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Affrontare il cambiamento

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In ogni situazione in cui improvvisamente le condizioni esterne, i contesti e la situazione mutano in maniera significativa, in genere creandoci qualche difficoltà e disagio, ci troviamo di fronte alla necessità di affrontare il cambiamento, di adeguarci e di modificare i nostri comportamenti in relazione a quanto la nuova realtà ci richiede.

Talvolta questi mutamenti, che in ogni caso incidono in modo significativo sulla nostra vita, avvengono più lentamente e impercettibilmente, fino a quando ne prediamo improvvisamente coscienza, realizzando in un solo momento che le cose sono cambiate e che dobbiamo adeguarci, sia nel comportamenti esteriori che dentro di noi.

Le cause del cambiamento delle condizioni esterne possono riguardare l’intera società o parte di essa, ad esempio come nel caso delle conseguenze della epidemia Covid, oppure soltanto la nostra sfera personale.

Può trattarsi di una perdita (di una persona cara o la cui presenza è per noi fondamentale, di un amore o di una amicizia importante, del lavoro, di proprietà, ecc.) o di qualcosa che ci costringa a una improvvisa e importante variazione delle nostre abitudini.

Di norma a una prima fase di resistenza, nella quale tendiamo a mantenere la precedente situazione (o a illuderci, talvolta in modo irreale e illusorio, che non sia cambiata), fa seguito un tortuoso periodo di presa di coscienza della inevitabilità di adeguarci al cambiamento, e poi di modificazione, più o meno lenta, delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti.

In ogni caso, se sappiamo reagire in modo adeguato, il cambiamento si rivela quasi sempre una condizione di crescita personale, e saper far fronte al cambiamento è una competenza importante per vivere sereni e per conseguire i nostri obiettivi. Qualunque sia l’ambito nel quale il cambiamento avviene, e la modalità con la quale esso si presenta.

(Fine della prima parte dell’argomento).

Potete trovare questi e altri argomenti dello stesso autore legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.

Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP.
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”.

Rock Jazz e dintorni a Torino: Niccolò Fabi e “Una notte per Gaza”

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Martedì. Al Blah Blah si esibiscono i The Morlocks. All’Hiroshima Mon Amour è di scena Simba.

Martedì. Al Pala Gianni Asti di Torino, serata “Una Notte per Gaza”. Concerto a sostegno di Medici Senza Frontiere con tante band fra cui:Fratelli di Soledad, Persiana Jones, The Originals (Africa Unite + The Bluebeaters), Medusa, Statuto, Loscxhi Dezi, Fiori, Oh Die!, Lotta e tanti altri.

Mercoledì. Al teatro Colosseo arriva Niccolò Fabi.

All’Osteria Rabezzana si esibisce il quartetto di Lowell Levinger.

Giovedì. Allo Ziggy sono di scena i Lomsk + Duir. Il quartetto Smallable Ensemble suona alla Piazza dei Mestieri. Al Blah Blah si esibiscono i Plastic Drop +Dag. All’ Hiroshima suonano gli L’Entourloop. Al Cap 10100 è di scena Mark William Lewis. All’Off Topic si esibiscono i Frenesi.

Venerdì. Al Blah Blah è di scena Suzi Sabotage + Newdress. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Modena City Ramblers + Mistral Kizz. Al Cap 10100 si esibiscono i Machinedrum. Al Circolino  suonano i Cavour Country Boys.

Sabato. Allo Ziggy sono di scena i Decrow +Scaglia + Emokills. Al Blah Blah si esibiscono i Klasse Kriminale. Al Folk Club suonano i Willos’.

Domenica. Allo Ziggy sono di scena Wyatt E. /Ainu.

Pier Luigi Fuggetta

Carcere, dignità ai detenuti e tutela agli agenti

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FRECCIATE

La recente aggressione a un agente della polizia penitenziaria nel carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino è solo l’ennesimo episodio di una lunga serie. Sono numerosi infatti gli  agenti feriti da inizio anno. Numeri che raccontano un disagio profondo, non più ignorabile.

Il carcere, oggi, è un luogo dove convivono due forme di prigionia, quella dei detenuti, privati della libertà, e quella degli agenti, costretti a lavorare in condizioni di rischio e abbandono. Mentre i primi chiedono diritti, i secondi reclamano sicurezza  e nessuno dei due, quasi mai ottiene risposte.

Non si può parlare di civiltà finché il sistema penitenziario resta un girone dantesco per tutti. Restituire dignità ai detenuti e tutela agli agenti non sono obiettivi opposti, ma due facce della stessa giustizia, quella che difende l’uomo, qualunque uniforme o condanna indossi.

