Rubriche- Pagina 43

Cotswolds. Un viaggio tra i villaggi più belli della campagna inglese

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PENSIERI SPARSI  di Didia Bargnani

Cotswolds significa “recinti di pecore sulle colline”, si tratta di un’area molto vasta che si estende per circa 800 miglia attraverso cinque contee: Gloucestershire, Oxfordshire, Warwikshire, Wiltshire and Worcestershire.
Un viaggio organizzato dall’agenzia Viaggi Chiara in corso Vittorio Emanuele nota ai torinesi per la scelta di luoghi di nicchia e per i viaggi molto particolari ed interessanti che da sempre offre ai suoi clienti.
Pochi giorni indimenticabili lontano dal frastuono delle nostre città , un panorama fiabesco con piccoli villaggi incantati , giardini e fiori meravigliosi, ruscelli e vecchi manieri.
Questa parte d’Inghilterra non è molto conosciuta all’estero e si trova a 130 chilometri ad ovest di Londra; famosa per i suoi paesini con i prati verdissimi e i cottages costruiti con la tipica pietra del posto color miele, la Golden Cotswolds Stone, le chiese medievali con annesso cimitero e le antiche locande che ricordano miti e leggende.
Famosissimi i cottages con il tetto di paglia, simbolo oggi di un mondo idealizzato, le cosiddette “tatched house”,  una volta umili dimore, umide, abitate dalla servitù fino agli anni ‘50-‘60, quando iniziarono a diventare sempre più ricercate da chi voleva fuggire dal trambusto delle città per arrivare ad essere considerate attualmente una sorta di status symbol, ambite ed esclusive abitazioni per attori, politici e nobiltà inglese.
Per tre giorni di affitto si possono pagare anche 850 sterline (circa 1000,00 euro) e la lista di attesa è lunghissima!
Il nostro viaggio inizia a Moreton-in-Marsh, sede del famoso pub The Bell Inn che fu d’ispirazione a Tolkien quando scrisse Il Signore degli Anelli; si tratta di un villaggio che si snoda lungo la via principale da cui partono numerose stradine che conducono alle casette con i portoncini colorati e a giardini fatati, fino ad arrivare alla chiesa di St. David, immersa in uno scenario romantico, con il suo piccolo cimitero di campagna.
Da qui il paesaggio si snoda attraverso alcuni villaggi che incarnano lo spirito del Romanticismo inglese: Chipping Campden, un tempo conosciuta per il commercio della lana, esploso nel 1066 dopo la conquista normanna, le pecore del luogo sono chiamate “Cotswolds Lions “ , i leoni dei Cotswolds, proprio per il loro vello particolarmente consistente e per il famoso mercato coperto del 1627.
Snowhill, piccolissimo villaggio dalla tipica atmosfera british, immortalato in  alcune scene del film “Il diario di Bridget Jones”, circondato da splendidi ed inaspettati campi di lavanda.
Stow-on-the-Wold può essere considerata quasi una cittadina, ha diverse sale da the’, negozi di antiquariato e gallerie d’arte, ancora oggi si tiene un mercato con i prodotti tipici della zona come miele e formaggi.
La Venezia d’Inghilterra è il soprannome attribuito a Bourton on the Water per i canali e i piccoli ponti che collegano i due lati della cittadina.
Poco distante si trova Bibury, una fiaba nella fiaba, con la sua stradina Arlington Row disseminata di cottages risalenti al XIV secolo e il fiumiciattolo che scorre lento.
Il viaggio prosegue verso Winchcombe, vicoli e vicoletti con storici edifici in pietra per arrivare al Sudeley Castle, castello dove abitò l’ultima moglie di Enrico VIII, circondato da meravigliosi giardini, uno di questi con 69 tipi di rose.
Dopo qualche chilometro troviamo Hailes Abbey, un’abbazia del 1246, luogo di grande fascino storico.
Infine arriviamo a Bath, famosa per le sue terme romane, Patrimonio dell’Umanita’ dell’UNESCO, con la sua architettura georgiana appare spesso nella nota serie televisiva “Bridgerton”.
Lacock, minuscolo villaggio fuori dal tempo dove un tempo si lavorava la lana, sede di una bella abbazia e Castle Combe, uno dei borghi più belli della zona, sono le ultime due mete di questo viaggio nella meravigliosa ed incantata campagna inglese.

Difendiamoci da chi ci vuole manipolare / 3

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STARE BENE CON NOI STESSI

 

Facciamo quindi attenzione a non farci troppo manipolare e condizionare dalla pubblicità, che ha, tra i molti effetti negativi, anche quello perverso di indurci a svalutare tutto ciò che siamo e che abbiamo.

