LIFESTYLE- Pagina 487

Sbloccati 85 milioni di fondi per la sanità

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Trasferimenti di cassa  relativi ad adempimenti del 2011 fermi a Roma e mai erogati a causa di una serie di inadempienze cui la sanità piemontese non aveva mai ottemperato

 

La Regione ha ottenuto lo sblocco di trasferimenti di cassa per 85 milioni di euro, relativi ad adempimenti del 2011 fermi a Roma e mai erogati a causa di una serie di inadempienze cui la sanità piemontese non aveva mai ottemperato.Un atto che deriva dall’illustrazione, effettuata nella seduta ordinaria del Tavolo ex Massicci svoltosi il 1° aprile a Roma, dei pre-consuntivi 2014 dei bilanci delle aziende sanitarie che chiudono in equilibrio e delle delibere sulla gestione sanitaria accentrata e consolidata dell’anno 2012.“Un altro piccolo grande passo – commenta l’assessore regionale alla Sanità, Antonio Saitta – dell’operazione credibilità che la Giunta Chiamparino persegue da mesi nei confronti del Tavolo ex Massicci, che aveva commissariato la sanità piemontese della Giunta Cota e che ancora oggi ha potuto registrare con soddisfazione gli ulteriori progressi in materia di chiarezza nei conti e nei bilanci delle aziende sanitarie”.“Confido che nella prossima convocazione prima dell’estate – aggiunge Saitta – Roma sblocchi altri importanti risorse di cassa; nel frattempo, lavoriamo alacremente per approvare la delibera sui nuovi tetti di spesa per il personale delle aziende sanitarie che, a maggio, ci consentirà di far partire le 600 assunzioni indispensabili nei nostri ospedali”.

 

(www.regione.piemonte.it)

Praga e Terezìn, l'Europa di mezzo e il "secolo breve"

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Reportage di Marco Travaglini

Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello(Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Terezìn  si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole

 

Una città che per fama toccherà le stelle

 

Vedo una città che per fama toccherà le stelle”. Si racconta, a Praga, che la principessa Libuše, leggendaria fondatrice della dinastia boema dei Premyslide, pronunciò questa frase dal castello di Vyšehrad, adagiato su uno sperone roccioso sulla riva destra della Moldava. Da lì, dal “castello alto”,  lo sguardo  domina la città e la tradizione lega questa rupe a molte leggende, delle quali la  più nota racconta che appunto qui iniziò la storia di Praga. Decisamente profetica la principessa del popolo ceco se si pensa che oggi è da molti considerata la più bella tra le capitali d’Europa. Praga ricorda una delle “città invisibili” di Calvino:contiene, come in un gioco di scatole cinesi,  tante città, aprendosi di volta in volta su una e sull’altra.

 

Mai uguale a se stessa

Praga è una città magica che si specchia da più di dieci secoli nelle acque della Moldava, dominata dal Castello(Pražský hrad), la più grande fortezza medievale esistente, oltre che simbolo emblematico del grande passato storico, culturale e sociale della capitale. Il centro storico della città è formato da sei quartieriche in passato erano città indipendenti e che poi vennero unificate nel Settecento:Staré Mesto, cioè la Città Vecchia, Josefov, il quartiere ebraico che attualmente fa parte della Città Vecchia, Nové Mesto, cioè la Città Nuova, Malá Strana, cioè la Parte Piccola,Hradcany, ossia il quartiere Novy Svet, e Vysehrad.

 

