HOT PARADE
Di Simone Donati
Leggi la rubrica su “L’identità” ⤵️
https://www.lidentita.it/hot-parade-229/
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Domenica 26 maggio
Domenica 26 maggio prossimo, nel centro storico di Alba, l’evento di degustazione di Go Wine celebrerà i vitigni autoctoni del Piemonte raccontati dai produttori. Go Wine presenta la sesta edizione della Festa del Vino, appuntamento di degustazione dedicato alla valorizzazione dei vitigni autoctoni piemontesi, alla presenza dei produttori. Si tratta di un evento unico nel suo genere e di grande interesse per saper rappresentare insieme oltre 40 vitigni con i loro rispettivi viticoltori, nel contesto del centro storico di Alba, in piazza Duomo. Un evento nel segno della biodiversità nel mondo del vino, che consente agli appassionati di apprezzare la ricchezza del vigneto piemontese, tra i più importanti d’Italia. I molti vini presentati insieme promuovono diversi angoli della regione, evidenziando differenti aree di diffusione, come il Nebbiolo, per esempio, a varietà rare, oggetto di recupero nel corso degli ultimi anni (come il Baratuciat, il Bian Ver o l’Uvalino, per indicarne alcuni). Un omaggio al Piemonte che, nel panorama italiano, è forse quello col maggior numero di vitigni coltivati, raggiungendo risultati di eccellenza. Il panorama dei vini in assaggio sarà, di conseguenza, importante: dei molti vitigni, saranno presentate in degustazione più etichette. I vitigni più rari, spesso legati al lavoro di ricerca e valorizzazione di una o due cantine, saranno radunati in una speciale enoteca. La manifestazione si arricchirà, come in ogni edizione, di alcuni eventi collaterali, degustazioni guidate di approfondimento di un importante vitigno ospite e un incontro a parte con la cosiddetta “viticoltura del Nuovo Mondo”, rappresentata dal Sudafrica, con una selezione di vini tutta da scoprire.
“La manifestazione – affermano dall’associazione Go Wine – giunge alla sua sesta edizione e si inserisce tra le iniziative che Go Wine svolge da molti anni in Italia a favore dei vitigni autoctoni. È nata in Piemonte per raccontare la particolare ricchezza dei vini della regione e rafforza un tema caro all’associazione. Go Wine infatti, ogni anno, promuove un tour dedicato agli autoctoni in sei grandi città italiane, e promuove i vini del territorio come strumento per rafforzare l’enoturismo in Italia. L’evento di Alba rafforza l’impegno dell’associazione, sempre nel segno di generare occasioni che promuovano la cultura del territorio del vino e la loro conoscenza”.
Come in ogni edizione, l’associazione Go Wine promuove un’iniziativa a favore della ricerca in campo vitivinicolo. La città di Alba è sede dell’evento e il riferimento non è casuale. Per il ruolo che Alba ha nel mondo del vino, per le istituzioni presenti, come la Scuola Enologica e l’Università, come riferimento di un vasto territorio di vini d’eccellenza. La festa dei vini autoctoni del Piemonte si svolge con il patrocinio della città di Alba e con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.
MARA MARTELLOTTA
PENSIERI SPARSI di Didia Bargnani
In 3 mesi oltre 10.000 follower e non solo tra i giovani
Il nuovo canale TikTok lanciato da Turismo Torino e Provincia per la promozione di Torino e della sua provincia in collaborazione con BTREES Digital Agency di Ebano Spa, registra numeri importanti: tiktok.com/@turismotorino ha raggiunto, dopo appena tre mesi di sperimentazione, oltre 10mila follower e non solo tra i giovani con migliaia di interazioni anche da parte degli over 35. Alcuni video sono persino diventati virali.
L’apertura del canale social su una delle piattaforme più popolari del momento è stata voluta dall’ATL per descrivere, in modo muovo e coinvolgente, curioso e vivace, il passato, presente e futuro della prima capitale d’Italia e del suo incantevole territorio.
A tiktok.com/@turismotorino il compito di raccontare in maniera diretta, curiosa e vivace gli angoli più celebri ma anche più nascosti di una città e di un territorio ai turisti, italiani e stranieri, ma anche agli stessi torinesi e piemontesi con il supporto dell’agenzia BTREES che regolarmente, e forte della sua presenza nazionale, implementa il canale con contenuti owned e sempre più improntati alla live content creation.
