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Le lezioni del fallimento occidentale in Afghanistan

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LETTERE AL GIORNALE


Caro direttore, seguo le vicende afghane da quasi trentanni, dapprima come ricercatore e giornalista e poi, più da vicino come practitioner di varie organizzazioni internazionali attive in Asia centrale.

Se sono stato anchio colto alla sprovvista dalla rapidità del crollo del regime di Kabul a Ferragosto, non ho mai avuto dubbi che questo sarebbe stato lesito finale della sciagurata invasione lanciata dagli USA nel 2001. Ricordiamo alcuni punti fondamentali. Durante lintervento sovietico in Afghanistan(1979-1989), gli USA hanno armato ed addestrato bande di fondamentalisti islamici provocando lesplosione deljihad (e del traffico deroina) a livello mondiale. Dopo che il paese sprofondò nel caos in seguito all’abbandono sovietico, sempre gli USA approvarono la presa del potere da parte dei talebani. Quando, in maniera a tuttoggi inspiegata in modo razionale, avvenne lattacco dell11 settembre, Washington decise dinvadere il paese senza uno straccio di prova che riconducesse i terroristi al regime dei Talebani.

Quella in cui gli europei sono stati coinvolti per ventanni è stata dunque una guerra d’aggressione senza alcuna base legale. Tale guerra gli americani lhannocondotta sulla pelle degli altri (lAlleanza delle minoranze afghane del Nord) o seppellendo le posizioni nemiche di bombe, ogni volta falciando decine di innocenti.

Gli americani si sono quindi ingegnati a mettere al potere una serie di dipendenti delle loro multinazionali, completamente scollati dalla realtà del paese. In parallelo, con lentusiastico sostegno dei vassalli europei, si è cercato di imporre in un paese di comunità agricole tradizionali il modello occidentale di stampo anglo-americano. In tal modo, gli occidentali hanno ripetuto lerrore sovietico, solosostituendo il liberismo al marxismo. Peggio che prima, la stragrande maggioranza degli afghani (non i dipendenti delle ONG mostrati dalle TV italiane) ha accolto con ripugnanza un modello di modernità che anche da noi sempre di più si rivela come fondamentalmente marcio, basato comè sulla mercificazione di ogni valore, la competizione quale regola onnipresente, un femminismo puritano anglosassone che crea odio verso gli uomini, pornografia di massa venduta come liberazione. Per non parlare degli eccessi LGTB, che suscitano orrore in tutte le società ad est della linea Varsavia-Istanbul.

Anche trascendendo dallavversione delle masse per gli pseudovalori occidentali, il tentativo di applicarli in Afghanistan nasceva morto nel momento in cui non si prevedevano sforzi per la costruzione di unarchitettura statale ed economica efficace per il nuovo protettorato. I sovietici questo lo fecero ed in effetti il regime da essi lasciato a Kabul riuscì a reggersi da solo per sette anni (19891996).

Sotto gli americani, nella corruzione regnante di governanti senza scrupoli al soldo dello straniero, le masse si sono riallineate ai rappresentati del vecchio ordine che per inciso avevano anche bloccato il narcotraffico, ridivenuto imperante durante loccupazione.

Per anni Washington e le sue ignave ancelle europee (i soli a credere nella retorica dei diritti umani) hanno cercato di corrompere quanta più gente possibile per portare qualcuno dalla loro parte. Costoro li abbiamo visti accalcarsi dietro gli aerei allaeroporto di Kabul.

Per noi europei la cosa più indicata da fare di fronte a questo disastro sarebbe di trarne le debite conseguenze e scuotersi da un torpore che ci porterà solo nuove tragedie.

Ventanni fa scrissi che l’Afghanistan, dopo essere stato la tomba del potere sovietico, annunciava l’inizio della fine dell’egemonia anglosassone sulla scena internazionale. Sottolineo anglosassone invitando chi legge a finirla con la retorica dellOccidente, che è solo unasovrastruttura ideologica per il dominio anglo-americano sul resto dellEuropa. Le immagini che arrivano da Kabul servano a riflettere sul fatto che strutture come la NATO non contribuiscono più a creare sicurezza ma producono al contrario linstabilità (basta guardare alla Libia) in cui lItalia è oggi immersa. I paladini dell“Occidente smettano di stracciarsi le vesti per le mogli dei funzionari defenestrati di Kabul ed inizino invece a concentrarsi sulla situazione delle donne saudite, martoriate da un regime a cui ilsistema a cui loro si vantano d’appartenere fornisce ogni genere di supporto. Traiamo dalla tragedia dellAfghanistan le giuste lezioni: se vogliamo evitare nuovi disastri per il futuro, dobbiamo tornare padroni del nostro destino. Anche perché, data la nuova guerra fredda che USA e Gran Bretagna alimentano contro la Russia, la principale potenza nucleare, i prossimi cataclismi causati dal vassallaggio atlantico saranno sempre più vicini a noi e potrebbero rivelarsi fatali.

