Rubriche- Pagina 30

Persone negative, difficili, complicate e conflittuali: impariamo a difenderci

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(Prima parte)

Non ditemi che non ne conoscete e che la loro presenza non si rivela decisamente fastidiosa, e di difficile approccio… Nel luogo di lavoro, tra coloro coi quali veniamo a contatto nelle nostre incombenze quotidiane, ma talvolta anche tra i conoscenti e gli amici e magari anche in famiglia…

Persone che conoscono alla perfezione la spiacevole arte di complicare le cose, individui difficili ed esigenti, che hanno un problema per ogni soluzione, una contraddizione per ogni evidenza e una tempesta per ogni momento di calma. Esseri petulanti che tentano, consapevolmente o meno, di rubarci la pace interiore,

Personalità complesse, che adorano le discussioni, che sfiancano, che debilitano e che dobbiamo imparare a gestire se vogliamo preservare la nostra serenità mentale ed emotiva. Con le quali magari siamo costretti a convivere, per ragioni di lavoro, di impegni o di vita privata.

Quante volte avremo avuto la tentazione di spostarle nella cartella “spam”, come succede a certa posta elettronica, di trasferirle in una dimensione parallela alla nostra realtà, così da mantenerla intatta e al sicuro, e da preservarla dalla fatica, a volte improba, di rapportarci con le persone che appartengono a queste categorie.

Ma pare che non sia così semplice liberarsi di loro… Il meglio che possiamo fare consiste spesso nel cercare le modalità per far sì che il loro impatto nella nostra vita, a prescindere dalla vicinanza e dalla frequenza con le quali ci rapportiamo con loro, sia il meno invasivo e devastante possibile Tutti, a modo nostro, siamo un po’ complicati.

Ognuno di noi ha qualche groviglio, nella mente e nel cuore, in cui si mischiano paure e insicurezze, frustrazioni e ansie. Tutto questo, in una certa misura, fa parte dell’inevitabile. Ma la principale differenza con le persone che incarnano l’estremo della complessità è che esse sono quasi sempre incapaci di stabilire rapporti sociali e affettivi funzionali, rispettosi e sani.

 

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it

Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”

Delicato patè, facile e… natalizio

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Un raffinato antipasto ideale per la tavola delle feste e non solo e’ il pate’; realizzato con carne o pesce ridotto a crema, modellato in uno stampo e raffreddato, puo’ essere preparato in anticipo con pochi ingredienti, e’ facile, veloce e soprattutto goloso, viene solitamente accompagnato da crostini. Non si tratta ahime’ di un piatto dietetico, ma una volta all’anno ce lo possiamo permettere…

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Ingredienti

 

200gr. di lonza di maiale tritata

200gr. di fegato di vitello

2 fegatini di pollo

150gr.di burro

200gr. di mascarpone

Timo e maggiorana q.b.

Sale e pepe q.b.

 

Cuocere la carne di maiale con un pizzico di timo e di maggiorana in 50gr. di burro per almeno 15 minuti, aggiungere il fegato di vitello tagliato a striscioline ed i fegatini di pollo tagliati a tocchetti (privati delle nervature), portare a cottura. Lasciar raffreddare e versare tutto nel mixer con il burro rimasto ed il mascarpone. Frullare sino ad ottenere una crema vellutata. Rivestire uno stampo con pellicola trasparente, versare la crema ottenuta, chiudere con la pellicola e conservare in frigo per almeno 12 ore. Al momento di servire togliere la pellicola dallo stampo e sformare il pate’. Decorare a piacere e servire con crostini.

 

 

 

Paperita Patty

La storia centenaria di una delle aziende più golose di Torino

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Scopri – To   ALLA SCOPERTA DI TORINO

 

Nel 1922 per opera di un luminare pasticcere di nome Pietro Ferrua nasce un panettone diverso da tutti gli altri, unico nel suo genere che farà la storia a Torino e non solo.

Ci racconta la storia di quest’azienda Elisa Mereatur responsabile marketing Galup.

 

L’intervista

D: Buongiorno Elisa, cosa ti ha fatto avvicinare a questa storica azienda?

R: Mi affascinano le aziende che hanno un’anima e Galup ne ha una meravigliosa. La cosa che più mi ha colpito di Galup è la storia centenaria e poi vedere come chi lavora in azienda sia veramente parte di una famiglia, generazioni di persone che lavorano insieme dai ragazzi alle persone più grandi. Io ho un backgorund legato all’agroalimentare; ho fatto l’università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo e poi antropologia del cibo a Londra, ho avuto anche una mia azienda e poi ho collaborato con l’azienda Leone per 8 anni e quando sono arrivata quI in Galup mi sono sentita a casa.

