Da un libro di Mario De Maglie nasce un dipinto di introspezione e sospensione di Stefano Veronesi
Dalla collaborazione tra l’artista Stefano Veronesi e lo scrittore Mario De Maglie è nata un’opera densa di significati metaforico dal titolo ” Lettura breve elogio. Storia di un’opera”. Dal dipinto di Stefano Veronesi emerge, quasi fuoriesce, il libro di De Maglie, il cui cuore contiene un elogio della lettura. L’artista non ha dipinto con il pennello ma con la “penna piuma”, una penna d’oro che, al termine della realizzazione dell’opera, è entrata a far parte dell’opera stessa, secondo un ben noto principio araldico della mise en abyme.
Secondo Mario De Maglie, psicoterapeuta attivo presso il Centro CAM (Centro di aiuto agli uomini maltrattanti) di Firenze, e autore di numerosi articoli di cultura e relazioni umane per il Fatto Quotidiano, esiste uno spazio compreso tra le mani e gli occhi, il luogo in cui avviene la lettura. Si tratta di uno spazio reale ma dai confini astratti, che vengono dati e non dati al tempo stesso, un luogo la cui immobilità è scossa da movimenti impercettibili dell’animo che si accosta alla lettura. In questo luogo dal semplice inchiostro su carta carta vengono partoriti pensieri e emozioni, poi accolti in quella relazione unica e profonda che si instaura tra lettore e libro. Il coinvolgimento del primo implica energia, azione e passione, che sono caratteristiche capaci di rendere questo spazio magico e che trovano nell’opera di Stefano Veronesi la loro traduzione perfetta nel mondo della sospensione e dell’introspezione.
Mara Martellotta

uomini e una donna: Stefano, Alfredo e Barbara ) sono partiti con lo scopo di rintracciarlo. In una Turchia meridionale, bruciata dal sole d’agosto, dopo cinque anni di assoluto silenzio, chi cercano ognuno dei tre? L’amico d’infanzia, il grande reporter o l’unico uomo mai amato? Inizia così una settimana di misteri nel Kurdistan. Lettere, enigmi, messaggi da decifrare e strane figure. Ogni incontro appare casuale, ma introduce al mistero di una realtà, quella curda, che sopravvive alla guerra più dimenticata del pianeta. La storia vira in giallo e si dipana davanti al lettore come un road-movie tra le strade e le coste della Turchia, fino a un finale a sorpresa. Il libro affronta un tema caldo, ora come vent’anni fa. I circa 30 milioni di curdi costituiscono uno dei più grandi gruppi etnici privi di un territorio nazionale. Per oltre un secolo molti di loro hanno lottato per un Kurdistan indipendente o perlomeno autonomo, con mezzi sia politici sia militari. Tuttavia i governi degli stati che li ospitano si
sono sempre opposti all’idea di uno Stato curdo e perfino alla concessione di un autonomia politica e culturale. Un territorio immenso, che si sviluppa nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia, la terra fra i due fiumi Tigri e Eufrate. Il territorio abitato dai curdi si trova prevalentemente in Turchia ma comprende vaste zone in Siria, Iraq, Iran, e in misura minore Armenia. Il Kurdistan turco, che i curdi chiamano Bakur, protagonista del libro di Fovanna, è un vasto territorio che comprende la parte sud orientale della Turchia dal confine siriano fino all’Iran, dove vivono circa 20 milioni di persone e ha il suo centro culturale e politico nella città di Diyarbakir, una vera e propria capitale simbolica del Kurdistan che conta quasi 2 milioni di abitanti. Ed è proprio lì che vene arrestato l’inviato de “Il Giorno”. La polvere del tempo, sui bei libri, non si posa mai e men che meno su “Il pesce elettrico” che Fernanda Pivano descrisse così: “Questi dialoghi sono maledettamente belli, sarebbero piaciuti a Hemingway”. E se lo diceva lei, traduttrice di tutti i grandi scrittori americani, amica personale di Hemingway e musa dei poeti e dei cantanti della beat generation, non c’è ragione alcuna per farsi rodere dal dubbio.
Dieci titoli di punta di cui cinque allestimenti coprodotti con importanti enti teatrali
Dal 14 al 26 marzo andrà in scena la “Manon Lescaut” di Puccini, con Orchestra e Coro del teatro Regio diretti da Gianandrea Noseda. La regia, classica ma non convenzionale, è del celebre attore Jean Reno. L’allestimento rispetta l’ambientazione settecentesca prescritta nel libretto, che diventa, invece, rarefatta e simbolica nella parte finale, nelle scene del deserto. Sarà presente un cast di eccezione con Maria José Siri, Gregory Kunde, Dalibor Jenis e Carlo Lepore.


DALL’8 AL 15 MAGGIO IL PALAZZO DELL’ENOFILA DI ASTI DIVENTA POLO CULTURALE. FOCUS SULLA FIGURA DELLA DONNA DURANTE LA GRANDE GUERRA, FOTOGRAFIE, FUMETTI, GIORNALI SATIRICI, MOTO D’EPOCA
Non delude i fan il rapper sardo, alla sua undicesima tappa dell’Hellvisback tour, per la presentazione dell’omonimo disco, disco di platino ad aprile

Ed è forse proprio la “città dei quattro fiumi”, la capitale sabauda collocata ai vertici dei due triangoli magici esoterici, la vera protagonista del racconto, persa fra le nebbie e le vie coperte di foglie morte in un autunno che pare un tramonto infinito
delicata della musica stessa del grande compositore austriaco, sullo sfondo di una Torino magica e vagamente inquietante. Ed è forse proprio la “città dei quattro fiumi”, la capitale sabauda collocata ai vertici dei due triangoli magici esoterici, la vera protagonista del racconto, persa fra le nebbie e le vie coperte di foglie morte in un autunno che pare un tramonto infinito. I protagonisti, dei quali non si fa mai cenno al nome ( solo del cane, il volpino di Lei, si conosce il nome proprio: Pulce!) , lasciandone l’identità avvolta in un alone di mistero, sono immersi in situazioni che a volte sfumano nel surreale, e il romanzo sviluppa un intreccio avventuroso senza che venga mai meno il divertimento. Del resto, che fareste voi se un anonimo vi telefonasse a casa e, senza mai dire una parola, vi facesse ascoltare un’aria, una sonata, una sinfonia del repertorio mozartiano? Non un fatto isolato ma quasi un appuntamento quotidiano,
dove dalla cornetta del telefono escono i pezzi più famosi del genio salisburghese , a cominciare dalla
Dogana Vecchia, il più antico albergo della città , in via Corte D’Appello 4,), situata nella “Contrada dell’Albero Fiorito”. Accompagnato dal genitore, il giovane Mozart assistette al Teatro Regio, “uno dei più grandi e belli d’Europa”, alla rappresentazione dell’opera “Annibale in Torino” di Paisiello. Nonostante la riservatezza della nobiltà e della cultura sabauda, i Mozart riuscirono a frequentare alcuni salotti buoni tra cui quello dei marchesi Saluzzo di Paesana che li accolsero a Palazzo in via della Consolata. Non è certo che Mozart si sia esibito in quelle stanze ma è sicuro che a Torino – il 27 gennaio di quell’anno – il giovane Wolfgang Amadeus festeggiò il suo quindicesimo compleanno, probabilmente alla locanda dove alloggiava. Più che probabile, quindi, che nella città magica per eccellenza, il suo fantasma abbia trovato il modo di far avvertire la sua presenza e, visto il personaggio, accennare a qualcuna delle sue arie da concerto più famose.