L’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Piemonte ha condotto la seconda indagine congiunturale del 2025, basandosi su un campione di 2.250 imprese artigiane appartenenti ai settori della produzione e dei servizi. I risultati rivelano un quadro ancora incerto, ma con alcuni segnali di miglioramento.
Le previsioni sull’occupazione migliorano leggermente, passando da -7,54% a -5,44%. Anche le assunzioni di apprendisti mostrano un incremento, dal -24,86% al -19,22%. La produzione totale resta in negativo, ma in lieve crescita: da -16,33% a -14,17%. Anche il saldo dei nuovi ordini registra un lieve recupero: da -14,88% a -12,95%.
Si riduce la quota di imprese che non prevedono investimenti (dal 78,20% al 74,90%), mentre preoccupano le esportazioni, che peggiorano significativamente da -24,76% a -29,3%. Migliora invece la regolarità negli incassi (dal 61,22% al 64,95%), con una diminuzione dei ritardi (dal 37,90% al 33,50%) e un lieve aumento degli anticipi (dallo 0,88% all’1,55%).
Il presidente di Confartigianato Imprese Piemonte, Giorgio Felici, commenta:
“L’indagine congiunturale relativa al 2° trimestre del 2025 ci restituisce un quadro di incertezza anche se si intravedono alcuni segnali positivi e di stallo. Il dato più preoccupante è quello relativo all’acquisizione di nuovi ordini per esportazioni che registra una flessione di quasi 6 punti percentuali, passando da -24,6% a -29,3%. Un dato che evidenzia più di altri il clima di incertezza rappresentata dalle dinamiche altalenanti dei mercati, da una situazione geopolitica di grande tensione. Voglio ricordare che l’Italia è uno dei maggiori esportatori globali di proprie eccellenze, come i prodotti artigianali piemontesi, apprezzati per la loro qualità e il loro valore storico. Occorre specificare che il clima di incertezza che gli artigiani si trovano a fronteggiare era già insito al contesto europeo, primo fra tutti il caso della situazione interna di recessione della Germania, che rappresenta il nostro primo mercato di riferimento”.
Felici sottolinea inoltre alcuni segnali incoraggianti:
“I dati dell’indagine congiunturale che tracciano, invece, una situazione di stallo previsionale, pur rimanendo ancora negativi, ma in ascesa di circa due punti percentuali, sono rappresentati dall’andamento occupazionale che passa da -7,54% a -5,44% e dall’acquisizione di nuovi ordini che da -14,88% va a -12,95%, mentre l’ipotesi di assunzione di apprendisti guadagna quasi 6 punti percentuali, passando da -24,86% all’attuale -19,22%. La sensazione che si ha è quella di una scommessa di rilancio, di ripresa e di crescita. Una dose moderata di ottimismo dovuta anche al Fondo unico artigianato, uno strumento di credito agevolato esistente sul territorio regionale a partire dalla legge regionale 34/2004, a cui le imprese artigiane possono accedere tramite bandi per poter ricevere fondi monetari, che vengono erogati tramite finanziamenti e alcune quote a fondo perduto. Apprezziamo lo sforzo che la Regione ha fatto per trovare i fondi necessari per far ripartire un settore che si è sempre dimostrato economicamente portante e trainante. Ovviamente siamo solo all’inizio di un percorso che dovrà continuare a sostenere chi è capace di creare reddito, dare lavoro e moltiplicare i sostegni ricevuti”.
Oggi è il caso di ricordare che politica e cultura sono concetti diversi e distinti; ciò non significa ovviamente che tra politica e cultura non ci debbano essere contatti. Anzi, è vero il contrario perché una politica non incolta e una cultura non arcadica sono due aspirazioni più che auspicabili. Non credo che oggi ci sia in Italia una politica colta, ma c’è una cultura esageratamente politicizzata che porta a riproporre la vecchia espressione di Mario Scelba “culturame”, evocata ieri da Giuliano Ferrara. Intellettuali liberi, senza paraocchi ideologici, sono un’eccezione non apprezzata perché la cupidigia di servilismo è da sempre una caratteristica degli intellettuali italiani, quasi tutti fascisti e poi tutti, senza eccezioni, antifascisti. Queste sono le amare considerazioni che mi ha suggerito il Salone del Libro 2025. Troppi politici hanno monopolizzato l’attenzione in un salone in cui si dovrebbe parlare soprattutto di libri. Il culmine si è avuto quando Landini, che non credo sia un uomo colto e neppure acculturato, ha strumentalizzato il Salone per fare propaganda ai referendum. Non era mai accaduta una commistione con la politica così vistosa. Secondo il capo della Cgil astenersi sarebbe addirittura immorale malgrado sia un’opzione prevista dalla Costituzione. E anche il giro pubblicitario della segretaria del Pd accompagnata dalle autorità torinesi lascia perplessi. Forse sia Landini sia la Segretaria Schlein avranno anche scritto qualche libro in collaborazione con dei giornalisti, come si usa oggi. Ma tutto questo non ha nulla da spartire con la kermesse torinese nata per volontà di Angelo Pezzana e Bianca Vetrino con intenti che privilegiavano il fine di favorire la lettura. Oggi appare un baraccone che sembra più un supermercato che una grande biblioteca animata di migliaia di lettori . Ho partecipato fin dall’inizio al Salone, ma gli anni delle origini erano molto diversi dagli attuali. C’erano Bobbio, Bassani e Soldati, oggi ci sono Barbero, Scurati e Saviano. Due ere geologiche molto lontane. Se poi si aggiunge Landini che fa campagna elettorale per i referendum, il quadro è davvero completo. Forse Annalena Benini direttrice del Salone in passato non avrebbe condiviso. La sola giustissima proposta del Presidente Biino di coinvolgere il Ministero della Cultura ha suscitato imbarazzi e polemiche che rivelano una prevenzione politica molto evidente che evoca l’arroganza della feroce egemonia gramsciana.

