LIFESTYLE- Pagina 54

La Source: quando la passione trasforma i vigneti delle terre di montagna in opere d’arte

Lui è Stefano Celi, come tutti i figli di questa terra è un testardo e gran lavoratore,
inarrestabile fino al raggiungimento dei suoi obbiettivi. Non a caso fa parte di quella
categoria di vignaioli chiamati “eroici”

A Saint Pierre, nel cuore della Valle d’Aosta, dove la maestosità del castello è
dominante e dà quel tocco di romanticismo, insieme alla moglie Gabriella ha creato
l’azienda agricola La Source, che porta nel mondo i Grandi Vini di questa magnifica
regione.

La produzione si può quantificare in circa 40.000 bottiglie all’anno e le etichette di
riferimento sono Chardonnay, Petit Arvine, Ensamblo, Valle d’Aosta tra i bianchi e
Torrette, Torrette Superiore, Cornalin, Gamay e Syrah come rossi. Una chicca è il
passito ricavato con uve Moscato Gewuztraminer e Sauvignon, dove le uve vengono
appassite in fruttara.

Ma La Source non è solo vino. Stefano Celi ha anche creato una stupenda Wine Farm,
rivolta a chi non si accontenta di eccellenti vini e squisiti assaggi, ma vuole usufruire
anche di tutte quelle caratteristiche di comodità e classe che la struttura è capace di
offrire. Nella calda atmosfera del ristorante ogni vino della produzione potrà abbinarsi
ai migliori piatti della tradizione valdostana. Le camere sono curate in ogni dettaglio,
e dispongono di tv satellitare, e bagno privato.

La posizione invidiabile di La Source rende facilmente raggiungibili il capoluogo
Aosta e le stazioni sciistiche più rinomate, quali Courmayeur, Pila, La Thuile. Inoltre
una speciale convenzione con le Terme di Prè Saint Didier garantisce un mondo di
coccole.

Allora cosa aspettare per tuffarsi in questa inebriante esperienza? Visita il sito
www.agriturismolasource.it e prenota il tuo arrivo contattando i numeri 0165.903669
o 335.6613179. L’indirizzo email è info@lasource.it

“La Bella e la Voce”, contest nazionale con finale a Vietri sul Mare (costiera
amalfitana) si fregia di avere al proprio fianco come partner ufficiale l’Azienda
Agricola La Source

“Il mio posto nel mondo” con Fondazione CRT

Oltre 10.000 bambini e ragazzi in situazione di fragilità socio-economica potranno vivere un’estate all’insegna della crescita, dell’inclusione e del benessere, grazie a un ampio programma di attività educative, ludiche e sociali

 

Torino, 9 giugno 2025 – Un’estate all’insegna della crescita, dell’inclusione e del benessere per oltre 10.000 bambini e ragazzi provenienti da contesti caratterizzati da fragilità socio-economica, con bisogni educativi speciali o con disabilità, grazie al progetto “Il mio posto nel mondo” della Fondazione CRT.

 

È online l’elenco dei 61 enti selezionati in Piemonte e Valle d’Aosta attraverso la prima tranche del bando. Gli esiti relativi alle attività di pre-scuola e doposcuola saranno invece comunicati entro luglio 2025.

 

L’iniziativa mira a contrastare le disuguaglianze, offrendo spazi educativi di qualità, favorendo la socializzazione e supportando le famiglie, in particolare quelle che vivono in aree con fragilità, e quelle con bambini con difficoltà e disabilità. “Il mio posto nel mondo” si conferma come un progetto di grande impatto sociale, capace di attivare reti educative sui territori e restituire a ogni bambino, indipendentemente dal contesto di provenienza, il diritto a un’estate fatta di crescita, scoperta e relazioni.

 

I centri estivi selezionati – il 74% dei quali coinvolgeranno bambini e ragazzi con disabilità, bisogni educativi speciali o disturbi dell’apprendimento – proporranno un ricco programma di attività.

 

Si va dal potenziamento della lingua italiana per bambini e ragazzi non madrelingua a percorsi didattici dedicati alle materie STEM, con l’obiettivo di avvicinare i partecipanti al mondo della scienza e della tecnologia. Non mancheranno attività a contatto con la natura, come escursioni e cura di orti botanici, per rafforzare il legame con l’ambiente, insieme a laboratori artistici e musicali che stimoleranno la creatività e l’espressione individuale. Ampio spazio sarà riservato anche al benessere psicologico, con momenti dedicati alla gestione dello stress, allo sviluppo delle competenze emotive e alla cittadinanza attiva, accanto a incontri volti a creare reti tra educatori, famiglie e comunità.

 

Con il progetto ‘Il mio posto nel mondo’ la Fondazione CRT, da sempre impegnata sul fronte della formazione, dell’inclusione e nel contrasto alle fragilità, intende offrire a ogni bambina e a ogni bambino, ragazza e ragazzo, la possibilità di vivere un’estate ricca di esperienze inclusive, educative e di relazione, a prescindere dalle condizioni sociali o personali di partenza – afferma la Presidente della Fondazione CRT Anna Maria Poggi -. Sostenere e rafforzare la rete di chi si prende cura dei più giovani, soprattutto di quelli più fragili, significa contribuire a prendersi cura della comunità”.

 

Un’altra occasione preziosa per offrire a tanti bambini e ragazzi un’estate stimolante sarà l’iniziativa “Magia in Scena: eventi per educare, coinvolgere e prevenire” della Fondazione della Felicità ETS. L’iniziativa prevede tre spettacoli di magia formativa gratuiti, destinati a circa 1.200 bambini tra i 6 e i 14 anni, programmati nella giornata del 14 luglio 2025 in occasione dell’apertura del Campionato Mondiale di Magia. 200 bambine e bambini potranno essere protagonisti della cerimonia di apertura come “ambasciatori di magia”.

Le ragioni del pappagallo

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Arsenio era un pappagallo cinerino dal piumaggio prevalentemente grigio, con tonalità più scure sulla testa e sulle ali, e un bel becco nero e ricurvo.

