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Torta di mele impossibile, la ricetta de La Cuoca Insolita

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Rubrica a cura de La Cuoca Insolita

Dedico questa torta di mele morbida e profumata a tutti voi: a piccoli e grandi golosi, a chi cerca un dolce buonissimo ma molto più light del solito, a chi è attento alla linea. Ma la lista continua: questa torta è anche per chi è allergico a latticini, uova o ha problemi con il glutine, e (dulcis in fundo) a chi vuole concedersi un dolce senza preoccuparsi della glicemia. Lo so che penserete “ma non è possibile, come fa ad essere buona?”. Ero scettica anche io. Lo ammetto. Ma poi mi sono ricreduta. Vedrete, succederà anche a voi.

 

Tempi: Preparazione (20 min); Cottura (50 min – 1 h max);
Attrezzatura necessaria: Robot tritatutto o minipimer, sbattitore elettrico con le fruste, 2 contenitori rotondi a bordi alti, teglia da forno da 24 cm (ciambella o teglia rotonda), forno, frusta a mano, cucchiaio.
Ingredienti per una torta da 12 persone:

1 Barattolo di Ceci (meglio in vetro) – vi serviranno 110 g del liquido interno

Mele pelate – 670 g (circa 5 mele)

Olio extra vergine di oliva – 60 g

Per dolcificare*: Eritritolo (80 g) + Polvere di foglie di stevia essiccate (1,5 g = 1 cucchiaino raso) + zucchero (35 g = 4 cucchiai)

Farine senza glutine: Farina di riso bianca o integrale (120 g) + farina di mandorle (90 g) + fecola di patate (90 g)

Lievito vanigliato (22 g = 1 bustina + 1 cucchiaino pieno)

Vanillina – 1 bustina

 

*La somma dei tre dolcificanti equivale a 150 g di zucchero

Difficoltà (da 1 a 3): 1 Costo totale: 6 €/kg
·     Solo 4 cucchiai di zucchero in tutta la torta!

·     Le calorie sono il 25% in meno rispetto ad una tradizionale torta di mele.

·     I grassi saturi sono il 75% in meno (i grassi saturi sono quelli che contribuiscono ad innalzare il livello del colesterolo cattivo).

·     La metà del peso di questa torta è fatta di mele! Vitamine e tante fibre.

·     Adatta a chi ha il diabete o vuole tenere la glicemia sotto controllo

·     l’Eritritolo e la Stevia sono due dolcificanti a zero calorie e zero zuccheri semplici. La stevia è una pianta che si può anche coltivare a casa.

·     Adatta in caso di allergia a latticini e uova: in questa ricetta non ce n’è traccia

·     Senza glutine: via libera anche in caso di celiachia.

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link.

In caso di allergie…

Allergeni presenti: uova, frutta a guscio (mandorle)

Preparazione della torta di mele impossibile

Fase 1: PREPARAZIONI PRELIMINARI

Pelate le mele ed eliminate il torsolo. Del peso totale indicato in ricetta, prendetene 350 g che taglierete a spicchi sottilissimi (che immergerete poi nell’impasto della torta). Lasciate in grossi pezzi il resto delle mele (315 g).

Prendete il barattolo di ceci e scolate in un recipiente alto e rotondo il liquido interno (si chiama Aquafaba: leggete qui come è stato scoperto il suo impiego dallo chef Joël Roessel ). Riponetelo qualche minuto in freezer in modo che si raffreddi bene e poi, con lo sbattitore elettrico, montate a neve questo liquido insieme a un pizzico di sale, proprio come se fosse il bianco d’uovo! Non è incredibile cosa succede? Conservate l’Aquafaba montata in frigorifero fino all’uso.

foto procedimento torta di meleFASE 2: L’IMPASTO

Frullate con il minipimer o il robot le mele (solo la parte che avevate lasciato a grossi pezzi) insieme all’olio, fino a ottenere una crema. Trasferite il composto nel contenitore rotondo e aggiungete i dolcificanti. Mescolate bene con lo sbattitore elettrico. Aggiungete quindi le farine, la vanillina, il lievito e mescolate bene.
Ora aggiungete al vostro composto l’Aquafaba montata a neve, versandola poco alla volta e mescolandola delicatamente dal basso verso l’alto con un cucchiaio di legno.
Versate tutto nella tortiera, già unta di olio e infarinata (farina di riso). Aggiungete ora le mele tagliate a fettine sottilissime, immergendole nell’impasto ma cercando di lasciarle in piedi. Spingetele verso il fondo della tortiera delicatamente con le dita.

