico Sulle tracce dei ghiacciai che con la spedizione Alpi 2020 ha concluso il suo ciclo decennale per rilevare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle masse glaciali mondiali negli ultimi cento anni ed è stato partner della successiva mostra Sulle tracce dei ghiacciai – On the Trail of the Glaciers che Ferrino ha sponsorizzato in occasione del 150° anniversario al Museo della montagna di Torino”.

Alcune vostre referenze sono frutto di una progettazione consapevole. Cosa significa?

“Negli anni abbiamo cercato di avere un approccio legato all’ecodesign. Uno dei cardini del nostro modo di operare è allungare il ciclo di vita dei nostri prodotti e renderli facilmente riparabili. Pensando a questo già nella fase di progettazione lavoriamo per una riduzione degli sprechi, perché il rischio di rottura sia minimo e perché la riparazione sia semplice o addirittura eseguibile dal cliente finale. La nostra attrezzatura è progettata in base alla funzionalità, al tipo di avventura e all’utilizzo perché, ad esempio, una tenda da mare è diversa da una da montagna. Per questo abbiamo ideato Tent Set: un progetto strutturato di ecodesign grazie al quale non solo è possibile adeguare la composizione della tenda all’utilizzo, ma in caso di rottura si possono salvare alcune dotazioni e acquistare solo quelle che servono così da evitare gli sprechi. Questo è un cambiamento epocale e stiamo cercando di farlo conoscere e capire ai consumatori”.

Alpinisti, esploratori, viaggiatori, freeriders. Quali sono i requisiti per essere ambassador Ferrino?

“Siamo un’azienda che opera nell’outdoor a 360 gradi: dalla spedizione sull’Himalaya al campeggio per le famiglie. Da sempre il nostro fil rouge è legato agli alpinisti per i quali realizziamo prodotti sartoriali in base alle specifiche esigenze. Nel 2006 abbiamo lanciato il marchio nell’ambito del turismo responsabile e creiamo dei cluster tematici tramite i quali scegliamo dei progetti che rispondano alla nostra idea concettuale e li sosteniamo. In questo ultimo periodo ci siamo concentrati sul sentiero CAI Italia supportando tre progetti. Tra questi c’è Va’ Sentiero ideato da Yuri Basilicò, Sara Furlanetto e Giacomo Riccobono che percorrono il Sentiero Italia CAI: itinerario di 6.880 chilometri che attraversa le due grandi dorsali montuose della penisola italiana e che è rinato nel 2019 per volontà del Club Alpino Italiano. Il loro obiettivo è dare voce alle terre alte per far conoscere la bellezza e il piacere del cammino ai più giovani e Ferrino li accompagna in questo percorso”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Condividere valori per creare esperienze di valore è una delle mission che guida la società Ferrino, specializzata in attrezzature outdoor. “Il nostro Gruppo, racconta Anna Ferrino, CEO dell’azienda, possiede due anime: una di queste è dedita ad accompagnare lo spirito di avventura degli appassionati di montagna e di alpinismo. Un’altra anima, invece, ha la finalità di affiancare chi opera in prima linea nel pronto intervento e nelle situazioni di emergenza territoriale. “La Ferrino SpA ha mantenuto una gestione tipica dell’azienda familiare, in parte influenzata dal suo posizionamento e dal settore di riferimento. Un’azienda importante, che opera in un mercato di nicchia e in forte crescita, come quello delle attività outdoor”. “Lavorare per gli sportivi e per la comunità, racconta Anna Ferrino, ha da sempre costituito la leva principale per attrarre in primo luogo i nostri collaboratori e di conseguenza una clientela sempre più appassionata e attenta ai dettagli tecnici dei nostri prodotti. Riusciamo a realizzare la giusta alchimia che ci permette di avere un gruppo di dipendenti che condividono passioni, ideali e la stessa cura nella gestione del cliente. “Il nostro gruppo di lavoro, spiega Anna Ferrino, possiede un approccio positivo alla vita e alle opportunità che il mercato e il contesto attuale offrono.

In fase di inserimento delle nuove risorse quindi, molta attenzione viene prestata alle soft skills: competenze trasversali che rendono una persona adatta a contribuire alla creazione di un business di successo. “Come per tutte le PMI, le funzioni aziendali non sono rigorosamente verticalizzate. In ufficio è normale dover passare da una mansione all’altra, per questo cerchiamo di coltivare un approccio flessibile dal punto di vista organizzativo e allo stesso tempo friendly nei confronti del cliente. “Le nostre risorse interne, prosegue la Ferrino, possiedono la capacità di saper costruire relazioni stabili con i propri partner, che siano fornitori, clienti o ambassador. Mi capita spesso di ricevere, da parte dei clienti, feedback molto positivi che confermano la validità del nostro approccio.”