Giorgio lo ricevette in regalo dallo zio Arialdo che a sua volta l’aveva portato con se a Torino al termine di un lungo viaggio in Africa equatoriale. Il piccolo pennuto, originario delle foreste pluviali nel cuore del continente nero, aveva una caratteristica particolare che lo distingueva dagli altri volatili e da gran parte degli animali: l’eccezionale intelligenza, secondo alcuni esperti paragonabile a quella di un bambino di tre anni. Perfettamente in grado di associare alle parole ripetute l’esatto significato, con gli anni e adeguatamente istruito, aveva imparato ad esprimersi con brevi frasi compiute, interloquendo nelle conversazioni. Ghiotto di frutta e semi, Arsenio era diventato a tutti gli effetti un membro della famiglia di Giorgio, scapolo impenitente. La strana coppia filava d’amore e d’accordo, condividendo l’appartamento in Corso Casale che offriva una suggestiva vista sul verde del parco Michelotti e sul Po. Giorgio, progettista di una nota azienda, si era formato al dipartimento di ingegneria meccanica e aerospaziale del Politecnico torinese. La sua attività gli consentiva di passare buona parte del tempo lavorando da casa, condividendo le giornate con il fedele Arsenio. Appassionato di calcio, era cresciuto nel mito del Grande Torino, la compagine degli “invincibili” capitanati da Valentino Mazzola che persero tragicamente la vita nell’incidente aereo del 4 maggio 1949, schiantandosi sulla collina di Superga. Trasmettere quel sentimento d’affetto al pappagallo non fu per nulla difficile, tant’è che Arsenio imparò a ripetere con infallibile memoria l’esatta sequenza della storica formazione, imitando la voce del suo padrone con un lieve timbro nasale: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Un bel giorno l’azienda chiese a Giorgio la disponibilità  di recarsi per un periodo di sei mesi all’estero, in America del Sud, allo scopo di contribuire all’avvio di un nuovo sito produttivo a Montevideo, la capitale dell’Uruguay. Era un’occasione davvero importante e quasi unica per la sua carriera ma occorreva risolvere il problema del pappagallo, abituato a convivere con il suo padrone. Tra l’altro a Montevideo avrebbe dovuto dividere l’appartamento con un collega.

Erano due locali più i servizi nel quartiere della città vecchia, a poca distanza dalla piazza dell’Indipendenza. Uno spazio abbastanza angusto e per di più l’altro tecnico pareva fosse allergico al piumaggio degli uccelli. Non vi era dubbio sul fatto che Arsenio non potesse seguirlo nella missione. A chi lasciarlo in custodia, allora? Parenti non ne aveva più, avendo perso i genitori in tenera età e morto da un anno anche il vecchio zio Arialdo. Era un cruccio enorme, un tormento da togliere il sonno. Ad un certo punto maturò un’idea. L’unico vero amico che aveva, un compagno di università con il quale trascorreva talvolta le serate e qualche fine settimana, era stato sfrattato e stava cercando una sistemazione. Lo chiamò spiegando il suo problema e chiedendogli la cortesia di occupare il suo alloggio per il tempo della missione. Non avrebbe avuto nessuna spesa e l’unico obbligo di prestare cura al ciarliero pappagallo. L’amico, che si chiamava Giulio, invitato a cena accettò con entusiasmo la proposta. Arsenio, con le sue spiccate capacità intuitive, colse dai discorsi dei due amici seduti a tavola nell’alloggio di corso Casale dei frammenti di discorso che non gli piacquero,  e si chiuse in un ostinato mutismo. Ma ben presto dovette fare buon viso alla situazione che si venne a creare con la partenza del padrone di casa, accettando la novità. Il pennuto, superato l’imbarazzo delle prime giornate dove prevalse una lieve malinconia, considerando che il nuovo inquilino gli dava regolarmente da mangiare, gli parlava e qualche volta canticchiava dei motivi di suo gradimento, al punto che ne ripeteva qualche parola, accettò la presenza di Giulio. Anzi, con il passare dei giorni, gli si affezionò. L’uomo raccontava all’uccello storie e confidenze quasi avesse a che fare con una persona e decise anche  di fare un piccolo scherzo all’amico. Tifoso sfegatato della Juventus, la vecchia signora antagonista del Torino, oltre a insegnare al pappagallo parole e proverbi in piemontese, gli ripeté una frase che avrebbe certamente fatto colpo su Giorgio: “Viva la  goeba”. Ai bianconeri juventini era stato incollato addosso   anche questo curioso soprannome, riservato tanto ai giocatori quanto ai tifosi, di “gobbi”. Pareva che il termine risalisse a un curioso episodio degli anni ’50 quando per una intera stagione, durante le corse dei giocatori, le loro maglie trattenendo l’aria,  si gonfiavano creando una specie di gobba. Una malignità, probabilmente creata ad arte dai rivali, tifosi dei granata. Fatto sta che quel “viva la Gobba” in piemontese piacque molto ad Arsenio che lo ripeteva di continuo come un mantra, accompagnandolo con altri spezzoni del dialetto subalpino.

Un giorno, dopo l’uscita di Giulio per delle compere, un fattorino si presentò sull’uscio per consegnare un pacco. Dopo aver suonato il campanello udì una voce gracchiante rispondere dall’interno: “Chi è?”. “Devo farle una consegna, signore!”, disse l’uomo. “Chi è?” rispose Arsenio, ripetendo l’invito più volte. “Sono il fattorino. Ho qui un pacco per lei. Mi può aprire, per favore?”, replicò il dipendente della ditta spedizioniera, tradendo un certo fastidio. Il pappagallo, per tutta risposta, inanellò una serie di frasi mescolando il piemontese con l’italiano: “Cosa fai daré ëd la pòrta?”, “Va via, fafioché d’un fafioché” ( in pratica dandogli del buono a nulla, di colui che parla tanto e non conclude niente), “Gavte la nata, balengo” (l’equivalente dell’invito a togliersi il tappo, un modo come un altro per suggerire di farsi furbo). Spazientito, il fattorino rispose con un epiteto che provocò la furibonda reazione di Arsenio che alzò ancor di più la sua stridula voce. Offeso l’uomo ridiscese le scale, visibilmente infuriato. Incontrando il portiere dello stabile gli chiese chi fosse quel maleducato che abitava al terzo piano. L’addetto alla custodia, stupito, rispose a sua volta non gli risultava nessuno in casa, avendo visto uscire una mezz’ora prima il signor Giulio. Bastò questa risposta perché il fattorino gli sbattesse tra le braccia il pacco urlandogli un seccatissimo “Visto che ci sono i fantasmi, allora a consegnare questo ci pensi lei!!”, infilando il portone e andandosene per la sua strada con un diavolo per capello. Passarono i giorni, le settimane, i mesi e il pappagallo sviluppò un attaccamento morboso nei confronti di Giulio, manifestando episodi sempre più costanti di gelosia.

