Magnifica Torino / La Torino City Marathon
Esistono numerose varianti della ricetta tradizionale che prevede esclusivamente l’utilizzo di pochi ingredienti di ottima qualita’: acciughe, aglio e olio
La Bagna Cauda e’ senza dubbio uno dei pilastri della cucina piemontese, ed ha origini lontane nel tempo. E’ una ricetta semplice ricca di gusto e passione che esalta la convivialita’, un rito simbolo di amicizia ed allegria poiche’ in genere la “bagna” si consuma in compagnia. Esistono numerose varianti della ricetta tradizionale che prevede esclusivamente l’utilizzo di pochi ingredienti di ottima qualita’: acciughe, aglio e olio. Vi propongo la mia variante modernizzata per “addolcire” l’intingolo.
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Ingredienti per 4 persone:
2 teste d’aglio intere
1 etto di acciughe “rosse” di Spagna sotto sale a persona
200ml di olio evo
200ml di latte intero
200ml di panna da cucina
acqua e aceto q.b.
Verdure fresche di stagione a piacere (cardo gobbo, cavolo verza, topinambur, peperoni arrostiti, patate lesse, cipolle al forno, barbabietola ecc.)
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Dissalare velocemente le acciunghe in acqua e aceto e ridurre a filetti. Preparare l’aglio eliminando il germoglio centrale di ogni spicchio poi, affettare sottilmente. Far cuocere a fuoco lentissimo l’aglio in 100ml di latte sino a quando e’ tenerissimo, scolare il latte e ridurre in poltiglia. In una terrina di coccio (“fojot” in piemontese) versare l’olio e quando e’ caldo mettere le aggiughe e la crema di aglio, rimestare con un cucchiaio di legno sino a quando e’ tutto sciolto infine, aggiungere la panna ed il rimanente latte. La salsa e’ pronta per essere servita bollente in ciotole di terracotta singole per ogni commensale. Abbinamento perfetto con un giovane barbera vivace.
Paperita Patty
Parte 2
Nel continuo intento di farci risparmiare tempo e fatica (ecco come nasce l’esperienza, ma purtroppo anche certi schemi mentali difficili da sradicare) il nostro cervello a volte sbaglia, nel suo tentativo di semplificarci la vita. Facendoci arrivare a determinazioni e conclusioni rapide.
In tal modo certamente risparmiandoci ogni volta un faticoso e lungo lavoro di ponderazione e di valutazione, ma talvolta semplificando eccessivamente la realtà. È certamente questo il caso dell’effetto alone. Nella nostra vita questa dinamica ci si ritorce contro a volte con conseguenze davvero molto gravi.
Conoscendo l’esistenza dell’effetto alone e le dinamiche che ne derivano, possiamo però anche essere in grado di sfruttarle a nostro favore, usandolo consapevolmente. Sia per valutare in modo più veloce e corretto le altre persone, o certi oggetti (pensiamo agli inganni da effetto alone di molta pubblicità…) in molteplici situazioni.
Ma anche di esprimere al meglio noi stessi attraverso il modo in cui ci presentiamo nei vari ambienti, in modo da suscitare le reazioni a noi più favorevoli… Specialmente negli ultimi tempi il fenomeno dell’Effetto Alone è stato analizzato anche relativamente al settore commerciale e del marketing dei prodotti, poiché esso condiziona il nostro giudizio.
È la percezione che abbiamo anche sui prodotti, in special modo quelli appartenenti a uno specifico brand (o marchio o linea di prodotti). Per via di questa ingannevole distorsione mentale, le case produttrici più famose e prestigiose in genere godono di un sostanziale vantaggio. Nel senso che che beneficiano del fenomeno Effetto Alone quando lanciano un nuovo prodotto.
Nel caso in cui la marca venga percepita con un giudizio positivo dai consumatori. Se in precedenza la casa produttrice ha commercializzato un prodotto di successo, gli acquirenti tenderanno ad estendere il giudizio positivo dato al prodotto precedente anche sul nuovo prodotto, pur non sapendo ancora nulla delle sue caratteristiche.
(Fine della seconda parte)
Potete trovare questi e altri argomenti legati al benessere personale sulla Pagina Facebook Consapevolezza e Valore.