FASE 3: LA COTTURA DELLA TORTA DI MELE

Nel forno già caldo a 170° C (meglio in modalità statica, non ventilata) mettete a cuocere la vostra torta di mele impossibile per circa 50 min (1h max). Fate la prova dello stecchino alla fine.
Lasciatela raffreddare completamente prima di sformarla. Cospargetela di zucchero a velo (potete prepararlo anche voi a casa, partendo dallo zucchero semolato o anche con l’eritritolo, frullandolo molto finemente).

CONSERVAZIONE

A temperatura ambiente: 3 giorni

In frigorifero: 1 settimana.

Quando la notte si mangia le stelle

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Con passo deciso ma non frettoloso, ci si accompagnava agli altri avventori giù ai “Quattro Cantoni”. Lì, tra un bicchiere e un piatto di polenta “concia” accompagnato dai pesciolini in carpione ( una vera “mazzata” per il fegato, soprattutto alla sera, ma era quello che passava il convento e non era bello dire di no quando l’oste – il Luisin – era in vena di “offrire” il merendino fuori-orario) s’inanellavano ricordi, ritratti ed aneddoti

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Quando la notte si mangia le stelle e si fa nera come l’inchiostro, è segno che il tempo cambia. Le nuvole, scure e cariche di pioggia, riempiono il cielo formando una coltre spessa. “E’ notte di fiaschi e di chiacchiere da osteria”, diceva Ugo Pollastri, titolare della pescheria di Feriolo, prendendomi sotto braccio. E così, con passo deciso ma non frettoloso, ci si accompagnava agli altri avventori giù ai “Quattro Cantoni”. Lì, tra un bicchiere e un piatto di polenta “concia” accompagnato dai pesciolini in carpione ( una vera “mazzata” per il fegato, soprattutto alla sera, ma era quello che passava il convento e non era bello dire di no quando l’oste – il Luisin – era in vena di “offrire” il merendino fuori-orario) s’inanellavano ricordi, ritratti ed aneddoti. Prendevano forma e si animavano i personaggi più conosciuti. Ad esempio, il Tino Bagutti ed il suo “Motom”. Tino era stato tra i primi, subito dopo la seconda guerra mondiale, ad aver tra le mani quel ciclomotore robusto ed economico ( una specie di piccola motocicletta), di buone prestazioni ed elevata affidabilità, pur essendo confinato nei limiti di cilindrata dei più classici “cinquantini”. Il Motom, creato dal fantasioso ingegner Battista Falchetto, un ex-progettista della Lancia, in collaborazione con gli industriali De Angelis Frua , venne presentato al salone di Ginevra del 1947 con il mome di Motomic ( era l’abbreviazione di “Moto Atomica”..). Come lo teneva il Bagutti era uno spettacolo: sempre lucido, in ordine.