Fabrizio Vielmini
analista Vision & Global Trends(https://vision-gt.eu)

I due “soci”

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Un torinese (acquisito) a Finale Ligure/Pillole di spiaggia

Di Gianni Milani

“Sono proprio gentili questi due ragazzi!”. Un attimo di pausa. “Peccato tutti quei tatuaggi… Sono soci, eh!”. Abbozzo un impacciato sorriso. A parlare é un’arzilla signora diversamente giovane, Palmira, in attesa della sua 85esima primavera, cuneese di Langa e mia vicina di ombrellone, incredibile dispensatrice di garbate e granitiche verità. I giovani di cui Palmira parla sono i due tatuatissimi ragazzotti stesi al sole su due lettini posti a fianco dei nostri bunker-ombrelloni. Azzardo: “Soci? Hanno un’attività in comune?”. ” Ma no – risponde lei – quasi stizzita per il mio, a suo parere, improvviso rincoglionimento”. ” Soci! É chiaro no?”. Faccia stupita la mia. “Due mariti!!”. Ah, bè! Riabbozzo un sorriso di partecipe condivisione. ” Mai visto due ragazzi così a modo e gentili” continua lei. ” A l’e’ propri ‘n piasi’ parleie ansema” continua in stretto cuneo-piemontese”. ” As ved che s’volu propi bin!”. Antica, magnanime saggezza langarola. Le sorrido. La signora ha proprio capito tutto. Da sola. Senza stucchevoli e inutili simposi culturali o vocianti diatribe TV oggi più che mai di moda. ” E quando due si vogliono bene…”. Sospensione. Condivido. ” Peccato – conclude – tutti quei tatuaggi!”.

La movida violenta nel Ponente ligure

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il Ponente ligure con punte esasperate ad Alassio e persino ad Albenga, come anche altre località di mare italiane, quest’anno sta conoscendo una movida violenta e vandalica che ha visto gruppi di ragazzini ubriachi e magari anche drogati che minacciano e insultano clienti seduti in un bar, distruggono l’arredo urbano, tentano di aggredire agenti della polizia comunale, disturbano la quiete pubblica

Scrive un giornale: “È l’estate delle risse,  degli scippi, delle rapine e dei danneggiamenti soprattutto nel cuore della notte e nei weekend”. I torinesi in vacanza nel Ponente ligure sono esasperati. Così non si può andare avanti e le promesse di maggiori controlli il prossimo anno suonano come una presa in giro.  Un quadro intollerabile che si ripete un po’ in tutta Italia e che ha costretto gli esercenti ad assumere vigilantes, quasi non dovessero già fronteggiare mille altre difficoltà economiche. Tutte le polemiche stupide contro le mascherine e i green pass da parte di adulti mai cresciuti abbastanza sono l’altra faccia della medaglia di una situazione che vede molti giovani diventati teppisti. C’è un sindaco che invoca per i responsabili di questa movida violenta i “lavori forzati”, una proposta clamorosa quanto non praticabile. Il problema è educativo, a partire dalle famiglie che non educano e non controllano i propri figli, per non parlare di una scuola che riprenderà di nuovo senza la sicurezza necessaria e sarà destinata per il terzo anno a dichiarare fallimento. Occorrono leggi più severe che consentano alle forza dell’Ordine interventi e arresti che non trovino in magistrati troppo indulgenti la vanificazione del lavoro di prevenzione e di repressione di reati perché tali sono e non forme di divertimento che va un po’ oltre i limiti.  Un paese in piena pandemia non può permettere a ragazzini di creare ulteriore caos,quasi già non bastasse quello creato dai no vax.
E’ l’imbarbarimento delle nostre città che si trasferisce d’estate al mare. Ripeto, i genitori hanno delle responsabilità anche penali e pecuniarie che vanno individuate con fermezza. Non occorrono “lavori forzati“, occorre applicare le leggi vigenti senza debolezza e, se necessario, vanno aumentate le pene. I vandali in vacanza non hanno giustificazioni “sociali” simili a quelle che hanno consentito a tanta delinquenza giovanile nelle barriere urbane di crescere con il richiamo a tesi demagogiche e giustificazioniste, che in Italia continuano ad imperare. Occorre usare il pugno di ferro ,senza guanto di velluto. Altrimenti accettiamo come fatto irreversibile la fine del vivere civile. Questi talebani occidentali vanno combattuti e messi in condizione di non nuocere. Certo senza rinunciare all’educazione famigliare e scolastica. Ma quando un genitore non usa neppure la mascherina, che autorità può esercitare con i figli? Anche lui andrebbe rieducato senza tanti complimenti. Questi sono tempi di ferro e di fuoco e vanno affrontati senza tanti sociologismi che sono alla base del nostro declino civile ed anche morale quando la licenza viene confusa con la libertà.