Roberto Tentoni
Coach AICP e Counsellor formatore e supervisore CNCP
www.tentoni.it
Autore della rubrica settimanale de Il Torinese “STARE BENE CON NOI STESSI”
Grazie alle sorprese pensate dallo chef Antonio Chiodi Latini che dal 2016 porta avanti il suo ristorante di cucina totalmente vegetale a Torino, quello proposto per il 2024 sarà un Natale verde, buono e sostenibile. Una rivoluzione alimentare che pone le materie prime vegetali e la sostenibilità al centro di una proposta gustosa, sana e leggera, ma mai semplice e banale. Per il periodo delle Feste, Antonio Chiodi Latini ha pensato a diverse possibilità regalo, compresa una card per un viaggio nella cucina vegetale in tre percorsi di degustazione più un corso di cucina pensato per 4 persone, che comprende anche pranzo, perfetti per un regalo di Natale originale, oppure per passare del tempo in famiglia condividendo valori sani. I percorsi di degustazione al ristorante prevedono sette interpretazioni, vini esclusi, a 140 euro; 9 interpretazioni, vini esclusi, a 180 euro; 7 interpretazioni, vini inclusi, a 220 euro. Il corso di cucina con Chiodi, per 4 persone, pranzo incluso, è di 400 euro. Interessante anche la proposta realizzata per Emporio Vegetale, il brand di prodotti vegetali pret à manger, realizzato sui ricettati di Chiodi Latini, che vede delle gift box regalo, in diversi formati, e il panettone classico o al cioccolato da condividere durante le Feste. L’Emporio Vegetale offre, nella gastronomia presso IperBiobottega di corso Regina 440, anche un’ampia proposta per pranzi e cene delle Feste, realizzate con prodotti che rispondono ai valori etici e qualitativi di Emporio Vegetale Chiodi Latini, valorizzando le materie prime in abbinamenti insoliti e appaganti che rendono la tavola gustosa e colorata.
Per tutti i dettagli, consultare il sito emporiovegetale.it
Mara Martellotta
“La Magia del Natale” a Nichelino
Dall’8 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025 torna La Magia del Natale a cura degli Assessorati agli Eventi, Tradizioni Locali e Terza Età, al Commercio e alla Cultura, in collaborazione con Confesercenti Nichelino, Associazione Amici dell’Arpino e Associazione Patela Vache.
Le principali piazze e vie cittadine ospiteranno le luminarie e i decori natalizi, le decorazioni granny (in piazza Di Vittorio) e l’albero granny (in piazza Camandona).
L’intero programma di seguito e sul sito https://comune.nichelino.to.it/2024/11/21/la-magia-del-natale-a-nichelino-2024/
8 DICEMBRE
LA VIA DEL NATALE
Via Torino ore 9.00 – 19.00, da ang. Via M. D’Azeglio ad ang. Via Cuneo
Negozi aperti e bancarelle natalizie, prodotti artigianali, hobbysti e stand solidali con le associazioni di volontariato del territorio.
Intrattenimenti musicali con la Junior Band “G. Puccini”, zampognari, artisti di strada e animazioni itineranti, Babbo Natale Dj, pista delle mini-moto elettriche, mago Perry, punti musicali e baby dance, cosplay supereroi.
In caso di maltempo la manifestazione sarà spostata al 15 dicembre 2024.
A CASA DI BABBO NATALE
Piazza Di Vittorio ore 10.00-18.00
Grande casa di Babbo Natale e Albero gigante.
Tutti i bambini sono attesi nella casa di Babbo Natale per la consegna della letterina.
Tanti giochi per tutti: La Ruota delle Feste, Enigmi e arrovelli, Quizzettone di Natale, Fabbrica dei giochi di antichi, Mattoncini per tutti, Zucchero filato.