Il triangolo della magia bianca

Si dice che Praga con Torino e Lione formi il triangolo della magia bianca, e che si creda o no va ricordato che l’alone di mistero che avvolge la città ha fornito spunti per un’infinità di leggende. La capitale boemaesercita un fascino del tutto particolare, ed è facile rimanere colpiti dalla sua atmosfera, dalle vie strette e dai ponti, da palazzi e chiese, dalle statue. Dal Ponte Carlo, vecchio ormai di quasi sette secoli e lungo mezzo chilometro tra la città vecchia e Malá Strana, con i suoi “protettori di pietra”, fino alla Torre dell’Orologio, all’isola di Kampa, alla via dell’Oro (Zlatá ulička)  dove vivevano all’epoca di Rodolfo II gli alchimisti segregati nelle piccole casette (Puppenhaus). La leggenda più nota è quella del Rabbino Loew e del suo Golem: dove si racconta che Rabbi Jehuda Löw ben Bezalel , nel ’500,  creò il gigante d’argilla, destinato a difendere gli ebrei dalle persecuzioni. Praga è così: mai uguale a se stessa, sfuggendo a qualsiasi definizione ed etichetta, si presenta con i suoi volti immobile, vorticosa e originale.

 

Le tombe all’ombra dei sambuchi

Il vecchio cimitero ebraico di Praga (in ceco Starý Židovský Hřbitov), fondato nel 1439, è uno dei più celebri in Europa. Per oltre tre secoli, a partire dal Quattrocento, a fianco della vecchia sinagoga è stato l’unico luogo dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti. Le dimensioni sono rimaste all’incirca quelle medievali e nel tempo si è sopperito alla mancanza di spazio sovrapponendo le tombe, perché il cimitero non poteva espandersi fuori dal perimetro esistente. In alcuni punti si sono sovrapposti fino a nove strati di diverse sepolture. L’affastellarsi delle lapidi, tardogotiche, rinascimentali, barocche, l’una contro l’altra, il silenzio assoluto del luogo la penombra creata dalle fronde degli alti sambuchi che crescono nel cimitero, danno a questo luogo un’aura spettrale.Le tombe consistono in lapidi di arenaria o di marmo, piantate nella terra. Solo dai disegni simbolici si può intuire la professione o le qualità del defunto: forbici per sarti, pinzette per i medici, mani che benedicono per i sacerdoti e così via. Si contano circa dodicimila lapidi, ma si ritiene che vi siano sepolti oltre centomila ebrei. La più antica è quella di Avigdor Kara e risale al 1439, mentre l’ultima è quella di Moses Beck del 1787.Durante l’occupazione tedesca, il cimitero fu risparmiato: le autorità occupanti del Terzo Reich decisero che sarebbe rimasto “a testimonianza di un popolo estinto”.

 

Le pietre del Tempio di Salomone

Il nome della Sinagoga Vecchianuova di Praga (Staronovà Sinagoga) non deve trarre in inganno : ha più di ottocento  anni ed è chiamata così solo perché fu la seconda in ordine di tempo ad essere costruita. La prima sinagoga di Praga,infatti,  venne distrutta nel 1867 e sostituita dalla Sinagoga spagnola, in stile moresco. Costruita verso la fine del 1200 in uno stile a metà tra il romanico e il gotico. Secondo la leggenda per edificarla vennero usate le pietre provenienti dal Tempio di Salomone e , si dice che quando tornerà il tempo di ricostruire il Tempio, la sinagoga sarà distrutta e le pietre riportate a Gerusalemme. Tra le altre sei sinagoghe praghesi del Josefov , il quartiere ebraico della città, l’edificio  che ospita la sinagoga Pinkas, risalente al 1535, ospita il Monumento agli Ebrei Boemi e Moravi, vittime delle persecuzioni naziste. Furono 80.000 quelli trucidati nei campi di sterminio i cui nomi sono stati scritti tutti a mano lungo le pareti del museo. La Pinkasova è la seconda più antica del ghetto  e oggi è un luogo aperto al pubblico dedicato ai 77.297 ebrei di Boemia e Moravia, vittime dell’Olocausto. Al primo piano della sinagoga si può visitare  l’esposizione dei Disegni dei bambini di Terezín 1942–44. Ed è qualcosa di veramente tremendo. Ma di questo se ne parlerà andando a Terezìn.