Uno dei casi più frequenti si manifestava quando Giulio era costretto a uscire. Era sufficiente che indossasse la giacca o un cappotto perché Arsenio strillasse con sofferenza, roso dal tormento: “Non andare via! Stai qui! Non uscire!”. Per ingannare l’intelligentissimo volatile era arrivato al punto di calare dalla finestra, con la complicità del portinaio, la giacca o il soprabito, fugando il sospetto di una imminente fuga. Al termine dei sei mesi, al ritorno di Giorgio, il pappagallo raggiunse l’apice della possessività gridando disperatamente: “Giulio non andare via.. A l’è mej n’amis che des parent (è meglio un amico che dieci parenti).. Non mi lasciare, non abbandonarmi.. A basta ‘n to soris! (basta un tuo sorriso). Erano scenate davvero strazianti, a riprova di un amore che spezzava il cuore. Un diluvio di parole che Arsenio, rifiutandosi di mangiare, emetteva con una voce acuta e stridente che pareva sul punto di spezzarsi in pianto. I due amici, non potendo restare indifferenti davanti a tanta sofferenza, considerato che l’appartamento era abbastanza grande e che Giulio un alloggio per se non l’avevo ancora trovato, decisero di condividere l’abitazione di corso Casale. Il pappagallo ascoltò con attenzione il discorso che gli fecero, quasi si stessero rivolgendo a un bambino. E come un marmocchio davanti ai doni trovati sotto l’abete la mattina di Natale, Arsenio dimostrò tutta la sua felicità svolazzando per le stanze, pur senza rinunciare ad avere l’ultima parola: “I papagal l’an sempre rason”. I pappagalli hanno sempre ragione. E come si poteva dargli torto?

Marco Travaglini

Roddi, da 500 anni legati alla famiglia Pico della Mirandola

Domenica 8 giugno 2025 l’Associazione Internazionale Regina Elena Odv ha organizzato a Roddi (CN) una commemorazione del 500° anniversario del legame del Comune con la Nobile famiglia Pico della Mirandola.

Hanno concesso il patrocinio all’evento: il Consiglio Regionale del Piemonte, la Regione Emilia Romagna, la Provincia di Cuneo ed i Comuni di Roddi (CN), Maddaloni (CE) e Mirandola (MO).
Il 5 dicembre 1525 la Marchesa Anna d’Alençon, reggente al trono del Monferrato per il figlio il Marchese Bonifacio IV, per far fronte alle ingenti risorse economiche richieste dall’Imperatore dei Romani Carlo V ai feudatari che come lei avevano appoggiato il suo avversario il Re di Francia Francesco I, sconfitto nella Battaglia di Pavia, cedette il feudo e il Castello di Roddi, citato per la prima volta nel X secolo come casaforte di proprietà dell’Abbazia di San Pietro di Breme, a Giovanna Carafa, consorte di Gianfrancesco II Pico, Signore di Mirandola e Conte di Concordia, nonché nipote del celebre filosofo Giovanni Pico della Mirandola, dalla prodigiosa memoria.
La commemorazione di questo importante atto, che segnò la storia del Comune langarolo, è iniziata alle ore 11 con una Santa Messa celebrata da Don Massimo Scotto nella Chiesa Parrocchiale di Maria Vergine Assunta.


Successivamente i numerosi partecipanti e i gruppi storici hanno raggiunto in corteo il castello, dove nel Salone d’onore si è tenuta una solenne cerimonia, aperta dai discorsi di Roberto Davico, Sindaco di Roddi; Flavio Borgna, Sindaco di Cerreto Langhe; Silvia Molino, Assessore alla Cultura di Castelvecchio di Rocca Barbena (SV); Alessandra Arlorio, Assessore alle Politiche Giovanili di La Morra (CN); Christian Rocco, Consigliere di Novello (CN); Pierangela Castellengo, Consigliere di Alba (CN) e del Senatore Marco Perosino.
In modo particolare, il Sindaco di Cerretto Langhe nel suo intervento ha annunciato l’ingresso del suo Comune nell’ Associazione Siti storici Grimaldi di Monaco in Italia, reso possibile grazie alle ricerche storiche effettuate dallo scrivente, il quale, nella sua qualità di Vice Segretario Amministrativo Nazionale dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv nel 2025 con la sua consulenza ha permesso l’ingresso nella sopraccitata associazione legata ai Grimaldi anche dei Comuni di Novello e Zuccarello (SV).
Riccardo Corino, Presidente del Centro Studi Beppe Fenoglio di Alba, insieme alla Dott.sa Laura Della Valle, Presidente dell’Associazione Culturale Premio Roddi, ha fatto scoprire al pubblico il legame tra Roddi e la Nobile famiglia Pico della Mirandola, iniziato, come sopraccitato, il 5 dicembre 1525, quando Giovanna Carafa, figlia di Giovanni Tommaso, Conte di Maddaloni e moglie del sopraccitato Gianfrancesco II Pico, acquistò con fondi propri il feudo dalla Marchesa reggente del Monferrato.