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Dietro al sellino aveva applicato una coda di volpe che, nelle intenzioni, doveva svolazzare davanti agli occhi dei passanti quando transitava la rombante motocicletta. In realtà, la coda restò quasi sempre giù, moscia, tristemente penzolante. Il Motom, infatti, andava a passo d’uomo sulla salita che dall’incrocio sopra il circolo di Oltrefiume saliva – tra due file di alberi – verso la Tranquilla. Tino Bagutti teneva molto “all’assetto del pilota”: guidava in posizione da corsa,proteso in avanti sul manubrio, vestito di pelle nera con cuffia di cuoio ed un paio di enormi occhialoni. Noi, all’epoca ragazzini, gli correvamo appresso, lo affiancavamo, lo guardavamo e lo sorpassavamo. Lui, umiliato, ci guardava digrignando i denti ma non ci diceva mai nulla. Non usciva nemmeno una sillaba dalla sua bocca anche se non era difficile intuirne i pensieri bellicosi. Così, lo ribattezzammo “il centauro della volpe triste”. E lui, con qualche ragione, non ci ringraziò. Un altro personaggio che veniva evocato spesso era il Balloni. Il nome non lo ricordo bene: forse si chiamava Alberto o Gilberto o qualcosa del genere. Comunque, era un bel personaggio. Era stato militare nella “Légion étrangère”,da giovane. Con la Legione aveva combattuto in Indocina, partecipando alla tragica battaglia di Dien Bien Phu, nel 1954. Era un uomo d’azione, sprezzante del rischio.Si definiva un “fascista-comunista”. La sua famiglia era stata dalla parte del Duce durante il ventennio ed alcuni avevano combattuto sotto le insegne della Repubblica di Salò. Lui, negli anni che seguirono alla Liberazione, continuò a coltivare il mito dell’ uomo forte e dell’ordine“. Dove aveva fallito il Duce, c’è sempre la possibilità che andasse bene a Stalin”, diceva ad alta voce, quando alzava un po’ il gomito, a riprova che “nel vino c’è la verità”.L’ideologia, non era opposta? L’ideologia, per lui, non c’entrava un tubo. “Ciò che conta è la dittatura. Qui ognuno fa i cavoli suoi e non risponde a nessun altro che ai propri interessi. Ed allora, caro mio, ci vuole ordine, disciplina. Un tempo era il fascismo a far rigare diritti questi lazzaroni, ora ci potrebbe pensare il comunismo”. Quel “ci potrebbe” veniva espresso in forma dubitativa poiché aveva scarsa considerazione dei comunisti locali ed italiani in genere. “Gente troppo democratica, troppo perbene. Vogliono cambiare le cose con le elezioni, con il consenso. Non capiscono che qui ci vuole lo schioppo e non il voto. Quelli lì son molli, si perdono dietro alle parole quando invece c’è bisogno di agire, di tirar fuori le palle”. Lo diceva mettendo in mostra un sorrisetto sardonico, enigmatico, sotto i baffetti radi. Non capivi mai se scherzasse o se facesse sul serio. Sono tanti anni che è trapassato ma, pensandoci, ho sempre più la convinzione che incarnasse davvero, a modo suo, il paradosso dell’essere un “fascista-comunista”.

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C’era poi il Gùstin, al secolo Aurelio Gustavino. Abilissimo nel fare affari, si era fatto un nome per la capacità di contrattare l’acquisto del riso giù nella “bassa”, tra le risaie del novarese e del vercellese. Portava con se una stadera, una bilancia per la “pesata” a braccio, utilissima per misurazioni che non superassero i 15-20 chili. “A trattare era un mago. Li faceva su con la galla, li infiocchettava con la sua parlantina che alla fine non capivano più niente. Ah, che roba: li fregava sul peso e loro – per la paga – lo ringraziavano anche, al Gùstin”, diceva l’Ennio, con ammirazione. Il meglio di se, però, lo dava nell’acquisto delle uova dalla sciura Marianna. La frase che accomapgnava il lesto movimento delle mani nel contare le uova sembrava quasi uno scioglilingua: “Quatar e quattr’ott , e quatar che fan vott, e quatar dudas..la va ben, Marianna?”. E Marianna annuiva, consegnando sedici uova al prezzo di dodici. “Bisognerebbe tirar su un monumento all’abilità ed alla faccia tosta del Gùstin, cari miei”, sentenziava l’Alfredo. Non aveva torto. Da giovane, nei paesi attorno a Milano, il Gùstin chiedeva l’elemosina con fare dimesso. Guardava, supplicante, negli occhi le vecchie signore, sussurrando loro con un filo di voce: “Fate la carità ad un pover uomo che in una mano ha cinque dita e nell’altra tre e due”. Un po’ di denaro l’aveva raccolto, insieme a cibo, vestiti e qualche legnata sul groppone. Ma gli “incidenti di percorso” non lo dissuasero dal mettere a frutto la sua fantasia. Così passavamo le serate di pioggia all’osteria dei “Quattro Cantoni”. Fuori, la notte si era ormai mangiata le stelle; dentro, tra il fumo del camino e dei sigari e le chiacchiere degli amici, si “lustravano” i ricordi, quasi fossero le pentole della Maria dell’osteria dei Gabbiani.