 

Terezìn, la “città di Teresa

Terezìn  si trova ad una sessantina di chilometri a nordovest di Praga. Con l’autobus, dalla stazione praghese di Florenc, s’impiega quasi un’ora per arrivare. Fa abbastanza freddo e le nuvole grigio ferro lasciano trapelare solo qualche timido e intirizzito raggio di sole. Per il calendario è primavera ma il vento porta con sé un’aria ancora invernale. Nell’arco di un decennio, tra il 1780 ed il 1790,  l’imperatore d’Austria Giuseppe II fece edificare questa “città di guerra” proprio al centro della Boemia. La città prese il nome di Theresienstadt (in ceco, appunto, Terezìn), ovvero la “città di Teresa“,  in onore  della madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Il profilo era quello di una città militare, divisa in due parti ( la “piccola” e la “grande” fortezza), progettata allo scopo di difendere Praga da attacchi provenienti da nord, edificata alla confluenza dell’Ohře (Eger in tedesco) con l’Elba, uno dei fiumi più lunghi dell’Europa centrale. Il punto prescelto era all’altezza della divisione in due rami dell’ Ohře.

 

Le due fortezze

Lungo il ramo più a occidente venne costruita la fortezza più grande e più munita. Lungo il ramo orientale, quella più piccola. La distanza tra le due è di circa un chilometro. Questo sistema difensivo poteva ospitare una popolazione di sei-settemila persone, compresa la guarnigione. Il ruolo militare di Terezìn era in funzione antiprussiana. Le lotte tra l’Austria e la Prussia di Federico II avevano insegnato che era cosa saggia oltre che prudente proteggere adeguatamente la capitale della Boemia. Però, nonostante la minaccia prussiana, rimase una città militare per meno di un secolo e non fu mai al centro di combattimenti. Così, nel 1882, venne abbandonata come sede di guarnigione e la piccola fortezza ad oriente venne adibita a carcere per prigionieri particolarmente pericolosi. Come Gavrilo Princip, che uccise  l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie il 28 giugno 1914 a Sarajevo, accendendo la scintilla che portò allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

 

Chi era Gavrilo Princip?

Nato il 27 luglio del 1894 a Oblaj, in Bosnia, quarto di nove figli di un postino, sin da piccolo si ammalò di tubercolosi che gli compromise a vita la salute. Frequentò la scuola commerciale a Sarajevo, e dopo s’iscrisse al ginnasio, dal quale venne espulso nel 1912 per le sue idee politiche. Nel maggio dello stesso anno si trasferì a Belgrado, dove continuò i suoi studi. Verso la fine dei suoi studi, nel 1914, partì alla volta di Sarajevo, in compagnia di altri due  giovani (Nedjeljko Čabrinović e Trifko Grabež), con l’obiettivo di assassinare Francesco Ferdinando. L’attentato riesce, ma i tre ragazzi vengono immediatamente catturati. Vennero condotti nella fortezza-prigione di Terezin, processati e condannati a vent’ anni di carcere. Evitarono la pena di morte poiché per la legge erano minorenni all’epoca dell’assassinio (avevano tutti sotto i 21 anni).

 

“Lo trovo rassegnato,come sempre”

In quella tetra prigione Gavrilo attese la fine. Lo psichiatra viennese Martin Pappenheim, che a Terezin studiava i soldati sofferenti da traumi di guerra, lo visitò quattro volte, nel 1916. Il 5 giugno di quell’anno, dopo l’ultimo incontro, scrisse una breve nota: “Lo trovo rassegnato, come sempre. Quando da Vienna  arriverà il permesso, il braccio dovrà essergli amputato”. L’arto sinistro, compromesso dalla tubercolosi ossea era tenuto insieme dal filo d’argento che sostituiva l’articolazione del gomito. E, infatti, lo amputarono nel novembre del 1917.  Gli ultimi mesi di vita furono un calvario. Si disse che Princip era ormai un cadavere vivente che riempiva d’orrore e di pietà gli stessi carcerieri. Non parlava quasi mai e quelle rare volte che lo fece si limitò a chiedere la data e l’ora. Morì alle 18 del pomeriggio del 28 aprile 1918, nella stanza numero 33 dell’ospedale militare. Gli altri congiurati arrestati erano morti prima di lui, uno dopo l’altro. Ed anche il Kaiser, Francesco Giuseppe I d’Austria,  aveva esalato l’ultimo respiro il 21 novembre del 1916, nella reggia imperiale del castello di Schönbrunn.