Una multa “sgradevole” all’automobilista in carrozzella

LETTERE AL GIORNALE

Caro direttore,  sono una persona disabile in sedia a rotelle che guida l’auto.

Ho sostato  con me a bordo in corso Giulio Cesare per circa un minuto, ho dovuto chiamare non potendo scendere dall’auto il signore del negozio a me di fronte:  sono passati i vigili e mi hanno fatto la multa senza fermarsi. Ieri mi arriva la raccomandata della multa e oggi mi sono recato dai vigili di via Bologna, ho spiegato il tutto e non hanno avuto un minimo di buonsenso, ho dovuto pagare la multa. Uscendo dal comando dei vigili non funzionava più il montacarichi… a quel punto mi hanno preso in braccio per farmi fare gli scalini. Ho compreso il loro disagio ma loro non il mio.

Cristian Dionisi

“Cronaca di un amore non corrisposto”

LIBRI / A Sauze d’Oulx, splendida cornice montana, viene presentato il romanzo di Carlo Buonerba “Cronaca di un amore non corrisposto”

 

Il romanzo “Cronaca di un amore non corrisposto”, opera prima del giornalista e scrittore Carlo Buonerba, verrà presentato dall’autore nella splendida cornice montana di Sauze d’Oulx, in Val di Susa, lunedì 23 agosto prossimo alle 21, presso la sala ATL, in viale Genevris 7.

A moderare la serata sarà il giornalista Marco Gregoretti, scrittore e autore tv (Panorama/Mondadori)

Per l’autore, che ha vissuto diversi anni della sua vita in questa ridente località montana, si tratterà di un vero e proprio ritorno a casa.

Nel titolo e nella scrittura questo romanzo si richiama ad una delle tecniche tanto care al giornalismo,  anche se quest’opera, trattando sentimenti, assume, nella forma diaristica, dei tratti intimistici e psicologici. Si tratta di un romanzo infatti, fortemente autobiografico, narrato in prima persona dal protagonista, Federico Spes, che assume le vesti di un ingegnere delle telecomunicazioni e insegnante precario in un istituto milanese. Egli racconta la storia maledetta di un amore impossibile, in cui ha dato tutto se stesso, nei confronti di una collega, con la quale era riuscito ad avviare un rapporto contraddistinto da una strana sintonia emozionale, una sorta di affinità elettiva. Si tratta di un rapporto di continua ricerca, quasi ossessiva, che porterà il protagonista a scavare, nel tempo successivo della scrittura, nella memoria di questo dialogo, costituito di lunghe telefonate, incontri, pranzi e messaggi WhatsApp.

Mara Martellotta 

La profezia di Oriana Fallaci si avvera

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Solo chi è sprovveduto o è in malafede può disconoscere che il ritiro degli USA e della NATO dall’ Afghanistan non abbia un contraccolpo immediato e drammatico sulla ripresa del terrorismo islamico, in questo caso non islamista, secondo un linguaggio vellutato e falso, usato in Europa quando gli attentati erano all’ordine del giorno e si voleva disperatamente separare l’ Isis da un Islam moderato che è sempre più difficile individuare. La vittoria talebana a Kabul darà una spinta a tutto l’ Islam nel suo complesso e renderà vane certe distinzioni. Viene fuori in maniera lampante il fallimento della politica estera americana espressa da quattro presidenti che, alla luce di questi fatti, rivelano tutta la loro mediocrità . Balza in tutta evidenza l’impossibilità di esportare la democrazia ,ma anche l’inconciliabilità tra Islam e Occidente ,come aveva sostenuto Oriana Fallaci. Sulla lunga distanza appaiono velleitari i tentativi di portare alla normalità un paese contro il quale dovettero desistere a combattere anche i sovietici, i cui eredi putiniani gioiscono di fronte al fallimento degli Americani che stanno vivendo un nuovo Viet – Nam, camuffato dai goffi tentativi di Biden a cui spero nessuno vorrà conferire il Premio Nobel Biden si rivela un omino inadeguato e attempato che è stato votato solo per eliminare Trump, una mina vagante in primis per il futuro degli Americani  Davvero l’Afghanistan è  invincibile come i Parti o i Germani di fronte a cui l’invitta potenza romana dovette fermarsi? Un esercito afghano addestrato e ben equipaggiato si è sciolto come neve al sole, il presidente afghano è scappato con la scusa di non provocare altre morti,  un ritornello che piace molto ai pavidi ed opportunisti fuggiaschi che si succedono nella storia. La NATO, già minata dalla folle politica di Trump, non c’è più. Un elemento che avrà conseguenze storiche imprevedibili. Che dei guerriglieri dalle idee medievali e dai modi selvaggi obblighino l’Occidente a far fagotto in fretta e furia è un segno grave dei tempi che forse neppure Maurizio Molinari nei suoi lucidi libri aveva previsto. Che differenza tra il direttore de “ La Stampa “ che fa sue le analisi di Gino Strada erette a testamento e il predecessore Molinari che viveva scortato perché aveva denunciato la situazione esplosiva della Jjadd con coraggio e limpida freddezza. C’è stato un periodo in cui io stesso, amico di Oriana Fallaci negli anni dopo l’11 settembre, avevo considerato le sue denunce da archiviare perché legate ad un tempo andato. Sbagliavo clamorosamente. Non so chi vincerà o chi soccomberà, non so quale sarà la direzione che prenderà la storia dell’ umanità, ma occorre riprendere i libri della Fallaci che costituiscono l’ultima trincea ideale in cui combattere per la civiltà occidentale minacciata oggi come non mai. Una civiltà laica e cristiana, anche se c’è chi tace per opportunismo, in difesa della quale bisogna resistere ad ogni costo. Oggi occorrerebbe un Churchill e uno Stalin per fronteggiare il nuovo mostro, il nuovo nazismo islamico. Gli statisti in campo sono pallide comparse del tutto incapaci di reagire. Eppure Carlo Magno riuscì a ricacciarli indietro, come fece il Principe Eugenio alle porte di Vienna ,ma erano altri tempi e soprattutto altri uomini. Il nostro destino forse sarà quello di affidarci ai Cinesi. Un’ipotesi terrorizzante che ci impedisce di prendere sonno, in attesa di una nuova TeleKabul anche in Italia che ci dia le direttive da seguire. Le premesse ci sono già tutte oggi.