“Crediamo e investiamo nelle HR: a partire dai giovani, strutturiamo un percorso di crescita studiato secondo le esigenze dell’area aziendale e le caratteristiche della persona. Interveniamo con la formazione e l’aggiornamento tecnico, in particolare per coloro che ricoprono ruoli di specializzazione.”

La filosofia dell’azienda Ferrino è quella di dar voce e ascoltare i bisogni di chi contribuisce con il proprio lavoro alla realizzazione di un prodotto che va oltre la qualità e che ispira le generazioni di oggi e quelle di domani.

“Per realizzare questo, ci spiega Anna Ferrino, è necessario coinvolgere le risorse aziendali e renderle partecipi di un progetto comune. Periodicamente e in modo sistematico, inoltre, valutiamo e monitoriamo la qualità interna dell’ambiente di lavoro e la chiarezza di trasferimento delle strategie aziendali. Quando rileviamo delle criticità, cerchiamo di intervenire in modo puntuale, migliorando la comunicazione interna e i momenti di confronto con il nostro personale.

Per questo parliamo di risorse e non solo di dipendenti, perché sono loro i primi ambasciatori del brand e l’elemento trainante per l’organizzazione e la crescita aziendale.”

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Daniela Argentina

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Margaret Storm Jameson “Mai guardarsi indietro” -Fazi Editore- euro 18,50

Pubblicato per la prima volta nel 1936, a Londra, questo è il 3° capitolo (dopo “Company Parade” e “Amore a prima vista”) della trilogia “Lo specchio nel Buio” della giornalista e scrittrice inglese Margaret Storm Jameson, (1891-1986). Non una donna qualunque, ma la prima a laurearsi in inglese all’Università di Leeds e ad ottenere una borsa di studio per una tesi post- laurea, diventata anche presidente della British Section of International Pen.

Nel libro ritroviamo come protagonista Hervey Russel, nel 1926, a 32 anni.
E’ al suo secondo matrimonio con Nicholas Roxby ed è madre del figlio di primo letto, Richard, col quale il rapporto è tutt’altro che facile.
Ma soprattutto Hervey è alle prese con una difficilissima sfida personale: deve affrontare l’operazione necessaria per estirpare dal suo utero un tumore che l’affligge da 8 anni.
Come vivrà questo momento la nostra eroina che ha sempre dato prova di essere una giovane donna coraggiosa, indipendente e fiera…. lo scoprirete voi stessi.

La storia narra anche le difficoltà di Nicholas che è stato derubato dalla sua segretaria e deve reinventarsi sul piano professionale.
Tutto sullo sfondo della Gran Bretagna in cui si sta organizzando uno sciopero generale dei lavoratori, che chiedono maggiori tutele e riforme dallo Stato.

Hervey spicca in mezzo a tanti personaggi maschili.
E’ un’eroina forte, che è stata capace di voltare pagina e lasciare il primo marito che non soddisfaceva le sue aspettative. Ha saputo ricostruirsi una vita più realizzata nel secondo matrimonio, ed è stata molto abile nell’aiutare il compagno a trovare un nuovo lavoro. Un’eroina che incarna moltissimo lo spirito ribelle della Storm Jameson, suffragetta e femminista.

 

Alessandro Robecchi “Flora” -Sellerio- euro 15,00

Questa è l’ottava avventura di Carlo Monterossi, alle prese con il rapimento della regina dei talk show Flora De Pisis.
Primadonna e anima del programma “Crazy Love”: basso livello di contenuti, alto tasso di dolore mediatico, stereotipata emotività che mette tutto in piazza.
Insomma è protagonista incontrastata della tv trash; campionessa di share che porta alla ribalta tutte le possibili sfaccettature della meschinità umana; abilissima nel tirare dentro persone qualunque che per un attimo sfiorano una pseudo notorietà.
E se pensate alla conduttrice nostrana con le luci sparate in volto per togliere gli anni, forse non vi sbagliate, anche se come lei ce ne sono tante altre che fanno pessima tv.

Dapprima lo notizia del sequestro di Flora non ha eco pubblica, perché siamo a luglio, il programma è in pausa estiva e tutti pensano che si stia godendo un meritato riposo in una località top secret, per avere un po’ di rilassante privacy.
Poi la notizia balza prepotentemente sulle prime pagine di cronaca, e viene fuori che le richieste dei rapitori sono alquanto particolari.
Come riscatto chiedono un mucchio di soldi, 1° milione di euro, e un’ora di diretta televisiva nella fascia di maggior ascolto, senza spazi pubblicitari né controlli.

Vietato anticipare troppo una trama simile, però vale la pena sottolineare che questa volta Robecchi si stacca un po’ dalla sua Milano, e si spinge fino a Dresda, Praga e, con flashback sapientemente ambientati, planan anche nella Parigi dei folli anni 20.
Un esperimento letterario che consente all’autore di mettersi sulle tracce del poeta surrealista Robert Desnos, che sfidò Hitler e trovò la morte a 45 anni in un lager. Autore caro a Robecchi che ne ripercorre le tracce; a partire da quando visitò il campo di concentramento di Terezìn, dove una piccola lapide ricorda “qui morì Robert Desnos poeta e resistente”.