 

“Emigreranno a Vienna i nostri spettri..”

Gavrilo Princip, in una bara di assi grezze con una nera croce disegnata sul coperchio, vene seppellito in modo anonimo da una piccola squadra di soldati, composta da un boemo e quattro austriaci. Le autorità asburgiche, presero questa decisione, impaurite all’idea che il nazionalismo jugoslavo potesse fare del luogo una meta di pellegrinaggio.Le sue spoglie non sarebbero mai state ritrovate se il soldato boemo non si fosse annotato con esattezza il luogo e non avesse, finita la guerra, scritto al fratello di Gavrilo, Jovo Princip. Trovarono in quel luogo lo scheletro e il riconoscimento fu attestato da un certificato medico: “Individuo di sesso mascolino, di statura inferiore alla media, che ha subito l’amputazione del braccio sinistro”. Sul muro della cella numero 1 della “piccola fortezza” di Terezìn , tracciati sull’intonaco, trovarono anche gli ultimi versi di Gavrilo: “Emigreranno a Vienna i nostri spettri e là si aggireranno nel Palazzo a incutere sgomento nei sovrani”.

 

(continua)

Marco Travaglini

 

Il socialista Acciarini rivive in Santa Rita

Acciarini

ALLA SCOPERTA DEI NOMI DI VIE E PIAZZE

Nel marzo del 1944 partecipò all’organizzazione, a Torino, del grande sciopero operaio contro la fame ed il terrore e proprio per questo, il 9 marzo venne arrestato dai tedeschi e rinchiuso nel carcere di S. Vittore a Milano. Morì  a Mauthausen il 1 marzo del 1945 stroncato dagli stenti e dalle fatiche

 

Ogni città ha la sua storia e il suo vissuto, esattamente come le vie, i corsi o le piazze che la compongono. Noi del “Il Torinese” ci siamo addentrati per le strade ed i luoghi di Torino per raccontarvi di quei “nomi” che ogni giorno vengono “abitati”, “visitati” e soprattutto “attraversati” da cittadini e turisti ma di cui, molto spesso, si ignora la storia. Vi accompagneremo all’interno dei quartieri torinesi per conoscere e scoprire quale avvenimento o quale personaggio si sia meritato un “posto ad honorem” all’interno della nostra città.

 

Quest’oggi parleremo di Via Filippo Acciarini (10137), situata in prossimità del quartiere di Santa Rita. La via, compresa tra via Boston e via Filadelfia, è abitata principalmente da condominii e da qualche piccolo esercizio commerciale.

 

Filippo Acciarini nacque a Sellano (Perugia) il 5 marzo 1888. Compì gli studi a Recanati, paese d’origine dei suoi genitori e lì, giovanissimo e militante, aderì agli ideali umanitari, classisti e non violenti del socialismo. Durante gli anni in cui frequentava il liceo la sua milizia politica creò delle serie difficoltà al padre, tanto che Acciarini fu costretto a lasciare gli studi e a trasferirsi a Roma dove venne assunto dalle Ferrovie dello Stato; in seguito nel 1913, venne trasferito nel compartimento ferroviario di Torino che diventò così la sua città di adozione.

 

Delegato al XVII congresso socialista, entrò nella direzione del “Grido del popolo” ed iniziò la collaborazione all’ “Avanti!” dai cui fogli descrisse alcuni momenti dell’ascesa al potere e delle violenze dei fascisti a Torino.Nel settembre del 1923 venne licenziato dalle Ferrovie per scarso rendimento e soprattutto per la sua propaganda sovversiva antifascista e sempre nello stesso anno, entrò nella redazione dell’ “Avanti!” dando così il via a due vigorose polemiche giornalistiche contro i comunisti torinesi. Verso la fine del 1926 dopo che venne sciolto il Partito Socialista Italiano e soppresso l’ “Avanti!”, Acciarini iniziò a lavorare per un comitato di soccorso in favore degli antifascisti colpiti da provvedimenti repressivi.Denunciato nel dicembre del 1927 al Tribunale speciale con l’imputazione di propaganda sovversiva, venne assolto nel luglio del 1928 per insufficienza di prove.