In caso di maltempo la manifestazione sarà spostata al 6 gennaio 2025
14 DICEMBRE
IL PRESEPE VIVENTE – 2° edizione
Borgo Antico di Nichelino – via del Castello- ore 15.00-20.00
Presenza di figuranti e allestimenti con costumi e scenografie della Betlemme di 2000 anni fa, oltre a vari punti/eventi di intrattenimento: rievocazioni storiche, laboratori per bambini e famiglie, musiche, punto di ristoro presso il Factory e cena romana il 15 dicembre alle ore 20.30 su prenotazione presso Open Factory. A cura del comitato Presepe Vivente con le seguenti associazioni: Noi Fiducia, , Salotto Educativo, Cambiamentis, La leggerezza dei piccoli passi, , Gruppo Storico Conte Occelli, Patelavache, Laudato Si’, Panacea, Fidas, Gruppo Scout FSE Nichelino 1 Christian Patteri, Stupinigi è…, Il Sorriso, e anche la famiglia Ceresa, A.N.C. Nichelino, Croce Rossa Italiana, Comitato di Nichelino e il gruppo comunale di Protezione Civile.
12 DICEMBRE
AUGURI IN MUSICA PER LA TERZA ETÀ – Centro d’incontro “Nicola Grosa” (via Galimberti 3), ore 15.00 – 18.30 scambio di auguri e saluti dell’Amministrazione Comunale. Ingresso libero.
20 DICEMBRE
QUIZZONE DI NATALE, gioco a premi per tutti, presso il Centro d’incontro “Nicola Grosa” (via Galimberti 3), a partire dalle ore 20.30. A cura di ASSOCIAZIONE KAIROS. Per info e prenotazioni inviare una mail a kairos.nichelino@gmail.com.
BABBO NATALE PER LE VIE
A cura di C.R.I. Comitato di Nichelino, dall’8 al 23 dicembre 2024 e il 6 gennaio 2025 Babbo Natale e i suoi aiutanti Elfi rallegreranno le vie e le feste di quartiere a bordo della CRI…stmas Jeep! Il 6 gennaio cercate la Befana nelle strade cittadine!
TUTTI A TEATRO!
TEATRO SUPERGA, piazzetta Macario 1 – Nichelino
Sabato 14 dicembre ore 21.00
“L’Altro Giacomo” di e con Renato Raimo. Spettacolo di beneficenza a cura dell’Associazione Acto Piemonte, Città della Salute e della Scienza di Torino e Comune di Nichelino il cui ricavato verrà destinato al reparto di Ginecologia e Ostetricia 4 del Presidio Sant’Anna, per il percorso di riabilitazione pelvica oncologica. Info e prenotazioni info@eventuallyevents.it.
Domenica 15 dicembre ore 20.30
Spettacolo di beneficenza a cura dell’Associazione Altro Domani. Evento benefico il cui ricavato andrà a sostenere la lotta alle malattie neuromuscolari. Info e prenotazioni segreteria@altrodomani.it
Venerdì 20 dicembre ore 21.00
CONCERTO GOSPEL con Free Voices Choir. A cura dell’Associazione S. Matteo onlus. Il ricavato andrà a sostegno dei progetti di accoglienza di bambini bielorussi e ucraini e di cooperazione nei loro villaggi di provenienza. Info e prenotazioni biglietteria@teatrosuperga.it
Giovedì 26 dicembre ore 18.00
GRAN GALÀ DELL’OPERA CON Eclettica – Orchestra giovanile di Estemporanea – Per info: biglietteria@teatrosuperga.it
Sabato 28 dicembre alle 18.00
Il Mago di OZ di O.P.S. – Officina Per la Scena. Spettacolo natalizio gratuito per bambini. Per prenotazioni: biglietteria@teatrosuperga.it – 011 627 9789
ARRIVA LA BEFANA!
6 gennaio 2025 ore 15.30-18.30 – Centro d’incontro “Nicola Grosa” (via Galimberti 3) – Un pomeriggio di giochi e divertimenti. La Befana donerà una calza a ogni bambino (fino ad esaurimento). A cura del Comitato di gestione Centro Grosa.