Nel 1533, Gianfrancesco II e il suo settimogenito Alberto vennero assassinati nel Castello di Mirandola dal nipote Galeotto II e così Giovanna Carafa insieme agli altri figli si trasferì a Roddi, dove morì il 4 agosto 1536. Suo figlio Paolo fu il primo Conte di Roddi; gli succedette la figlia Eleonora, avuta dalla seconda moglie Costanza Del Carretto di Millesimo, che sposò il nobile mantovano Ascanio Andreasi, dei Conti di Ripalta, portandogli in dote il feudo paterno. Il loro figlio Paolo ottenne il titolo marchionale e alla sua morte senza eredi nel 1630 i suoi beni passarono alla sorellastra Costanza Biandrate di San Giorgio, la quale aveva sposato Antonio Maria Tizzone, Conte di Desana.
Roddi diventò quindi feudo dei Tizzone, i quali dimoravano raramente nel maniero, preferendo alloggiare nel loro palazzo di Torino e nel Castello di Desana, dove era attiva una zecca. Nel 1675

Maria Camilla Tizzone sposò Francesco Filippo Della Chiesa, portandogli in dote Roddi. Il loro discendente Saverio cedette il maniero nel 1836 a Re Carlo Alberto, il cui figlio Re Vittorio Emanuele II lo alienò a sua volta al Regio Economato Generale Apostolico. Dal 2001 il castello è di proprietà del Comune.
Lo scrivente nel suo discorso ha illustrato il legame tra i Savoia e le tre dinastie che si succedettero per via ereditaria alla guida del Marchesato del Monferrato: gli Aleramici, che vi regnarono dalla sua fondazione nell’XI secolo fino al 1305, quando alla morte di Giovanni I, che dalla consorte Margherita di Savoia, figlia del Conte di Savoia Amedeo V non aveva avuto figli, il trono passò al nipote Teodoro I Paleologo, figlio di sua sorella Violante e dell’Imperatore di Bisanzio Andronico II; i Paleologi, i quali vi  regnarono dal 1305 fino al 1533, quando al decesso senza figli del Marchese Giangiorgio il trono andò al Duca Federico II Gonzaga di Mantova, che aveva sposato sua nipote Margherita Paleologa e i Gonzaga, i quali governarono queste terre con il loro ramo principale fino al 1627 e poi fino al 1708 con ramo cadetto dei “Nevers”.


Ha quindi preso la parola Manuela Massola, del “Filo della Memoria” de “Il Colibrì Aps” di Buttigliera Alta, la quale ha illustrato il legame tra Roddi e il suo paese, attraverso le nozze nel 1698 tra Carlo Giuseppe Antonio Della Chiesa e Delfina Carron di San Tommaso, figlia di Carlo Giuseppe Vittorio, terzo Marchese di San Tommaso e Conte di Buttigliera Alta. Manuela ha annunciato una sua scoperta storica: Gaspare Della Chiesa, Marchese di Roddi, rimasto vedovo di Seyssel d’Aix intorno al 1754, nel 1755 si risposò con Maria Maddalena Ruffino dei Conti Diano D’Alba e dalla loro unione nacquero tre figlie, tra le quali Luigia che nel 1781 sposò il Marchese Paolo Luigi Guasco di Bisio di Alessandria e fu madre di Enrichetta Guasco di Bisio, colei che nel 1806 impalmò Alessandro Carron, Marchese di San Tommaso e Conte di Buttigliera Alta.

Il Comitato per la tutela del patrimonio e delle tradizioni piemontesi dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv ha conferito uno speciale attestato di benemerenza al Comune di Roddi e all’Associazione Culturale “Premio Roddi” e lo speciale attestato creato in occasione del Giubileo 2025 a Don Massimo Scotto e Don Renato Oggero Norchi.
L’Associazione Internazionale Regina Elena Odv è stata rappresentata dal Vice Segretario Nazionale Amministrativo, dal Fiduciario di Chivasso Silvano Borca con la consorte e dalla Dama Maria Vittoria Pelazza.
La giornata è stata impreziosita dalla presenza dei seguenti gruppi storici:
“La Corte del Conte Rosso” di Avigliana; “Conte Occelli” di Nichelino; “Il Filo della Memoria” de “Il Colibrì Aps” di Buttigliera Alta e “I Signori di Rivalba” di Castelnuovo Don Bosco.
Nel maniero di Roddi fino al 29 giugno sarà allestita la 32ª Esposizione del Maestro Francesco Paula Palumbo dal titolo: “Vintage 70s collection by Francesco Paula Palumbo at Roddi Castle” visitabile ogni sabato e domenica con orario continuato dalle 10 alle 19.

ANDREA CARNINO

Giraudi: cioccolato d’autore nel cuore della provincia di Alessandria

 

A Castellazzo Bormida il profumo del cioccolato racconta una storia di famiglia piena di passione e dolcezza.

 

C’è un piccolo paese nel cuore dell’Alessandrino dove il cioccolato non è solo un alimento: è un linguaggio, una passione, una forma d’arte. Giraudi, la cioccolateria fondata e portata avanti con dedizione da Giacomo Boidi e oggi condivisa con il figlio Davide, è il cuore pulsante di una storia che profuma di tostatura lenta, mani artigiane e sogni costruiti giorno per giorno.

Tutto ha inizio nei primi del Novecento, nel 1907, quando Giovanni Battista Giraudi fonda un mulino per la macinazione di cereali. Con il tempo, l’attività si evolve nell’arte bianca e, lentamente, si avvicina al mondo del cioccolato. Sarà Giacomo Boidi, nipote di Paolino Boidi e affascinato fin da piccolo dalla pasticceria, a far germogliare la vera anima cioccolatiera di questa storia. Dopo aver frequentato l’istituto tecnico per periti elettrotecnici, Giacomo si avvicina al laboratorio dello zio Giovanni ad Alessandria nel 1982. Ha solo ventun anni, ma un carattere tenace, curioso, e soprattutto una fame di sapere e di creare.

Nel giro di pochi anni Giacomo si distingue per la qualità delle sue creazioni, sperimentando con coraggio nel piccolo laboratorio di 12 metri quadri. Nel 1983 apre la propria pasticceria ad Alessandria, ma è nel 1987, dopo la scomparsa degli amati zii, che decide di dedicarsi completamente al cioccolato, un ingrediente che lo affascina per la sua complessità e versatilità. L’anno prima, nel 1986, aveva già avviato un piccolo laboratorio, che diventerà il cuore produttivo della futura Giraudi.

