DALLE MARCHE
Sulla provinciale Fogliense, all’altezza di Caprazzino, nelle Marche, una Golf guidata da un 23enne si è schiantata contro con un albero. Il conducente è morto sul colpo e l’amico a bordo, un 26enne polacco, ora ricoverato ad Ancona in gravissime condizioni, dopo essere stato soccorso dall’eliambulanza. Forse un colpo di sonno o l’elevata velocità le possibili cause. I ragazzi stavano rientrando da una festa.

giugno del 1900, centoquindici anni fa, in una vecchia famiglia di nobili ( uno dei suoi antenati aveva combattuto con gli americani a Yorktown, la battaglia che decise l’esito della Guerra d’indipendenza americana). Aviatore e scrittore francese, guardava all’avventura e al pericolo con gli occhi del poeta e, come si legge ne “Il Piccolo Principe” anche con quelli di un bambino. Belli ed emozionanti i suoi racconti sui primi voli aerei, tra i quali Volo di notte, L’aviatore e l’intimo Terra degli uomini. Durante la seconda guerra mondiale si arruolò nell’aeronautica militare francese e dopo l’armistizio nelle Forces aériennes françaises libres, dalla parte degli Alleati. Il libro “Lettera al Generale X e il senso della guerra”, uscito lo scorso anno, è una raccolta di lettere e brani (alcuni inediti in Italia) di Saint-Exupéry, in cui troviamo anche le sue ultime, commuoventi parole, quelle scritte all’amico Pierre Dalloz in una breve lettera — mai spedita — datata 30 luglio 1944, settantuno anni fa. Il giorno dopo sarebbe stato abbattuto in volo sul mar Mediterraneo. Questo libro rappresenta il testamento spirituale e artistico di uno dei più straordinari personaggi del Novecento. Saint-Exupéry racconta una storia diversa da quella del ragazzino dai capelli d’oro che apprende e soprattutto insegna.
In queste lettere l’autore francese si presenta al lettore come persona , aviatore, uomo in guerra, e soprattutto come chi ha un cuore alla ricerca di un senso per l’uomo e per la vita, con domande sulle ragioni di tante crudeltà e follie del conflitto bellico. La sua morte in volo restò per molti anni misteriosa, finché nel 2004 venne localizzato e recuperato il relitto del suo aereo. Colpito da un caccia tedesco nel mare antistante la costa marsigliese, il Lockheed P38 Lightninga bordo del quale volava Antoine de Saint-Exupery, si inabissò a una settantina di metri di profondità. Lo scrittore francese, partito in missione ricognitiva, era scomparso all’alba del 31 luglio del 1944, poco dopo il decollo da una base in Corsica. Il 29 giugno del duemila, nel centenario della nascita, gli è stato intitolato l’aeroporto di Lione. Una frase, molto bella, raccoglie il suo spirito d’avventura: “Quando si arriva al futuro, il nostro compito non è di prevederlo, ma piuttosto di consentire che accada”. Merci, Petit Prince.
Raccontava Hugo Pratt in un’intervista rilasciata all’Europeo all’inizio degli anni ‘70: “A Venezia studiavo, andavo a scuola, dimostravo di essere abbastanza dotato per il disegno, ma il mio scopo principale era di attraversare l’intera città da un tetto all’altro
maggior parte delle centinaia di ponti e calli nei rioni di Venezia dove, tra le ombre umide delle case strette sui rii silenziosi o sotto le logge dei grandi palazzi signorili, si svelano le trame di storie e racconti vecchi d’ogni epoca, vicina o lontana. secoli di storia. Come se tutto ciò non bastasse, Hugo Pratt si è divertito un mondo ad inventare nomi per i luoghi frequentati dal suo marinaio. Seguendo questa toponomastica fantastica si scopre che il “Ponte della nostalgia” è il ponte Widmann, nei pressi della Chiesa dei Miracoli, a Cannaregio o che il “Sotoportego dei cattivi pensieri” in realtà corrisponde al Sotoportego dell’Anzolo che dà sulla Calle Magno, verso l’Arsenale, nel sestiere di Castello. Il “Campiello de l’arabo d’oro” è in Corte Rotta a San Martino, nelle vicinanze di Campo Do Pozzi, la “Corte del Maltese” equivale a Corte Buello nei pressi di Corte Nova e la “Calle dei Marrani” è in Salizada Santa Giustina, vicino a Campo San Francesco della Vigna, tutti in Castello. La famosa e già citata “Corte Sconta detta Arcana” è la Corte Botera , che deve il proprio nome ad una bottega dibotteri, cioè di fabbricanti di botti, nei pressi della basilica dei Santi Giovanni e Paolo (detta San Zanipolo in dialetto veneziano) mentre nel citato racconto Pratt scelse l’abitazione di Tiziano come domicilio di Corto Maltese, nella corte che porta il nome del pittore, a Cannaregio. Pratt, negli ultimi suoi anni, ricordava con un velo di tristezza il