I teatri torinesi: Teatro Carignano

Torino e i suoi teatri

1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi: Teatro Carignano
6 I teatri torinesi: Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi: Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi: Teatro Macario
9 Il fascino dell’Opera lirica
10 Il Teatro Regio.

 

5 I teatri torinesi: Teatro Carignano

Torino malinconica, Torino miscela di barocco e liberty, Torino che hai permesso che superassero l’altitudine della tua Mole, Torino che ti abbigli con l’eleganza del centro, ti ingioielli con la supponenza della Crocetta, Torino che porti memoria del tuo cuore proletario, pompato dagli stantuffi dell’industria FIAT, Torino che mentre ti lasci attraversare, mi fai respirare la sempiterna spocchia giovanile dei Murazzi. Nella piccola metropoli, risulta difficile non camminare con occhi attenti tra i palazzi, i quali, nei propri dettagli, nascondono sempre peculiari meraviglie, stucchi decorati, apotropaici guardiani di soglia, piercing inaspettati o grandiosi murales, che rendono memorabili anche gli angoli più anonimi.
Tra i diversi luoghi che rapiscono l’attenzione, durante gli ansiosi viavai dei turisti, ma anche nelle quiete passeggiate degli stessi torinesi, vi è certamente il Teatro Carignano, uno degli edifici simbolo della città, il cui nome completo è Teatro dei Principi Carignano.
La struttura diviene proprietà comunale già nel corso dell’Ottocento; lo stabile nasce come teatro della commedia, specificità che lo contrappone fin da subito al vicino e assai noto Teatro Regio, destinato invece a ospitare l’Opera lirica. La storia del Carignano si presenta antica, un’alternanza di ristrutturazioni e nomi altisonanti che si susseguono, un po’ sul palcoscenico, come Niccolò Paganini, Eleonora Duse, Vittorio Gassman, Dario Fo, un po’ dietro le quinte, come Pirandello, Pepe o Ronconi, un po’ al di fuori delle mura, come Guarini, Benedetto Alfieri o Giovanni Battista Borra. Vanto del Carignano è l’essere unico esempio di struttura teatrale settecentesca in Torino ancora in uso e che ancora preserva – nonostante i numerosi rifacimenti – le sue caratteristiche originarie. L’edificio viene costruito per volere dei Principi di Carignano intorno al primo decennio del Settecento; esso è inizialmente un piccolo “teatro di famiglia”, luogo esclusivo, in cui i soli spettatori delle rappresentazioni sono i membri stessi della nobile casata.