 

Gaia Servadio “Giudei” -Bompiani- euro 19,00

E’ l’ultima fatica letteraria della scrittrice, giornalista e pittrice nata a Padova nel 1938, che divide il suo tempo tra Londra e l’Umbria. Autrice di una trentina tra saggi e romanzi; insignita del titolo di Cavaliere Ufficiale dal Presidente della Repubblica Pertini e nel 2013 Commendatore al merito della Repubblica Italiana.

Qui narra la storia di due famiglie, i Levi e i Foà, unite da un matrimonio combinato, sullo sfondo della Storia drammatica del 900. Due nuclei familiari diversissimi che si amalgamano con l’unione di Zaccaria Levi e Rebecca Foà.
I Levi sono di Torino, borghesi, conservatori, religiosi e filosabaudi; i Foà di Ancona, intellettuali amanti della cultura, di arte e musica e decisamente poco osservanti.

La saga ripercorre le vicende di 3 generazioni, diverse per fede e impegno politico, ma prima di tutto ebrei che si sentivano italiani a tutto tondo.
Proprio per questo saranno annientati nel profondo dal tradimento della loro patria che li relegò in ghetti, privandoli di tutte le libertà e dei loro beni, e infine anche della vita.
C’è il 900 martoriato da una guerra e poi l’altra e, tra le due, pagine terribili e buie dell’Italia fascista, delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei, la fatica della ricostruzione dopo sterminio e macerie.

Il romanzo, pur non essendo un’autobiografia, contiene molti riferimenti alla storia familiare dell’autrice, che fa scendere in campo una miriade di personaggi in parte realmente esistiti e in parte frutto della sua fantasia.
Inizia con suo nonno Zaccaria (giovane serio e appassionato di letteratura) che racconta un fatto realmente accaduto.
Nel 1903 vagava in calesse per la Lucchesia insieme al cugino Samuele (laureato in ingegneria ma con il sogno di diventare impresario teatrale) e per puro caso si trovarono sulla strada in cui il grande e famoso Giacomo Puccini aveva appena avuto un incidente.

E’ l’avvio della storia familiare che attraversa anche i campi di battaglia di due guerre.
Nella prima, sul Carso, muore Samuele Levi, lasciando la giovane crocerossina Sara Foà, segretamente innamorata di lui, ad occuparsi di sua figlia Giovanna rimasta orfana.
Cinque sono le sezioni del romanzo che scandiscono le varie fasi della tragedia di un popolo: ebrei, poi chiamati giudei e diventati Nessuno, condannati a fuga e continuo vagare nella diaspora.

 

Stephen King “Later” -Sperling & Kupfer” – euro 19,90

Veleggia tra l’horror e il thriller l’ultimo libro del maestro Stephen King che qui rimanda un po’ al suo grande successo “Carrie lo sguardo di Satana” (del 1974, da cui il film con Sissie Spacek).
Protagonista è il piccolo Jamie Conklin che conosciamo all’età di 6 anni, non un ragazzino qualunque.
Ha un dono-condanna straordinario: vede i morti, interagisce e parla con loro, anche se per il poco tempo che ai trapassati è concesso di aleggiare sulla terra.

A saperlo è solo la madre single Tia che lo sta crescendo da sola e nel frattempo manda avanti un’agenzia letteraria.
Le similitudini con Carrie ci sono: entrambi crescono senza padre, a scuola sono derisi e tiranneggiati dai compagni e l’unico modo che hanno per vendicarsi è ricorrere ai loro poteri misteriosi e ultraterreni.

Il romanzo inizia con la morte della moglie del vicino, stramazzata in casa per un ictus, e Jamie la vede al funerale seduta sugli scalini del pulpito in Chiesa.
Così racconta a sua madre: «era lì in carne ed ossa, ma aveva ancora la vestaglia addosso. Sono rimasto sorpreso di vederla, perché è morta già da tre giorni. Di solito non durano così tanto….spariscono e basta…..Se ne stava lì seduta e basta. Ha dato un’occhiata alla sua bara, un paio di volte, ma per il resto del tempo è rimasta a fissare lui….ha detto qualcosa però non sono riuscito a sentirla. Poco dopo la morte le loro voci cominciano a diventare deboli».

Poi la storia si infittisce: la madre di Jamie perde tutto con il crollo finanziario del 2008, sfiora la bancarotta e dall’appartamento di 6 stanze su Park Avenue, a New York, traslocano in uno assai più modesto sulla Decima.
I poteri di Jamie diventano la sua condanna quando a sfruttarli sarà la detective corrotta Liz Dutton, che ha avuto una relazione con Tia, finita male quando ha scoperto che la poliziotta portava droga a casa sua.
Per salvare la sua carriera Liz si fa scudo di Jamie e il resto è al cardiopalma……