Natale è Reale alla Palazzina di Caccia di Stupinigi
30 novembre / 1 – 7 – 8 – 14 – 15 – 21 – 22 dicembre 2024 dalle 10.00 alle 20.00
Il 14 dicembre ci sarà la “Notte bianca” con apertura fino alle 22.30Nella magica Palazzina di Caccia di Stupinigi vivrete un’esperienza natalizia speciale. Il fantasmagorico Villaggio di Elfi ricco di nuove attrazioni e suggestioni, sarà popolato da elfi a lavoro per divertire con performance di circensi, storie, giochi e bellissimi laboratori con cui sprigionare la creatività realizzando un oggetto natalizio da portare a casa.Santa Claus accoglierà I più piccoli nella sua nuova casa per ricevere le letterine di natale. Poi ci saranno l’area selfie natalizia, il mercatino di natale, l’area xsmas street food, la possibilità di visitare il museo della Palazzina di Caccia, l’ingegnoso Presepe meccanico e il Musical natalizio. Il programma completo è consultabile sul sito www.natalereale.it. A cura di AD Eventi&comunicazione srl.
Io sono il maschio
Anche quest’anno, il 25 novembre, si è celebrata da più parti la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.
Mai come negli ultimi anni alcuni delitti efferati, compiuti a danno di donne da parte dei loro compagni o fidanzati, rendono evidente le necessità di cambiare qualcosa, di far si che questi delitti siano soltanto più un ricordo di un’epoca barbarica.
Ma cosa si può fare? Dove occorre agire perché la soluzione sia efficace? Sicuramente è necessario lavorare su più fronti: da un lato rendere edotte le possibili vittime di quali mezzi lo Stato metta a loro disposizione (patrocinio gratuito, segnalazione anonima della violenza, ecc), dall’altro educare i maschi, fin dall’adolescenza, che la donna non è una proprietà esclusiva del compagno, che se una donna dice no non vuol dire si, che un vestito non è necessariamente un invito.
L’anno scorso, per il 25 novembre, realizzai proprio un video dove alcune donne, nella loro lingua (russo, rumeno, cinese, francese) dicevano “Il mio vestito non è un invito” (My dress doesn’t mean “yes”) e l’iniziativa fu apprezzata dalle comunità etniche di queste persone prima che dagli spettatori.
Ma fin quando non andremo ad agire sulla vera causa del problema saremo sempre sconfitti in questa lotta senza età, senza confini, senza distinzione fra titoli di studio, luoghi di nascita e professioni.
Dunque, non soltanto repressione dei comportamenti errati e dei reati sia con provvedimenti amministrativi quale l’ammonimento del Questore o penali, ma anche e soprattutto preventivi, educando ad esempio i giovani a cambiare il modo di agire nei confronti del sesso femminile.
Se in casa il padre-padrone ha sempre schiavizzato la moglie facendosi servire, urlando appena qualcosa non viene fatto bene, prendendosi tutta la libertà possibile ma impedendo alla moglie anche solo di pranzare con la sorella o i colleghi, è evidente che i figli saranno indotti a ritenere che quello sia il comportamento da assumere nei confronti della loro futura moglie, anche solo inconsciamente. Insegnare loro che, ogni atto sessuale, dal più comune al più fantasioso, siano legittimi solo se accettati da entrambi significa far capire ai futuri mariti che una donna, mediante il matrimonio, non diventa di proprietà del marito ma, anzi, che entrambi hanno l’obbligo di prendersi cura dell’altro coniuge, del suo benessere, lasciando la libertà desiderata.
Occorre insegnare ai giovani, spesso privi dei giusti strumenti culturali, che i film porno trasmettono un ideale di coito, di rapporto sessuale nelle sue varie declinazioni, totalmente errato, difforme dalla realtà quotidiana, complice il montaggio cinematografico e la professionalità degli attori.
Non si spiega, altrimenti, l’aumento di numero dei maschi in una relazione stabile che ricorrono alle prestazioni delle prostitute per avere, è evidente, qualcosa di diverso da ciò che le loro compagneerogano solitamente; molti di loro, però, ottengono ugualmente la prestazione dalla compagna senza curarsi se la compagna sia consenziente o se, una volta concesso il consenso, cambino idea com’è nella natura umana.
Ecco, quindi, che il rapporto, penetrativo o no poco importa, che dovrebbe cementare l’intesa della coppia giorno dopo giorno, si trasforma in un momento di terrore, di incubo al solo pensiero che stia arrivando l’ora di andare a letto, stia tornando lui a casa o che terminato il ciclo lui pretenda di nuovo la prestazione sessuale.
