Il Comitato Italiano Associazioni Parkinson, ha sviluppato la piattaforma TROV@LO® che monitora la disponibilità dei farmaci e dei dosaggi necessari
Milano – Il problema di reperire i farmaci anti-Parkinson in Italia si protrae da anni: spesso non si trovano in commercio mettendo così in difficoltà i malati e le loro famiglie.TROV@LO, è una piattaforma online per il monitoraggio e la segnalazione della carenza o della disponibilità di farmaci che il Comitato Italiano Associazioni Parkinson ha sviluppato ed attivato: nasce dal bisogno esplicito dei pazienti e delle loro famiglie di reperire i medicinali essenziali per la cura della malattia. Il Comitato ha messo il software a disposizione di una rete nazionale di associazioni, volontari e farmacie che monitorano la reale disponibilità dei farmaci e dei dosaggi necessari. Si parla di “famiglie con Parkinson” perché quando viene diagnosticata la malattia, essa non colpisce solamente il soggetto interessato, ma l’intera famiglia che viene coinvolta nella cura del famigliare e nella ricerca del medicinale.
TROV@LO è il frutto del progetto dei volontari del Comitato Italiano Associazioni Parkinson, che hanno collaborato con diverse case farmaceutiche sviluppando la piattaforma insieme alla collaborazione tecnica di Saverio Cuoghi della società Tempo Consulting. Il software è stato inoltre realizzato con il contributo di Coopfond Spa, il fondo promozione cooperative aderenti a Legacoop, grazie a una donazione di 15.000,00 €. È in fase di progettazione un numero verde nazionale che verrà gestito dai volontari aderenti al Comitato Italiano Associazioni Parkinson: sarà utilizzato per ottimizzare l’efficienza di TROV@LO implementando i flussi di consegna dei farmaci semplificando la vita dei pazienti che potranno avere un referente unico per segnalare le inefficienze e cercare possibili soluzioni. Ad oggi, la rete copre trentatré città italiane, ma il progetto per il futuro è quello di implementare il numero delle associazioni e delle farmacie aderenti in tutta Italia, ogni associazione che aderirà all’iniziativa riceverà un kit informativo.
Si stima che in Italia siano tra i 300.000 ed i 600.000 le persone affette dalla malattia di Parkinson con un’età di insorgenza che si abbassa di anno in anno e, ad oggi, non esiste una cura, ma solamente terapie farmacologiche e chirurgiche in grado di migliorare la sintomatologia per un determinato periodo di tempo. Il reperimento dei medicinali è un problema reale e concreto sul territorio italiano infatti, la maggior parte delle famiglie con Parkinson si trova in grande difficoltà nel trovare le cure per sé stessi e per i propri familiari. Per la prima volta in Italia le Associazioni di Pazienti e gli Enti Accademici si sono uniti per informare AIFA dell’estremo disagio e stato d’emergenza causato dal questa mancanza di comunicazione
Per le Associazioni ed i volontari che intendono collaborare come segnalatori scrivere una email a emergenza.farmaci@comitatoparkinson.it.