D: Galup nasce nel 1922 grazie a un panettiere, Pietro Ferrua, che crea un panettone diverso dal classico milanese, facendolo piatto e con una glassa di nocciole sopra, come nasce il nome?

R: Il nome Galup significa in Piemontese “goloso”. Ferrua crea questo nuovo prodotto che per antonomasia diventa il panettone alla piemontese, lo fa assaggiare ai primi commensali che dicono in dialetto: “A l’è propi galup!” che tradotto in italiano significa “è proprio goloso”.

D: Come cambia l’azienda nel tempo?

Nel 1949 il signor Ferrua decide di industrializzare la produzione acquisendo lo stabile in uso ancora oggi a Pinerolo dove vengono fatti i panettoni. La storia continua ancora oggi, la proprietà è cambiata nel 2014, con l’ingresso  di due imprenditori originari delle Langhe Giuseppe Bernocco e Sebastiano Astegiano – che hanno restituito all’azienda il suo splendore originario rinnovando anche buona parte dei macchinari, e creando nuovi prodotti e dando nuovo impulso all’azienda.

D: Ci sono tantissimi nuovi prodotti per tutti i gusti, quali in particolare?

R: Il principe dell’azienda è sempre il panettone con canditi e uvetta, creato utilizzando materie di primissima qualità e lievito madre che si rinfresca dal 1922. I panettoni sono declinati in tantissimi gusti per stare al passo con i tempi come pesca cioccolato e amaretto, pere e cioccolato e amarene e cioccolato.

Poi c’è il pandoro, prodotto ancora totalmente artigianalmente, come Galup produciamo anche altri lievitati da forno appositi per le ricorrenze come la colomba a Pasqua.

Poi c’è la linea “Piaceri Quotidiani” con i prodotti per tutti i giorni, come il famoso “Carrè”; un pan bauletto nella versione classico, al cioccolato o frutti di bosco e yogurt.

Vi sono i biscotti, dai Krumiri classici con la ricetta originaria di Casale Monferrato, quelli al caffè, quelli ricoperti di cioccolato fino ai Baci di dama. In estate abbiamo invece lanciato il Panettone d’Amare.

D: Avete anche un altro prodotto molto conosciuto, le praline al cioccolato

R: Si chiamano Galuperie e sono state create nel 1955, sono piccoli gioielli di gusto che racchiudono un mondo di sapori. Dal 2021 oltre a Galup abbiamo anche il marchio di cioccolata Streglio che quest’anno compie cent’anni e altri brand tra cui Pasticceria Cuneo che produce prodotti senza Glutine.

D: Come vengono create queste innovazioni?

R: Le innovazioni nascono da un lavoro  in team insieme al responsabile di produzione e al comparto di ricerca sviluppo e qualità. Si fanno dei tavoli di lavoro dove si sviluppano le novità seguendo anche i trend di mercato.

D: Avete delle novità per il futuro?

R: Per il Natale 2024 Galup ha pensato ad una confezione regalo dove oltre al panettone troviamo la tombola da giocare rigorosamente con le mandorle al posto delle pedine!

E poi tantissime altre confezioni regalo con i Krumiri, il vino ed il pandoro.

D: Grazie per averci raccontato la storia di questa meravigliosa azienda!

NOEMI GARIANO

 