Appare subito evidente come, se da un lato non vi sia la minima nozione di fisiologia, di anatomia e di psicologia, dall’altro vi sia l’imprinting familiare a dettare le regole della convivenza: l’uomo ordina, la donna esegue, il maschio decide, la femmina subisce, il marito (o il compagno) sono liberi come se fossero single, la moglie deve sottostare ai permessi del marito.
E’ palese che una simile mentalità debba necessariamente essere estirpata dalla nostra cultura, che vada combattuta con ogni mezzo lecito, che vada convertita in una reale parità di diritti, in pari opportunità.
Quante lettrici di questo articolo possono dire, in totale onestà, che il marito va a fare la spesa, lava i piatti, aiuta i figli a fare i compiti, stende il bucato o, ma qui siamo nella fantascienza, stira?
Quante donne, nella nostra società, sanno rifiutare l’imposizionedei genitori di sposare il fidanzato che piace a loro perché altrimenti “esci per sempre da questa casa”?
Se le donne imparassero a fare quadrato tra di loro, a sostenersi quando una collega, una compagna di scuola, una vicina o un’amica si trova in difficoltà, magari per colpa di genitori con l’intelligenza di un’ameba, o che appena effettuato il test di gravidanza positivo vengono abbandonate dal compagno, sicuramente non dovrebbero restare accanto al compagno (o in famiglia, la violenza non guarda lo stato di famiglia) e potrebbero vivere la vita che ogni essere umano merita.
Ma finché fotografiamo le panchine rosse, facciamo i girotondi e sfiliamo in corteo, sperando che tutto si risolva ipso facto, continueremo a leggere cronache di morti annunciate.
Sergio Motta
Sex coach
La Bottega Contemporanea Passaparola di Vinovo
SCOPRI – TO alla scoperta di Torino
La Mandrialoonga conclude le Camminate Reali
Domenica 1 dicembre l’ormai tradizionale Mandrialoonga concluderà il programma delle camminate Reali 2024 della Venaria Reale, proponendo un’esperienza ulteriormente suggestiva ed affascinante per i viandanti che, in compagnia, passo dopo passo, parteciperanno numerosi all’iniziativa. Anche quest’anno i tre itinerari svolti hanno registrato la presenza di migliaia di persone, alla scoperta del territorio e delle Residenze Reali Sabaude del Piemonte che lo rappresentano, ammirandone scorci indimenticabili e curiosando tra le sue storie.
La Mandrialooonga prevede due percorsi a scelta ad anello di diversa lunghezza ( 26 e 12 km) che, tra paesaggi sorprendenti immersi nei colori dell’autunno del Parco della Mandria e zone limitrofe, partono e si concludono entrambi nella magnificenza dei giardini della Reggia si Venaria, con il meritato pranzo finale previsto negli imponenti spazi della Citroniera juvarriana.
Il programma delle camminate Reali nasce con l’intento di realizzare nel tempo un cammino strutturato vero e proprio, che valorizzi turisticamente le Residenze sabaude e il loro territorio di pertinenza attraverso un approccio di visita nuovo e consapevole rispetto alle tematiche culturali e della sostenibilità, rivolgendosi ad un target di settore sempre più numeroso e partecipe. Le camminate Reali si presentano come una manifestazione non competitiva aperta a tutti e prendono spunto dal libro racconto di Enrico Brizzi “La via dei Re. Viaggio a piedi tra le Residenze sabaude” , proponendosi come una prima espression3 di tale cammino da ripetersi negli anni.