Papaveri (da oppio) e papere (geopolitiche)

 IL PUNTASPILLI di Luca Martina

 

L’offensiva talebana in Afghanistan ha subito una grande accelerazione negli ultimi mesi.

 

Il suo obiettivo è quello di arrivare all’inizio dell’inverno (quando l’azione militare dovrà ridursi drasticamente per ragioni climatiche) con la maggior parte del Paese sotto il proprio controllo e sembra più vicino ora che anche la capitale Kabul ha ceduto agli “studenti” (questo il significato in Pashtu, la lingua iranica parlata anche in Pakistan, della parola “talebani”).

 

Il disimpegno americano (con il ritiro totale fissato entro l’11 settembre) non avrebbe dovuto, automaticamente, riconsegnare il paese ai vecchi governanti, spodestati nella guerra intrapresa all’indomani dell’attentato terroristico che distrusse, nel 2001, le torri gemelle di New York.

 

Più di 2.300 miliardi di dollari sono stati spesi complessivamente dagli Stati Uniti nel Paese asiatico e una importante parte di questa somma è stata destinata all’assunzione e alla formazione delle truppe locali.

 

Sulla carta l’esercito e la polizia afghana conterebbero su 300.000 effettivi, ben superiori alle forze talebane, che si aggirerebbero intorno ai 60.000 combattenti alle quali si aggiungono milizie per un totale di 200.000 persone.

 

La endemica corruzione ha però generato un esercito impreparato, poco leale e motivato e di dimensioni probabilmente molto inferiori ai dati ufficiali.

 

Quando il “generale inverno”, a dicembre, imporrà il cessate il fuoco il Paese potrebbe essere ormai completamente sotto il controllo talebano e pronto ad esportare, oltre alla droga (la principale fonte non ufficiale di valuta forte), incertezza e instabilità al resto del mondo.

 

Basti pensare che nel 2007 si stimava che il 93% degli oppiacei circolanti nel mondo era stato coltivato in Afghanistan, con introiti superiori ai 4 miliardi di euro.

 

Poco importa che la coltivazione dei papaveri da oppio e la sua raffinazione sia stata in larga parte creata negli anni 70 con la poco lungimirante complicità della CIA statunitense, in ottica antisovietica: il cane rabbioso, si sa, una volta recisa la catena si avventa, mordendola, sulla mano che lo nutre.

 

L’Afghanistan, una volta riunito sotto un unico governo talebano, sarebbe in grado di riattivare le tantissime (circa 1400) miniere presenti sul suo territorio: si tratta di carbone, rame, oro, ferro, gas naturale, petrolio e altre preziose risorse.

 

Questo enorme fiume di denaro servirebbe poi, con ogni probabilità, anche ad alimentare una miriade di gruppi terroristici legati al mondo islamista radicale, con effetti destabilizzanti sulla regione (e non solo).

 

La speranza è che i negoziati, iniziati a Doha nel 2018 e mai completamente interrotti, possano produrre dei risultati positivi e che il Paese, situato proprio nel cuore dell’Asia Centrale, possa rinverdire i fasti legati alla “Via della seta”.

