“Tutto ha origine e tutto ritorna nel fuoco”
Villa “Solitudine”, immersa in un vasto parco, si trova nel tratto di litoranea che passa da Oggebbio, località sulla sponda piemontese dell’alto lago Maggiore, a quindici chilometri dal confine con la Svizzera. E’ lì che viveva il personaggio più famoso del comune rivierasco, il professor Giovanni Polli che nel 1876 effettuò la prima cremazione umana in Europa al cimitero monumentale di Milano. Nato ad Oggebbio il 1° ottobre 1812, Polli si laureò in medicina e chirurgia a Pavia. Fu professore di chimica all’Istituto Tecnico Superiore di Milano e membro anziano del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Nella sua carriera di medico e ricercatore effettuò studi approfonditi sul sangue e fu il propugnatore della purificazione dei cadaveri col fuoco tanto che, nella sua “Villa Solitudine”, realizzò i primi esperimenti crematori. L’illustre studioso , nel corso dell’Ottocento ( morì nel 1880) ,
fu un vero pioniere della scienza medica che si distinse anche per le sue sperimentazioni con la cannabis, risultando in assoluto uno dei primi a studiarne gli effetti e le potenzialità. Ma è stato il suo ruolo nella lotta a favore della cremazione dei cadaveri, conclusasi con l’incinerazione della salma di Alberto Keller effettuata a Milano il 22 gennaio 1876, di fatto la prima cremazione ufficiale in Italia, a consegnarlo alla storia. Quando il 23 gennaio del 1874 morì il cavalier Alberto Keller, ricco industriale di Milano, noto per le sue opere filantropiche, si apprese che nel testamento aveva disposto che la sua salma venisse data alle fiamme. A tal fine nominava esecutore testamentario proprio il professore piemontese ,destinando una somma notevole per gli studi sperimentali sulla cremazione. Pur non esistendo in Italia una legge che ammettesse la cremazione, il Polli, che aveva già fatto numerosi esperimenti , d’intesa con l’ingegner Clericetti, fece costruire un tempio crematorio, (opera dell’architetto Carlo Maciachini) reso possibile dalla generosità finanziaria della famiglia Keller e dalla cessione gratuita del terreno nel Cimitero monumentale da parte del Comune di Milano. Fu quello il primo tempio crematorio costruito in Italia e nel mondo, funzionante a gas illuminante. Venne inaugurato il 22 gennaio 1876 (“ un gelido giorno di fango e neve”, secondo le cronache del tempo) per cremare la salma imbalsamata di Keller, deceduto due anni prima. Le modalità furono in seguito descritte con precisione: dall’iniezione nel corpo (arti superiori ed inferiori, cavità toracica e cavità addominale) del liquido antisettico composto da fenolo, alcool e canfora fino alla bendatura finale con fasce inumidite. La salma , adagiata all’interno della cassa mortuaria, collocata sopra una griglia di ferro e coperta da un funereo velo, venne sospinta nell’urna dove 280 fiammelle a gas determinarono rapidamente la combustione. Si poté leggere nella relazione come i primi secondi garantirono l’evaporazione dell’acqua contenuta nei tessuti del corpo e successivamente la combustione del carbone formatosi lasciando del signor Keller circa tre chilogrammi di cenere, polvere e minuscoli frammenti ossei. In quello stesso anno nacque la Società milanese di cremazione. Successivamente sorsero le prime Società di cremazione (SO.CREM.) un po’ ovunque che, nel tempo, tra mille difficoltà, ostacoli e anche divieti hanno consentito lo sviluppo della cremazione in Italia. Ad essere precisi, la prima cremazione in Italia risaliva al 1822 allorché venne cremata la salma del poeta inglese Percy Bysshe Shelley, annegato nel golfo di La Spezia. Il suo corpo fu bruciato nella spiaggia di Viareggio sopra una pira sparsa di balsami per volontà dell’amico
e poeta Lord Byron. Ma si trattava più di una sorta di rito che di una vero e proprio esperimento crematorio. Alla morte di Giovanni Polli, Il Corriere del Verbano, nella sua edizione di mercoledì 23 giugno 1880, scriveva : “ Oggebbio ha perduto, lunedì 14 corrente alle 3 pomeridiane, il suo più distinto cittadino, il chiarissimo professore commendatore Giovanni Polli…Nato il 1 ottobre 1812 da Giuseppe Polli e da Angiola De Filippi nativa di Cannobio, fin dai primi anni dimostrò grande amore agli studi ed ingegno svegliatissimo. Ancor giovane ottenne nell`Università di Pavia la Laurea in medicina e chirurgia; subito in Milano ebbe una clientela estesissima e fra le migliori famiglie patrizie, perché alla scienza univa modi affabilissimi, inspirava agli ammalati grande fiducia.…Fece studi profondi sul sangue, e ne pubblicò opere importantissime. Introdusse pel primo l`uso dei solfiti nelle malattie da fermento morbifico e con grande vantaggio. Fu promotore della Cremazione dei cadaveri. Nella sua carriera medica ebbe dal Governo e dal municipio di Milano continui ed importanti incombenti. Godeva fama di medico valentissimo in Italia e fuori. Fu fregiato di più ordini cavallereschi nostrali ed esteri”. Il rimpianto per la scomparsa emergeva potente dal testo: “…Già da molti anni in Milano ogni giovedì l`aveva destinato alle visite gratuite dei poveri, e chi scrive ebbe molte volte a vedere la via Amedei piena di ammalati, che correvano da lui per farsi visitare. Come potrà dunque Oggebbio dimenticare il suo Polli? Ah! no, o caro Giovanni, la tua memoria sarà indelebile in quei cuori riconoscenti”. E le stesse esequie, solennemente celebrate nella cattedrale di Milano, videro “ la società di Cremazione inaugurare mestamente il suo stendardo accompagnando all`ultima dimora la salma del compianto prof. Polli. Lo stendardo è semplicissimo , nero, ricamato in bianco e sormontato da urna cineraria d`argento, di bella fattura, che tien posto della lancia”. Ovviamente anche la salma del Polli venne cremata, così che “dell`uomo illustre non rimanevano che poche bianchissime ceneri”. Per l’esattezza la sua cremazione era la 68° eseguita in Milano dal gennaio 1876 “… tempo in cui Giovanni Polli purificava per la prima volta colle fiamme del suo crematoio la salma di Alberto Keller”.
Marco Travaglini