Un viaggio goloso nella tradizione italiana

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Torino tra le righe

Oggi la nostra esplorazione della letteratura torinese ci conduce in cucina, tra i profumi e i sapori della tradizione italiana, grazie a un libro che è un inno all’artigianalità e alla genuinità. “Tutti Frutti: Tecniche e ricette per confetture, marmellate, composte, gelatine e canditi artigianali secondo tradizione italiana”, scritto da Francesca Maggio, è molto più di un ricettario: è un viaggio attraverso le stagioni e i frutti della nostra terra, raccontato con passione e precisione.
Francesca Maggio, consulente di cucina e pasticcera di fama, vanta un curriculum ricco di esperienze illustri. Dal 2012 al 2019 ha diretto la iCook Academy di Chieri, fondata insieme allo chef Luca Montersino, uno dei nomi più celebri del panorama gastronomico italiano. Grazie alla sua instancabile ricerca dell’eccellenza, Francesca ha avuto l’opportunità di lavorare fianco a fianco con i migliori chef e pastry chef del mondo, perfezionando una tecnica impeccabile e uno stile innovativo che non perde mai di vista la tradizione.
Il suo libro propone 80 ricette, arricchite da splendide fotografie realizzate da Marco Arduino, che illustrano in modo chiaro come preparare marmellate, composte, gelatine e canditi utilizzando solo ingredienti naturali: frutta, zucchero, limone, aromi e spezie. Questo ritorno alla semplicità, però, non è solo una scelta pratica, ma una vera e propria filosofia: innovare, ci ricorda Francesca, non significa necessariamente inventare qualcosa di nuovo, ma riscoprire e valorizzare le radici della nostra cucina casalinga.
Preparare in casa confetture e marmellate è un gesto antico che riporta a una dimensione di lentezza e cura. È un’arte che mescola sapienza e amore, trasformando la frutta in piccole gioie da conservare e condividere. Ecco perché questo libro è una lettura perfetta per chi ama cucinare con pazienza e passione, ritrovando nei gesti più semplici il sapore della tradizione.
Un invito, dunque, a mettere le mani in pasta (anzi, in frutta!) e a riscoprire il piacere di creare qualcosa con le proprie mani, per sé e per gli altri.
Vi consiglio vivamente di aggiungere questo volume alla vostra collezione: sarà una dolce tentazione a cui non potrete resistere!
Marzia Estini
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Prendiamoci cura del nostro “bambino interiore”

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Parte 2 

Molti di noi, convinti che il nostro essere adulti possa farne a meno, dimenticano quel piccolo bambino che è parte di noi, il bambino che siamo stati, con le sue paure, le insicurezze e l’intenso bisogno di amore e attenzioni.

Dovremmo invece ascoltare le sue esigenze. Il nostro bambino interiore ha bisogno di sapere che può fidarsi di noi. Che noi (la parte adulta di noi) non lo trascureremo come forse hanno fatto altri adulti nel passato.

Sfortunatamente, spesso finiamo con il perpetuare il ciclo. Trascurando e maltrattando il nostro bambino interiore come forse i nostri genitori hanno fatto con noi. Lo ignoriamo, ci vergogniamo di lui. E non ce ne prendiamo cura in modo appropriato.

Facciamo finta che i suoi sentimenti di paura e insicurezza e il suo bisogno di essere amato non esistano. Ricordiamoci che tipo di bambino siamo stati. Chiudiamo gli occhi e visualizziamo il nostro bambino. Quando aveva bisogno di nutrimento e di protezione.

Prendiamo l’intera immagine, compresa l’espressione facciale e la postura del corpo. Possiamo immaginarci da neonati, da bambino piccolo o più grande. L’immagine è significativa, dal momento che può rappresentare il momento in cui abbiamo avuto più bisogno.

Accettiamo questo bambino interiore, che talvolta è stato emotivamente deprivato e ha dovuto far finta che le emozioni non esistessero. Non continuiamo a negargli l’amore e il supporto che ci chiede. Solo così il nostro adulto potrà trovare oggi l’armonia che, spesso senza percepirlo e in modo confuso, desidera e cerca.

(Fine della seconda e ultima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it

Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”

Il Natale degli spazzacamini

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Anche a Santa Maria Maggiore, il più esteso dei sette comuni della Valle Vigezzo, altipiano incastonato tra le alpi Lepontine all’estremo nord del Piemonte e a ridosso della Svizzera, si stava avvicinando il Natale. Le strade del paese erano addobbate con luci scintillanti e le finestre delle case erano adornate da ghirlande e festoni.