 

Essendo in difficoltà finanziare, iniziò a fornire saltuariamente collaborazioni letterarie a riviste quali “La Parola” o l’ “Enciclopedia della cultura italiana”, finché nel 1940 riprese l’attività politica cercando di ricostruire il partito socialista a Torino e nel Piemonte. Nel 1943 fu uno tra i fondatori del Movimento di Unità Proletaria (MUP) entrando in seguito a far parte della direzione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria; nello stesso anno cominciò anche a collaborare per le notizie sindacali con il quotidiano “La Stampa” e successivamente gli venne affidata la redazione torinese del nuovo “Avanti!” del quale curò la stampa e la redazione clandestine.

 

Nel marzo del 1944 partecipò all’organizzazione, a Torino, del grande sciopero operaio contro la fame ed il terrore e proprio per questo, il 9 marzo venne arrestato dai tedeschi e rinchiuso nel carcere di S. Vittore a Milano. Dopo qualche mese venne trasferito nel campo di concentramento di Fossoli (Modena) dal quale, dopo neanche un mese, venne deportato nel Lager di Mauthausen. Morì proprio a Mauthausen il 1 marzo del 1945 stroncato dagli stenti e dalle fatiche.

  

(Nella foto la “Pietra d’Inciampo”,  “Stolperstein”, dell’artista tedesco Gunter Demnig dedicata a Filippo Acciarini, e posta in via Carlo Alberto 22)

Simona Pili Stella

Fratelli d'Italia: "Un esposto in procura sul quartiere Aurora"

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degrado gft1degrado natale4ALESSI-MARRONE-(FDI): INSIEME AI RESIDENTI, SULLE CRITICITA’ DEL TERRITORIO

 

In tutti questi anni i problemi del quartiere Aurora sono stati ignorati e sottovalutati dalle varie Istituzioni alle quali i cittadini si sono rivolti. La vita nel Quartiere continua a essere molto difficile, senza che la Città intervenga con azioni mirate.I cittadini si sono organizzati e hanno deciso di chiedere aiuto alla Procura, aiutati dai consiglieri Alessi e Marrone. I cittadini, come specificato nell’esposto, sono residenti intorno l’area ex OGM dove la Città ha deciso di trasferire il Suk nelle giornate del sabato, domenica e festivi ignorando le istanze del territorio.

Doccia fredda su De Tomaso: la cordata non paga

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La L3 Holding si era aggiudicata l’azienda per la somma di 2 milioni e 50 mila euro

 

Doccia fredda per la De Tomaso. La L3 Holding, come avevamo scritto nei giorni scorsi, si era aggiudicata l’azienda per  la somma di 2 milioni e 50 mila euro, ma la brutta sorpresa è che non ha pagato. Così, su istanza del curatore fallimentare Enrico Stasi, l’aggiudicazione è stata annullata e una nuova gara è convocata per il  prossimo 28 aprile. La L3, è una cordata svizzero-lussemburghese con  partecipazioni nella Lotus e nella Polaroid, ed era stata l’unica a presentare un piano industriale. Avevano preso parte alla gara anche  il gruppo cinese Ideal TimeVenture e il gruppo italiano Eos che poi si erano ritirati.

Energia per il benessere psico-fisico

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Laura Sergi  ha ricevuto per sei anni l’istruzione del maestro Tjokorda Gde Rai, guaritore di fama mondiale, da cui ha ereditato l’insegnamento di un percorso di consapevolezza della coscienza

 

E’ di Rivalta la naturopata Laura Sergi, che da anni opera a supporto del benessere psico-fisico delle persone. Lei stessa si definisce una canalizzatrice di energia, e parlando della sua formazione personale, racconta di aver ricevuto per sei anni l’istruzione del maestro Tjokorda Gde Rai, guaritore di fama mondiale, da cui ha ereditato l’insegnamento di un percorso di consapevolezza della coscienza. 