PIANETA CINEMA
voci e figure diverse, dall’Imperatore Francesco Giuseppe, che “si dà pensiero per i funerali / come se tutto il resto non contasse”, all’ufficiale Max von Lenbach, che si sottrae ai creditori fuggendo a Montecarlo con una nobildonna, dai dignitari di Corte a Gavrilo Princìp, l’attentatore, da una vecchia duchessa a un ingegnere ungherese. E gesti, episodi, parole si dispongono come d’incanto tutt’attorno ad un fatto centrale: l’uniforme troppo stretta di Francesco Ferdinando che ancora oggi si può vedere, con le macchie di sangue, al Museo di storia militare a Vienna. Una catena infinita dei casi, di volontà inconsce, di consapevoli disegni portano a quei colpi di pistola quasi fossero una calamita, cambiando il corso della storia, all’incrocio del ponte Latino di Sarajevo. L’unica figura che nel libro non parla è la vittima principale, Franz Ferdinand, ma non occorre che lo faccia: sono gli altri che parlano di lui. E, dal sovrapporsi delle voci, Gilberto Forti riuscì a evocare con magistrale nettezza la sua fisionomia ( il libro uscì nella Piccola Biblioteca Adelphi nel 1984 ): l’arciduca cacciatore seriale (più di trecentomila animali furono uccisi da lui ), appassionato di fiori (stupendi i suoi roseti a Konopischt), erede senza poteri, costretto dall’etichetta a un matrimonio morganatico ( Sofia era di rango sociale inferiore e questo impediva il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito), uomo con difetti e pregi.
L’arciduca finì dissanguato sotto i colpi del giovane Gavrilo anche perché nessuno seppe aprirgli subito l’uniforme, che gli era stata cucita addosso a filo doppio per celare l’incipiente obesità. Un eccesso di vanità e di “etichetta” che gli fu fatale. Ripercorrendo e scandagliando gli eventi della giornata che fece da detonatore alla Prima guerra mondiale, Gilberto Forti utilizza la figura dell’arciduca erede al trono come metafora della complessità e delle fragilità dell’Impero alla vigilia del conflitto che lo portò alla dissoluzione. Chi l’ha definita, acutamente, una sorta di
Eco nacque ad Alessandria il 5 gennaio del 1932, senza mai dimenticare le sue origini e abbandonare i suoi tratti caratteriali “mandrogni”


Un cast di livello internazionale per l’opera coprodotta dal Teatro comunale di Bologna

Scrittrice, teologa, eremita, se n’è andata nella notte tra il 17 e il 18 novembre 2010, a 91 anni. La frase riportata è l’epigrafe che aveva scritto per se stessa e che venne pubblicata nel 1971 nel volume “Tu. Quasi preghiere”