Per iscrizioni, informazioni, aggiornamenti:
camminatereali.it, residenzerealisabaude.com, la venaria.it
Lucia si faceva chiamare Camelia. Per quale ragione avesse scelto quel nome di battaglia era un mistero. Gianpiero, il Bruno, sosteneva derivasse dalla passione per le piante che il padre coltivava nel parco della Villa delle Rose, dove svolgeva la mansione di giardiniere per i marchesi d’Angera. Mario, il Milanese, accennava ad una storia ben diversa, riferita in confidenza da Giacinta, la miglior amica di Lucia. “Nel linguaggio dei fiori – raccontò – la camelia è sinonimo di bellezza e devozione eterna tra gli innamorati. Ma in questo caso l’amore è finito in tragedia quando Martino, il promesso sposo di Lucia, uscito in barca per pescare, era annegato durante un’improvvisa burrasca che l’aveva colto quand’era al largo di Stresa”. E forse quella era la ragione della malinconia che rivela il suo sguardo triste. Parlava poco, Camelia. Al peso che portava nell’anima per quella disgrazia si era aggiunto quello del padre che era stato deportato in Germania con un gruppo di altre persone, durante una retata delle SS. L’episodio, con le sue drammatiche conseguenze, era avvenuto sulla sponda magra del Verbano, a Sesto Calende, nei pressi della Savoia-Marchetti, l’azienda aeronautica che da poco aveva cambiato come in SIAI Marchetti. La villa dei marchesi d’Angera si trovava da quelle parti e il giardiniere venne arrestato insieme a un gruppo di operai accusati di aver sabotato gli aerei destinati alla Regia Aeronautica. Una dannatissima disgrazia per lui, di cui non si seppe più nulla, e anche per la ragazza che, orfana di madre morta nel darle la luce, era rimasta sola e senza parenti prossimi, se si escludeva un anziano cugino della madre che viveva a Saronno. Così Lucia prese la sua decisione. Contattati i partigiani della banda del Mottarone, si unì a loro con quel nome – Camelia – che crucchi e camicie nere impararono ben presto a temere. La notte profumava d’erba tagliata. Merico, nell’alpeggio più a est di Vidabbia, si era dato da fare con il taglio maggengo, per ottenere il foraggio più ricco di graminacee per le sue due vacche. Benedetto uomo! Grazie a quel latte, che generosamente ci forniva insieme ad un poco di farina gialla, si riusciva a calmare i brontolii della fame che salivano cupi dai nostri stomaci spesso vuoti. Rannicchiato dietro a un masso erratico, ricoperto di una patina verdastra di muschi e licheni, guardai su verso il crinale, oltre la chioma degli ultimi alberi. La luna, tonda e bianca come latte appena munto, segnava il profilo del monte Zughero. Poi, volgendo lo sguardo verso il lago, vidi che la luna riverberava quella sua luce sulla superficie dell’acqua, accarezzandola. Una larga fascia d’argento si stendeva tra le due sponde, da Baveno a Pallanza. Le isole Borromee parevano macchie scure e buie, annegate in quella luce. Le rive erano anch’esse tenebrose, con le poche luci soffocate dal coprifuoco. Pensai a chi era giù, nei paesi. Dormivano, dietro quelle persiane chiuse? O erano ancora svegli, tormentati dall’insonnia in quei tempi tristi e duri? E se dormivano, com’era il loro sonno? Sereno o agitato? Sognavano o il loro riposo era ghermito dagli incubi? Chissà. Io, intanto, qui di vedetta con gli occhi che tentavano di chiudersi per la stanchezza e la testa pesante, pensavo a come sarebbe stato il giorno in cui avremmo finalmente raggiunto la libertà, posando il fucile, tornando a casa. Ci saremmo arrivati, a quel giorno? E quando? E chi, di noi? Non certamente Maurizio, l’amico più caro di Camelia. Dinamite, così aveva scelto di farsi chiamare, era morto in quella maledetta, gelida alba sulle balze del monte Camoscio. Non era rientrato al comando. Attendemmo a lungo e poi mandammo alcuni uomini a pattugliare il bosco delle querce verso la cava di granito. Lo trovammo io e Pernod, all’indomani, morto. Era duro, rigido, con la pelle diafana per il freddo. Una smorfia in volto che pareva quasi un mezzo sorriso e la camicia lacera, strappata sul petto dalla raffica di mitra che l’aveva falciato. Accanto al suo, il corpo di Rolando. Aveva solo sedici anni e, con il suo moschetto, quasi più grande di lui, l’aveva accompagnato in quella che era stata la loro ultima missione. Camelia era distrutta dal dolore ma quando si riprese disse che l’avrebbero pagata quei delinquenti in camicia nera e i loro alleati tedeschi. Era il 24 dicembre, la vigilia di Natale del 1943. Una festa triste, dove nessuno ebbe voglia di aprir bocca. Solo Marcello, che aveva studiato in seminario, mormoro una breve preghiera: “L’eterno riposo dona a loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen”.