Nel 1993 la produzione si trasferisce a Castellazzo Bormida, in uno stabilimento dove si fonde la visione artigianale con l’ambizione industriale. Nasce così una nuova era per Giraudi, che si amplia, si evolve e comincia a farsi conoscere ben oltre i confini regionali. L’incontro con l’esperto di enogastronomia Giorgio Onesti rappresenta un punto di svolta: colpito dalla qualità dei prodotti, aiuta Giacomo a farli conoscere in tutta Italia e poi nel mondo.

Giraudi oggi esporta in Austria, Germania, Grecia, Norvegia, Stati Uniti, Cina, Giappone e Australia. Il catalogo si è arricchito di specialità uniche come la Giacometta, una deliziosa crema spalmabile al cioccolato e nocciole che rappresenta l’identità del marchio, e il Giacometto, un caffè con crema di latte servito in una tazzina rivestita di Giacometta: un’esperienza multisensoriale che è insieme rito e scoperta.

Il punto vendita di Castellazzo Bormida, moderno e accogliente, è integrato nello stesso edificio del laboratorio. Qui si possono comporre vassoi personalizzati di cioccolatini fatti a mano, gustare brioche farcite al momento con crema al pistacchio, e osservare il laboratorio al lavoro attraverso una vetrata o, su prenotazione, visitarlo accompagnati da una guida. Non è raro incontrare scolaresche: la divulgazione è parte del progetto Giraudi, con una sala didattica dedicata a bambini e famiglie.

Le materie prime sono il punto di partenza di ogni creazione. La massa di cacao è ottenuta da una miscela di varietà Criollo e Trinitario, le più pregiate al mondo, provenienti da piantagioni selezionate in Centro America e Africa. Giraudi lavora a partire dalla massa e non dalla fava: una scelta consapevole per concentrare l’attenzione e l’energia sull’abbinamento, la decorazione, la forma. Le linee di cioccolato monorigine, come i Napolitains e Le Selezioni, seguono invece lavorazioni più lunghe e raffinate, con tostature lente e concaggi delicati.

La nocciola è l’altra protagonista. La varietà scelta è la Tonda Gentile Trilobata del Piemonte, la migliore per gusto, pelabilità e conservabilità. Nonostante l’IGP copra l’intero Piemonte, unica regione in Italia a vantare questo primato, le nocciole usate da Giraudi provengono soprattutto dalle Langhe, dove si concentrano le coltivazioni più pregiate. La tostatura avviene con un tostino tradizionale e segue un processo lentissimo e delicato: il calore penetra piano, abbracciando ogni frutto, esaltandone sapore e aromaticità, lasciando che la buccia si stacchi naturalmente.

Nel laboratorio, ogni dettaglio ha un suo valore. I cioccolatini sono colati a mano negli stampi, uno a uno. Alcune forme nascono da prototipi realizzati internamente, anche con l’ausilio di tecniche moderne come la stampa 3D e il taglio laser. La personalizzazione è un pilastro: non c’è limite alla creatività, e il cliente può scegliere ricettazione, forma, incarto.

L’azienda conta oggi 18 dipendenti fissi e, da settembre in avanti, si affida anche a personale stagionale per affrontare l’aumento della produzione in vista del periodo natalizio. Ogni persona che lavora qui partecipa a una visione comune, fatta di rispetto, ricerca, e voglia di fare bene.

Molti sono i momenti simbolici di questa lunga avventura. Tra questi, la realizzazione dell’uovo di Pasqua donato agli abitanti di Accumoli, colpiti dal terremoto. Un uovo di 180 kg, decorato in collaborazione con l’artista Mario Fallini, contenente oltre 350 sorprese donate dalla comunità di Castellazzo Bormida ai bambini di Accumoli: un gesto di bellezza e solidarietà.

L’arte è un elemento vivo nell’universo Giraudi. Giacomo, pur dichiarandosi artigiano e non artista, ha sempre avuto un dialogo profondo con il mondo creativo. Ha collaborato con Antonio Riello, Paolo Castiglioni, Georgia Galanti, Mario Fallini e Marcella Toninello, giovane designer del Politecnico, autrice del disegno del suo cioccolatino più iconico. Non è un caso che sia stato tra i primi a introdurre la codifica a colori per distinguere i propri prodotti.

Nel 2001 nasce ufficialmente la Giraudi S.r.l., fondata da Giacomo insieme alla moglie Nicoletta e ad Angelo Marchesi. Nel 2005 viene inaugurato l’attuale laboratorio, moderno ma fedele alla filosofia originaria. Oggi Giacomo continua a dirigere l’azienda con la stessa determinazione, mentre Davide ne guida la parte produttiva.

Venire da una famiglia di agricoltori poveri e costruire un’eccellenza riconosciuta nel mondo non è un percorso scontato. Richiede sacrificio, visione, coraggio. In Giraudi tutto questo è diventato un impasto di valori, che si sente in ogni morso, si osserva in ogni dettaglio, si respira nei profumi caldi che escono dal laboratorio.

Il cioccolato, qui, è un gesto di amore. E una storia che continua, giorno dopo giorno, come la sua dolce, infinita persistenza. Non resta che fare un salto a Castellazzo Bormida, per provare e assaporare di persona.

Giraudi si trova in Via B. Giraudi 498 – Località Micarella, 15073 Castellazzo Bormida (AL). Per info www.giraudi.it

Lori Barozzino

Bardonecchia, una giornata dedicata a Walter Bonatti

SUO CITTADINO ONORARIO, SEMPRE NEL CUORE DI TUTTI 

Il Palazzo delle Feste a cornice dell’evento con il CAI di Parma che festeggia i suoi primi 150 anni con una traversata delle Alpi rievocativa di quella compiuta da Bonatti

Si è da poco concluso a Bardonecchia un fine settimana all’insegna del ricordo del grande Walter Bonatti che con questa bella realtà valsusina, di cui è cittadino onorario, ha vissuto un legame forte, coinvolgente e per molti versi unico, costruito su quei valori sinceri e duraturi che soltanto la montagna è capace a generare e far crescere. E’ stato un sabato di rievocazione non fine a sé stessa ma con lo scopo di traghettare nel futuro le esperienze umane e professionali indimenticabili di chi ha fatto la storia dell’alpinismo. L’evento, organizzato dal CAI Sezione di  Bardonecchia con l’Amministrazione Comunale presso il Palazzo delle Feste con la sua ampia area antistante, ha ospitato la sezione del CAI di Parma impegnata nel progetto CrossAlps,  la traversata delle Alpi in 198 giorni sulle tracce di quella compiuta da Bonatti settant’anni fa.