La nascita del palazzo si inscrive nel più ampio progetto di trasformazione ed espansione che investe Torino a partire dal Cinquecento, pianificazione spinta dal desiderio-necessità della casa Savoia di attribuire al capoluogo l’aspetto degno di una capitale moderna. La regalità urbanistica deve infatti rispecchiare l’importanza della casata Sabauda e soprattutto dei suoi componenti, come ad esempio il caso dell’ascesa al trono di Vittorio Amedeo II (1684) e la sua successiva designazione a re di Sicilia. Non per niente di lì a poco, protagonista indiscusso della direzione dei cantieri torinesi sarà il celebre Filippo Juvarra (1678-1736), regio architetto legato ai Savoia, il quale apre la struttura dei palazzi e della vie cittadine a un respiro urbanistico inedito.
Nel 1710 il principe Vittorio Amedeo di Savoia fa adattare a teatro il salone chiamato “Trincotto Rosso”, un edificio utilizzato per il gioco della pallacorda, e ordina la costruzione di vari palchetti: è il Carignano in nuce. La prima edificazione si basa sul progetto seicentesco di Guarino Guarini, il quale predilige l’utilizzo del legno per la struttura, così da favorirne l’acustica.
Nel 1727 la struttura passa alla Società dei Cavalieri, lo spazio si apre alla prosa, al canto e ai balletti. Non trascorrono però molti anni prima che lo stabile perda l’originaria bellezza e sfiori la fatiscenza; Luigi Vittorio di Carignano convoca allora il regio architetto Benedetto Alfieri (1699-1767), e gli ordina di ricostruire il teatro dalle fondamenta, in modo da ottenere una sorta di Teatro Regio in miniatura.

Siamo intorno agli anni Cinquanta del Settecento quando iniziano i lavori; l’architetto, che si era già precedentemente occupato dell’edificio dedicato all’Opera, dirige così il cantiere del palazzo, che questa volta è eretto in muratura. Alfieri, zio di Vittorio e allievo prediletto di Juvarra, fa realizzare ottantaquattro logge e tre ranghi di panche in platea, lumi a candela e stucchi lameggiati in oro; la decorazione del soffitto è affidata a Gaetano Perego e Mattia Franceschini, del sipario invece si occupa Bernardino Galliari.
(Una nota prima di proseguire: non di Benedetto Alfieri, ma di Vittorio Alfieri è il busto posto nel 1903 dai Torinesi sul muro a fianco dell’ingresso del teatro. Il grande poeta astigiano proprio al Carignano ha debuttato con la sua prima tragedia, il “Filippo”, nel giugno del 1775). Il teatro viene inaugurato nel 1753, il giorno di Pasqua, per l’occasione riecheggia in scena, tra il legno del palco e il velluto dei tendaggi, la commedia goldoniana “La calamita dei cuori”, dramma giocoso, dedicato alle “nobilissime dame veneziane”, con musica di Baldassarre Gallupi.

Altri documenti attribuiscono la parte strutturale che fa da avancorpo al teatro all’architetto e disegnatore Giovanni Battista Borra (1713-1786), il quale propone per tale zona l’utilizzo di un ordine monumentale e solenne, con testate laterali che incorniciano l’ingresso centrale. Sul finire del Settecento un incendio divampa nel teatro, questa volta è l’architetto Giovanni Battista Feroggio (1723-1797) a coordinare i lavori per la ricostruzione; egli si basa sul precedente progetto alfieriano e dota l’esterno della struttura di un ampio porticato – tipico dei teatri settecenteschi – e di tredici finestre al piano nobile. Sono invece gli abili fratelli Pozzo a occuparsi dell’aspetto della nuova sala a ferro di cavallo, mentre è nuovamente Bernardino Galliari il responsabile dell’abbellimento del soffitto e del sipario. Nel 1870 lo stabile diviene proprietà del Comune di Torino e rivisto dall’architetto Carrera, il quale chiude il porticato con un ammezzato per la realizzazione di uffici e trasforma il quarto ordine di palchi in galleria; è durante questi rifacimenti che viene ricavata la celebre sala sottorranea, prima adibita a birreria e poi – a partire dal 1903 – a sala cinematografica, una delle prime della città. Tra i lavori che interessano il teatro durante gli anni dell’Ottocento, è certamente degna di nota la decorazione del soffitto della platea, raffigurante il “Trionfo di Bacco”, eseguita nel 1845, dal pittore Francesco Gonin (1808-1889). È opportuno ricordare che durante la Restaurazione (1821-1855) il Carignano è sede ufficiale della Compagnia Reale Sarda, costituita sul modello della Comédie Française e considerata la più illustre antenata degli attuali Teatri Stabili.