“Siamo certi – sottolinea Marcella Gaspardone, Dirigente di Turismo Torino e Provincia – che l’apertura del canale ci permetta di instaurare un rapporto con nuovi e differenti target di turisti che sempre più si rivolgono alle piattaforme social per scegliere una destinazione di viaggio; aver affidato la strategia di comunicazione in termini di contenuto, frequenza delle pubblicazioni e utilizzo degli hashtag oltre che scelta degli influencer ad una società come la BTREES è un’arma vincente per la promozione della nostra destinazione“.
Per la promozione del territorio, BTREES ha inoltre ingaggiato alcuni tra i più celebri influencer locali che, con taglio differente, raccontano i diversi aspetti di Torino e della sua provincia: @isidaurum, che con il suo stile elegante e malinconico ci regala scorci unici; @carlambra, @clarainthemirror e @RitaCapparelli con le loro frizzanti incursioni per le vie della città; l’irriverente @emanuelcosminstoica che racconta l’accessibilità degli spazi cittadini; la seguitissima food influencer @foodfede e molti altri.
“A Torino abbiamo la nostra sede principale e collaborare per promuovere la nostra città e la provincia è un privilegio. Essere stati scelti per la comunicazione di TikTok è una conferma del buon lavoro che il team sta facendo su questo canale, soprattutto dopo la menzione ai TikTok Award di dicembre 2023” dichiara il CEO di BTREES Christian Zegna.
Chi è TURISMO TORINO E PROVINCIA
Turismo Torino e Provincia è il Convention & Visitors Bureau della città di Torino e della sua provincia con 312 comuni di competenza appartenenti a Torino Metropoli, Colline del Po, Ivrea e Canavese, Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone, Gran Paradiso, Alta Val Susa e Chisone, Val Susa e Sangone, Pinerolo e Valli Valdesi. La sua mission è quella di promuovere le risorse ed eccellenze del territorio verso il pubblico finale, i media e gli operatori turistici a livello nazionale e internazionale; accogliere e informare i turisti attraverso i 14 Uffici del Turismo presenti sul territorio e presentare la città come location ideale per la meeting industry.
Chi è BTREES
BTREES è la digital agency di Ebano S.p.A., holding leader a livello nazionale in diversi settori, dalla formazione a distanza all’editoria, dal marketing all’e-commerce. BTREES è stata la prima startup accelerata da Sellalab, polo di innovazione di Banca Sella. Oggi, è leader nel segmento Social&Web, SEO&Digital Analysis e Cross-Media. Al centro di BTREES, e di Ebano, ci sono quattro punti cardine che orientano il lavoro: valorizzazione, responsabilità, sostenibilità e innovazione. Con un team di 25 professionisti, guidati dal CEO Christian Zegna, BTREES ha conquistato la fiducia di piccoli e grandi brand. Importantissimo anche il consolidamento raggiunto con i clienti già acquisiti, che hanno permesso di sviluppare upselling di alto valore.
Tra i brand che hanno scelto BTREES: Banca Sella, Gruppo Fini, Le Conserve della Nonna, Phyd-Adecco Group, Emilgroup, Zegna Baruffa Lane Borgosesia, Fabrick, Brooksfield, Fintech District e molti altri.