Per portarci a desiderare ardentemente ciò che non siamo e che non abbiamo. Soltanto una buona fiducia in noi stessi, supportata da una equilibrata autostima, può dunque preservarci dalle varie azioni condizionatrici dei manipolatori.

Più siamo in grado di sapere ciò che vogliamo e non vogliamo, più possiamo contrastare le azioni manipolatorie, e siamo capaci di non farci agire dall’esterno. Cerchiamo poi di intuire e percepire con chiarezza dove il manipolatore vuole arrivare e perché.

Comprendendo nel modo migliore e più profondo le emozioni, i bisogni, le intenzioni, gli obiettivi e i comportamenti di chi ci sta di fronte. E ascoltando le emozioni che percepiamo in noi, i segnali che il nostro corpo ci invia.

Spesso tanto chiari e inequivocabili quanto sovente da noi inascoltati o trascurati… Un segnale di disagio, di fastidio, di “schiacciamento”, è spesso la più chiara evidenza che qualcosa non va nel comportamento altrui.

Più avremo consapevolezza delle dinamiche manipolatorie, più difficile sarà per i potenziali manipolatori condizionarci nelle nostre intenzioni e nei nostri comportamenti, e più saremo veri artefici delle nostre decisioni.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
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Una golosa crostata di mandorle e cioccolato

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La proposta di oggi e’ tutta da gustare, una frolla friabile un goloso ripieno avvolgente, cioccolatoso, dal sapore ineguagliabile

La crostata e’ un dolce tradizionale capace di reinventarsi in mille modi. La proposta della settimana e’ tutta da gustare, una frolla friabile un goloso ripieno avvolgente, cioccolatoso, dal sapore ineguagliabile.

Una tentazione deliziosa.

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Ingredienti per la frolla:

200gr.di farina

100gr. di burro

70gr. di zucchero

2 tuorli

1 pizzico di sale

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Ingredienti per la farcia:

1 grossa mela

100gr. di mandorle ridotte a farina

100gr. di cioccolato fondente 70%

15 amaretti pestati

2 uova intere

50gr.di burro fuso

60gr.di zucchero

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Preparare la frolla impastando velocemente la farina con il burro freddo a pezzetti, lo zucchero, il sale e i due tuorli. Avvolgere in pelliccola e riporre in frigo per 30 minuti. Affettare sottilmente la mela, frullare le mandorle a farina, pestare gli amaretti. Stendere la frolla in uno stampo per crostate ricoperto con carta forno, bucherellare il fondo, cospargere la pasta con meta’ degli amaretti e sistemare le fettine di mele. Sciogliere il burro con il cioccolato. Nel mixer frullare a velocita’ bassa le uova con lo zucchero, la farina di mandorle e il cioccolato fuso. Versare la crema sulle mele e infornare a 180 gradi per circa 50 minuti. Lasciar raffreddare e decorare con gli amaretti rimasti.

 

Paperita Patty

Difendiamoci da chi ci vuole manipolare / 2

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STARE BENE CON NOI STESSI

Molto spesso non ci rendiamo conto di essere manipolati. Le emozioni e sensazioni che proviamo dovrebbero però metterci in guardia dal rischio che corriamo, ma non sempre siamo in grado di “tradurle” e di darci le corrette spiegazioni a livello razionale.

A seconda delle modalità e dei comportamenti adottati dalle persone manipolatrici esse possono essere la paura, nel caso di atteggiamenti più o meno aggressivi di chi ci vuole manipolare o il senso di colpa nel caso si atteggiamenti vittimistici.

Nel primo caso il manipolatore tende a svalutare le sue vittime, utilizzando critiche e insinuazioni talvolta sarcastiche e in certi casi pesanti, attraverso le parole, i toni e gli atteggiamenti, mentre nella versione “vittimistica” lamenta di subire torti.

O di essere una persona sfortunata, maltrattata, offesa, ferita, non rispettata, ecc. In ogni caso le migliori vittime dei manipolatori sono le persone con un basso livello di autostima, più facilmente agganciabili e condizionabili.

Se la manipolazione avviene all’interno di una qualsiasi relazione affettiva, si deve capire se accettiamo pesanti condizionamenti pur di mantenere la relazione e di non perdere quel legame che magari ci sembra indispensabile, unico e meraviglioso.