La stagione del Novecento vede il Carignano come sede di svariate prime rappresentazioni, tra cui “Il matrimonio di Casanova” di Renato Simoni (1910), “Il ferro” di Gabriele D’Annunzio (1914) e “Il piacere dell’onestà” (1917) di un Luigi Pirandello ancora pressochè sconosciuto. Agli inizi degli anni Venti frequentano sovente lo stabile Antonio Gramsci e Piero Gobetti, in veste di cronisti teatrali.Lo storioco edificio, tra le sue numerose vicissitudini, si trova anche ad affrontare diverse calamità, tra cui il bombardamento della notte dell’8 novembre 1942 e quello dell’anno successivo, che distrugge non solo tutti e cinque i piani del teatro, ma interessa anche via Roma, via Cesare Battisti e via Principe Amedeo.
Nel 1945 – quando il valore della cultura e dell’arte erano ben evidenti a tutti – il Comune accorda al Direttore del Teatro Vincenzo Linguiti e al custode dello stabile un riconoscimento in denaro per il servizio prestato durante i bombardamenti.

Facendo un sostanziale balzo in avanti, arriviamo agli anni Settanta del Novecento, quando il capoluogo piemontese affida definitivamente la struttura al Teatro Stabile di Torino, che ne diviene una delle sue sedi permanenti. Dal 1961 infatti, lo storico teatro ospita i maggiori spettacoli realizzati dall’ente pubblico.
Attualmente l’edificio presenta più linguaggi architettonici: all’esterno vige il rigore settecentesco, all’interno trionfa l’Ottocento, con il suo passionale romanticismo. Gli ultimi lavori di restauro risalgono agli anni Duemila, questi interventi hanno portato al recupero degli ingressi originari e dell’antica “birraria” sotterranea voluta da Carlo Alberto, ora adibita a foyer. Nel 2007 lo stabile è sede del conferimento del premio Nobel a Harold Pinter, in una delle sue ultime uscite pubbliche, quando riceve il Premio Europa.
Il teatro riapre ufficialmente al pubblico nel 2009, dopo un anno e mezzo di ulteriori interventi, con la rappresentazione di “Zio Vanja” di Anton Čechov, per la regia di Gabriele Vacis.
Tra le numerosissime personalità che hanno avuto a che fare con il teatro, mi piace ancora ricordare Eduardo De Filippo, Mariangela Melato, Paolo Poli, Filippo Timi, Gabriele Lavia o Carlo Cecchi. Attualmente, grazie alla lenta ripresa che sta investendo quasi tutti i settori, il teatro riconferma la sua posizione di primaria importanza nella cultura cittadina, presentando un cartellone ricco di spettacoli di grande rilievo.Capite, cari lettori, dopo aver letto di queste storie, di cui la vicenda del nobile teatro Carignano è solo una delle tante, che è obbligo di tutti collaborare affinché tali realtà continuino a vivere, nonostante le numerose ed estenuanti avversità che si possono verificare, così come continua ad essere evidente in questo interminabile periodo pandemico.
Ricordiamocelo bene, è solo nell’arte e nel teatro che la bellezza non invecchia, la risata non diviene malinconia e le lacrime colmano sempre il cuore.

Alessia Cagnotto

Le foto di Solano e Gigli

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MAGNIFICA TORINO / In copertina il plastico di Torino in piazza Castello. Uno scorcio di Palazzo Reale. Le foto sono di Vincenzo Solano. Lo scatto del Monviso e della Via Lattea visti dal Lago Superiore è di Gianpaolo Gigli.

Le foto di Solano e Gigli

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Magnifica Torino / Nella foto di copertina, di Giampaolo  Gigli, panorama di Torino. Sotto lo scatto di Vincenzo Solano: piazza della Repubblica in una notte invernale.