A cura di piemonteitalia.eu
Leggi la ricetta ⤵️
https://www.piemonteitalia.eu/it/enogastronomia/ricette/agnolotti-di-stufato
Stavamo bevendo un bicchiere in compagnia quando Giorgio mi rivolse – all’improvviso – una domanda: “Ti ricordi quando andavamo per ciliegie?”. Ci misi un attimo, giusto il tempo di mettere le mani nel cassetto dei ricordi e – trovato il filo giusto – mi vennero in mente, nitidamente, quei tempi
A Giorgio erano state le amarene rosso scuro che la Maria aveva sistemato nel cestino della frutta ad accendere la “lampadina“. In quell’istante, la nipotina della Maria, ne prese due coppie, tenute insieme dai gambi, e se le appese come fossero orecchini. Ridemmo, entrambi, di quel gesto che, tanti anni fa, avevamo fatto anche noi, scherzando tra ragazzini. All’epoca si andava in “banda” per i poderi a far razzia. Tra la fine di giugno ed i primi di luglio, nei tardi pomeriggi di quelle calde giornate d’estate, si cercavano gli alberi più carichi di ciliegie. Era una “caccia” troppo invitante. Le ciliegie sono frutti allegri, dissetanti. Ci sono quelle dolci, zuccherose, a polpa tenera ( le tenerine) e a polpa più carnosa (i duroni). E poi, le amarene e le marasche. Con gli anni ho imparato altre cose: oltre ad essere buone fanno pure bene. Sono indicate nella cura di artriti, arteriosclerosi, disturbi renali. Contengono buone quantità di fibre, potassio, calcio, fosforo e vitamine. Ci si possono produrre sciroppi, marmellate e liquori come maraschino, cherry e ratafià. Insomma, c’è tutto un elenco di cose positive che fanno rima con ciliegia. Ma noi, all’epoca in cui eravamo ragazzi, piacevano soprattutto perché erano il frutto di un piccolo furto e questo fatto, accompagnato dall’avventura, dai rischi e dalla voglia di trasgredire, rendeva le ciliegie il “frutto proibito” per eccellenza. Mario era arrivato al punto di sostenere una tesi tutta sua: Adamo ed Eva erano stati cacciati dal Paradiso non per colpa di una mela colta senza permesso ma di un cestino di ciliegie rosse e carnose. Il rischio più grande era quello di trovarle “salate“.
***
Infatti, capitava che i contadini di un tempo, poco inclini a tollerare le nostre scorribande, ci accoglievano con una doppietta caricata a sale grosso, determinati a scoraggiarci con la minaccia di piantarci due schioppettate nel sedere. All’arrivo dell’estate, immancabilmente, sembravamo due eserciti in assetto di guerra. “Noi“, a gruppi di 4 o 5, lesti a salire sull’albero, cogliere le ciliegie al volo, riempire il sacco di tela o il cestino, cercando di fare il più in fretta possibile. “Loro“, i proprietari dei ciliegi dove cresceva quel ben di Dio, confezionavano cartucce di diverso calibro con sale grosso, in sostituzione dei pallini di piombo. Rinforzavano anche le linee difensive lungo i confini dei frutteti: reti metalliche orlate di filo spinato, staccionate, siepi irte di spine. Era la “guerra delle ciliegie” che, in altre località, si trasformava in una vera e propria “guerra della frutta”. Se i contadini erano i difensori del loro diritto alla proprietà privata noi, gli incursori che negavano questo diritto, sostenendo che la natura non aveva padroni, colpivamo senza pietà, svanendo subito dopo nei boschi e nella campagna circostante, a volte trascinandoci appresso i compagni feriti. “Lo si faceva per fame e per gioco. Per molti di noi era l’unico modo per mettere sotto i denti quella frutta che non potevamo comprare. Ed era una cuccagna perché a casa il cibo era scarso“, rammentava Giorgio. E, come un rosario, sgranavamo i nomi dei nostri compagni di quella guerriglia senz’armi: io e Giorgio, Mario, Luigino “Trota” – abilissimo nel pescare nei ruscelli e nel fiume -, Remo, Marco ed anche Marina. Era, quest’ultima, una ragazzina sveglia che dava dei punti a tutti noi. Ed era golosissima di ciliegie. Il campo di battaglia più duro era il frutteto del vecchio Roger Zuffoli, detto “il marsigliese“. Aveva un paio d’ettari piantati a frutta dove si trovava di tutto: susine, albicocche, pesche, mele, pere ed ovviamente ciliegie ed amarene. Verso il limite del bosco aveva anche noci e nocciole. Roger, piccolo e secco, vestiva i pantaloni alla zuava e camicie a quadrettoni mentre in testa teneva sempre il suo basco calato sulle “ventitré“. All’epoca poteva avere si e no una settantina d’anni, gran parte dei quali passati a scaricare merci nei porti di Marsiglia e di Tolone. Era tornato a Baveno già anziano perché, diceva, ” dopo tanta acqua salata ho sentito la nostalgia dell’acqua dolce del Maggiore“. In ricordo di quegli anni, al circolo comandava sempre un bicchiere di “pastis“, liquore profumato all’anice, tipicamente francese, che allungava con l’acqua di una caraffa dove galleggiavano dei grossi pezzi di ghiaccio. Attaccare le sue piante era molto ma molto rischioso. Raramente riuscimmo a farla franca ed una volta, quasi, ci lasciammo le penne. Quell’episodio, ancor meglio di me se lo ricorda Mario. Stranamente silenzioso, il frutteto pareva incustodito quella sera. Saranno state le diciannove o poco meno. Roger mangiava presto e quindi pensavamo fosse quello il momento giusto per compiere l’incursione. Invece il perfido vecchietto, mangiata la foglia, si era appostato dietro al piccolo fienile con la doppietta in mano.