 

L’Afghanistan è stato il crocevia di importanti traffici commerciali sin dal 2500 avanti Cristo quando il suo lapislazzuli (la preziosa, dal suo etimo latino-arabo, “pietra azzurra”) andava ad impreziosire le arpe in avorio che accompagnavano le sepolture dei sovrani di Ur, in Iraq.

 

La massima fioritura si ebbe tra il primo secolo a.C. ed il secondo secolo della nostra era quando le sue strade erano percorse dalla seta proveniente dalla Cina, spezie, avorio e crisolito (usato per produrre abiti resistenti al fuoco) dall’ India, oggetti di argento dall’impero persiano e prodotti in oro, vetro, terracotta, statue ed anfore da Roma ed il suo impero.

 

Fu solo lo sviluppo delle tecniche navali, nel XVI e XVII secolo, che rese più semplici gli spostamenti via mare, a consegnare all’oblio la via della seta e con essa lo stesso territorio afghano.

 

Oggi la crescita economica e demografica del continente asiatico rappresenta una grande opportunità per il Paese e lo pone al centro di importanti intrecci geopolitici ai quali, al ruolo storico della Russia, si sono aggiungi negli ultimi decenni prima gli Stati Uniti e, in tempi più recenti, la vicina Cina.

 

Proprio la Cina, d’altronde, condivide con l’Afghanistan un, pur sottile, di 76 chilometri, confine ed è perciò molto attenta all’evoluzione della situazione per poterne, a tempo debito, cogliere i frutti.

 

La partita che si gioca avrà dunque impatti economici e politici molto importanti e sarà l’ennesimo banco di prova della sfida che contrappone il mondo occidentale alla Cina e alla Russia.

 

Speriamo di non doverci trovare un giorno a rimpiangere il, forse troppo prematuro, ritiro del contingente americano e nella scomoda situazione di avere a che fare con una nuova, ma potenzialmente ben più rilevante, Corea del Nord. ​

Gavettone Day

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Un torinese (acquisito) a Finale Ligure/Pillole di spiaggia

 

Di Gianni Milani

Ferragosto edizione 2021. Anche quest’anno é andata! Solito copione. Stessa spiaggia, stesso mare. Ed eccoci, per fortuna, al giorno dopo. Negli occhi e nelle orecchie flash d’immagini e voci che sono quelle ripetute a copione nel tempo. Banali, perfino un po’ tristi, sotto regie cafonare degne del miglior Oscar Pettinari, il tipico “coatto” romano inventato in “Troppo forte” dal mitico Verdone. Primissima mattina, la calata dai pullman sul lungomare di frotte multiformi e variopinte dei bagnanti in gita di giornata provenienti (con tanto di vu’ cumpra’ e “bottega” appresso) dai paesi limitrofi o dall’entroterra ligure. Borse-frigo, cibarie varie, canotte varie, infradito vari, facce varie, palloni e palloncini e salvagente vari, cappelli e cappellini fra i più improbabili e multiuso. Corsa alla spiaggia libera che in un attimo diventa occupata. Meglio occupatissima. Distanziamento? Parolona grossa. Ed ecco in un baleno, il nuovo panorama vista mare: ombrelloni e ombrellini infilzati a terra, una galleria di asciugamani stesi al sole, lettini e sdraio e sedie per i nonni, cagnolini (povere bestie) guinzagliati alle gambe di tavolini traballanti che stanno in piedi sfidando inspiegabilmente la forza di gravità. E subito i primi sonori scappellotti ( tanti altri ne seguiranno) ai ragazzini che ogni mezzo minuto corrono – manco fossero Jacobs – in acqua, mentre le mamma iniziano fin da subito, quasi fossero in pieno cucinino di casa, a preparare la “tavola”, con figlie e fidanzati e padri spaparanzati al sole. Tutt’altra musica nei Bagni privati a fianco. Non fosse che anche lì cominciano a veleggiare nell’aria strane occhiatine e occhiatacce. Ci siamo! Comincia a montare la strana voglia ferragostana. La voglia del gavettone. Rito secolare. Ahinoi, intramontabile. Si cominciano a caricare pistole e mitragliette di plastica. E a sparare. ” Ma cazzarola, é gelida quest’acqua! Cominciamo?”. In un attimo é tutti contro tutti. I primi ad impugnare le armi (incredibile!), signori- giovinotti che vanno dai 40/50 in sù. Scatenati, mirano come ossessi a ridanciane damigelle dai costumi impercettibili e ai compagni di “scopone”. “Ma basta, papà, smettila!”, urla con vergogna una ragazzina al “firmatissimo” genitore (avvocato, manager, imprenditore, politico, amico forse di quel famoso onorevole del Papete?). E lui manco per niente. Fino all’ora di pranzo. I bagni di svuotano. Quasi. Fatta eccezione per i martiri dell’abbronzatura che timbrano il cartellino alle dieci e per otto ore filate a flirtare con il sole non li smuove più nessuno. Nella spiaggia libera, intanto, é un corpo a corpo alle vettovaglie, con paninari famelici che a 40 gradi all’ombra mangerebbero pure minestroni bollenti e polente conce, bimbi giustamente piagnucolanti e risate e risate e acqua e birra, birra tanta birra. Poi ci saranno altri tuffi. Appena mangiato? Ma chissenefrega. E’ Ferragosto. Non esistono regole. Appuntamento finale nei Bagni privati alle 18. Sarà guerra totale di gavettoni. Bagni contro bagni. Tutti contro tutti Il lungomare diventerà campo di battaglia. Senza pietà. Penso proprio di rientrare in hotel verso le 17,30. Massimo massimo 17,45. ” Ma che bella giornata”, cantava nel ’68, con toni dememenzial-ironici, Ugolino, al secolo Guido Lamberti. Proprio una bella giornata!