Lungo tutto questo loro impegnativo percorso sono stati selezionati alcuni luoghi definiti “ i villaggi di CrossAlps “ con tappa anche nell’accogliente Perla delle Alpi. Con gli sci, a piedi ed in bicicletta è un evento il loro, partito da Parma nel mese di Gennaio, che vuole essere un modo concreto per festeggiare i 150 anni della fondazione del CAI parmense, avvenuta nel 1875. Il loro intende essere un percorso nel pieno rispetto della montagna, senza l’uso di mezzi inquinanti “ per affermare che la montagna può essere affrontata in modo ‘ pulito ‘, per testimoniare che i monti possono essere vissuti in modo coerente nelle loro dimensioni, quella sportiva e quella culturale – sono parole del Presidente della Sezione CAI di Parma, Roberto Zanzucchi – ed infine per trovare  ponti tra la cultura alpina e quella appenninica “.

Si è trattato di una giornata di forte spessore commemorativo e propositivo con un occhio attento anche alle continue trasformazioni delle condizioni climatiche della montagna, tema trattato in un incontro tenutosi nel pomeriggio con l’Università di Torino. Sempre nel pomeriggio, alla presenza del Sindaco Chiara Rossetti è stata inaugurata la mostra fotografica “ Da Walter Bonatti ad Alberto Re “ in gran parte costituita da materiale messo a disposizione da Re, la famosissima Guida alpina bardonecchiese che era presente all’inaugurazione. In sala anche Alberto Borello delle Guide alpine Valsusa, anch’egli noto e ricco di un passato di tutto rispetto. Va qui detto che se Walter Bonatti è stato il re dell’alpinismo, il re delle cime inviolate , Alberto Re già Presidente delle Guide Alpine del Piemonte dal 1990 al 2009 e Presidente del Collegio Nazionale delle Guide Alpine italiane dal 1997 al 2003, è stato il re delle Guide alpine dando alla professione uno stile innovativo ed internazionale.

Bonatti e Re, due giganti della montagna, ognuno nel proprio ambito elettivo ma uniti da quel comune entusiasmo, da quella travolgente voglia interiore di scoprire sempre nuovi ed ancora sconosciuti orizzonti sino a spingersi sino ai confini del mondo, entrambi protesi alla ricerca delle loro importanti avventure professionali non senza quei risvolti più spirituali ed intimi che la montagna affina. Forse proprio dalle parole raccolte dalla bocca e dal cuore della grande Guida alpina Alberto Re nel recentissimo incontro con lui nel corso dell’inaugurazione della mostra, si può comprendere come questi grandi alpinisti abbiano vissuto la vera essenza della montagna, la sua anima, i suoi valori.

“ La montagna è condivisione, è passione ed i legami di amicizia che vi nascono sono unici, speciali, indissolubili perché lassù i sentimenti si esprimono al massimo in una comunione di interessi, difficoltà, fame, fatica ma molto spesso anche di successi e gioie. Nel nostro bellissimo mestiere noi conviviamo con il rischio, lo dobbiamo mettere sempre in conto ed in ogni istante il motore che ci porta avanti è la testa e se questa non c’è si hanno poche possibilità di riuscita. La montagna – ha concluso – va frequentata con amore, con passione, con rispetto insieme ad un pizzico di fortuna “. Nel corso della serata è stato presentato un documentario nato da un’idea originaria del Presidente del CAI di Bardonecchia Piero Scaglia e realizzato da Riccardo Topazio sugli anni bardonecchiesi  di Walter Bonatti  con testimonianze, fatti e aneddoti, alla presenza dei parenti di coloro che sono stati con lui protagonisti della grande traversata delle Alpi.

Nei suoi anni bardonecchiesi  era già molto famoso per l’incredibile impresa compiuta nel ‘55 che lo portò a scalare in solitaria la vetta del Petit Dru nel gruppo del Bianco, riuscendo in quell’impresa ai limiti con l’impossibile che segnò per sempre il suo nome nell’albo d’oro dell’alpinismo mondiale. Di lui è stato ripercorso tutto il suo periodo a Bardonecchia dove visse nel 1955 e 56 quando, già molto noto anche per la conquista italiana del K2 nel 1954, il Comune lo chiamò ad assumere l’incarico di maestro di sci e Guida alpina. Svolse con molta attenzione il compito affidatogli con un occhio attento ai giovani di cui ebbe grande cura alternando per loro gite più facili a scalate più impegnative. Alloggiava all’Hotel Frejus, nella centralissima Via Medail, di proprietà della famiglia Perego che per molti decenni ne curò anche la gestione in maniera impeccabile. Un luogo per Bonatti accogliente ed interessante in quanto fu sempre meta di pittori, artisti, personaggi del cinema, scrittori spesso invitati dai proprietari.

Il 24 Agosto del 1955 ricevette la cittadinanza onoraria della Perla delle Alpi con una cerimonia ed una festa proprio tra le mura ed i saloni dell’Hotel Frejus. Durante la serata si sono avvicendati al microfono i familiari di coloro che furono coprotagonisti con Bonatti capo – spedizione della singolare e famosa traversata delle Alpi: il torinese Ing. Luigi De Matteis, Alfredo Guy di Bardonecchia ed il Capitano Lorenzo Longo di Sauze d’Oulx, un’avventura che lui stesso paragonò alle spedizioni degli esploratori polari. Giornalista, fotoreporter, scrittore, nel 1965 quando decise di smettere con l’alpinismo estremo, invitato come inviato esploratore dal giornalista Domenico Agasso, allora Direttore della famosa rivista “ Epoca “, iniziò un altro suo affascinante percorso che lo portò in tanti angoli di mondo tra i più impervi e sconosciuti. Bardonecchia rimase sempre il suo luogo del cuore, quello della sua giovinezza spensierata, dei suoi inizi, dei suoi sogni. Amato dagli amici e corteggiato dalle donne, simpatico di carattere, interessante nei dialoghi vi trovò sempre un ambiente accogliente ed amichevole. Di sé ebbe a dire: “ Sono sempre voluto andare alla ricerca di mè stesso per sapere chi ero, focalizzando i miei perché ed i miei limiti.