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Non facemmo in tempo a renderci conto di quanto stava accadendo che l’eco dello sparo risuonò secco, costringendoci a tappare le orecchie. Colpito al sedere dalla fucilata di sale grosso, Mario cadde dal ramo. Dolorante si rialzò e tutti insieme corremmo a più non posso verso il bosco per far perdere le tracce. Mentre fuggiva a gambe levate, Mario sentiva il dolore delle ferite, poi il bruciore dei grani di sale che si scioglievano nella carne viva. Appena avvistò il ruscello, vinto dal bruciore, si gettò nell’acqua per calmare il fuoco che gli stava divorando il fondoschiena. Ma il rimedio si rivelò peggiore del male: l’acqua , accelerando lo scioglimento del sale, rese insopportabile il bruciore. Remo, appassionato collezionista di francobolli, portava sempre con se una pinzetta e con quella, tra le grida ed i lamenti di Mario, estraemmo i grani di sale, pulendo alla meglio le ferite. Per un po’, da quella sera, gli assalti vennero sospesi per poi, calmate le acque, proseguire per la disperazione dei contadini della zona, compreso Roger. Quella volta però, la “missione” si era conclusa senza il “bottino“. Mario , d’allora, non volle più prendere parte alle nostre imprese. L’invitavamo, lo pregavamo ma lui diceva sempre di no, opponendo resistenza. Diceva che lui, ormai, non aveva più “il sedere di una volta“. In cuor nostro non ce la sentivamo di dargli torto.
Marco Travaglini
Il cane è da sempre miglior amico dell’uomo.
E’ a tutti gli effetti un membro della famiglia, lo curiamo, ce lo portiamo in vacanza, spesso è un balsamo per la nostra emotività e capace di supportarci nei momenti difficili; il prendersene cura ci fa capire quale e’ il senso della disciplina e della responsabilità, prenderlo è un impegno serio, quando decidiamo di adottarlo e’ per sempre.
Ma come e’ nato questo idillio tra l’essere umano e il cane? Cosa li ha fatti entrare in relazione nello scorrere del tempo? Sembra che questa bella amicizia sia nata ben 30.000/40.000 anni fa e che il progenitore del cane, il lupo, si sia avvicinato agli insediamenti umani per approfittare degli scarti di cibo, rimasugli di pasti consumati quotidianamente. Questo approssimarsi tra le due specie ha fornito diversi vantaggi anche per l’uomo come, per esempio, un sistema naturale per l’eliminazione dei rifiuti alimentari e un servizio di sicurezza prestato dal lupo che dava l’allarme in caso di avvistamento di altri animali ritenuti pericolosi. Sia l’uomo che il cane sono particolarmente predisposti alla cooperazione e alla vita sociale, il feeling esistente tra i due esseri, umano e animale, tuttavia e’ dato soprattutto dalla capacita’ di connessione reciproca, da parte del cane attraverso la comprensione dei diversi stati d’animo, umori e perfino tratti della personalita’ del suo amico homo che, invece, e’ capace di leggere inclinazioni e sentimenti del suo compagno a quattro zampe grazie ad una gamma di espressioni, comportamenti e segnali caratteristici. Spesso si dice che i cani ci capiscano meglio dei nostri simili e questa verita’ e’ dedotta dal fatto che questi sensibili quadrupedi molto spesso sono in grado di leggere il nostro interno, sono capaci di avvertire la minima notifica di tristezza o di dolore nonostante l’assenza di un linguaggio comune che pero’, evidentemente, non impedisce uno scambio del tutto speciale .
Oltre all’alleanza emotivo-sentimentale, tra uomo e cane esiste una felice convivenza che ci porta a fare sport insieme, a viaggiare facendo coesistere le diverse necessita’, che spinge a socializzare e che di frequente rappresenta un valido aiuto in caso di difficolta’ nel movimento o di handicap fisici.
Ai nostri amici sono dedicati servizi sempre piu’ specifici come le diverse specializzazioni veterinarie, l’educazione, attivita’ di svago come la piscina o la socializzazione e i dog parking.