 

“Aiuto a far acquisire piena consapevolezza dell’individualità di coloro che mi chiedono aiuto, mostrando la via per superare i normali limiti della vita e guardare in maniera diversa dentro se stessi attraverso l’Energia Universale”, dice Laura quando le ho chiesto di parlarmi del suo lavoro. Chi si rivolge a Laura trova, seduta dopo seduta, un reale e concreto miglioramento del proprio benessere interiore, espressione di una migliore consapevolezza di sé e delle proprie capacità, nonché conforto e soluzione a problemi di cui non si è trovata soluzione seguendo altri percorsi di guarigione.

 

Laura organizza sedute individuali e di gruppo che vanno dalle serate di meditazione ai corsi di yoga durante i quali si affianca al maestro indiano James J. Eruppakkattu, fondatore della scuola Yoga Shanti di Torino.

 

Per coloro che volessero sapere di più su di Laura e sul suo lavoro, è possibile consultare il suo sito collegato alla corrispondente pagina Facebook.

 

Angela Barresi

Uildm, contro la distrofia: assemblea a Chivasso

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La prossima settimana il presidente uscente Roberto Dutto convocherà il primo consiglio direttivo per la nomina delle cariche sociale

 

Il Centro Paolo Otelli di Chivasso ha ospitato l’assemblea dei soci della sezione Uildm – Unione italiana lotta distrofie muscolari, che ha, nell’occasione approvato il bilancio consuntivo 2014 ed il preventivo 2015. E’ stato inoltre rinnovato il direttivo per il mandato 2015 – 2018 nella persona di Renato Dutto, Bruno Ferrero, Domenico Scarano, Antonio Di Rocco, Fabrizio Regis, Frediano Dutto e Giancarlo Musu, mentre il nuovo revisore dei conti sarà Roberto Zollo. La prossima settimana il presidente uscente Roberto Dutto convocherà il primo consiglio direttivo per la nomina delle cariche sociale.

 

Il documento di bilancio è stato illustrato dal vice presidente Bruno Ferrero, mentre la relazione sociale delle attività svolte nel 2014 e previste per il 2015 è stata curata dal presidente Dutto. Nella relazione, si afferma che «l’operazione di rilancio della sezione Uildm “Paolo Otelli”, per la quale almeno dal 2010 il Consiglio direttivo si sta impegnando, si può dire pressoché conclusa, con lo scorso anno 2014. In una sezione che sino al 2010 era prevalentemente impegnata sul fronte Telethon (pur da oltre un decennio all’avanguardia in Italia in quanto a somme raccolte per la ricerca scientifica sulle malattie genetiche) siamo riusciti a far crescere tante attività orientate al sostegno ed all’assistenza diretta sia delle persone con distrofia muscolare che affette da altre malattie genetiche»


I tesseramenti hanno registrato un  incremento, passando dagli 88 del 2013 ai 97 del 2014: un dato che ha quindi superato anche i 95 soci del 2012: «Il maggior impegno sul fronte dei tesseramenti, che ci eravamo ripromessi all’Assemblea dei soci del marzo dello scorso anno, è giunto quindi a buon fine, anche se avremo certamente la possibilità di fare ancor meglio nel 2015». Sono seguiti molti interventi dei soci delle diverse realtà del Piemonte.

Massimo Iaretti

Immaginare la nazione a Palazzo Carignano

RISORGIMENTO

Saperi e rappresentazioni del territorio a Torino, 1848-1911

 

Si intitola “Immaginare la nazione. Saperi e rappresentazioni del territorio a Torino, 1848-1911” la mostra organizzata dal Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino in collaborazione con il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, che la ospita. Un evento di grande valore scientifico che si realizza grazie al contributo della Compagnia di San Paolo.

 

Obiettivo della mostra è illustrare il ruolo svolto dall’ambiente culturale torinese nel processo di costituzione e diffusione della conoscenza storica e geografica dell’Italia tra Ottocento e Novecento, onde fornire una ulteriore legittimazione nazionale al nuovo stato.