L’aria pungente preannunciava un’altra nevicata dopo quella che aveva già imbiancato il paese. Al calare della sera, allo scoccare delle 17.00, il suono delle campane della chiesa parrocchiale annunciava il vespro per indicare, mezz’ora prima, l’inizio della messa serale e la tradizionale fine della giornata lavorativa e quei rintocchi diffusi nell’aria, creavano un’atmosfera magica. Tra i vari preparativi alla festa che commemora la nascita di Gesù c’era una tradizione che gli abitanti di quella località attendevano con trepidazione: l’arrivo degli spazzacamini. Erano tra gli ultimi a praticare quell’antico mestiere. In passato partivano in autunno, scendendo in gruppo dalle valli più povere com’era a quei tempi la Vigezzo e andavano ad avvitarsi su e giù per i camini dei paesi della bassa padana e delle città, spingendosi fin nel cuore dell’Italia centrale e anche all’estero, soprattutto in Francia e Svizzera, passando talvolta le frontiere di notte per eludere i controlli di gendarmi e doganieri. Giravano per le strade lanciando il loro richiamo e facendo risuonare per le strade gli zoccoli chiodati, vestiti du fustagno con cuoio e toppe di rinforzo nel basso schiena e ai gomiti, le corde per issarsi sui tetti, la raspa alla cintura, il riccio di lamelle a raggiera per scrostare la fuliggine e il sacco di iuta per raccoglierla e poi rivenderla come concime. Da generazioni la loro abilità nel mantenere puliti i camini delle case era risaputa così come le tante storie, miti e leggende che li accompagnavano.  E così, in occasione delle feste di fine anno, il vecchio Gianbattista radunava gli ultimi spazzacamini per una missione speciale. Tempo fa Gianbattista aveva sentito parlare di un’antica e quasi dimenticata leggenda nella quale si narrava che durante la notte di Natale gli spazzacamini avrebbero potuto raccogliere la polvere magica che si accumulava sotto i comignoli e nelle canne fumarie, festeggiando così l’arrivo del nuovo anno che avrebbe portato a tutti fortuna e prosperità. Motivato dalla volontà di portare un poco di quella magia al suo paese che era stato la culla dei rusca, come venivano chiamati in valle, convinse i suoi amici a unirsi in quell’avventura. La notte del 24 dicembre le stelle brillavano alte nel cielo e la luna illuminava le strade del paese. Gli spazzacamini, vestiti di nero e con i volti sporchi di fuliggine, si arrampicarono sui tetti delle case muovendosi silenziosi e agili come gatti. Ogni volta che entravano in un camino e prelevavano la polvere avvertivano come un senso di calore e di serenità diffondersi nell’aria. Lavorando allegramente si raccontavano storie sulla leggenda di San Nicola dalla quale nacque quella di Santa Claus, ovvero Babbo Natale, sulle peripezie degli elfi, antiche magie o straordinari dolci natalizi. Ma Gianbattista aveva una storia molto speciale da raccontare. “Sapete,” cominciò, “c’era una volta un bambino di nome Poldino che, pur vivendo in estrema povertà, credeva fermamente nello spirito del Natale. Ogni anno scriveva una lettera a Santa Claus chiedendo come unico regalo un sorriso per la sua famiglia”. Gli spazzacamini si fermarono ad ascoltare, incuriositi.  “Un anno,” continuò lui, “decise di lasciare la sua lettera sul camino, sperando che il vento la portasse a destinazione. Quella notte una stella cadente attraversò il cielo e per magia la lettera di Poldino arrivò a Santa Claus che la lesse e si intenerì. La mattina del 25 dicembre un pacchetto pieno di doni apparve nel suo camino, e Poldino capì che il vero spirito del Natale era rappresentato dall’amore e dalla speranza”. Mentre il suono della voce di Gianbattista si diffondeva nell’aria fresca della notte, gli spazzacamini avvertirono un caloroso senso di beatitudine e gioia. Così decisero che, oltre a raccogliere la polvere magica, avrebbero lasciato dei piccoli regali nelle case di Santa Maria Maggiore come piccolo gesto per far rimanere vivo lo spirito della festa più importante dell’anno. La mattina di Natale gli abitanti si svegliarono meravigliati trovando regali e dolciumi appoggiati accanto ai camini. I bambini con gli occhi pieni di stupore iniziarono a saltare dalla gioia, mentre gli adulti sorridevano commossi. Da quel giorno la tradizione degli spazzacamini di Santa Maria Maggiore divenne simbolo di speranza, magia e solidarietà. Da allora, all’approssimarsi del giorno di festa, i giovani del paese si unirono seguendo l’esempio di Gianbattista e dei suoi amici, determinati a difendere e a diffondere il vero significato del Natale: offrire e condividere con gli altri, portando gioia a tutti. Ed è così che, sotto l’incanto della neve e delle stelle, quei ragazzi e quegli uomini vestiti di scuro e dai volti anneriti sono diventati i custodi di uno dei più bei miracoli natalizi, scrivendo un nuovo capitolo della loro leggenda.