Il rapporto tra i due si e’ evoluto, dal mutuo e pratico supporto (decisamente sbilanciato a vantaggio dell’essere umano) ad un legame di reciproco affetto e attaccamento.
La prospettiva piu’ auspicabile e’ che questa relazione tra mondo antropico e genere canino progredisca ulteriormente attraverso maggiore rispetto nei confronti di quest’ultimo che troppo spesso subisce ancora comportamenti deplorevoli; un rapporto di parita’ di diritti nonostante le differenze e le diverse necessita’ e’ la speranza piu’ desiderabile e indiscussa manifestazione di civilta’.
Ma proprio nel momento in cui questa disposizione alla tolleranza, all’attesa e all’accettazione del tempo e degli eventi ci sembrava superata e inadeguata, ne abbiamo dovuto recuperare l’uso e la confidenza ridandole un valore attuale e senza scadenza. Parliamo della pazienza, termine che deriva dal latino patire, di una propensione alla attesa, di una non reazione avventata agli stimoli, non di passività tuttavia, non di rassegnazione ma di un equilibrio neutrale in un momento di difficoltà in cui l’azione immediata non dà frutti né risultati soddisfacenti, confermando semmai una sensazione di inevitabile impotenza.
Nel periodo di chiusura, di sospensione temporale ha abbiamo vissuto, di vita interrotta in cui non potevamo più muoverci liberamente, fare le cose di prima, marciare all’interno della nostra rassicurante routine, il virus, questo essere deforme e spaventoso, ci ha costretto a modulare anche le nostre reazioni, le nostre risposte emotive riportandoci sulla riva della pazienza appunto, della moderazione, della arrendevolezza.
Non è stato facile da gestire, non è stato semplice rallentare, aspettare, diluire e riorganizzare le nostre attività, abbiamo dovuto fare uso di qualità e abilità che pensavamo di non avere o di aver abbandonato definitivamente.
“La pazienza è amara, ma dolce è il suo frutto” diceva Jean-Jacques Rousseau, questo per capire che non è sempre comodo fermarsi a riflettere praticando la lentezza, ma il risultato di una attesa attiva può darci decisamente risultati migliori della fretta cattiva consigliera, di una reazione automatica e falsamente efficiente. L’approccio odierno e la gestione della nostra vita, figli di una cultura occidentale che non prevede pause e raccoglimenti, ma che persegue il risultato e il rendimento attraverso la conduzione di esistenze multitasking a ritmi serrati e senza respiro, dovranno certamente essere rivisti; una nuova coscienza fatta di riconsiderazione delle priorità e del tempo a nostra disposizione è l’unico futuro possibile se non vogliamo nuovamente essere trascinati in una esistenza che era nostra solo parzialmente.
Questa rivalutazione della pazienza ci aiuterà a guardare ciò che ci circonda con un occhio diverso, più consapevole, ci impedirà di vivere e affrontare le cose con smoderata attività e nevrotica inquietudine; il bottone per risolvere tutto istantaneamente non sempre funziona, questa epidemia ne è stata la testimonianza, abbiamo dovuto cambiare strategia e accettare di non sapere e ottenere tutto rapidamente, ci siamo dovuti fermare.
La pazienza sarà un mezzo autorevole e forte per non subire il tempo e le situazioni che ci impone la vita, una disposizione potente per non farsi trascinare, ma per scegliere di agire responsabilmente.
“Non c’è nulla di più forte di quei due combattenti là: tempo e pazienza.” diceva Lev Tolstoj
Maria La Barbera
Quanti di noi vorrebbero ricevere dal partner maggiori attenzioni, frasi dolci o anche solo maggior considerazione?
Alcune persone sono per loro natura poco propensi a manifestare i sentimenti, una sorta di avarizia emotiva; molti, invece, diventano così dopo una o più esperienze fallimentari in amore e, dunque, non hanno più il coraggio di lasciarsi andare, di comportarsi come prima, visti i risultati.
Io, però, vorrei concentrarmi su quelle persone che, non provando più interesse per l’altro, non hanno la capacità (o il coraggio) di dire basta o di palesare al partner il momento che stanno attraversando.
SI va dal caso limite del ghosting, cioè sparire dalla vita del partner non rispondendo a chiamate e messaggi, e non permettendo ad amici di fornire informazioni, ai casi meno patologici di raffreddamento del rapporto diradando la frequenza di messaggi e chiamate o riducendo la carica emotiva dei medesimi.