 

Spiega la professoressa Paola Sereno, docente ordinario di Geografia presso l’Università di Torino e curatrice della mostra: “La mostra nasce all’interno di un progetto di ricerca finanziato da Compagnia di San Paolo e Università, su un apposito bando per la ricerca umanistica, e realizzato da un team di geografi e storici del Dipartimento di Studi Storici. Si tratta quindi di un progetto interdisciplinare indirizzato, secondo gli orientamenti più avanzati in storia della scienza e della geografia in specie, ad esplorare il ruolo dei luoghi nei processi di costruzione di saperi, conoscenze, rappresentazioni, individuandone il fondamento spaziale e le radici territoriali. Fin dall’inizio, tra gli obiettivi del progetto era prevista, accanto a esiti più accademici, una mostra che ne divulgasse i temi portanti e al contempo conferisse concretezza anche visiva, attraverso i materiali esposti, a quel fil rouge che lega luoghi, uomini, idee”.

 

Quali furono gli elementi che fecero di Torino il cuore di questo processo di legittimazione del nuovo stato e della monarchia? Per prima cosa dal Piemonte si cominciava ad estendere al resto d’Italia il mito dinastico sabaudo che si rafforzava mediante la diffusione dei monumenti celebrativi di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II “il Padre della patria”, segni sul territorio in grado di rendere visibile il principio ordinatore della nazione.

 

Nel Piemonte della monarchia costituzionale confluirono inoltre numerosi esuli in fuga dagli altri antichi Stati italiani e il loro contributo indubbiamente arricchì il dibattito sulla nazione, già originatosi negli anni immediatamente precedenti il 1848, sia nella elaborazione e divulgazione di una storia italiana, con il suo stretto legame alla questione della lingua nazionale, sia nello sviluppo scientifico.

 

Anche la ricerca scientifica trovò un ambiente fertile nella Torino dell’Ottocento: l’istituzione di nuove cattedre universitarie, tra le quali non casualmente quelle di Storia Moderna e di Geografia e Statistica già prima dell’Unità, di nuovi laboratori, di associazioni culturali o scientifiche, di riviste specializzate si rivelò in grado di modellare una sfera pubblica e di indirizzarla alla costruzione di saperi tecnici e conoscenze utili a governare, ma anche a rappresentare il Paese.

 

La rappresentazione della nazione fu sostenuta tra l’altro anche dalla popolarizzazione della scienza. La scuola costituì in tal senso un mezzo importante, luogo di divulgazione e di trasmissione di una pedagogia patriottica che si servì largamente delle rappresentazioni del territorio italiano, incluse quelle cartografiche, e che attivò lo sviluppo di una importante editoria locale aperta al mercato nazionale.

 

Infine le esposizioni nazionali di Torino del 1884 e del 1898 e poi del 1911: una vetrina dell’immagine della nazione che si era andata costruendo, nonché un’immagine della città stessa e del ruolo che si ritagliava nella nuova dimensione territoriale del Paese.Il progetto di costruzione dell’identità nazionale si sostenne dunque sulle sinergie tra luoghi di produzione di saperi territoriali (Università, laboratori, musei, associazioni, tipografie e case editrici, esposizioni), uomini che agirono nei processi di elaborazione e diffusione del sapere (cattedratici, intellettuali, funzionari pubblici, editori, tecnici), idee elaborate e impiegate nella costruzione e diffusione di rappresentazioni dello spazio locale e nazionale.

 

Su tutti questi temi si sviluppa il percorso della mostra, articolato in cinque sezioni:

 

Il mito dinastico sabaudo

La nazionalità italiana e gli esuli

Conoscenza, rappresentazione e governo del territorio

Divulgare l’immagine della nazione

 Nazione e territorio nelle grandi esposizioni

 