Marco Bani di Vol.To: comunicare il volontariato

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RITRATTI TORINESI

Il Centro Servizi Vol.To ETS– spiega Marco Bani, giornalista pubblicista, che fa parte del suo Consiglio Direttivo con le deleghe alla comunicazione, alla scuola e ai rapporti con le piccole associazioniè un’associazione riconosciuta del Terzo Settore di secondo livello (un’associazione di associazioni) composta da circa 150 organizzazioni socie.

Appena andato in pensione sono entrato a far parte del Consiglio Direttivo di Vol.To, mi pareva il passaggio più naturale dopo gli anni lavorati in Telecom, perché sin dalla mia gioventù, ho fatto volontariato passando la domenica pomeriggio in Barriera di Milano a far compagnia ai ragazzi delle case popolari e poi con l’Associazione “Il Cammino” occupandomi a seguire ed aiutare i ragazzi delle famiglie del quartiere, nell’espletamento dei loro compiti scolastici. Ho sempre partecipato, da volontario, alla giornata della Colletta Alimentare ed alla raccolta farmaci del Banco Farmaceutico.

Il Centro Servizi Vol.To è finanziato attraverso il Fondo Unico Nazionale alimentato dai contributi delle fondazioni di origine bancaria.  Il suo compito principale è quello di supportare edaiutare le associazioni, erogando servizi di supporto tecnico ed informativo e tutto ciò che può risultare utile nell’espletamento delle loro attività, al fine di promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari in tutti gli Enti del Terzo Settore che sono 1350 circa, i cui i volontari mettono a disposizione tempo e competenze per promuovere la cultura, tutelare il patrimonio artistico del territorio e accrescerne la fruibilità, rispondere ai bisogni delle persone in condizioni di fragilità, tutelare i diritti, migliorare e umanizzare i servizi sanitari, occuparsi degli animali e dell’ambiente”.

Vol.To offre l’opportunità a cittadini, imprese, istituzioni e scuole di vivere pienamente l’esperienza della solidarietà, aiuta gli aspiranti volontari a trovare l’organizzazione giusta, mediante un servizio gratuito  di orientamento, si occupa di Volontariato aziendale creando percorsi per i dipendenti; orienta e accompagna chi è interessato alla costituzione di una nuova associazione; supporta enti pubblici e privati per i progetti di Servizio Civile (siamo iscritti all’Albo del Servizio Civile Universale a livello nazionale) e nel coinvolgimento dei giovani che nel 2023 sono stati circa 150; lavora con le scuole e la comunità educante per la partecipazione sociale, la crescita umana e il benessere dei bambini/e e ragazzi/e.

“Il volontariato – precisa Marco Bani è un caleidoscopio a 360 gradi, di cui il 60% circa è un volontariato di tipo sanitario, di assistenza ospedaliera, ai malati ed alla disabilità; vi sono i volontariati ecologici, dell’ambiente, della protezione civile, dedicatiai ragazzi con difficoltà nell’aiuto al post scuola, i volontari animalisti, di aiuto agli anziani, utilissimo durante il Covid, per raggiungere gli anziani soli, un’altra forma altrettanto preziosa è  quella culturale e afferente i musei, volto alla diffusione della cultura..

Concludendo ricorda Marco Bani – che il volontariato non è un hobby, un passatempo effimero, il volontariato richiede costanza, determinazione, sensibilità e spirito di sacrificio. Sembra strano, ma fare il volontario arricchisce per primo chi decide di farlo, perché fa incontrare realtà stupende, dove la  gratuità, parola ormai desueta, la fa da padrona. Si può affermare che una vita spesa in aiuto agli altri è una vita più piena, quindi pensateci a dare anche solo una piccola parte del vostro tempo per gli altri.

Mara Martellotta

Insalata russa “insolita” e super-light

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La Ricetta della Cuoca Insolita

 

Chi è La Cuoca Insolita
La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog (www.lacuocainsolita.it) e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.
Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina https://www.lacuocainsolita.it/consigli/corsi/

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Insalata russa “insolita” e super-light


L’insalata russa è un classico: si trova in tavola in mille occasioni ed è buonissima. Ma c’è un piccolo problema: ha un potere calorico e un contenuto di grassi micidiali. Se però non volete rinunciare, c’è un modo per prepararla con il 75% di calorie e il 95% di grassi in meno rispetto alla ricetta tradizionale. Ma come fa ad essere così buona? Anche se è senza uova né patate ed è super-light, è deliziosa. Non preoccupatevi di deludere i vostri ospiti: quando scopriranno il segreto della vostra ricetta non potranno più farne a meno!