suo legame con la città sulla laguna, quasi parafrasando – inconsapevole o meno – il testo di quella bella e triste canzone che Guccini ha dedicato alla città (“ Venezia che muore,Venezia appoggiata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi,Venezia, la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l’ Europa o l’ Oriente..”). Quindi, per finire, è necessario far parlare ancora il maestro: “..vado e vengo per il mondo, quasi senza meta. Ma a Venezia ci torno sempre. Cammino per le sue calli, attraverso i canali, mi fermo sui ponti e osservo che sulle rive non ci sono più i granchi che al pomeriggio se ne stavano pigramente a prendere il sole. Non ci sono più da tanti anni. Cerco i posti di quando ero bambino ma molte volte non li riconosco. La scala matta non c’è più e non più neppure la signora Bora Levi. Le finestre della sua casa sono murate, la fisionomia del luogo è cambiata. Quando chiedo non mi sanno rispondere. Gente giovane che non sa, oppure qualche vecchio che non vuole ricordare”.
DALLA TOSCANA
rallentata dalla fatica della salita. Su in alto, sdraiati bocconi, sul carico dei legumi, sonnecchiavano i carrettieri coi loro mantelli a righe nere e grigie, le redini arrotolate al polsi..”. Così inizia Le ventre de Paris (Il ventre di Parigi) che Émile Zola pubblicò nel 1873, ambientando il racconto a Les Halles , i vecchi mercati generali dove venivano venduti all’ingrosso i prodotti alimentari freschi. Un mondo incredibile, carico di odori e colori che si è trasformato nei secoli, fino ai nostri giorni. Oggi dove sorgevano i padiglioni ottocenteschi in ferro battuto ( “un gigantesco ventre di metallo, inchiavardato, saldato, fatto di legno, vetro e ferro”) c’è la Canopée, megastruttura di vetro e acciaio, dal tetto
ondulato aperto verso ovest, che sovrasta il Forum des Halles, secondo centro commerciale di Francia. Siamo nel primo arrondissement, il centro del centro di Parigi dove tutto è cambiato, stravolgendo quello che era il “ventre” della città. L’unica a restare immutata e impassibile davanti al turbinio delle trasformazioni è la chiesa di Saint-Eustache, una delle più grandi e famose di Parigi, costruita per volere di Francesco I di Francia tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Varcata la soglia è l’imponenza delle cinque navate ad ammutolire; si resta senza fiato percorrendo l’interno maestoso di questo luogo di culto dove lo stile tardo gotico è di quelli “flamboyant”, fiammeggianti, accompagnato da decorazioni
rinascimentali. “Chiesa magnifica e trascurata”, scrive Corrado Augias ne “I segreti di Parigi”. Eppure l’église Saint-Eustache contiene importanti opere d’arte antiche e come una delle più
celebri tele di Rubens, i “Discepoli di Emmaus” del 1611, varie opere di artisti italiani ( Santi di Tito, Rutilio Manetti , Luca Giordano) e vi sono sepolti personaggi illustri come Jean-Baptiste Colbert, madame de Pompadour e Anna Maria Pertl, madre di Wolfgang Amadeus Mozart. Sotto le volte di Sant’Eustachio furono battezzati Molière, il cardinale Richelieu e Jeanne-Antoinette Poisson, futura marchesa di Pompadour; Luigi XIV, il Re Sole, ricevette la sua prima comunione mentre vi si sposò il compositore Jean-Baptiste Lully. Nella chiesa si svolsero i funerali di Mirabeau e La Fontaine, Franz Liszt asistette all’esecuzione della sua Messa solenne mentre Hector Berlioz diresse per la prima
volta il suo Te Deum. Visitando la chiesa è impossibile non notare il magnifico organo. Con più di 8.000 canne e più di cento registri è il più grande di Francia, superando gli strumenti storici della cattedrale di Notre Dame de Paris e della chiesa del Saint-Suplice. E se Enrico di Navarra abiurò il calvinismo per il cattolicesimo pur di conquistare Parigi dove fu incoronato re nel 1594, affermando che “Parigi val bene una messa”, si può ben dire che vale altrettanto la pena assistere ad una messa accompagnata dalle note dell’organo di questa splendida chiesa di Saint- Eustache.