La mostra è allestita nel corridoio della Camera del Parlamento Italiano, al Museo Nazionale del Risorgimento. In esposizione 169 pezzi provenienti dalle più importanti istituzioni storico culturali di Torino e del Piemonte. Oltre al Dipartimento di Studi Storici dell’Università e al Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, hanno contribuito quali enti prestatori l’Archivio fotografico della Fondazione Torino Musei, l’Archivio Storico della Città di Torino, la Biblioteca Bobbio, settore antichi e rari – fondo Solari, la Biblioteca Civica di Biella, la Biblioteca di Scienze letterarie e filologichedelDipartimento di Studi umanistici, la Biblioteca Reale, il Centro Documentazione del Museo Nazionale della Montagna, il Centro Studi Generazioni e Luoghi – Archivi Alberti La Marmora di Biella, la Fondazione Sella o.n.l.u.s., la Fondazione Tancredi di Barolo, la Biblioteca Nazionale Universitaria, il Museo Regionale di Scienze Naturali, e il Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino.

 

Numerose le tipologie degli oggetti in mostra: ritratti, libri, riviste, bozzetti, foto, opere artistiche e naturalmente mappamondi, atlanti e carte geografiche. Da segnalare, in particolare, i materiali relativi alle spedizioni al Polo Nord del Duca degli Abruzzi del 1899-1900, la prima perforatrice pneumatica utilizzata per la realizzazione del traforo del Fréjus e un plastico geologico fino ad ora mai esposto. Un percorso di sicuro interesse e di grande attualità.

 

 

La mostra “Immaginare la nazione. Saperi e rappresentazioni del territorio a Torino, 1848-1911″ resterà aperta fino al 29 marzo 2015.

Titolo: Immaginare la nazione. Saperi e rappresentazioni del territorio a Torino, 1848-1911

Sede: Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, piazza Carlo Alberto 8

Periodo: 19 dicembre 2014 – 29 marzo 2015, dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle ore 18

Ingresso: biglietto unico mostra + museo 10 euro

Tutte le informazioni sul sito www.museorisorgimentotorino.it

Patch Adams ha portato il sorriso in corsia al Regina Margherita

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Anche nella nostra città operano diverse associazioni  che fanno del naso rosso da clown, il simbolo della terapia del sorriso

 

Qualche giorno fa il dottor Patch (cerotto) Adams, quello vero, da cui è stato tratto il celebre film interpretato dall’indimenticabile Robin Williams è stato protagonista acclamato nella Bibliomouse al piano terra del Regina Margherita e, successivamente nei reparti di Oncoematologia, Ematologia e Immunoeumatologia, dell’ospedale torinese, dove ha incontrato i bambini nelle sale gioco e nelle camerette di degenza. L’ideatore della clownterapia (che è stato piuù volte a Torino negli ultimi anni) è riuscito anche in questa occasione a donare un sorriso ai piccoli pazienti. Hunter Doherty Adams, detto “Patch” è davvero un medico, già anziano, da sempre sicuro del fatto che le risate e la felicità siano una componente essenziale nella guarigione, soprattutto per quanto riguarda i bambini. Molti i suoi seguaci, anche nella nostra città, dove operano diverse associazioni  che fanno del naso rosso da clown, il simbolo della terapia del sorriso.

Saitta nell'Unità di crisi sulla malasanità

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“I controlli in tema di sanità pubblica e privata sono indispensabili per evitare di dover rincorrere problemi che si sarebbero potuti evitare, come le cronache nazionali troppo spesso evidenziano”

 

Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha deciso di avviare con urgenza un’unità di crisi sui casi di malasanità in Italia e la conferenza delle Regioni italiane ha individuato e designato come proprio rappresentante l’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta. L’unità di crisi sarà composta, oltre che dallo stesso ministro, anche da rappresentanti del Comando Carabinieri per la tutela della salute, dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari) e dell’Istituto Superiore di Sanità.“Sono grato per questa designazione – commenta Saitta – e sono convinto che la decisione del ministro Lorenzin di attivare una unità di crisi sui casi di malasanità sia quanto mai opportuna in ottica di prevenzione. I controlli in tema di sanità pubblica e privata sono indispensabili per evitare di dover rincorrere problemi che si sarebbero potuti evitare, come le cronache nazionali troppo spesso evidenziano”.

 

(www.regione.piemonte.it)