Tempi: Preparazione (45 min); Cottura (10 min).
Attrezzatura necessaria: pentola per cottura a vapore con cestello, coltello a lama liscia e tagliere, minipimer, grattugia per scorza di limone, colino
Ingredienti per 4 persone:
Per le verdure:
⦁ Piselli surgelati – 100 g
⦁ Carote – 100 g
⦁ Topinambur (o patate) – 100 g
Per la maionese super-light:
⦁ Fagioli bianchi di Spagna – 200 g
⦁ Latte di soia o di canapa – 50 g
⦁ Succo di limone – 25 g
⦁ Scorza di ½ limone – 2,5 g
⦁ Olio e.v.o. –2 cucchiaini
⦁ Sale fino integrale di Sicilia – 6 pizzichi (1,5 g)
⦁ Curcuma in polvere – 1 punta di cucchiaino
⦁ (per chi vuole: Filetti di sgombro al naturale – 50 g)

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/

Difficoltà (da 1 a 3): 1 Costo totale: 3 €
Perché vi consiglio questa ricetta?
⦁ Il vostro medico vi ha detto di eliminare le Solanaceae (es. patate, melanzane, pomodori e peperoni) dalla dieta, ma voi ne andate pazzi? Nessun problema! Qui userete i topinambur al posto delle patate! Il risultato è sorprendente e fa bene anche a chi vuole tenere a bada la glicemia.
⦁ Se non volete usare il latte di soia, potete usare il latte di canapa: è uno dei pochi alimenti di origine vegetale che contiene tutti gli aminoacidi essenziali (quelli che il nostro organismo non sa produrre da solo) che servono per formare le proteine. In alternativa anche il latte vaccino può andare benissimo.
⦁ In una porzione da 200 g, solo 125 Kcal al posto di 535 Kcal circa della ricetta tradizionale (il 75% in meno! Si, avete letto bene…).
⦁ Pochissimi grassi: meno di un cucchiaino di olio a porzione… Il 95% in meno di grassi rispetto alla ricetta tradizionale. Ideale quindi anche per chi ha problemi con il colesterolo e a chi vuole perdere qualche chilo.

Preparazione
LE VERDURE
Pelate e tagliate le carote e i topinambour a dadini piccoli, di massimo 1 cm di lato. Cuocete a vapore le verdure separatamente. Se usate la pentola a pressione i tempi sono questi: piselli surgelati (5 min), carote (5 min), topinambur (3 min). Se avete una pentola normale il tempo è il doppio. Se usate le patate il tempo in pentola a pressione è di 2 min.
LA MAIONESE SUPER LIGHT
Spremete il limone e filtrate il succo su un colino. Grattate la scorza del limone e mescolatela al succo e a tutti gli altri ingredienti nel bicchiere del minipimer, per frullate fino ad ottenere un composto cremoso e senza pezzi.
LA PREPARAZIONE DELL’INSALATA RUSSA “INSOLITA”
Mescolate le verdure e la maionese super-light. Mettete tutto nel contenitore che sceglierete per dare la forma al vostro antipasto. Schiacciate bene, livellate e capovolgete il contenitore su un piatto di portata. Potete decorare a piacere.

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A chi è adatta questa ricetta?
Senza uova. In più, usando il latte di canapa, anche chi è allergico a soia o latte può mangiare questa insalata russa “insolita”.

 

 

 

 

 

 

 

Valori nutrizionali
Una porzione della ricetta della Cuoca Insolita a confronto con la stessa porzione della ricetta tradizionale con maionese, uova e tonno sott’olio: