Racconta le vite di una generazione che il proprio futuro l’ha scritto rinunciando o mettendo da parte ambizioni e aspirazioni, accettando qualunque, qualsiasi, qualsivoglia proposta, progetto, possibilità, etichetta
Per la seconda edizione della rassegna “Il cielo su Torino”, progetto dedicato alle compagnie sostenute da STT, Sistema Teatro Torino, venerdì 8 gennaio 2016, alle ore 20.45, debutterà in prima assoluta STRANI OGGI ideazione e drammaturgia di Simone Schinocca e Livio Taddeo. Lo spettacolo diretto da Simone Schinocca è interpretato da Valentina Aicardi, Francesca Cassottana, Andrea Fazzari, Federico Giani, Mauro Parrinello. Le scene sono di Sara Brigatti, i costumi di Agostino Porchietto, le musiche e gli arrangiamenti di Maurizio Lobina (Eiffel 65) e Giorgio Mirto.Strani Oggi, prodotto dall’Associazione Tedacà, sarà replicato al Gobetti sabato 9 gennaio 2016, alle ore 19.30.
Sono trascorsi ormai cinque anni e i padri di Strani – Ieri hanno fatto tutto ciò che dovevano, hanno lavorato fino a consumarsi perché i figli potessero crescere, studiare e prepararsi a vivere. E poi, cosa è successo? È su questa domanda che si apre Strani Oggi e racconta le vite di una generazione che il proprio futuro l’ha scritto rinunciando o mettendo da parte ambizioni e aspirazioni, accettando qualunque, qualsiasi, qualsivoglia proposta, progetto, possibilità, etichetta. Sono gli ex-giovani cresciuti all’ombra di una crisi che da condizione economica è diventata terra di mezzo, parola paludosa, sineddoche per eccellenza di un modo di vivere e di pensarsi. Senza domani nella propria terra, pronti a partire, pronti ad arrivare, in cerca di un futuro.
Una manciata di storie, così intime e per questo così universali, che la compagnia Tedacà ha raccolto attraverso un lungo lavoro di ricerca e condivisione, sul web e dal vivo. Una drammaturgia scritta a più mani e affidata a un cast di giovani attori diplomati alla Scuola per Attori dei Teatri Stabili di Torino e Genova, con le musiche originali di Maurizio Lobina, vincitore di World Music Award, BMI Award e dischi diamante, multiplatino e oro con gli Eiffell 65.
STRANI OGGI
ideazione e drammaturgia Simone Schinocca e Livio Taddeo
regia Simone Schinocca
con Valentina Aicardi, Francesca Cassottana, Andrea Fazzari, Federico Giani, Mauro Parrinello
assistente alla regia Claudia Cotza
musiche e arrangiamenti Maurizio Lobina (Eiffel 65) e Giorgio Mirto
scenografia Sara Brigatti
costumi Agostino Porchietto
progetto grafico Silvio Giordano
Associazione Tedacà
INFO: Tel. 011 5169555 – Numero verde 800235333
Orari: venerdì 8 gennaio 2016, ore 20.45 e sabato 9 gennaio 2016, ore 19.30.
Prezzi dei biglietti: Intero € 27,00. Ridotto di legge € 24,00
Biglietteria del Teatro Stabile di Torino | Teatro Gobetti – via Rossini 8, Torino
orari: dal martedì al sabato ore 13.00/19.00 – Vendita on-line: www.teatrostabiletorino.it

Sarà possibile, in cambio di 10 euro, gustare la “Merenda reale” anche in altri locali storici che aderiscono all’iniziativa di Turismo Torino
Il divertente vaudeville è rivisitato dal trio Beltramo / Insegno / Iossetti in prima nazionale
Luca alla sua Elisa
Dopo il vecchio mattatore shakespeariano di Servo di scena di Harwood, Il Teatrante di Bernhard e Don Chisciotte di Cervantes, Branciaroli mette in scena per la prima volta un testo di Pirandello
Un viaggio esistenziale dall’Italia verso gli ex teatri di guerra della Bosnia Erzegovina dove ancora oggi squadre di sminatori sono attive nella bonifica dei terreni. Nel conflitto tra dovere e coscienza si muovono i passi di un uomo in cerca di riscatto
lì. Questa è la storia, vera e dolente, narrata ne “Il successore”, che il giovane regista Mattia Epifani, trentenne leccese, porta sullo schermo raccontando un conflitto interiore che affligge molti, quello tra dovere e coscienza: la crisi di Fontana infatti nasce dal dovere decidere se seguire le orme del padre o se opporsi alla produzione di quell’oggetto distruttivo che sono le mine antiuomo. E sceglie la seconda strada. Reduce dal successo all’IDFA di Amsterdam, il più importante festival internazionale del film documentario, l’opera ( prodotta da Apulia Film Commission con la Fluid Produzioni) ha vinto come “Migliore Film sul mondo del lavoro” il Premio Cipputi al Torino Film Festival. Il film è stato realizzato grazie ai fondi del Progetto Memoria, un bando indirizzato alla produzione di piccoli grandi film con l’obiettivo di realizzare e promuovere il documentario di narrazione. “ Sono orgoglioso che Torino mi abbia regalato questo premio particolarmente legato all’attualità della condizione umana, del lavoro, della società civile. Questa non è la classica vicenda di redenzione ma il racconto di un uomo che ha rinnegato se stesso per darsi una seconda possibilità”, ha sottolineato Mattia Epifani.
Nella pellicola, che dura 52 minuti, la difficile storia di Vito Alfieri Fontana, scorre parallela per una buona metà del film a quella di uno sminatore bosniaco che durante una missione ha perso una gamba. In un secondo tempo, si scopre che i due sono diventati amici e collaboratori, dal momento che Fontana decide di dare una svolta alla sua vita. Un film sobrio e corretto, affidato sostanzialmente a quattro serie di contributi: un diario a ritroso di Vito Fontana, che in voce fuori campo commenta e “riassume” bilanci sulla sua vita, l’attività del futuro collega bosniaco, uno sguardo intenso su natura e paesaggi balcanici, freddi e muti scenari di una guerra del passato, e una raccolta minore di filmati di repertorio, pescati per lo più tra materiali pubblicitari o promozionali dell’azienda Tecnovar. E’ proprio in quei luoghi, sul monte Trebević ( la montagna più bella di Sarajevo) , nei pressi dei resti della pista da bob, residuo delle Olimpiadi invernali del 1984, che ho conosciuto Vito Alfieri Fontana, mentre stava bonificando quell’area dagli ordigni. La sua è una storia di scelte e di coraggio, e il film – con sobrietà ed efficacia – gli rende merito. Emerge su tutto il protagonista che sfugge alla facile glorificazione delle sue scelte ammettendo, con grande amarezza, raccontando la sua esperienza, di aver fatto a malapena il suo dovere. Ma, a differenza di tanti, ha avuto la forza di farlo, ha messo in discussione la sua vita, le scelte e il lavoro,ripensandosi. Un giro netto di vita, una svolta che offre anche, in un contesto duro e drammatico, una speranza.
Nei comuni dell’Unione Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone
LE INCHIESTE DEL “TORINESE”
quelle dei palazzi storici avevano il colore grigio della polvere, ed erano polverosi anche i musei, meta di un pubblico quasi interamente locale. Di sera, poche luci e vetrine spente, e d’estate il deserto. L’intera città si spostava altrove per le ferie. Le piazze del centro assumevano il carattere metafisico dei quadri di De Chirico. Gli alberghi, in tutte le stagioni, chiudevano il sabato e la domenica, quando gli uomini d’affari in trasferta tornavano dalle loro famiglie.
La scarsa attrattività del capoluogo, peraltro, si riverberava su tutta la regione. Solo poche aree erano in grado di attrarre turisti: il lago Maggiore, le montagne del Sestrière, il Gran Paradiso. Le politiche e le strutture per la promozione turistica erano pressoché assenti. L’inversione di tendenza si avvia negli anni ’90, con le amministrazioni Castellani e Ghigo. Ma è a partire dagli anni 2000 che il quadro cambia radicalmente. L’esplosione della popolarità di Torino si ha nel 2006, l’anno delle Olimpiadi. Sullo sfondo, però, già da tempo, c’è la crisi della Fiat. Dopo aver rischiato il fallimento, il colosso automobilistico riesce
faticosamente a risollevarsi, ma abbandonando per sempre il ruolo che aveva avuto un tempo, di motore dell’intera economia piemontese. Gli occupati del comparto automotive, che negli anni d’oro, contando anche l’indotto, erano stati molte decine di migliaia, si riducono a qualche migliaio di addetti, spesso obbligati, per periodi più o meno o lunghi, alla cassa integrazione. È questo, nei fatti, il contesto in cui si attua la trasformazione del volto di Torino, da grigia e caotica capitale dell’auto – ricca – a città d’arte di importanza riconosciuta, significativamente impoverita ma splendente, pulita (almeno in centro) e orgogliosa di sé come non accadeva dai tempi del regno sabaudo.
Nulla, ovviamente, avviene per caso. La metamorfosi di Torino e del Piemonte è stata fortemente voluta, tanto dalle amministrazioni comunali e regionali che dagli attori economici superstiti, preoccupati di dare a città e regione delle nuove opportunità, rimediando almeno in parte, con questa e altre iniziative, all’immenso “vuoto Fiat”. Inutile chiedersi se questo vuoto sia stato riempito dal turismo. Storicamente, il peso del turismo sul PIL di un Paese è inversamente proporzionale al suo grado di sviluppo. Il comparto del turismo, in altri termini, produce certamente un movimento di denaro, ma non paragonabile ai flussi di capitale che vengono naturalmente attivati dall’industria. La cultura, allo stesso modo – l’altro grande capitolo su cui Torino e il Piemonte hanno puntato molto – è un investimento di lungo periodo, da cui è inutile aspettarsi grandi ricadute economiche.
Piuttosto che considerare la carta turistica come la panacea di tutti i mali, insomma – oppure, peggio, come la sottile glassa di zucchero che ricopre l’amara pillola della decadenza – è meglio prenderla per quello che è: un’operazione che, nel rendere la città più attraente per i visitatori, contribuisce a migliorare la qualità della vita dei residenti, dando una mano, ovviamente, ad alcuni settori economici. Il tutto in attesa che gli sforzi impiegati in altre iniziative – forse meno attraenti ma si spera più redditizie – tornino a muovere significativamente l’economia. Ma qual è la situazione del Piemonte rispetto al resto d’Italia? Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza del nostro sistema turistico? Cosa si è fatto e cosa si può fare, ancora, per sfruttare pienamente le potenzialità del comparto? Come è cambiata la vita dei torinesi e dei piemontesi, da quando il turismo è divenuto un pezzo importante dell’economia locale?
settimo al mondo per entrate valutarie turistiche. I visitatori stranieri spendono in Italia poco più di 45 miliardi di euro l’anno (il dato è del 2014), facendo del turismo una delle principali voci del nostro export (esattamente, il 3,1% degli scambi con l’estero). Solo negli Stati Uniti, in Spagna, in Francia e in Cina i turisti stranieri spendono di più. Nel complesso, calcolando anche il turismo interno (quello, cioè, degli italiani che vanno in vacanza nel Bel Paese), il volume d’affari del turismo raggiunge in Italia la ragguardevole cifra di 81,3 miliardi di euro. Le persone impiegate nel settore turistico-alberghiero e della ristorazione sono circa 2,6 milioni.
L’altro dato poco confortante riguarda la quota di mercato detenuta dall’Italia nell’ambito del turismo internazionale. È vero, infatti, che negli ultimi anni il numero dei turisti nel nostro Paese è aumentato costantemente. Se paragonato alla crescita della domanda di turismo che si è avuta nello stesso periodo a livello mondiale, però, il ritmo di crescita è stato davvero lento. Tra il 2000 e il 2013, nel mondo, i ricavi turistici sono raddoppiati, ma solo in minima parte si sono riversati qui. Se nel 2000 andava all’Italia il 5,8% dei ricavi mondiali da turismo, nel 2013 questa quota è scesa al 3,7%. A condizionare il calo è stato, in parte, il proliferare di nuove mete vacanziere, pronte ad accogliere i turisti provenienti da Paesi emergenti come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina. Ma ha fatto la sua parte anche la crisi del nostro mercato domestico – il turismo interno – che da diversi anni appare in calo (nel 2013, per esempio, rispetto al 2012, gli arrivi “dal resto d’Italia” sono calati del 2,5%, mentre i pernottamenti sono scesi del 4,1).
In questo contesto, fatto di luci e ombre, Torino e il Piemonte si sono comportati molto bene, registrando numeri sempre superiori a quelli medi del Paese. Da sempre ignorati (o quasi) dai tour operator, hanno attuato delle politiche di rilancio che hanno saputo trasformare il volto della città e della regione, producendo degli effetti significativi anche sulla percezione del pubblico italiano e internazionale. Oggi, agli occhi di molti, Torino è una delle più belle città d’Italia (“la più bella”, ha detto Vittorio Sgarbi di recente al nostro giornale). Il cuneese, l’astigiano e l’alessandrino, intanto, da aree misconosciute – note solamente per l’importanza di alcuni vini e per la presunta “chiusura” degli abitanti – sono salite agli onori delle cronache.
Torino è stata la sede di una miriade di eventi sportivi, spesso di rilevanza internazionale. Nel frattempo, è stata Capitale mondiale del libro, Capitale del design, sede del Congresso mondiale degli Architetti, Capitale europea della Scienza, Capitale europea dei Giovani, ospitando anche, nel 2011, le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.Lentamente, ma neppure troppo, l’immagine di Torino ha cominciato a cambiare e molti hanno preso a parlarne, a visitarla e spesso a tornarne entusiasti. Non per gli eventi in sé, ma per l’esperienza che hanno vissuto: spazi accoglienti, strade pedonalizzate, arredi urbani coerenti, vetrine luminose, locali e ristoranti di qualità; e un’offerta culturale vastissima.
Si è cercato, in poche parole, di andare incontro alla domanda turistica degli ultimi anni, che non concepisce la vacanza come un semplice periodo di riposo, ma come un’occasione di arricchimento personale, nella quale ciascuno intende soddisfare le sue personali aspettative ed esigenze specifiche, che spaziano dal ristorante tipico alla performance artistica, dalla musica antica a quella elettronica, passando per lo shopping e per le più classiche visite a mostre e musei. È questa la ragione per cui si è fatto il possibile per dare risalto alle più disparate risorse artistiche e culturali della città e del suo territorio, ma anche a quelle enogastonomiche e dell’accoglienza. L’imperativo era: accontentare tutti. Nella consapevolezza che, nell’era di internet, migliaia di viaggiatori sono portati a condividere in rete le impressioni ricevute, e che un solo commento negativo tende a prevalere su dieci
recensioni entusiastiche, e va quindi, nei limiti del possibile, evitato. Un percorso analogo, a partire da un contesto diverso, è stato seguito in alcune aree rurali del Piemonte, fino a ottenere, nel 2014, il riconoscimento delle Langhe, del Roero e del Monferrato – oggi le più importanti mete agrituristiche italiane – a Patrimonio Unesco dell’Umanità.

L’angolo del Private Banker /