L’isola del Libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Richard Ford “Scusate il disturbo” -Feltrinelli-

Richard Ford, nato a Jackson nel Mississippi nel 1944, -profondo osservatore dell’americano medio- è considerato uno dei grandi maestri del minimalismo americano contemporaneo. In questo libro, scandito in 10 racconti, c’è tutta la sua maestria di scrittore universale.
Compaiono i suoi luoghi. New Orleans, dove ha vissuto per anni; il Maine dove si è trasferito successivamente per iniziare una vita nuova, a East Boothbay, in quell’affascinante New England spesso al centro della sua narrativa. Il Canada (di cui ha ampiamente scritto nell’omonimo romanzo del 2012), altro luogo legato alla sua esistenza.
Elemento nuovo è invece l’Irlanda, in cui ambienta 2 racconti, ma presente sullo sfondo anche di altri, legata alle sue origini dal lato paterno (irlandesi erano gli antenati di Ford, ma in famiglia non se ne parlava).

Protagonisti sono per lo più uomini di mezza età, mediamente ricchi, spesso avvocati o agenti immobiliari, alle prese con le pastoie della vita. Ford indaga il loro modo di affrontare unioni e rotture, e come si destreggiano da divorziati o vedovi, mettendo a fuoco anche i loro rapporti con figli, parenti e amici. Sempre scandagliando le loro anime e menti con una maestria che è il suo marchio di fabbrica.

Sono 8 racconti brevi e 2 più lunghi, come “Mantenere il controllo” in cui il maturo agente immobiliare Peter Boyle, che da anni trascorreva le vacanze estive nel Maine con la moglie Mae, ora rimasto vedovo decide di affittare la casa limitrofa a quella in cui erano soliti villeggiare, e nella quale lei si era tolta la vita.
Tra gli altri brani, “Andando su”, in cui protagonista è Ricky Grace che fugge dalla leva di guerra ai tempi del Vietnam, quando si sorteggiavano gli anni di nascita dei giovani da mandare al fronte.

Chiude la raccolta il racconto “Seconda lingua” intesa come nuova possibilità rappresentata da un secondo matrimonio. Ford esplora le vicende matrimoniali di Jonathan e Charlotte, entrambi alle loro seconde nozze. Questo dopo che il primo marito di lei aveva preso letteralmente il largo verso l’Irlanda e oltre, alla ricerca di stesso; mentre Jonathan continua a rimpiangere la prima moglie Mary Linn, improvvisamente stramazzata davanti a lui e passata nell’al di là.
Inizialmente il secondo matrimonio di Jonathan e Charlotte sembra veleggiare felice, poi qualcosa succede…

 