Marco Travaglini
Le discussioni con Arturo, fascista tutto d’un pezzo, erano spesso animate e a volte molto dure. Lui era convinto della bontà delle scelte del Duce, entusiasta del regime e profondamente legato alla politica nazionale e autarchica. Non era mai stato un violento anche se non ammetteva nessun tipo di errore per quanto veniva imposto in quegli anni ed era pronto a giustificare quasi tutto. Quasi perché su un punto s’incrinavano le sue certezze: chi non la pensava come i fascisti andava convinto, ragionando con tutta la passione necessaria ma mai si doveva usare la violenza. Le squadracce e le loro bravate, non godevano del suo plauso. S’arrabbiava, diventavano rosso in volto. Tutta quella violenza, le botte e le bevute d’olio di ricino imposte ai dissidenti, andavano non solo criticate ma anche condannate. Arturo sosteneva che il vero fascismo non fosse quello. La rivoluzione sociale non poteva degenerare e il riscatto del popolo non doveva affermarsi con imposizioni e discriminazioni. Le nostre discussioni, all’osteria davanti all’imbarcadero di questo piccolo paese sul lago Maggiore, assumevano toni molto forti ma non degeneravano mai in uno scontro vero e proprio. Arturo portava rispetto per chi non condivideva il suo punto di vista e concludeva i suoi ragionamenti con una frase precisa, sempre la stessa: “Sei più testardo di un mulo e non vuoi vedere più in là del tuo naso. Ti convincerai che le cose andranno per il verso giusto. E chi sgarra, come questi matti che interpretano le direttive del partito con arroganza e violenza, pagherà per i suoi torti”. In realtà era lui, povero Arturo, a non persuadersi di ciò che stava accadendo attorno a noi, al clima sempre più pesante e opprimente, alla paura che induceva al silenzio, al clima di sospetto. Eravamo agli inizi ma già si intuiva che le cose sarebbero peggiorate, che il regime avrebbe mostrato il suo volto peggiore anche nei piccoli centri, nella provincia più profonda. Ogni dissenso era considerato tradimento, e come tale andava represso. Arturo se ne andò una mattina. Aveva trovato un impiego dalle parti di Castellanza come contabile in una manifattura tessile. Sembrava invecchiato precocemente. Parlava poco, non mostrava più l’ardore di un tempo. Qualcuno disse che un giorno, sul finire del 1938, ebbe uno scontro durissimo con alcune camicie nere che avevano prelevato dalla fabbrica due giovani operai accusandoli di essere ebrei e che, come tali, dovevano essere allontanati dalla produzione. Arturo li difese, gridando che il fascismo era nato per difendere il popolo e i lavoratori, che nessuno doveva essere discriminato, che quei metodi gli facevano schifo, ribrezzo. Venne malmenato e, una settimana più tardi, licenziato dalla direzione del cotonificio. Tornò da sua zia, l’unica parente che gli era rimasta dopo la morte, avvenuta molti anni prima, dei genitori. Era avvilito, provato. Mangiava poco e vagava a lungo, senza meta, tra i boschi e lungo le rive del lago. Un giorno sparì. E di lui non si seppe più nulla. Solo dopo la liberazione, venimmo a conoscenza della sua morte. La delusione profonda verso il tradimento dei suoi ideali l’aveva portato ad aggregarsi ad un gruppo di partigiani del varesotto e, durante un rastrellamento, era stato catturato e fucilato dai suoi ex camerati. Ci dissero che non aveva armi per sua precisa scelta: la violenza gli faceva orrore e si occupava solo di tutto ciò che poteva consentire alla banda di resistere tra quei monti, dal recupero del vettovagliamento alla logistica. Morì senza aver mai sparato un colpo. Vittima di quel regime che gli aveva acceso in cuore una speranza per poi spegnerla con l’arbitrio e la violenza.
Marco Travaglini