La manipolazione pubblicitaria si manifesta invece nel sollecitare un bisogno, reale o più spesso semplicemente provocato, in chi la riceve, spingendolo in modo sottile e talvolta subliminale all’acquisto del prodotto o del servizio oggetto della réclame.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
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Ghiotta caponata, sapore di Sicilia

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Un mix di sapori, colori e profumi, questa e’ la caponata. Un piatto gustoso e saporito tipico della cucina siciliana a base di ingredienti classici come melanzane, pomodori, e olive in salsa agrodolce dal sapore unico e inconfondibile. Servita calda, tiepida o fredda è un piatto versatile che potrete gustare in più varianti, a secondo dei vostri gusti.
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Ingredienti
1 kg. di melanzane
50gr. di capperi
500gr. di pomodori maturi
150gr. di olive verdi o nere
100gr. di sedano
50 grammi di pinoli
2 cipolle
1 spicchio di aglio
50ml. di aceto bianco
50gr. di zucchero
Sale grosso
300 grammi di olio di semi
Olio evo q.b.
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Lavare e tagliare a pezzi le melanzane, cospargerle di sale grosso e lasciarle spurgare per almeno 30 minuti poi strizzarle, asciugarle con carta assorbente e friggerle in olio ben caldo fino a doratura, scolarle dall’olio in eccesso. Affettare le cipolle e soffriggerle con un filo di olio e uno spicchio di aglio, aggiungere i pomodori lavati e tagliati a pezzi, mezzo bicchiere di aceto, sfumare e poi aggiungere lo zuccchero. Sbollentare il sedano in acqua e aceto, tagliarlo a pezzi ed aggiungerlo ai pomodori. Unire le melanzane fritte, le olive tagliate a pezzi, i pinoli leggermente tostati, i capperi dissalati e mescolare con cura. Aggiustare di sale e servire a piacere la vostra caponata calda o tiepida.

Paperita Patty

“Tex” Borlazza e il Rodeo in Lomellina

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Il rodeo non è solo spettacolo e storia: è soprattutto un modo di vivere che accomuna chiunque viva nel sud ovest degli Stati Uniti. E diventerà così anche per chi frequenterà Buttignolo”. Il vicesindaco, per pronunciare questo breve discorso, evitando di infarcirlo con le solite intercalazioni ( e già questo rappresentava un evento), si era agghindato come un vero vaccaro americano. Una sgargiante camicia con la fantasia a quadretti , stile tovaglia da osteria che  fa tanto country, adattissima al cowboy’s style; jeans d’ordinanza, stretti in fondo, a sigaretta e con il cavallo tenuto un pò basso;  il fazzoletto legato al collo e, immancabili, un paio di stivali texani nuovi di zecca.  In una mano teneva un dépliant che lo ritraeva a fianco di un cavallo, mentre puliva la sella , con in testa un enorme cappello da cowboy. Quel copricapo – uno Stetson originale – se l’era fatto mandare direttamente dalla John B. Stetson Company di Galveston, Texas. La scritta raccontava tutto: “Lomellina’s CowBoys’ Ranch” , il centro dedicato alla monta western vicino a casa sua, in frazione San Cristoforo. Nell’altra teneva una foto che ritraeva suo padre mentre, a cavalcioni di una manza, salutava. “Ecco quì, buon sangue non mente. Mio padre, da giovane, lo chiamavano “Tex”, ” Tex Borlazza”, il cowboy dagli occhi di ghiaccio. Ed ora, grazie ad alcuni miei cugini che abitano a El Paso nel Lone Star State, nello stato della stella solitaria, cioè il Texas per voi che non siete mai andati più in là di Mortara, ho deciso che impianteremo anche qua un bel centro per il Rodeo.Bello, eh?”. Il sindaco, l’altro assessore, i due consiglieri lo guardarono attoniti. Don Busecca, il parroco, scuoteva la testa mentre il sacrestano che lo accompagnava alzò gli occhi al cielo, sussurrando “Dio mio, è matto come un cavallo“. Ma quando Ercolino si metteva in testa un’idea ( che, per il solo fatto d’averla partorita lui, era – a suo insindacabile giudizio – “un’ottima idea”..) non c’era verso di farlo desistere o, quantomeno, ragionare. Così, un paio di settimane dopo, sbarcati a Malpensa i cugini Frank e Dave Borlazza, nati a El Paso da padre buttignolese ( Giobatta, detto Jo) e madre texana, iniziò la fase operativa dell’operazione “rodeo”. Sponsor, a parte il “Lomellina’s CowBoys’ Ranch”, che doveva consolidare la sua attività, c’erano le Bibite Peretti & Tapponi, L’Edil Lomellina e il Credito Agricolo Pavese, noto anche come “il Cap”.