Valeria Usala “La rinnegata” -Garzanti- euro 16,00

E’ stato decisamente un gran successo questo romanzo di esordio della giovane cagliaritana Valeria Usala, perché ha saputo raccontare una società arcaica, ancorata a vecchi valori e consuetudini, e ha dato vita a un personaggio indimenticabile. Una sorta di eroina che si erge contro il pregiudizio dilagante in un mondo di vedute assai ristrette.
E’ anche una storia di coraggio, in parte realmente accaduta, tramandata di generazione in generazione, ambientata in una Sardegna rurale e tradizionale, tuttavia anche straordinariamente contemporanea.
Protagonista è l’eroina tragica Teresa, cresciuta con la nonna che era a servizio presso una famiglia di ricchi proprietari terrieri, che le lasciano un’eredità. E’ una ribelle, crede nel suo diritto a libertà, indipendenza ed emancipazione. Però è schiacciata dalle maldicenze e dagli ignoranti sospetti degli abitanti del paese di Lolai; una sorta di coro malevolo ma molto potente col quale deve fare i conti.
Teresa è bella, e già questo non l’aiuta con le altre donne divorate dall’invidia che erigono un muro di falsa cordialità; mentre gli uomini sparlano di lei senza nascondersi e le gettano occhiate che la fanno sentire violata.
E’ sposata con Bruno, uomo mite e gentile, dal genio imprenditoriale, che accumula successi, e perciò sospettato di fare affari loschi, perché «Se vivi di semina e raccolto non puoi avere grandi sogni, solo grandi speranze».
Fin dalle prime pagine, in cui Teresa ha dato alla luce il terzo figlio da sola, (mentre il marito è via per lavoro), diventa cosa quasi scandalosa per le altre donne del borgo che dai consorti sono molto più dipendenti. Il lettore entra subito nel clima del romanzo, avverte immediatamente il fondo di cattiveria, pettegolezzo, e maldicenza di piccolo cabotaggio, che anima il paesino dall’orizzonte angusto.
Nel libro c’è anche la storia difficile di un’altra figura femminile che ci incanta: è Maria figlia di due umili servitori spesso in trasferta da una famiglia all’altra per lavoro. Quando vanno a servizio presso i ricchi Collu il destino di Maria si compie.
Lei ha l’ingenuità e il fuoco dei 15 anni, si innamora perdutamente del rampollo dei Collu, Vincenzo, che ha due anni meno di lei, ma le promette il matrimonio e la vita insieme. Rimane incinta e il giovane farà una virata a 360°. E’ così che Maria viene ostracizzata da tutti e prende la grande decisione di andarsene per non tornare più indietro, e dare alla luce la sua bambina “Bastarda”.
Maria diventa la “Bruja”, che in Sardegna sta per strega, una donna istintiva e vista come pericolosa, ostracizzata dalla società.

 

Elizabeth Hardwick “Notti insonni” – Blackie Edizioni- euro 19,00

La Hardwick è stata la critica letteraria americana di maggior peso per quasi mezzo secolo e questo suo libro fu pubblicato la prima volta nel 1979, quando lei aveva 63 anni.
Nata in Kentuchy nel 1916 e morta nel 2007, insieme al marito, il poeta Robert Lowell, fece parte del pool di intellettuali che nel 1963 fondò la “New York Review of Books”.
I due si conobbero nel 1946 al Greenwich Village, si sposarono 3 anni dopo creando un sodalizio affettivo e intellettuale che li condusse in giro per il mondo. Fu amica di scrittori della levatura di Mary McCarthy e Philip Roth e di altri grandi personaggi dell’editoria e della crema culturale della sua epoca.
“Notti insonni” è definito romanzo, ma in realtà è un caleidoscopio di più cose. Un misto di memoir, collage di ricordi e pensieri, persone incontrate e più o meno famose, episodi familiari, stralci di lettere, frammenti di conversazioni e fantasmi della sua vita passata. Ma anche saggio, taccuino di appunti sparsi, risultato di notti insonni in cui rielaborò esperienze ed impressioni fino a comporre una sorta di meditazione sulla vita.

Fuggita dalla provincia giovanissima, plana a New York dove per anni vive nelle residenze per sole donne e apre gli occhi su un’umanità variegata e complessa. Dapprima si immerge nella Big Apple come città luminosa e carica di promesse, salvo scoprire poi anche un sottofondo di solitudine, tristezza e delusioni.
E’ un’acuta osservatrice delle persone e delle loro dinamiche che mette a nudo con una profondità notevole. Soprattutto delle donne che in “Notti insonni” compaiono spesso, a partire dalla figura di sua madre: vincenti o perdenti, appartenenti un po’ a tutte le classi sociali, con mestieri diversi e differenti modi di relazionarsi con gli uomini e le difficoltà della vita.
E tra gli argomenti toccati, anche sessismo e razzismo, su sfondi non solo newyorkesi, ma a spasso per il mondo che ha scoperto strada facendo: da Boston a Montreal, da Honolulu alla Russia, passando per tante altre mete, compresa Amsterdam dove visse per un anno.

 

Muriel Barbery “Una rosa sola” -Edizioni e/o- euro 16,50

L’autrice del best seller “L’eleganza del riccio” questa volta compie un viaggio intimo nell’animo di una botanica 40enne che parte per il Giappone dove è appena morto il padre che non ha mai conosciuto. Ma è anche un tuffo nelle affascinanti radici della cultura nipponica.