Iago Antonelli

“Gesù, perdonami”… Don Siro e il giovane Ardenti

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Il vescovo, l’ultima volta che gli aveva parlato, era stato chiaro. Anzi, potremmo dire chiarissimo. Inequivocabile. “Caro don Siro, lei deve mettere la testa a posto. E’ un parroco stimato dai suoi fedeli che, a quanto mi è stato riferito, non mancano alle funzioni ma…e aveva fatto una lunga pausa, quasi cercasse le parole giuste)..bisogna che non prenda sempre di petto il podestà e chi oggigiorno ha la responsabilità della cosa pubblica. Con i fascisti, piaccia o no, bisogna andar d’accordo. So bene anch’io che sono rozzi, maneschi e non sempre animati delle migliori intenzioni verso il prossimo. Ma noi, caro don Siro, siamo la Chiesa. Non se lo deve scordare. Siamo la Chiesa che guarda e tollera, comprende e non giudica. Si ricordi che solo Iddio può trarre i giudizi. Sono stato chiaro? Adesso vada, su…e si faccia voler bene anche da quei signori in camicia nera“. Era l’ultima, in ordine di tempo, delle lavate di capo che don Siro si era buscato dai suoi superiori.

La Chiesa, pur non condividendo gli atteggiamenti dei fascisti, in particolar modo le bastonature e le somministrazioni di olio di ricino a coloro che venivano individuati come oppositori o, quantomeno, persone non gradite al regime, manteneva un atteggiamento prudente. Don Siro, parroco del paese da vent’anni (ci teneva a precisarlo:“vent’anni,eh.. mi raccomando. Vent’anni e non un ventennio perché la sola parola mi fa uscire dalle grazie e non voglio far peccato mollandovi un bel ceffone”), mal sopportava quei ragazzotti con l’orbace e ancor più gli andavano di traverso quei reduci della grande guerra che si pavoneggiavano imitando la postura del Duce, petto in fuori e gambe larghe. “Andar d’accordo con quelli lì? Madonna mia, come faccio…Sono peggio dei diavoli. Arroganti, presuntuosi e blasfemi. Parlano di Dio e della Patria e poi, alla faccia della carità cristiana, sbattono in gattabuia quelli che non la pensano come loro. Oppure, com’è successo al povero Rossi, gli fan trangugiare un litro e mezzo di olio di ricino. Giù per la gola, a garganella, con l’imbuto. Se non ha tirato fuori le budella nel cesso alla turca nella sua casa di ringhiera, è stato per puro miracolo. E il Luison? E’ un socialista ma è anche una grava persona. Volevano che cantasse Faccetta Nera: si è rifiutato e l’hanno riempito di botte che adesso cammina tutto storto. Ed io dovrei andarci d’accordo? No, cara Madonna: l’è come far peccato!”. Don Siro non era solo una sòca negra, come diceva Geppe. L’abito talare non doveva trarre in inganno. Era sì un uomo di chiesa ma non si poteva dire che non prestasse attenzione e rispetto anche a coloro che la fede l’avevano persa o non l’avevano mai trovata. Soprattutto Don Siro era infastidito dalla violenza dei fascisti. Non sarebbe mai stato in grado di sparare una schioppettata o dar di bastone in testa a qualcuno ma ciò non gli impedì di prendere a calcioni nel sedere l’ultimo rampollo degli Ardenti, famiglia di industriali lombardi che possedevano una gran villa in paese. L’aveva fatto, senza esitazione,  dopo che il diciassettenne eterno avanguardista Furio Ardenti aveva scritto “Noi diciamo che solo Iddio può piegare la volontà fascista. Gli uomini e le cose mai”. Il punto era che quella frase, per il prete, suonava non solo  blasfema ma intollerabile visto che  campeggiava – a caratteri cubitali, tracciati con la vernice nera –  sul muro esterno della canonica. “Gesù, perdonami“, disse mentre sferrava il calcio nelle terga del giovane  fascista. “Perdonami, se faccio peccato ma, credimi, ho le mie buone ragioni“, aggiunse accompagnando le parole con una seconda, vigorosa pedata nel didietro dell’Ardenti, facendogli volar via di botto  il Fez che portava in testa. Il padre del ragazzetto, ma ancor più la madre – una nobildonna secca come un manico di scopa, dal carattere nervoso e suscettibile – andarono su tutte le furie, protestando vivacemente con il Podestà che,a  sua volta, fece le sue rimostranze al Prefetto. Il passaggio successivo era stata la convocazione nel palazzo vescovile, non troppo distanze dalla Basilica sormontata dalla cupola di Santo patrono. Anche questa volta, terminata la lavata di capo, il povero prete si mise in viaggio dal capoluogo al centro più importante del lago con il treno per poi approfittare – da lì al paese – dell’ultima corsa con il  vaporetto, pronto a salpare verso le isole e le località costiere. In cuor suo, Don Siro, si era già quasi dato l’assoluzione.In fondo, quello scatto d’ira era ben giustificato dallo scarso, scarsissimo rispetto che quei signori in divisa scura come la pece portavano alle sue convinzioni religiose e alla pacifica convivenza. “Se proprio devo porgere l’altra guancia – mugugnava tra sé il prete – vorrà dire che, in caso estremo, porgerò anche l’altro piede”. Intrecciò le dita per pregare e sul volto comparve per un attimo un sorriso sornione.