Di una cosa ho certezza, non devo dir grazie a nessuno”. E di lui dissero :” Aveva un carattere di una forza assolutamente superiore e non tornava mai indietro dalle sue decisioni”. Stupisce pensare che i resti mortali del re delle Alpi abbiano trovato riposo nel piccolo cimitero di Portovenere a picco sul mare accanto alla donna che ha amato, in un luogo così lontano dalle sue montagne, di fronte alla vastità di un elemento, il mare, così agli antipodi del suo ambiente elettivo ed abituale ma altrettanto forte e difficilmente controllabile. Due elementi quindi così diversi ma così simili mentre Bardonecchia continua a ricordarlo e viverlo con il rispetto e la stima di sempre, con l’affetto dovuto a quel figlio venuto da lontano che ha saputo portare innovazione e nuovi stimoli in un clima già allora di condivisione e di crescita.

Patrizia Foresto       

Il volontariato cresce con i giovani, la solidarietà è il regalo più bello

Le azioni solidali fanno bene a chi le riceve e anche a chi le fa.

Generosita’ fa rima con giovani, la solidarieta’ nei confronti di coloro che sono meno fortunati ha, infatti, una locomotrice guidata da piccoli uomini e donne che agiscono per migliorare la vita di chi ne ha bisogno.

Secondo una ricerca di Openpolis i giovani tra i 14 e i 17 che fanno volontariato e’ cresciuta in pochi anni, dal 2021 al 2023, dal 3,9 al 6,8 per cento. Non c’e’ che esserne fieri, si puo’ fermare quella litania che racconta di ragazzi svogliati ed egoisti interessati solo a loro stessi. I stessi dati raccontano che geograficamente il volontariato giovanile e’ meno forte al sud, mentre al nord e in particolar modo a Sondrio, Gorizia e Pordenone, ci sono piu’ associazioni no profit procapite.

E’ bello poter raccontare di questa rinata sensibilita’, e’ incoraggiante per il nostro futuro, ma anche per quello dei posteri che godranno di una classe di persone munifiche e partecipi.

E’ indubbio che le nuove generazioni siano investite da problematiche legate ai cambiamenti sociali, ma poter identificare nelle loro condotte varchi di grandezza d’animo e altruismo costituisce una grande speranza che porta a credere che sono loro il grande patrimonio del nostro paese.

Nel biennio dopo il Covid la propensione generale a fare volontariato e calata tranne che nei ragazzi, ma oltre al fatto generazionale, come dicevamo sopra, c’e’ un divario che riguarda l’appartenenza territoriale; prendendo in considerazione gli estremi percentuali abbiamo un 16% di partecipazione in Trentino Alto Adige e un 4,6 % in Sicilia. C’e’ ancora bisogno, evidentemente, di sensibilizzazione e di spinta a guardare oltre le nostre vite e occuparci anche di quelle degli altri, tuttavia la strada intrapresa e’ quella giusta.

Oltre ad occuparsi dell’assistenza alle persone con vari disagi, i giovani sono anche molti attivi nelle associazioni che si occupano di ambiente ed ecologia, ma anche di diritti umani, di pace e progetti internazionali in collaborazione con enti pubblici e privati.

Volendo fare “pubblicita’” alle azioni di solidarieta’ e volontariato e’ provato che oltre a creare benessere a chi le riceve, l’impegno sociale attivo ha dei risvolti positivi anche su chi lo pratica:

aumenta l’autostima, riempie le esistenze di senso e, come affermano alcuni studi, sembra che l’agire solidale abbia un effetto sulla durata delle nostre vite, una terapia a doppio senso quasi miracolosa. E’ un beneficio che torna indietro, un successo sicuro per ognuno di noi, una palestra emotivo-psicologica che ci porta grandi risultati e che mantiene il cervello sempre giovane. Aiutare gli e’ una medicina che ha positivi effetti terapeutici.

MARIA LA BARBERA

Osteopatia e sedentarietà: come proteggere il corpo dall’alternanza tra scrivania e sport

 

Lunedì 16 giugno, alle ore 10.00, presso il Circolo Sporting di Torino, si terrà un incontro specialistico rivolto ai professionisti giornalisti, dedicato al ruolo dell’osteopatia nel supportare i professionisti dell’informazione, spesso costretti a lunghi periodi di sedentarietà davanti al computer, seguiti da improvvise attività sportive intense.

L’evento, dal taglio scientifico ed evidence-based, vedrà la partecipazione degli osteopati Nicolas Ricciardi e Gabriele Palazzolo, entrambi in possesso dei titoli accademici BSc e MSc in osteopatia. I due relatori approfondiranno una tematica attuale e poco discussa: l’impatto fisico negativo del passaggio repentino dalla posizione seduta protratta (tipica del lavoro giornalistico) a un’attività fisica vigorosa, spesso praticata senza un adeguato riscaldamento o una preparazione funzionale del corpo.

Secondo recenti pubblicazioni in ambito biomeccanico e clinico, questo tipo di alternanza può favorire l’insorgenza di dolori muscolari, rigidità articolari, e squilibri posturali che, se trascurati, possono degenerare in patologie croniche. L’osteopatia, in questo contesto, rappresenta un valido approccio integrato per migliorare la funzionalità generale del corpo, intervenendo su compensi e rigidità derivanti dal lavoro sedentario.

Durante l’incontro, verranno presentati dati e articoli scientifici a supporto delle tecniche illustrate, insieme a consigli pratici su come prevenire traumi muscoloscheletrici attraverso trattamenti osteopatici regolari, stretching mirato e correzione della postura.