galleria per penetrare all’interno del centro abitato. La tradizione popolare vuole che a salvare la città fosse stato uno stratagemma escogitato da un tale Gagliaudo Aulari, oggi personaggio popolare e
maschera carnevalesca di Alessandria. Costui era un pastore che decise di sfamare la sua vacca Rosina con il foraggio e gli ultimi viveri rimasti in città. Con grande coraggio uscì un giorno dalle mura assediate per portare la mucca a pascolare. I nemici lo catturarono, uccisero la bestia per nutrirsi e rimasero meravigliati da tutto ciò che riempiva il suo stomaco. Il Barbarossa interrogò subito il contadino Gagliaudo che gli rivelò che Alessandria era ben provvista di cibo ed era in grado di resistere all’assedio ancora per molto tempo. L’imperatore germanico decise allora di non perdere altro tempo. Tolto l’assedio ad Alessandria si mosse contro l’esercito della Lega Lombarda. Nell’Oltrepò pavese, a Montebello della Battaglia, sulle colline tra Voghera e Casteggio, un armistizio, noto come la pace di Montebello, evitò uno scontro campale tra i due eserciti. La
leggenda della mucca Rosina, che ancora oggi si racconta ai bambini alessandrini, è stata ripresa da Umberto Eco nel romanzo “Baudolino”, santo patrono della località piemontese. Nel 1183 il comune di Alessandria fu riconosciuto da Federico I Barbarossa. In un monumento dedicato a Gagliaudo in piazza Duomo una frase di Umberto Eco recita così: “A Gagliaudo Aulari, che ci ha insegnato come si possa risolvere un conflitto senza uccidere alcun essere umano. Se il mondo lo ha dimenticato, ricordiamolo noi”.
DALLA SARDEGNA
FOCUS INTERNAZIONALE
indistruttibile, come le sue possenti e celebri mura, il fulgore di una millenaria capitale imperiale, nelle cui pietre cerchiamo ancora oggi le tracce di un passato molto lontano ma che ci appartiene strettamente. Ma dietro la città incantata e al di là del commovente nazionalismo kemalista che il 10 novembre, giorno dell’anniversario della morte di Ataturk, fa suonare le sirene, alle 9,05 del mattino, fermando simbolicamente per un paio di minuti i traghetti sul Bosforo e sul Mar di Marmara e pietrificando all’improvviso il traffico assordante di una città di quindici milioni di abitanti (esclusi i 500.000 profughi siriani che vivono per strada), spuntano i cambiamenti che avanzano lentamente da qualche anno.
sono finiti i francesi, gli inglesi, i tedeschi, gli americani e gli italiani che si trovano ovunque? A Istanbul non si vedono quasi più, come dissolti nelle nuvole della paura e del terrore che da qualche tempo tengono lontani i turisti da questa citttà. Ci sono però russi, cinesi e giapponesi, questi sì che si vedono ma c’è soprattutto una folla di arabi che mai nei secoli passati erano riusciti a conquistare Costantinopoli e adesso invece ci sono riusciti, con trolley zeppi di denaro. A Istanbul non si sono mai visti così tanti turisti mediorientali. Ed ecco allora sauditi, qatarioti, kuwaitiani, iraniani, iracheni, emiratini, c’è tutto il Golfo, sia arabo che persico. “Il turismo è in forte crisi, spiega Claudio Monge, un crollo verticale, da due anni a questa parte. È crollato soprattutto il turismo organizzato delle agenzie, sostituito in gran parte dal turismo arabo. È in corso una forte arabizzazione e in certi quartieri ci sono scritte bilinque, come nei negozi e negli hotel, li hanno favoriti togliendo i visti ai turisti arabi che sono gli unici che possono investire e pagare ingenti somme con denaro liquido. Qui il turismo classico, fatto di arte, storia e pellegrinaggi, è stato sostituito dal turismo dello shopping.