Parlo, naturalmente, di relazioni non conviventi ma di “fidanzamento” o relazioni adulterine, queste ultime in calo rispetto ad alcuni anni addietro, vuoi per il momento economico non favorevole (un hotel, una cena, un regalo comportano costi), vuoi per la paura di patologie a trasmissione sessuale.
A questo proposito non dimentichiamo che in Italia la vendita di profilattici è diminuita notevolmente negli ultimi anni, complice la convinzione che essere stati morigerati per qualche decennio abbia debellato le malattie inconfessabili, la cui diffusione è invece aumentata anche tra i soggetti più giovani.
Complice una scuola dove l’educazione sessuale è vista come il fumo negli occhi e una famiglia dove i grugniti sono più frequenti delle parole, il risultato non poteva essere diverso.
Pertanto, mancando il dialogo (in questo come in altri aspetti della vita umana), ogni problema, ogni scricchiolio nella relazione rimane irrisolto, non viene affrontato perché decidere è comunque faticoso, dimenticando che anche non decidere è, di per sé, una decisione.
Assistiamo, quindi, a rapporti che vengono mantenuti in vita in quello che chiamo accanimento terapeutico della relazione: abbiamo paura a dare un taglio per non ritrovarci nuovamente soli, perché tutto sommato non va così male, per non chiuderci una porta (dove la trovo un’altra che fa sesso così?) o perché non sappiamo che cosa vogliamo realmente.
Spesso, poi, ci accorgiamo di avere iniziato una relazione con la persona sbagliata: nessun difetto, nulla da recriminare, semplicemente non è come pensavamo; ammettere di aver sbagliato ci esporrebbe ad un giudizio da parte del partner e, al contempo, significherebbe ammettere a noi stessi di aver sbagliato, magari nuovamente.
Ecco, quindi, che cominciamo a diradare i messaggi, a non chiamare più tesoro o amore, usando il nome proprio, come si fa con gli amici; poi se prima erano cinque telefonate al giorno, diventano in breve tempo tre e poi una, causa giornate intense.
In alcuni casi, per la verità non moltissimi, tale cambiamento di abitudini è dovuto ad una nuova relazione parallela, magari appena abbozzata, che sta effettuando il periodo di prova, che ancora non sappiamo come sarà, ma che comporta per noi, per i maschietti soprattutto, l’incapacità di scindere le due storie e dare ad ognuna il giusto tempo, la giusta importanza e, soprattutto, il giusto merito; la donna, in questo caso, è molto più determinata e razionale dell’uomo e, oltre a decidere più in fretta, non ha tentennamenti.
Di fatto, proprio questa impulsività delle donne le porta a restare deluse dalle decisioni adottate senza riflettere.
Proprio oggi una signora, quasi cinquantenne, separata, mi ha detto di aver interrotto una relazione con un uomo sposato, rincontrato dopo quasi 40 anni, perché si era resa conto, dopo poco più di tre mesi, che desiderava un uomo libero sempre, che potesse dormire fuori, ecc. Chiedendole alcuni particolari, è venuto fuori che lui difficilmente avrebbe potuto fermarsi fuori abitando a 75 km da lei (di cui solo 35 di autostrada), che lei è molto più impegnata di lui avendo due figlie sempre con lei e non rinunciando ad alcuni impegni familiari e di altro genere. E’evidente che gli incarichi professionali, politici e di altra natura di lui, da quanto mi ha spiegato, l’abbiano disorientata al punto di essersi sentita strangolata, cosa che all’inizio non avrebbe mai pensato. Fin dall’inizio della loro relazione, infatti, lei aveva precisato di non voler dedicare a lui il giorno di riposo settimanaleper non modificare le proprie abitudini.
Non dico che non dovete provare emozioni, ma procedete per piccoli passi all’inizio: siete sicuri che così com’è la situazione vi vada bene? E se lui/lei non potesse poi separarsi per motivi di salute del partner? E se venisse trasferito? Se diventasse meno ricco, meno potente, meno qualcosa? Vi piacerebbe ancora?
Prendete tempo: se è il partner giusto, e ricordate che nulla accade mai per caso, lo troverete ancora lì. Se no, era destino che rimaneste nuovamente soli. Non saltate da un rapporto all’altro o la frustrazione aumenterà ad ogni fallimento.
Sergio Motta