Marco Travaglini

Prendiamoci cura del nostro “bambino interiore”

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Parte 1

Il Bambino Libero, o bambino interiore, è una parte della nostra personalità che resta sempre bambina e che quindi mantiene in sé le caratteristiche legate al mondo dell’infanzia. È l’aspetto di noi che porta nella nostra vita la giocosità, la creatività, lo stupore.

E il contatto con lo spirito, ma anche il bisogno, la vulnerabilità. Spesso da adulti tendiamo a soffocare la parte che in noi è l’espressione di quel bambino libero, rischiando di renderla inaccessibile, perché non la percepiamo più.

Anche per sentirci adeguati nei confronti del mondo, siamo ormai identificati quel mondo, quello dei “grandi”, e siamo solo adulti, siamo seri, siamo responsabili. Cosa in sé corretta e funzionale. Ma per il nostro benessere ed equilibrio é necessario anche restare in parte bambini.

Pur essendo divenuti adulti. E recuperare quindi la spontaneità, la creatività e la fantasia, per equilibrare un atteggiamento adulto talvolta rigido, in cui viene a mancare l’entusiasmo, in cui non si sa godere del qui e ora.

In cui ci vergogniamo ad esprimere le nostre emozioni, e a domandare. Eppure, dentro di noi, quel bambino interiore esiste ancora, e ci chiede di essere amato, confortato e affettivamente nutrito. Impariamo quindi a conoscere e riconoscere il bambino dentro di noi.

A trattarlo come un bravo genitore farebbe con il suo amato figlio. Ascoltiamo le sue esigenze. Accettiamo questo bambino interiore, che talvolta è stato emotivamente un po’ schiacciato, e ha dovuto far finta che le sue emozioni non esistessero.

(Fine della prima parte)

Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it

Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”

Gancia: una tradizione che continua a La Torre di Viatosto

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PENSIERI SPARSI  di Didia Bargnani

Era il 1865 quando il trisavolo di Massimiliano Vallarino Gancia, Carlo Gancia, imprenditore piemontese, crea uno champagne nostrano che chiama Spumante Italiano, da allora per l’azienda vinicola si contano solo successi, fino ad arrivare alla quarta generazione con Vittorio e Lorenzo Vallarino Gancia e poi alla vendita dello storico marchio, una parte nel 2011 e la restante nel 2014, ad un gruppo russo.
Oggi, in continuità con i desideri di papà Vittorio, Massimiliano Vallarino Gancia, in qualità di Brand Ambassador insieme a Rosalba Borello Vallarino Gancia, addetta alle P.R., portano avanti l’attività iniziata da Vittorio nella tenuta La Torre di Viatosto, azienda vitivinicola a pochi chilometri da Asti, alle spalle della suggestiva chiesa romanica in località Viatosto.
“Negli anni mio marito Vittorio – mi racconta Rosalba- aveva maturato un legame fortissimo con il mondo dell’agricoltura, desiderava che le sue vigne fossero coltivate con metodi biologici nel più totale rispetto dell’ambiente e della natura. Oggi abbiamo sei ettari di vigne con la possibilità di arrivare a nove, con uve nebbiolo, merlot e moscato”.
“ Oggi La Torre di Viatosto produce 10.000 bottiglie all’anno – spiega Massimiliano-  ma contiamo di arrivare a 50.000 bottiglie fra quattro o cinque anni, con la guida di un enologo esperto e con la supervisione di mio fratello Lamberto; desideriamo un prodotto di altissima qualità affinché mio padre, anche da lassù, possa esserne fiero”.
Siamo nel cuore del Monferrato, terra di ottimi vini già nell’800, La Torre di Viatosto è l’unico vigneto in questa località, qui sono state piantate uve Nebbiolo all’80% che si produce come Monferrato Nebbiolo DOC anche se Massimiliano e Rosalba preferiscono vinificarlo come metodo classico Rose’ extra brut ( Cuve’ Vittorio) che viene prodotto con Nebbiolo in purezza.
Chi sono i vostri clienti?
“ Ristoratori, enoteche e poi tanti visitatori che vengono qui in cascina dove organizziamo degustazioni ; è importante – sottolinea Rosalba- conoscere da vicino, di persona, la realtà da cui arriva il nostro vino”.
Se volete degustare i vini di Massimiliano e Rosalba potete prenotare una degustazione proprio a casa loro, davanti alle vigne, vi aspetta uno splendido panorama e l’accoglienza calorosa di una grande famiglia unita.
Ad maiora Rosalba e Massimiliano!  Vittorio è sicuramente fiero del vostro impegno e dei vostri risultati.