“E’ un’Assessora che crede che gli autosufficienti non siano malati”
“Nel presentare il piano regionale per la non autosufficienza 2019/21 l’Assessora regionale al welfare, Chiara Caucino avrebbe definito Torino una ‘anomalia’, il cui difetto consisterebbe nel concorso della sanità pubblica al il 50% del costo delle cure domiciliari, mentre, secondo l’Assessora, il sostegno pubblico dovrebbe derivare esclusivamente dal fondo nazionale per le non autosufficienze, una voce assistenziale e con budget predeterminato, a prescindere dagli andamenti dei casi e dalla situazione piemontese”.
“Per noi – commentano la consigliera comunale Eleonora Artesio, Torino in Comune – la Sinistra, e Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Regione – anomalo è pensare che le persone non autosufficienti siano bisognosi (ma solo alcuni) anziché malati (tutti)”.
“Anomalo – proseguono Artesio e Grimaldi – è ricondurre lo stato di salute e il diritto alle cure, universale e senza limiti di durata, a una condizione di indigenza (temporanea) certificata da un Isee. Anomalo è rivendicare dal Governo la valenza sanitaria delle RSA per non autosufficienti e contestualmente considerare povertà anziché malattia le stesse condizioni, se queste sono accudite al domicilio”.
“Infine, noi crediamo che sia anomalo riconoscere come sanità le compartecipazioni alle rette in RSA e non rimborsare, peraltro con minori oneri, le cure sanitarie e tutelari prestate al domicilio. Forse – concludono Artesio e Grimaldi – l’anomalia è questa Assessora”.
“Il taglio delle risorse prospettato dal piano regionale per la non autosufficienza toglierà il sostegno economico di cui necessitano le migliaia di famiglie che devono prendersi cura di una persona non autosufficiente. La Regione sostiene che tale impostazione evita la contrapposizione con il Governo – commentano Artesio e Grimaldi –, davvero molto strano che l’attuale Giunta regionale, sempre pronta ad aprire fronti di scontro con i ministri, su questo tema abbia scelto questa linea, specie perché le minoranze in Regione assicurerebbero una sicura sponda”.
Più urgente mi sembra essere un’altra questione: che cosa insegna la scuola, oltre i programmi e la didattica curricolare? C’è stato un tempo in cui a scuola si insegnava educazione civica ma, in particolare, si trasmettevano alcuni valori propri del civismo, come saper distinguere luoghi e situazioni per conformare ad essi i nostri comportamenti non per ipocrisia ma per rispetto. Ecco, già solo distinguere i banchi della scuola dal tavolo del bar sarebbe un bel passo avanti, perché in classe si va e si sta per imparare, al bar si va per divertirsi: due attività entrambe importanti ma fra loro molto diverse. Per le quali si impongono atteggiamenti un po’ diversi. La vera battaglia da combattere è fra il sessismo, sempre in agguato, specie fra gli uomini, e la riscoperta del buongusto.
FRECCIATE