Rosa, capelli rossi e occhi verdi, vive a Parigi, ma in realtà “quasi non aveva vissuto”.
La madre aveva abbandonato il ricco padre, e ancora incinta era tornata in Europa. Alla figlia aveva trasmesso malinconia e doloroso senso di abbandono ed è così che Rosa è cresciuta infelice, anche perché attanagliata dal vuoto dell’assenza della figura paterna.
La sua giovinezza è stata triste, e non è andata meglio negli anni a seguire. E’ diventata botanica, ma senza convinzione, e si trascina da un uomo all’altro senza coinvolgimento perché a nessuno si affeziona ed è ricambiata con la stessa moneta
.
A stravolgere questa traiettoria insoddisfacente di vita è la notizia che il padre, stimato mercante di arte contemporanea, le ha lasciato un testamento.
L’arrivo a Kyoto la catapulta in una realtà totalmente diversa da quella fino ad ora conosciuta. Aiutata dal giovane assistente del padre, Haru (belga trapiantato in Giappone), Rosa compie una sorta di viaggio iniziatico tra antiche leggende, fascinazione di templi, incontri con personaggi che l’aiutano a capire molte verità sul paese in cui è planata, sul padre e soprattutto su se stessa.

Possiamo dire che l’altra grande protagonista del romanzo è proprio l’antica capitale imperiale del Giappone, nella quale coesistono due realtà diverse. Da un lato povertà e squallore, urbanizzazione selvaggia che ruba spazio ad alberi e uomini, aree inospitali, affollate e disumanizzate.
Però c’è anche la profonda e diffusa bellezza dei giardini di Kyoto, carichi di spiritualità, dove la protagonista compie una sorta di pellegrinaggio culturale.

Sogno di una notte di mezza estate

IL PENSIERO DI VIRGINIA

Faccio mio il famoso titolo della commedia di William Shakespeare scritta intorno al 1595.

Voglio ripercorrere con la memoria quello che definisco il “Sogno italiano di mezza estate” tra Musica, Calcio edOlimpiadi che ci hanno visto protagonisti in questa estate di fuoco.

Iniziamo il 22 maggio con i Maneskin e la vittoria all’Eurovision Song Contest: una giovane rockband che vince la gara europea della musica dopo 31 anni e che vola nelle classifiche mondiali, soprattutto quelle inglesi, che è come vendere ghiaccio agli eschimesi.

Continuiamo a giugno con gli Europei di calcio e il calcio in UK fa coppia con la musica.

L’Italia si aggiudica gli Europei 2021  (in realtà 2020) nella finalissima di Wembley e vince il trofeo dopo 53 anni.

Da una parte schierata una squadra costruita da Roberto Mancini con una forte identità di gruppo, con tanto carattere e altrettanto cuore; dall’altra la squadra inglese, a trattipresuntuosa, che in presenza dei Reali  non riesce ad accettare la sconfitta e si sfila la medaglia dal collo offendendo lo spirito sportivo e il fair play britannico.

Nello stesso giorno della finale degli Europei di calcio, ci troviamo protagonisti nella finale mondiale di tennis a Wimbledon.

L’italiano Matteo Berrettini di anni 25, n°8 nella classifica ATP, contro il mitico campione Novak Djokovic di anni 34, numero uno della classifica ATP.

Dopo aver conquistato l’Europa, i cosiddetti “Italians” partono ad agosto per le Olimpiadi di Tokyo per provare a prendersi lo scenario mondiale, mentre la giovane rockband Maneskin continua la propria ascesa raggiungendo la vetta delle classifiche internazionali.

A Tokyo 2020 è italiano l’uomo più veloce del mondo Marcel Jacobs, ed è italiano anche l’uomo che salta più in alto di tutti, Giammarco Tamberi, anche se ex aequo con Mutaz Barshim del Qatar…ma qui vince il concetto di sport, amicizia e solidarietà.

E’ altresì italiano ed italiana la marcia mondiale e l’inseguimento a squadra di ciclismo, per esattamente 40 medaglie tra  oro, argento e bronzo, stabilendo così il nuovo record di medaglie conquistate in una Olimpiade dall’Italia.

E’ stato commentato, dopo il leggendario oro italiano nella  finale 4×100 uomini, che nessuno delle altre nazioni presenti aveva tenuto conto che in gara c’erano quattro ragazzi italiani. La loro passione, sacrificio e spirito di squadra hanno portato ad una storica vittoria olimpica.

Sì, l’Italia oggi è un brand vincente non solo per il turismo o per il cibo, ma nella musica con i Maneskin, nel calcio con la Nazionale e alle Olimpiadi con gli atleti azzurri.

Voglio sperare che questo solstizio d’estate prolungato simboleggi, dopo una pandemia  mondiale ancora non risolta,la forza del nostro paese.

Un’estate in cui l’impossibile è avvenuto: spero che la ripartenza sia determinata come l’impegno e la costanza avuta dai nostri atleti alle Olimpiadi, e che questo sia veloce come Jacobs, e che voli alto come Tamberi, per una grande visione e fiduciosa nel futuro.

Virginia Sanchesi

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