formazione dei frati ma aperta a tutti, agli studenti turchi e agli stranieri allo scopo di aiutarli nella ricerca universitaria, nello studio della teologia delle religioni e del rapporto tra islam e cristianesimo. Un centro culturale nato per far incontrare gente diversa, seguendo un disegno tipico della cultura domenicana. Un progetto che procede con alti e bassi. “Qui vengono anche ricercatori che lavorano nel campo della storia per riscoprire le vicende di questi quartieri multietnici che un tempo erano abitati da molti cristiani, cercano documenti sulle radici cristiane di Costantinopoli e sui siti cristiani diventati poi moschee. Ci sono stati sicuramente periodi più facili di quello attuale, ammette fra Claudio, ma le tensioni politiche in questo Paese hanno fatto sì che molte persone, un tempo ben collocate nei gangli del potere, e che erano i nostri referenti diretti, sono spariti e abbiamo dovuto cambiarli con la conseguenza che certi contatti costruiti in passato sono finiti e hanno dovuto essere cambiati. Da anni stiamo cercando di ristrutturare una parte del vecchio convento per trasferire la biblioteca ma ci sono molti impedimenti e procedure burocratiche interminabili che ci stanno sfiancando. La nostra condizione di cristiani e di stranieri non aiuta, è un ostacolo in più, che riguarda non solo noi italiani ma tutti i cittadini dell’Ue”. Sempre più donne con il velo nelle strade di Istanbul, scuole religiose in aumento, Ataturk in naftalina? Per il momento il padre fondatore della Turchia moderna e laica resiste, le immagini di Mustafa Kemal abbondano in città e la sua statua di cera nel Museo navale, sulla sponda europea del Bosforo, non è ancora stata rimossa. Ma qualcosa è già cambiato.
tolto il divieto di portare il velo negli uffici pubblici e quindi c’è un ritorno del velo che ora è ammesso, il cambiamento di panorama è innegabile anche se penso che la Turchia non potrà tornare troppo indietro. Come il Kemalismo aveva comportato l’occupazione della scena pubblica con simboli e cultura laica imposta dall’alto, oggi assistiamo a un’occupazione della scena pubblica con i simboli islamici”. Nel Paese della Mezzaluna cambia anche la scuola per avere musulmani più ortodossi e Istanbul si è già adeguata con il potenziamento degli istituti religiosi. “Più che di medrese si tratta di scuole “imam-hatip”, scuole di formazione religiosa per coloro che in futuro potrebbero diventare imam di moschea, insegnanti di religione o dipendenti del Diyanet, il Ministero degli Affari Religiosi. Tuttavia queste scuole che dovevano limitarsi a formare i quadri di questo Ministero stanno rimpiazzando di fatto l’educazione tradizionale. Sono aumentate con la chiusura di diverse scuole pubbliche e con il risultato di fare abbassare drasticamente il livello medio dell’istruzione. È certo però che lo studio scolastico dei decenni di potere di Kemal sarà ridimensionato nella nuova Turchia del sultano Recep Tayyip Erdogan. A cominciare dai simboli del kemalismo, come il “Centro culturale Ataturk” che domina piazza Taksim, il cuore di Istanbul, e ora è in fase di smantellamento (al suo posto sorgerà un teatro dell’Opera) mentre dalla parte opposta della piazza è in costruzione una grande moschea. Il vicino Gezi Park, punto di ritrovo per le manifestazioni anti-Erdogan rischia di scomparire e lasciare il posto a una caserma ottomana.
riferimento molto di più alle radici culturali islamiche. E ciò implica anche una presa di possesso dei luoghi simbolici degli anni della Repubblica kemalista che adesso sono ripresi e reinventati a immagine e somiglianza del nuovo progetto. Taksim, che era per eccellenza la piazza della laicità repubblicana kemalista, sta cambiando faccia. Assistiamo a uno scontro tra ideologie diverse. A una vecchia ideologia si risponde con una nuova ideologia”. Decine di ragazze affollano il vecchio caffè turco a ridosso di Santa Sofia, nella grande piazza Sultanahmet, a poche decine di metri dalla Moschea Blu. Sono appena uscite da scuola, ancora più allegre perchè domani è domenica, giorno festivo per tutti nella Istanbul europea, capelli al vento, musica nelle orecchie, cellulare in mano. L’Oriente, per loro, sembra lontano, l’Europa più vicina.