Marco Travaglini

Quando la solidarietà trabocca sul marciapiede

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FRECCIATE

L’idea, sulla carta, è di quelle che scaldano il cuore: un contenitore in strada dove deporre abiti usati, destinati a nuova vita grazie a qualche associazione benefica. Un piccolo atto di civiltà, una carezza all’ambiente e al prossimo.

Poi, però, c’è la realtà. Passate da via Duchessa Jolanda, a Torino. Lì, quel contenitore appare come la versione laica di un confessionale che ha smesso di contenere peccati. Gli abiti straripano, come se il cassonetto fosse stato colpito da un’epidemia di bulimia tessile. E allora i cappotti cadono a terra, i maglioni si trascinano sul marciapiede, le camicie ondeggiano al vento come bandiere di resa.

Il risultato? L’iniziativa, che doveva essere un aiuto al prossimo, si trasforma in un regalo al degrado. E così, paradossalmente, quel cassonetto che avrebbe dovuto dire “noi ci prendiamo cura” finisce col gridare “noi ce ne freghiamo”.

Iago Antonelli

 

La dubbia prospettiva del massimalismo di sinistra

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LO SCENARIO POLITICO  di Giorgio Merlo

Il massimalismo, l’estremismo, il radicalismo e il populismo sono la nuova ed esclusiva cifra
politica della sinistra italiana. Intesa in tutta la sua diversità e pluralità. Ovvero, la sinistra
televisiva, accademica, intellettuale, giornalistica, sindacale e, come ovvio e scontata, politica.

Cioè i partiti che oggi rappresentano autenticamente l’universo della sinistra italiana e che si
riassume con il cosiddetto “campo largo”: Pd, Avs, 5 stelle e la Cgil di Landini. In più, seppur in
una posizione meno ufficiale ma, comunque sia, contigua e in perfetta sintonia con quell’area
politica, tutte quelle sigle dell’estremismo più o meno violento e barricadero che caratterizzano
ormai il mondo della sinistra italiana.

Ora, è di tutta evidenza che in un contesto del genere è difficile, molto difficile, distinguere una
legittima differenza tra il manifestare liberamente il proprio pensiero o la propria indignazione
politica e il ricorso a quella violenza che, purtroppo, campeggia in moltissime manifestazioni di
piazza organizzate da sigle della sinistra stessa. E questo perchè, al di là delle stesse mille
manifestazioni di piazza che ormai attraversano tutta l’Italia, è indubbio che ci troviamo di fronte
ad una situazione dove è l’intera sinistra che si orienta sotto il vestito di un massimalismo e di un
radicalismo che può tranquillamente sfociare in momenti anche virulenti: dall’attacco violento alle
forze dell’ordine alla criminalizzazione del nemico, dalla devastazione delle città alla sistematica
interruzione dei servizi pubblici essenziali per la vita normale e quotidiana dei cittadini italiani.

Ed è proprio questa concreta situazione che porta ad una semplice conclusione al di là e al di
fuori di qualsiasi valutazione politica, culturale ed ideologica sul profilo dell’attuale sinistra italiana,
seppur nella varietà che la contraddistingue. E cioè, possono essere il massimalismo, il
radicalismo e l’estremismo l’orizzonte entro il quale la sinistra ex e post comunista italiana può
essere oggi e domani una vera e propria alternativa democratica all’attuale coalizione di centro
destra a guida Giorgia Meloni? Possono essere l’estremismo, il radicalismo e il massimalismo una
ricetta credibile per dispiegare sino in fondo una altrettanto credibile cultura di governo? E, infine,
possono essere l’estremismo, il radicalismo e il massimalismo la strada più coerente e più
credibile per mantenere il nostro paese in un quadro e in una cornice democratica e
costituzionale?