 

In poche settimane i due Borlazza a stelle e strisce, appoggiandosi a Geremia Plastici, titolare del centro di monta western ( che però teneva molto a farsi chiamare Johnny Plastic), predisposero l’arena dove si sarebbe svolto il primo campionato regionale lombardo di Rodeo. Con un migliaio di euro d’ingaggio e l’impegno a garantirgli vitto e alloggio per due settimane, era stato coinvolto nell’impresa anche Silvano Scaratti, detto Crazy Horse, il primo non americano a distinguersi nel più importante rodeo degli Stati Uniti, quello dei Frontier Days che si teneva a Cheyenne. La città, capitale dello stato del Wyoming, non a caso, era gemellata con Voghera a dimostrazione che l’Oltrepo poteva diventare, a tutti gli effetti, il riferimento di tutti gli appassionati del vecchio West. E venne il fatidico giorno quando, in un tripudio di bandiere, polvere e musica country, accompagnati dalle majorettes di Mezzana e dalla banda degli Stonati di Sesto Calende, fecero l’ingresso nell’arena buttignolese dell’Acqua Ferma i partecipanti al rodeo. Erano una trentina gli atleti che si sarebbero sfidati nell’impresa di domare tori e cavalli selvaggi,lanciandosi in gare ed esibizioni di ogni genere. Tra gli applausi e le urla compiaciute dei quasi quattrocento spettatori, vestiti da indiani e cowboys, i concorrenti si rincorsero per tutto il giorno in caroselli infernali, affrontandosi in corse mozzafiato, cimentandosi in gare di velocità o di abilità con i lazos , facendosi ammirare per la maestria con la quale riuscivano a muovere una mandria di broncos, di puledri selvatici. Tutto questo, tra un numero e un altro, per arrivare al titolo regionale delle classiche specialità del rodeo: monta del toro, monta del cavallo senza e con la sella.

 

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Nessuno era riuscito a rimanere in sella per gli  otto secondi nel bull riding , nella monta del toro. Erano stati sbalzati di sella o avevano toccato l’animale con la mano libera ( la briglia di corda andava tenuta saldamente con una mano sola) ma mancava all’appello Domenico “Tex” Borlazza, l’intrepido genitore di Ercolino. E, incredibilmente, l’allevatore di manze dell’Oltrepò diede una lezione a tutti, in puro stile Buffalo Bill. Quattordici secondi e una manciata di centesimi in groppa a Celestino, un toro scalciante e incazzatissimo che faceva torto al mite nome che gli era stato appioppato. “Vacca, che record!”, urlò il Borlazza, applaudendo a spella-mani l’atletico babbo. “Sei meglio di  John Wayne! Cavolo, che forza. Quando c’è di mezzo una manza o un toro, il Tex gli fa abbassare le corna, altro che balle”, gridava, allungando grandi manate sulle spalle del povero Gaudenzio Sparagnetti, sacrestano di Sant’Eusebio che – cercando riparo – annuiva impaurito. Poi, premiati i vincitori con il titolo di campioni lombardi delle varie specialità ( Borlazza senjor, si aggiudicò ovviamente quella della monta del toro), tutti si recarono al Bar della Berta, alle porte del paese, trasformato per un giorno nel Saloon “Old wild west”, il vecchio selvaggio west dove si poteva ballare la line dance, classica danza country, oltre a scolare fiumi di birra, rimpinzandosi di  piccantissimo cibo tex mex. Mentre Ercolino, agitando il cappello da cowboy, lanciava le sue urla sempre più sguaiate, ululando come un coyote alla luna piena, lo Sparagnetti – guardando diffidente i burritos, le terrine colme di chili e le varie tortillas – si confidava con la Berta e Amleto Dolceselli, pensionato dell’Enel: “ Quello lì ha un bel dire con la sua mania del west ma a me pare una gran americanata e a quella roba da bruciasedere che c’è da mangiare, io preferisco un bel risotto con le rane, la lepre in salmì o il fagiano alla cacciatora. Ma quel Borlazza lì c’ha una testa da remulàzz!”. Poi, spiegato al Dolceselli, nativo del centro Italia,il significato di remulàzz (..“è il  ramolaccio, caro Amleto: una radice  scura, molto simile al rafano che si vende a mazzetti, come i rapanelli. E’ anche un modo per indicare una persona che ha una testa di rapa, hai capito?”), se ne andò canticchiando: “Trallalero, trallallà..la bella la va al fosso..ravanei, remulàzz, barbabietole e spinàzz.. tré palanche al màzz”.

Marco Travaglini