i denti per sopravvivere come gli altri, sotto le bombe e il tiro degli snjper, patendo il freddo, la fame e la sete. Nei pressi della via che porta il nome del Maresciallo Tito, sull’asse centrale di Sarajevo, dove passa il tram della linea che collega la Bascarsija a Ilidža, a meno di centocinquanta metri dal Merkale, il mercato austro-ungarico, c’è la via Vaso Miskin. Lì, un gruppo di persone, approfittando di un breve periodo di tregua, si trovava in fila davanti ad un forno attendendo di poter acquistare del pane. Era il 27 maggio del 1992 e “gli uomini delle montagne“, a colpi di mortaio, uccisero ventidue persone e ne ferirono altre centocinquanta. Dopo lo scoppio, sui feriti infierirono i cecchini serbi, in un tragico tiro a segno. A partire da quel 27 maggio, per ventidue giorni, Vedran Smailović, indossò lo smoking, prese il suo violoncello, si accomodò fra le
macerie di Vaso Miskin e si mise a suonare l’Adagio di Albinoni. Ventidue volte, una per ogni vittima, incurante dei cecchini, sfidando la brutalità della guerra per riprendersi il valore della vita. Perché, scrisse “c’è un istante prima dell’impatto, l’ultimo in cui le cose sono come sono state. Poi il mondo visibile esplode“. Quella è stata la prima carneficina in un mercato della vecchia città di Sarajevo e passò tragicamente alla storia come la “strage del pane“. Smailović raccontò a “Repubblica” quelle giornate: “Non c’ era alcunché di programmato, era impossibile pianificare in una zona di guerra. Riuscivo solo a piangere e i miei vicini mi consigliarono di uscire a suonare per le strade di Sarajevo. Iniziai a suonare e solo dopo un po’ mi resi conto che stavo intonando l’ Adagio di Albinoni. Ho continuato a farlo per mesi, perché la gente mi diceva che se avessi smesso di suonare Sarajevo sarebbe caduta”. Sarà stata una risposta emotiva o un gesto scaramantico ma Vedran non si limitò a questo. Suonò gratuitamente alle esequie di persone che nemmeno conosceva, incurante dei rischi (i funerali in città erano presi di mira dai cecchini serbi). Il brano , scelto o no, con le sue note dolenti e
malinconiche, pareva scritto apposta per queste occasioni. L’Adagio in sol minore (Mi 26), noto anche come Adagio di Albinoni, è una composizione scritta nel 1945 e pubblicata nel 1958 da Remo Giazotto, musicologo e compositore italiano. Grande esperto di Albinoni , “ricostruì” l’Adagio sulla base di una serie di frammenti di spartiti del grande violinista veneziano, ritrovati tra le macerie della biblioteca di Stato di Dresda (la Sächsische Landesbibliothek,l’unica dov’erano custodite partiture autografe di Albinoni), distrutta nel bombardamento che rase al suolo la città il 13 e 14 febbraio del 1945 ad opera degli aerei inglesi della RAF e dei B.17 americani, le famose “fortezze volanti”. I frammenti sarebbero stati parte di un movimento lento di sonata in sol minore per archi e organo, particolarmente evocativa. Da Dresda a Sarajevo. Dalle macerie della
biblioteca nella capitale della Sassonia a quelle della sarajevese Vijećnica, tradita e offesa nei “tre giorni di fuoco” che la distrussero. Tragico parallelismo nel cuore d’Europa, sempre in epoca contemporanea, sotto gli occhi e nel silenzio del mondo. “Là, dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini“, scriveva nel 1823 il poeta tedesco Heinrich Heine.I nazisti, col loro delirio violento, realizzarono quella triste profezia un secolo dopo, ma poi accadde anche a Dresda, e poi ancora a Sarajevo. L’odio per i libri ha consapevolmente sintetizzato l’intreccio di memorie ferite, rivendicazioni identitarie, disprezzo per le culture degli altri ammantato da deliri ideologici e religiosi che forma quella terribile miscela che incendia i conflitti contemporanei .Vedran, solitario interprete di Albinoni, suonò anche tra le steli dei cimiteri della sua città e fra le macerie della Biblioteca di Stato.
Un’immagine che fece il giro del mondo, quella di Smailović che, sfidando i nuovi barbari e le loro pallottole, seduto tenendo lo strumento tra le gambe, ben poggiato a terra sul puntale, fa scorrere l’archetto sulle corde del suo violoncello tra le macerie della biblioteca distrutta. I giornalisti lo fotografavano, facendo crepitare i flash delle reflex. Lui, si racconta, ad un certo punto smise di suonare per un attimo e si asciugò le lacrime. Finito il loro lavoro, i fotografi gli dissero: “Dai, adesso basta, abbiamo finito”. Lui li guardò incredulo, scuotendo la testa. Credevano che facesse finta di piangere, a beneficio dei loro servizi fotografici. Non avevano capito niente. Lui, Vedran Smailović, artista sarajevese, piangeva lacrime vere per la disperazione.