Sono domande, queste, credo legittime anche alla luce delle concrete vicende politiche che
emergono dalla nostra società nelle sue multiformi espressioni. Perchè un conto era la
tradizionale coalizione di centro sinistra. E cioè, una allenza democratica, riformista e di governo.
Altra cosa, tutt’altra cosa, è l’attuale coalizione della sinistra estremista, massimalista e radicale
dove non c’è più alcun paletto a sinistra e tutto viene inglobato nel cosiddetto ‘campo largo’: dai
partiti al sindacato di riferimento, dai conduttori televisivi agli intellettuali cosiddetti organici, dai
gruppi spontanei ai centri sociali agli stessi organi di informazione che supportano questa
alternativa politica.

Per queste ragioni, semplici ma essenziali, resta una domanda aperta anche in vista delle
prossime elezioni politiche. E cioè, è con questo progetto politico e con questo profilo culturale
che la sinistra italiana si prepara ai prossimi appuntamenti elettorali? Se così fosse, prepariamoci
ad un clima di fortissima radicalizzazione politica e di marcata polarizzazione ideologica. Con
conseguenze non indifferenti per la stessa qualità della nostra democrazia e la solidità delle nostre
istituzioni democratiche. Per non parlare dell’efficacia dell’azione di governo.

Rock Jazz e dintorni a Torino. I Negramaro e Marco Mengoni

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour dal 6 all’11 ottobre, va in scena l’edizione numero 17 del Resetfestival. Festival dedicato alla ricerca di nuovi talenti supervisionati da artisti già affermati come: Whitemary, Dario Mangiaracina de La Rappresentante di Lista e Andrea Laszlo De Simone.

Martedì. Al Peocio di Trofarello suonano Jill Yan, Mohini Dey, Jeremy Colson.

Mercoledì. All’Inalpi Arena per 2 sere consecutive, si esibisce Marco Mengoni. Al Teatro Concordia di Venaria è di scena Mostro. Al Lambic si esibisce il cantautore Mirco Mariani. Allo Spazio 211 è di scena Natalie Bergman e Preoccupations. All’Osteria Rabezzana suona il Cuanta Pasion Grup.

Giovedì. Al Vinile si esibiscono i Charlatown. Al Blah Blah suonano EFFEMME, Moneti & Michele Mud con la partecipazione di Davide “Dudu” +MONDOCANE.

Venerdì. All’Inalpi Arena arrivano i Negramaro. Al Circolino suona il Mark Bonifati Ensemble. Al Circolo Sud si esibisce Chiara Effe. Al Peocio di Trofarello è di scena Pino Scotto. Al teatro Concordia si esibisce Artie 5IVE. Allo Ziggy suonano : King Potenaz+ Sator. Al Blah Blah sono di scena Mondo Generator + Ritual King.

Sabato. All’Inalpi Arena si esibisce Salmo. Al Folk Club suona “El Mate” Trio. Al Circolo Sud è di scena Fonzie & la Massa Critica. Allo Ziggy suonano gli Inkubus Sukkubus. Al Blah Blah si esibisce Tony Mezzacarrica & i Carusi.

Domenica. Al Blah Blah suonano i The Buttertones.

Pier Luigi Fuggetta

Solidarietà senza ostaggi: ricordarsi di dimenticare

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FRECCIATE

Anche a Torino grande successo di partecipanti, al netto delle devastazioni dei “soliti facinorosi”, per le manifestazioni in occasione dello sciopero generale. Uno sciopero per la Palestina. Non per il lavoro, non per i salari che non crescono, non per le bollette che strozzano le famiglie, non per i treni che non passano e gli ospedali che cadono a pezzi.

Con motivazioni altissime, intendiamoci: la pace, i diritti umani, la solidarietà internazionale. Tutto giusto, tutto bellissimo. Peccato che, sotto la patina idealista, sembri esserci più una passerella politica. Con la partecipazione di migliaia e miglia di giovani in buona fede.

Serve davvero bloccare un Paese intero non per affrontare i problemi italiani, e forse nemmeno  tanto per la causa palestinese, quanto piuttosto per onorare  la Flotilla? Serve mettere in piedi una missione umanitaria che porta viveri… e poi i viveri non vengono consegnati?

E ancora: è etico sventolare solo una bandiera, senza mai parlare degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, senza mai ricordare la strage del 7 ottobre, senza mai nominare gli orrori compiuti dal movimento che governa Gaza col terrore?

La solidarietà, quella vera, non è a senso unico. Non dovrebbe essere un alibi per fare propaganda o per dare lustro a un’agenda politica. Altrimenti lo sciopero generale rischia di diventare meno un atto di coscienza e più un atto di ipocrisia.

Iago Antonelli