Un appuntamento pensato non solo per informare, ma per offrire strumenti concreti ai giornalisti che desiderano coniugare benessere fisico e professione in modo consapevole e sostenibile.

VALERIA ROMBOLA’

Polpette al pomodoro con farina di ceci, che bontà!

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Rubrica a cura de La Cuoca Insolita 

Per fare queste polpette al pomodoro con farina di ceci non avete bisogno di preparare molti ingredienti: probabilmente aprendo il frigo li trovate già lì, pronti! Il bello delle polpette è che ci potete mettere dentro quello che volete. Qualcuno potrebbe non fidarsi a ordinarle al ristorante, temendo che siano fatte con gli avanzi, di quelli che o li metti nelle polpette o li butti via. Io trovo che sprecare il cibo il meno possibile sia un traguardo importante. E ora, aprite il frigo e guardate se anche voi avete qualche ingrediente che potrebbe andare bene per questo. Non importa se non è esattamente quello che c’è in questa ricetta. Basta rispettare le proporzioni. Non devono però mancare la farina di ceci e il sugo di pomodoro. Leggete e capirete perché…

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: Rispetto alle polpette al sugo tradizionali preparate con carne di vitello e maiale, uova, latte e formaggio grattugiato, qui abbiamo -30% di calorie e -65% di grassi. Un piatto che sazia senza appesantirci e senza farci ingrassare!
  • Polpette al pomodoro con farina di ceci, buone come quelle della nonna! E in più le carote e i finocchi sono ricchi di fibre, ma nell’impasto di queste polpette non si distinguono. Bene, quindi, anche per i bambini che non amano la verdura.
  • Al posto dell’uovo usiamo la farina di ceci. Nessun problema quindi per chi ha problemi con le uova.

Una dieta a base di legumi e cereali (soprattutto quelli integrali) permette di fornire al nostro organismo gli stessi elementi che si trovano nella carne (gli aminoacidi essenziali).

Tempi: Preparazione (20 min); Cottura (15 min);

Attrezzatura necessaria: robot tritatutto, 2 bicchierini da caffè, padella antiaderente diam. 32, tagliere e coltello a lama liscia, paletta da cucina, 2 cucchiaini, 1 cucchiaio, 1 paletta di legno, vassoio, 1 ciotola di medie dimensioni, carta da forno.

fase preparazione polpetteIngredienti (per 4 persone – circa 500 g di polpette):

Per l’impasto delle polpette:

  • Verdure in padella (carote e finocchi) – 150 g
  • Riso basmati integrale cotto – 150 g
  • Pangrattato (integrale) per impasto – 50 g
  • Farina di ceci – 1 cucchiaio pieno
  • Acqua per farina ceci – 2 cucchiai
  • Salsa di soia – 1 cucchiaio
  • Sale fino – ½ cucchiaino
  • Olio evo – 2 cucchiaini
  • Semi di girasole – 1 cucchiaio
  • Pangrattato per impanare polpette – 50 g

Per il sugo di pomodoro:

  • Passata di pomodoro o sugo pronto – 300 g
  • Olio di oliva – 2 cucchiai
  • Aglio – 1 spicchio

Ciuffi di carota – ½ bicchiere

Approfondimenti e i consigli per l’acquisto degli “ingredienti insoliti” a questo link: https://www.lacuocainsolita.it/ingredienti/).

In caso di allergie…

Allergeni presenti: Cereali contenenti glutine, soia

Preparazione delle polpette

FASE 1: LE VERDURE E I CEREALI DEL FRIGO

Potete scegliere delle verdure in padella a vostro piacere e in base a quello che trovate in frigorifero. In questa ricetta io ho fatto rosolare uno spicchio di aglio in olio evo, buttato dentro le carote a rondelle e fatto cuocere per 10 minuti. Poi ho buttato in padella anche i finocchi e fatto cuocere tutto insieme per altri 10 minuti. Infine, ho aggiunto il sale.

Io ho sempre in frigorifero un cereale pronto. Questa volta usiamo il riso basmati integrale. Se non vi ricordate come è meglio cuocere i cereali in chicco, andate su https://www.lacuocainsolita.it/miglio-stufato/

FASE 2: IL PANGRATTATO

Meglio se integrale, perché è più ricco di fibre. Io lo ottengo spesso da una forma di pane secco. Basta mettere le fette secche nel mixer e tritare a massima velocità, fino a quando il tutto sarà polverizzato.

FASE 3: LA PREPARAZIONE DELLE POLPETTE

Il gioco è facile: nel bicchierino da caffè bagnate la farina di ceci con l’acqua e mescolate. Intanto mettete nel contenitore del robot tritatutto le verdure, il riso basmati, la salsa tamari, il sale e l’olio e frullate a massima velocità. Aggiungete quindi la farina di ceci idratata e il pangrattato. Dovrete ottenere un impasto abbastanza compatto.

Unite ora i semi di girasole e mescolate delicatamente (devono restare interi). Trasferite in un contenitore e ricavate con le mani delle polpette, che poi impanerete con del pangrattato integrale.

FASE 4: LA COTTURA

Mettete olio di oliva in padella, fatelo rosolare e buttate dentro l’aglio e i ciuffi verdi delle carote sminuzzati come fareste con del prezzemolo. Mettete a cuocere le polpette impanate, a fuoco medio-alto e fate rosolare per circa 5 minuti, poi girate con l’aiuto di due posate e fate altrettanto dall’altro lato. Trascorsi 10 minuti, mettete da parte un po’ di ciuffi verdi di carota soffritti e versate il sugo già pronto nella padella e fate scaldare tutto per altri 5 minuti.

Servite le polpette calde, con una forchetta e un cucchiaio per raccogliere bene anche il sugo al pomodoro.

CONSERVAZIONE

In frigorifero: 3-4 giorni

Le polpette crude: possono essere preparate anche il giorno prima e tenute in frigorifero fino alla cottura. Possono essere messe nel congelatore (su dei vassoi, separate tra loro) e conservate anche per 2-3 mesi. Una volta indurite, potete trasferirle nei sacchetti gelo.